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L'applicazione della pena su richiesta delle parti: disciplina e criticità

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Academic year: 2021

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(1)

U

NIVERSITÀ DI

P

ISA

Dipartimento di Giurisprudenza

Corso di Laurea Magistrale in Giurisprudenza

Tesi di Laurea

L’applicazione della pena su richiesta

delle parti: disciplina e criticità

Candidata: Relatrice:

Chiara Giorgi Prof.ssa Valentina Bonini

(2)

A Rina, Anna

Egidio e Matteo

(3)

INDICE

CAPITOLO PRIMO:

L'origine del patteggiamento e i principi costituzionali

Sezione I: La genesi e lo sviluppo del patteggiamento.

1. L'archetipo disciplinato dall'art 77 legge n°689/1981...1

2. Le pronunce della Corte Costituzionale e la c.d Legge Carotti...6

3. Le modifiche legislative degli anni Duemila e l'introduzione del c.d patteggiamento allargato...12

Sezione II: Il patteggiamento e i principi costituzionali. 1. Le interferenze con i principi costituzionali...20

CAPITOLO SECONDO: Il ruolo delle parti nella dinamica del patteggiamento SEZIONE I: I soggetti, l'iniziativa e i tempi del rito. 1. I soggetti e la formazione dell'accordo...31

2. La volontà dell'imputato...35

3. Il dissenso del pubblico ministero...38

4. Il contenuto dell'accordo...41

4.1 Il contenuto eventuale: la sospensione condizionale della pena...47

5. La revoca della richiesta e del consenso...50

6. I tempi del rito...52

6.1 La formulazione nel corso delle indagini preliminari...55

6.2 La formulazione nel corso dell'udienza preliminare...57

(4)

7. La comparizione tardiva dell'imputato...59

Sezione II: Il controllo del giudice. 1. La verifica "allo stato degli atti"...62

2. I controlli preliminari inerenti la richiesta di patteggiamento...63

3. Il vaglio ex art 129 c.p.p...68

4. L'omologazione della pena...78

4.1 Il controllo sulla congruità della pena...81

5. La deliberazione del giudice...84

CAPITOLO TERZO: La natura della sentenza 1. Introduzione...87

2. La natura del patteggiamento disciplinato dall'art 77 legge n°689/81...89

3. L'impostazione della Corte Costituzionale...90

4. L'orientamento della giurisprudenza negli anni '90...96

5. Le novelle legislative in materia di giustizia negoziata...104

6. Le pronunce dopo le modifiche legislative: in particolare la virata delle Sezioni Unite...106

7. Le critiche della dottrina...112

CAPITOLO QUARTO: Le impugnazioni: in particolare la revisione 1. Considerazioni preliminari...120

2. L'inappellabilità...122

3. Il ricorso per Cassazione...125

(5)

5. La revisione dopo la legge n°134/2003 con particolare attenzione al caso della sopravvenienza di nuove prove...138 6. Concordato sui motivi d'appello...146

(6)

CAPITOLO I

L'ORIGINE DEL PATTEGGIAMENTO E I PRINCIPI COSTITUZIONALI

SEZIONE I

La genesi e lo sviluppo del patteggiamento

SOMMARIO: 1. L'archetipo disciplinato dall'art 77 legge n°689/1981 - 2. Le pronunce della Corte Costituzionale e la c.d Legge Carotti - 3. Le modifiche legislative degli anni Duemila e l'introduzione del c.d patteggiamento allargato.

1. L'archetipo disciplinato dall'art 77 legge n°689/1981.

L'applicazione della pena su richiesta delle parti si colloca nell'ambito della giustizia penale negoziata, quale insieme di strumenti consensuali capaci di garantire una deflazione dei tempi processuali.

La giustizia negoziata trova la sua massima espressione nei sistemi di common law, soprattutto in quello nordamericano, dove viene disciplinato l'istituto del plea barning.

Il plea barning è un accordo con il quale l'accusato si assume la responsabilità dei fatti ascrittigli e rinuncia a provare la propria innocenza in dibattimento, al fine di ottenere da parte della pubblica accusa un particolare trattamento di favore previamente concordato, che può consistere o nell'estinzione/derubricazione del capo di imputazione (charge bargaining) o in un trattamento sanzionatorio più benevolo nel quantum o nella species (sentece bargaining).

Era possibile anche una commistione tra queste due forme di negoziato, la c.d mixed agreement, che consente alle parti di usufruire

(7)

di una tipologia di accordi assai vasta e modulabile in base alle varie esigenze.

La dichiarazione di colpevolezza da parte dell'imputato resa nel guilty

plea, che si colloca al momento dell'arraignment ossia della

contestazione formale dell'accusa nell'udienza predibattimentale, rende superflua l'instaurazione del dibattimento facendo approdare il procedimento direttamente al momento della determinazione della pena.(1)

Il meccanismo del plea barning opera grazie al riconoscimento negli istituti di common law del principio di opportunità nell'esercizio dell'azione penale, che riconosce in capo al pubblico ministero ampia discrezionalità nell'esercizio azione penale e ampia libertà nel perseguire indirizzi di politica criminale in sede giudiziaria.

Nel nostro ordinamento, al contrario, è sancito il principio dell'obbligatorietà dell'azione penale all'art 112 Cost che esclude la possibilità per il pubblico ministero di contrattare l'imputazione. Di conseguenza, l'ipotesi accusatoria non potrà essere diversa da quella derivante dal confronto tra la fattispecie concreta e quella astratta. Inoltre il pubblico ministero non può compiere nessuna considerazione di carattere politico poichè una volta che l'accertamento dei presupposti per rinviare a giudizio l'imputato si è concluso positivamente, non è più ammessa una decisione sul principio di legalità in relazione all'an.

Dunque il pubblico ministero non può negoziare con l'accusato l'applicazione di una pena non corrispondente alla imputazione. In gioco non c'è solo il principio dell'obbligatorietà dell'azione penale ma anche l'art 101 Cost che vede l'intereprete soggetto "soltanto alla

(1) S. MARCOLINI, Il patteggiamento nel sistema della giustizia penale negoziata, Giuffrè editore, Milano, 2005, pag 15.

(8)

legge".

Per queste ragioni non si è registrata in Italia un applicazione fedele del plea barning.(2)

La giustizia negoziata non ha radici solo nei sistemi di common law, in quanto forme di contrattazione tra i soggetti del processo penale esistevano anche in ordinamenti più risalenti nel tempo.

Nel nostro ordinamento i primi esempi si rinvengono nelle leggi barbariche dell'Alto Medioevo o nelle pratiche rotali degli Stati preunitari.

A riguardo, il Prof Lozzi(3) ha individuato una similitudine tra l'attuale

patteggiamento e il "Truglio", procedimento speciale a cui si ricorreva nel regno di Napoli nei primi anni del 1800 quando, essendo le carceri sovraffolate, si giungeva ad accordi con gli imputati circa la pena da comminare, senza processo e sulla base dei soli indizi per i delitti di cui erano accusati.(4) La pena era arbitraria ed era calcolata tenendo

conto delle probabilità di maggiori o minori argomenti di reità o d'innocenza che si sarebbero potuti ottenere con la prosecuzione del processo. Attraverso questo istituto era possibile arrivare a pronunciare sentenza di condanna senza giudizio.(5)

L'archetipo del patteggiamento nel nostro ordinamento era disciplinato dall'art 77 della legge n°689/1981 e riguardava l'applicazione di sanzioni sostitutive. Questo istituto consentiva al giudice di applicare con sentenza la sanzione sostitutiva della libertà controllata, di cui all'art 56 della legge 689/1981 o della pena pecuniaria: con esclusione,

(2) L. CREMONESI, Il patteggiamento nel processo penale, CEDAM-Padova, 2005, pag 93.

(3) G. LOZZI, Patteggiamento allargato: nessun beneficio dall'applicazione di una giustizia negoziale, in Guida al diritto, 2003, n°30, pag 9.

(4) Per la ricostruzione dell'argomento v. PERRONE, Il Truglio. Infami, delatori e pentiti nel Regno di Napoli, Palermo, 2000, pag 60ss.

(5) AA.VV, a cura di A. DE CARO, Patteggiamento allargato e sistema penale, Giuffrè editore, 2004, pag 11.

(9)

dunque, della semidetenzione prevista dall'art 55 della medesima legge.(6)

In breve, il patteggiamento si realizzava in una declaratoria di estinzione del reato subordinata all'applicazione di una misura sostitutiva.(7)

Tale meccanismo doveva essere attivato dall'imputato mediante una richiesta formulata nel corso delle indagini preliminari, quando non erano state ancora esperite le formalità di apertura del dibattimento. Il giudice qualora avesse ritenuto che la pena detentiva fosse contenuta nel limite dei tre mesi per applicare la libertà controllata e di un mese per applicare la pena pecuniaria, poteva disporne l'attuazione, escludendo ogni pena accessoria e misura di sicurezza, ad eccezione della confisca obbligatoria nei casi previsti dall'art 240, secondo comma, c.p, e contestualmente dichiarava l'estinzione del reato.

Il parere favorevole del p.m era vincolante fino all'apertura del dibattimento, mentre nel corso della fase dibattimentale il giudice era svincolato dal volere del p.m e poteva liberamente accogliere la richiesta e pronunciare sentenza.

Tutte le volte che l'imputato e il pubblico ministero concordavano la decisione questa non era appellabile ma solo ricorribile in cassazione. Il procedimento presentava poi dei limiti soggettivi: non poteva essere concesso a colui che ne aveva già usufruito o che aveva riportato antecedentemente una condanna detentiva.

La decisione veniva iscritta nel casellario giudiziale solo per verificare se la richiesta era già stata concessa.(8)

(6) E. MARZADURI, L'applicazione di sanzioni sostitutive su richiesta dell'imputato, Milano, Giuffrè editore, 1985.

(7) E. AMODIO, Il processo penale nella parabola dell'emergenza, in Cass.pen, 1983, pag 2120.

(8) D. VIGONI, L'applicazione della pena su richiesta delle parti, Giuffrè Editore, Milano, 2000, pag 2.

(10)

Questo meccanismo non ha avuto grande successo perchè era previsto in ipotesi marginali, per le quali spesso si riusciva ad ottenere l'oblazione, e anche per l'incapacità di soddisfare a pieno le esigenze di economia processuale.

Ci furono vari tentativi di modifica dell'istituto fino ad arrivare alla legge delega del codice del 1987 che all'art 45 prevede "la possibilità per il pubblico ministero, con il consenso dell'imputato, ovvero per l'imputato, con il consenso del pubblico ministero, di chiedere al giudice l'applicazione di sanzioni sostitutive o di una pena detentiva che in concreto non superi i due anni di reclusione o di arresto, soli o congiunti a pena pecuniaria".

Ma una significativa rivisitazione dell'istituto si ha avuta con l'entrata in vigore del codice di procedura penale del 1988.

Innazitutto il legislatore ha esteso l'ambito di applicazione dell'istituto: il patteggiamento diviene applicabile nei confronti di tutte le sanzioni sostitutive, non si ha più l'esclusione che l'art 77 legge 689/1981 faceva della semidentezione. Inoltre, su impulso della Corte Costituzionale, si prevede l'applicabilità alla pena pecuniaria e alla pena detentiva, sola o congiunta alla pena pecuniaria.

Un'altra modifica riguarda il dettato codicistico che fa riferimento alla richiesta delle "parti" e non più "all'imputato", così che si riconosce il potere di iniziativa anche in capo al pubblico ministero. Di conseguenza, spetta alle parti circoscrivere il tema da devolvere al giudice.(9)

Si è affermata poi l'equiparazione della sentenza patteggiata a quella di condanna con il superamento degli effetti estintivi del "vecchio" patteggiamento e con la possibilità di sottoporre l'accordo alla

(9) A. PIGNATELLI, Commento all'art 444 c.p.p, in Commento al nuovo codice di procedura penale, coordinato da M. CHIAVARIO, UTET, Torino, vol.IV, 1990, pag 795.

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sospensione condizionale della pena.

Il legislatore dell'88 ha modificato così la disciplina del "vecchio" patteggiamento per renderlo più appetipibile alla realtà giudiziaria, non considerandolo più un mero beneficio, ma un vero e proprio rito alternativo al procedimento ordinario, che si basa su una domanda di merito.(10)

2. Le pronunce della Corte Costituzionale e c.d la Legge Carotti. Abrogata la disciplina delle sanzioni sostitutive su richiesta dell'imputato ex art 77 l.689/1981, il legislatore disciplina l'attuale patteggiamento agli articoli 444 ss c.p.p nel Libro VI dedicato ai procedimenti speciali.

L'introduzione dei procedimenti speciali, nella logica accusatoria del codice dell'88, ha rappresentato una necessità oggettiva.

Questi strumenti giuridici impediscono la congestione della macchina giudiziaria, determinando una contrazione o accelerazione del iter processuale. Il legislatore per favorire il ricorso a questi meccanismi di semplificazione, ha previsto per l'imputato che vi ricorra una serie di effetti premiali. Nello specifico, il patteggiamento consente di evitare l'instaurazione del dibattimento e prevede la riduzione fino ad un terzo della pena.

Il testo previgente dell'art 444 stabiliva: "l'imputato e il pubblico ministero possono chiedere al giudice l'applicazione, nella specie e nella misura indicata, di una sanzione sostitutiva o di una pena pecuniaria, diminuita fino ad un terzo, ovvero di una pena detentiva quando questa, tenuto conto delle circostanze e diminuita fino a un terzo, non supera due anni di reclusione o di arresto, soli o congiunti a

(10) L. CREMONESI, Il patteggiamento nel processo penale, CEDAM-Padova, 2005, pag 60.

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pena pecuniaria".

Dunque, nella versione originaria, il patteggiamento si fondava su un accordo tra imputato e pubblico ministero rivolto al giudice fino alla dichiarazione di apertura del dibattimento. L'accordo aveva ad oggetto la richiesta di applicazione di una pena pecuniaria o di pena detentiva diminuita di un terzo, quando quest'ultima era contenuta nel limite di due anni.

Il giudice, ricevuta la richiesta, procedeva a verificare il consenso di entrambe le parti, l'assenza di una causa di proscioglimento ex art 129 c.p.p e verificata sulla base degli atti la corretta qualificazione giuridica del fatto e l'applicazione e comparazione delle circostanze, procedeva all'applicazione della pena richiesta.

Se vi era la costituzione di parte civile il giudice non decideva sulla relativa domanda.

Per quanto riguarda gli effetti premiali, oltre alla riduzione di un terzo della pena, si prevedeva che la sentenza non comportasse la condanna al pagamento delle spese processuali, l'applicazione delle pene accessorie e delle misure di sicurezza e che non producesse effetti nei giudizi civili e amministrativi, oltre alla non menzione nei certificati del cassellario giudiziario. Il reato si estingueva entro cinque anni se la sentenza riguardava un delitto, entro due anni se riguardava una contravvenzione, qualora l'imputato non avesse commesso un delitto o una contravvezione della stessa indole.

Questa in breve era la struttura del rito delineato nel codice dell'88. Ma all'indomani dell'entrata in vigore del codice di procedura penale le novità introdotte incontrarono difficoltà di metabolizzazione.

Il problema centrale del nuovo rito era quello inerente all'eseguità del ruolo del giudice; si discuteva circa i contenuti e gli ambiti del potere di decisione giurisdizionale ex art 129 c.p.p.

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Il dato formale pone il problema dell'individuazione della regola di giudizio, da cui discende, l'esatta individuazione del potere cognitivo del giudice.

Il rapporto tra l'art 129 e art 530 ha costituito il "nodo più delicato"(11)

della riforma, ci si chiedeva infatti se le due disposizioni erano sovrapponibili o meno; allo stesso modo, ci si chiedeva se nel patteggiamento si debba accertare la responsabilità dell'imputato ovvero se fosse sufficiente escluderla, allo stato degli atti.

Altro profilo critico era quello inerente la verifica della congrua quantificazione della pena. Ci si chiedeva se il controllo del giudice costituisse una mera verifica di legalità dell'accordo oppure si spingesse fino ad esprimere un giudizio sulla corretta e opportuna quantificazione della sanzione. Se si opta per la prima soluzione allora il giudice è limitato al controllare che l'accordo sia legittimo e legale se invece si accoglie la seconda il giudice entra nella quantificazione della pena esprimenedo rispetto ad essa un giudizio reale.(12)

Questi problemi interpretativi hanno determinato una serie di interventi della Corte Costituzionale.

Tra questi interventi si fa riferimento alla sentenza della Corte Costituzionale n°313 del 1990.(13)

Con tale sentenza la Corte rigettò le questioni di legittimità

(11) P. PITTARO, G. DI CHIARA, E. FABRIZIO, F. PERONI, G. SPANGHER, Il patteggiamento, Giuffrè editore, 1999, pag 47.

(12) AA.VV, a cura di A. DE CARO, Patteggiamento allargato e sistema penale, Giuffrè editore, 2004, pag 15.

(13) Corte Costituzionale 2 Luglio 1990 n°313, in Giur.cost, 1990, pag 1981ss.Sulla sentenza vedere commenti: COCO, "Patteggiamento e/o sindacato giudiziale? Quel che resta dell'applicazione della pena su richiesta delle parti dopo la sentenza della Corte costituzionale del 2 luglio 1990, n.313" in Temi romana, 1990, 333; MUSSO, "Patteggiamento e sindacato sulla congruità della pena", in Arch. nuova proc.pen, 1991, 376; PIGNATELLI, "Patteggiamento e giurisdizione: il punto di vista della Corte Costituzionale", in Quest.Giust, 1990, 347; FIANDACA, "Pena patteggiata e principio rieducativo: un arduo compromesso tra logica di parte e controllo giudiziale", in Foro.it, 1990, I, 2385.

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costituzionale dell'art 444 c.p.p nei riguardi degli art 101 secondo comma, 102 secondo comma, 13 primo comma, 24 secondo comma, 27 secondo comma e 111 primo comma Cost; mentre invece dichiarò illegittimo l'art 444 comma 2 c.p.p "nella parte in cui non prevede che, ai fini e nei limiti di cui all'art 27, comma 3 Cost, il giudice non possa valutare la congruità della pena indicata dalle parti, rigettandone la richiesta in ipotesi di sfavorevole valutazione."

La Corte ha precisato che la norma violata dall’art. 444 comma secondo c.p.p è quella dell’art. 27 comma 3 Cost, il cui riferimento è stato ritenuto implicito nelle ordinanze di rinvio che hanno sollevato le questioni.

Con questa pronuncia si è introdotto un ulteriore parametro di valutazione, oltre alla verifica sulla qualificazione giuridica del fatto e all'applicazione e comparazione delle circostanze, ed è quello della congruità della pena.

Dunque si è ampliato lo spettro dell'attività di controllo del giudice che ha anche il potere-dovere di verificare nel merito la congruità del risultato finale del patto in ragione delle esigenze espresse nell'art 27, comma 3, Cost.

La sentenza n°313/1990 venne subito identificata dalla dottrina come una decisione "storica", in quanto la Corte ha sottolineato come la pena possa si perseguire varie finalità ma che tutte queste devono essere poste in secondo piano di fronte al principio ex art 27 comma 3 Cost, in quanto la finalità rieducativa è insita nella funzione stessa della pena.

Il riconoscimento di questo paramentro fa sì che la sentenza applicativa della pena non si sostanzia in una "mera ricezione acritica" dell'accordo ma costituisce il risultato di una valutazione operata dal giudice che ha tenuto conto della qualificazione giuridica, delle

(15)

circostanze prospettate dalle parti, del bilanciamento e della pena in concreto concordata, in rapporto alla finalità rieducativa.

Il sindacato sulla congruità della pena consente al giudice, pur ritenendo formalmente corretta la qualificazione giuridica del fatto prospettata dalle parti ed esatte le operazioni di calcolo, di respingere la richiesta concordata quando la pena non è conforme al principio rieducativo ex art 27, 3 comma, Cost.

I criteri a cui il giudice deve attenersi nella valutazione della congruità della pena sono quelli previsti dall'art 133 c.p. In alcune occasioni(14) si

è affermato che non bisogna considerarli tutti ma solo a quelli "rilevanti e prevalenti".(15)

Dopo poco la Corte costituzionale pronunciò un'altra declaratoria di incostituzionalità(16), che riguardava il ruolo della parte civile nella

dinamica del procedimento.

La Corte era stata chiamata a pronunciarsi sulla legittimità costituzionale riguardo agli art 444, secondo comma, c.p.p e 445, primo comma, c.p.p.

Le questioni relative all'art 445 c.p.p sono state ritenute inammissibili in quanto non ha rilievo nel giudizio penale la mancata efficacia della sentenza di patteggiamento nei giudizi civili e amministrativi.

Al contrario, ritenuto violato l'art 24 della Cost, con sentenza di tipo additivo venne dichiarata l'illegittimià dell'art 444 comma 2 c.p.p nella parte in cui non prevedeva che "il giudice potesse condannare l'imputato al pagamento delle spese processuali in favore della parte civile, salvo che ritenesse di disporne, per giusti motivi, la compensazione totale o parziale."(17)

(14) Cass, sez. VI, 5 Giugno 1992, Perri, in Arch.n.proc.pen, 1993, pag 122.

(15) D. VIGONI, L'applicazione della pena su richiesta delle parti, Giuffrè editore, Milano, 2000, pag 303 ss.

(16) Corte Cost, 12 ottobre 1990, n°443, in Cass.pen, 1992, pag 525.

(16)

I contenuti prescrittivi delle due pronunce degli anni '90 (sent n°313 e n°443) hanno portato all'elaborazione della legge n°479/1999(18) che ha

adeguato il corpus dell'art 444 c.p.p alle decisioni della Corte Costituzionale.

La c.d Legge Carotti ha lasciato immutati i presupposti e gli aspetti funzionali del rito: può sempre chiedersi l'applicazione di una sanzione sostitutiva, di una pena pecuniaria e di una pena detentiva e la diminuzione della pena può sempre essere ridotta in una misura non eccedente un terzo; ma ha modificato i tempi entro cui si deve presentare la richiesta.

La novella rivede il limite temporale massimo entro cui le parti possono formulare la richiesta ex art 444 c.p.p. Il termine finale per la proposizione della richiesta di applicazione della pena viene fissato non è più fino alla dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, ma fino alla presentazione delle conclusioni nell'udienza preliminare.

La contrazione dei tempi da un lato, risponde alle finalità deflattive del procedimento, evitando l'inutile apertura del dibattimento, e dall'altro lato garantisce una migliore programmazione delle udienze, visto che si elimina l'incertezza sui tempi di trattazione dei fascicoli iscritti a ruolo.(19)

Inoltre la novella introduce ipotesi di recupero ex post degli effetti positivi del patteggiamento.

Si fa riferimento alla possibilità per il giudice, dopo la chiusura del

Torino 2004, pag 24; P. FILIPPI, "Il patteggiamento", CEDAM-Padova, 2000, pag 24.

(18) Vedere commenti di: D. MANZIONE, V. BONINI, S. CAMPANELLA, P. MAGGIO, L. FILIPPI, L, SCOMPARIN, P. P. RIVIELLO, C. DI BUGNO, R. ORLANDI, B. GALGANI, E. MARZADURI, S. QUATTROCOLO, E. APRILE, C. MAINA, D. CARCANO, in Leg.pen, Utet, 2000, pag 237ss.

(19) A. MONTAGNI, Il patteggiamento della pena, Maggioli editore, 2001, pag 27ss.

(17)

dibattimento in primo grado o nel giudizio di impugnazione, di pronunciare sentenza di patteggiamento non solo nel caso di mancato accordo per dissenso del p.m ma anche in caso di ingiustificato rigetto della richiesta concordata da parte del giudice. Un'altra ipotesi di recupero degli effeti positivi del patteggiamento si ha a seguito del rinnovo della richiesta da parte dell'imputato prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado. Quindi si inserisce la possibilità di una verifica giudiziale sulla richiesta di patteggiamento dell'imputato, che non abbia trovato adesione da parte del p.m o non sia stata accolta dal giudice, anticipata rispetto al controllo del giudice dibattimentale o dell'impugnazione, e subordinata all'atto d'impulso di parte che non può essere reiterato.(20)

3. Le modifiche legislative degli anni Duemila e l'introduzione del c.d patteggiamento allargato.

A partire dagli anni 2000 si sono registrati una serie di interventi che hanno introdotto delle novità riguardanti la disciplina contenuta negli art 444-448 c.p.p.

Originariamente l'art 445 prevedeva l'inidoneità della sentenza patteggiata a produrre effetti in sede civile e amministrativa. La preclusione si estendeva anche all'ambito dei giudizi disciplinari in quanto l'opinione maggioritaria riteneva che quest'ultimi rientrassero nel genus dei giudizi amministrativi.

Sul punto è intervenuta la legge n°97/2001(21) che ha modificato l'art

445 c.p.p, inserendovi la clausola "salvo quanto previsto dell'art 653 c.p.p."

(20) D. VIGONI, L'applicazione della pena su richiesta delle parti, Giuffrè editore, 2000, pag 107-108.

(18)

L'art 653 c.p.p prevede che la sentenza penale irrevocabile di assoluzione ha efficacia di giudicato nel giudizio disciplinare quanto all'accertamento che il fatto non sussiste, non costituisce illecito penale ovvero che l'imputato non lo ha commesso.

Il legislatore però non si è limitato ad inserire la clausola che rinvia all'art 653 c.p.p ma è intervenuto anche sullo stesso articolo, eliminando la previsione in base alla quale vi era la necessità che la sentenza venisse pronunciata a seguito del dibattimento.

Con l'eliminazione di questo riferimento si è ampliata l'efficacia del giudicato delle sentenze assolutorie, estendendo la sua rilevanza anche alle sentenze di non luogo a procedere e alla sentenza resa a seguito del giudizio abbrevviato.

Il rinvio all'653 c.p.p obbliga, dunque, la pubblica amministrazione a ritenere avvenuti fatti e situazioni già accertati dal giudice penale, recuperando così una "spendibilità immediata" della pronuncia del giudizio penale nel procedimento disciplinare.

Inoltre l'inserimento del comma 1-bis dell'art 653 ha completato il quadro in quanto ha dato rilievo anche alle sentenze penali irrevocabili di condanna. Il comma 1-bis ne sancisce l'efficacia e il generico richiamo alle sentenze irrevocabili di condanna coinvolge anche la sentenza patteggiata.(22)

Da tempo si sentiva il bisogno di potenziare i procedimenti speciali nell'ottica di garantire la deflazione processuale nel rispetto dei principi costituzionali, come quello riguardante la ragionevole durata del processo, ed anche, di ampliare l'ambito del patteggiamento; esigenza avvertita fin dalla metà degli anni Novanta, quando si cercava una via d'uscita da Tangentopoli.

(22) AA.VV, a cura di A. DE CARO, Patteggiamento allargato e sistema penale, Giuffrè editore, 2004, pag 140ss.

(19)

Di fronte a queste esigenze sono stati presentati vari progetti di modifica e tra questi tre in particolare rappresentarono il punto d'avvio della lavorazione parlamentare che sfociò nella legge n°134/2003.(23)

Il primo disegno di legge era riconducibile all'inziativa del deputato Pisapia(24) ed era volto ad introdurre uno strumento normativo, la così

detta "conciliazione penale", che operava laddove la pena negoziata a fine computo, se pur superiore ai due anni, non superasse i tre anni. Il progetto focalizzava l'attenzione sul danneggiato, tant'è che prevedeva la possibilità di subordinare l'accoglimento dell'accordo al versamento da parte dell'imputato di una somma di denaro a titolo provvisionale. Inoltre, il progetto prevedeva l'eslusione dell'applicazione dei benefici

ex art 445 comma 1 c.p.p e ridisegnava le tempistiche del meccanismo

estintivo differito.

Il secondo progetto(25) proposto dall'on.Vitali prevedeva l'aumento della

soglia patteggiabile fino ai quattro anni, lasciando invariati gli altri presupposti funzionali del rito.

Il terzo progetto(26) presentato dai deputati Palma, Saponara, Paniz, (23) Che può leggersi in Guida al dir, 2003, fasc 25, 12 ss.

Su tale intervento: D. VIGONI, Patteggiamento allargato: riflessi sul sistema e sull'identità della sentenza, in Cass.pen, 2004, 710ss; P. FERRUA, Patteggiamento allargato, legge tre volte irrazionale-Tutte le incertezze causate dalle nuove norme, in Dir.e giustizia, 2003, fasc29, pag 8ss; F. PERONI, Le nuove norme in materia di patteggiamento allargato e di sanzioni sostitutive, in Dir.pen.e.proc, 2003, pag 1068; MARZADURI e DI MARTINO, L.12 Giugno 2003, n°134-Modifiche al codice di procedura penale in materia di applicazione della pena su richiesta delle parti, in Legislazione.pen, 2004, 242ss; AMODIO, I due volti della giustizia negoziata nella riforma del patteggiamento, in Cass.pen, 2004, 700ss.

(24) Si tratta della proposta di legge n°718 a firma dell'On.Pisapia, presentata il 12 Giugno 2001, recante "Modifiche al codice di procedura penale in materia di applicazione della pena su richiesta delle parti."

(25) Si fa riferimento alla proposta di legge n°1488, a firma dell'On.Vitali, presentatail 2 Agosto 2001, recante "Modifiche agli art 444 e 446 del codice di procedura penale in materia di applicazione della pena su richiesta."

(26) Ci si riferisce alla proposta di legge n°1423, a firma dell'On.Palma e altri, presentata il 25 Luglio 2001, anch'essa recante "Modifiche al codice di procedura penale in materia di applicazione della pensa su richiesta delle parti."

(20)

Zanettin e Orecchio, ipotizzava un rito patteggiato ammissibile per pene detentive che, a fine computo, diminuite da un terzo alla metà, non superassero vent'anni di reclusione o quattro anni di arresto, ammettendosi perfino un patteggiamento dell'ergastolo senza isolamento diurno, sostituito con ventiquattro anni di reclusione. Il progetto proponeva anche un regime premiale differenziato, applicandolo a seconda se la pena detentiva era maggiore o inferiore a due anni, poi, la sentenza patteggiata veniva sottoposta a revisione. Queste tre diverse proposte di riforma sono confluite in un testo unitario approvato in una prima versione dalla Commissione Giustizia della Camera in sede deliberante ed emendato dal Senato della Reppublica; in seconda lettura, in sede referente, il testo è stato poi modificato dalla Commissione Giustizia, in seguito approvato dalla Camera dei Deputati e poi definitivamente approvato dal Senato il 10 Giugno 2003, sfociando nel varo della legge n°134 il 12 Giugno 2003. La legge n°134/2003 ha mantenuto intatto il fulcro dei tre progetti: lo sdoppiamento delle fattispecie di composizione sulla pena, a cui corrisponde un diverso regime premiale.(27)

"Il cuore della riforma" è senz'altro l'innalzamento del limite di pena entro cui si può accedere al patteggiamento.(28)

Attraverso il riferimento ai cinque anni di pena detentiva, calcolati tenendo conto delle circostanze e della diminuzione fino ad un terzo, è cambiato il campo operativo del rito prima destinato a risolvere vicende penali di poco rilievo ora esteso anche nei confronti di reati gravi puniti con pena edittale alta.

Alla luce della novella legislativa si ha un ampliamento del campo di

(27) AA:VV. a cura di F. PERONI, Patteggiamento allargato e giustizia penale, Torino, 2004, pag 29 ss.

(28) P. FERRUA, Patteggiamento allargato e giustizia penale, Giappichelli Torino, 2004, pag 8.

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applicazione dell'istituto così da prospettare due diverse forme di patteggiamento:

-il patteggiamento "tradizionale": così definito in quanto già presente nell'ordinamento precedente alla riforma; che consente all'imputato e al pubblico ministero di accordarsi su una sanzione sostitutiva o pecuniaria o su di una pena detentiva che, al netto della riduzione fino ad un terzo, non supera due anni sola o congiunta a pena pecuniaria. -il patteggiamento speciale: ossia quello "allargato" introdotto con la novella, che consente all'imputato e al pubblico ministero di accordarsi su una sanzione dai due anni ai cinque anni di pena detentiva, sola o congiunta a pena pecuniaria.

Queste due forme di patteggiamento si differenziano sotto il profilo delle condizioni di accesso e del regime degli effetti premiali: alla prima forma di patteggiamento si ricollegano ampi benifici disciplinati dall'art 445 c.p.p, mentre al patteggiamento allargato si ricollegano limitati effetti premiali.

Effetti comuni ad entrambi sono: la diminuente di un terzo della pena, l'inefficacia nei giudizi civili ed amministrativi e la dubbia non menzione delle sentenze di patteggiamento nei certificati del cassellario giudiziale.

Oltre a questi effetti, nei confronti del patteggiamento che prevede l'applicazione della pena detentiva fino ai due anni sono previsti ex art 445 c.p.p anche: l'esclusione del pagamento delle spese processuali, la non applicazione delle misure di sicurezza, ad eccezione della confisca nelle ipotesi nelle quali ai sensi art 240 c.p è obbligatoria o facoltativa, l'estinzione del reato quando sono decorsi cinque anni per i delitti e due anni per le contravvenzioni, se l'imputato non commette lo stesso reato.

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sancisce dei limiti ai sensi dell'art 444 comma 1-bis c.p.p.

La norma esclude, sotto un profilo oggettivo, gli imputati di gravi reati associativi di criminalità mafiosa o con finalità di terrorismo e sotto un profilo soggettivo, coloro che siano stati dichiarati deliquenti abituali, professionali e per tendenza o recidivi reiterati di cui all'art 99 comma 4 c.p.

Queste esclusioni al patteggiamento "allargato" non sono dovute solo all'esponenziale gravità e al particolare allarme sociale ma anche alla non meritevolezza nei confronti dell'imputato della riduzione della pena.

Il riconoscimento solo alle ipotesi di patteggiamento "allargato" di una serie di limiti soggettivi ed oggettivi, può apparire irragionevole. Ma in realtà non c'è irragionevolezza se si tiene conto che sono le esigenze di prevenzione generale e speciale connesse alla entità della sconto di pena a far ritenere giustificato l'operato degli sbarramenti, in ragione della pericolosità del soggetto o dell'allarme sociale del reato.(29)

Allora risulta evidente la differenza tra le due forme di patteggiamento sia dal punto di vista del regime premiale sia per quanto riguarda l'accessibilità al rito: una forma applicabile a tutti i soggetti e valida per tutti i reati, a cui consegue un ampio regime premiale, l'altra applicabile solo a determinate categorie di soggetti e fattispecie criminose o contravvenzionali con effetti premiali più limitati.

Un altra novità riguarda la possibilità di sottoporre a revisione la sentenza di patteggiamento.

L'ammissibilità della revisione è stata a lungo negata dalle Sezioni Unite della Cassazione(30), ma in un sistema in cui si ricorre spesso alla

giustizia negoziata, la possibilità di incorrere in errori giudiziari

(29) E. AMODIO, I due volti della giustizia negoziata nella riforma del patteggiamento,in Cass.pen, fasc.2, 2004, pag 700.

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aumenta e diventa fondamentale prevedere strumenti correttivi a favore del reo, dunque si deve poter applicare il rimedio della revisione anche se non ricorrono tutti i presupposti richiesti dall'art 630 c.p.p. È stato poi modificato il regime delle sanzioni sostitutive delle pene: si è innalzato il limite per la sostituzione della pena detentiva a due anni. Il giudice può sostituire con la semidetenzione la pena detentiva fino a due anni, con la libertà controllata la pena detentiva fino ad un anno e con la pena pecuniaria quella detentiva non superiore ai sei mesi. Ai fini dell'individuazione dell'ammontare della pena pecuniaria il giudice deve individuare il valore giornaliero e moltiplicarlo per i giorni di detenzione, tenendo in considerazione le condizioni economiche dell'imputato e del suo nucleo familiare.

La legge contiene anche la disciplina inerente al regime transitorio, che ha permesso all'imputato di poter chiedere il nuovo patteggiamento nella prima udienza successiva all'entrata in vigore della legge, anche quando si era già nella fase dibattimentale o anche quando c'era stato il rigetto della richiesta da parte del giudice o quando non c'era stato il consenso da parte del p.m. Contemporaneamente, viene ammessa anche la possibilità di sospendere il dibattimento per un tempo non inferiore ai 45 giorni su richiesta dell'imputato per valutare l'opportunita di usufruire della disciplina della nuova legge.(31)

Dopo poco la sua entrata in vigore la legge n°134 del 2003 è stata oggetto di un importante vaglio di costituzionalità.

Sono stati sollevati dubbi di costituzionalita sia in riferimento all'ampliamento dell'ambito di operatività del patteggiamento allargato sia sul regime transitorio. A riguardo, si riteneva che gli art 1 e 5 della novella violassero l'art 3 e 111 della Cost.

(31) AA.VV, a cura di A. DE CARO, Patteggiamento allargato e sistema penale, Giuffèr editore, 2004, pag 23; E. AMODIO, I due volti della giustizia negoziata nella riforma del patteggiamento, in Cass.pen, fasc.2, 2004, pag 700.

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Sul punto la Corte Costituzionale si è pronunciata con sentenza n°291/2004(32) ed ha dichiarato infondate le questioni di leggittimità

costituzionale, rilevando che le limitazioni soggettive ed oggettive nel patteggiamento "allargato" e la graduazione degli effetti premiali rappresentano delle cautele tali da ritenere l'innalzamento del quantum di pena patteggiabile compatibile con il limite di ragionevolezza art 3 Cost e con il principio ex art 111 Cost.

Sulla disciplina nel patteggiamento hai inciso anche la legge n°69/2015 che ha inserito all'art 444 c.p.p il comma 1-ter che, per specifiche tipologie di reati contro la pubblica amministrazione (si tratta dei delitti art 314, 317, 318, 319, 319-ter, 319-quater, 322-bis c.p), subordina l'accesso alla restituzione integrale del prezzo o del profitto del reato.(33)Dunque, oltre al comma bis, anche il comma

1-ter restringe l'accesso al rito.

Infine, un cenno deve essere fatto anche al D.D.L 2067 recante "Modifiche al codice penale, modifiche al codice di procedura e all'ordinamento penitenziario". Questo disegno di legge propone l'eliminazione del c.d patteggiamento allargato: riconoscendo alla pene fino ai tre anni di reclusione l'applicazione dei benefici che oggi sono previsti nei confronti del patteggiamento infrabiennale. Propone poi di limitare il ricorso in Cassazione e di introdurre ex novo la c.d condanna emessa su richiesta dell'imputato per il caso di volontaria confessione. Valgono le medesime esclusioni previste oggi per il patteggiamento allargato ad eccezione dei recidivi di cui all'art 99 comma 4 dal momento che il procedimento in esame non esclude il pieno accertamento del fatto e della responsabilità.(34)

(32) Legge n°219 del 9 Luglio 2004, in Cass.pen, 2004, pag 3608ss.

(33) Commento alla l. n° 69/2015: D.VIGONI, Patteggiamento e delitti contro la P.A nella legge 27 Maggio 2015 n°69: gli effetti di chiaroscuro della riforma, in www.lalegislazionepenale.eu.

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SEZIONE II

Il patteggiamento e i principi costituzionali

SOMMARIO: 1. Le intereferenze con i principi costituzionali.

1. Le interferenze con i principi costituzionali.

Il patteggiamento fin dalla sua entrata in vigore ha suscitato dubbi di costituzionalità.

I maggiori problemi di legittimità costituzionale sono determinati dalla tesi secondo cui nel rito in esame manca un accertamento di responsabilità.

L'intenzione del legislatore, in tema di patteggiamento era quella di escludere la necessità di un accertamento di responsabilità in quanto nella relazione si afferma testualmente: "in conclusione, il compito del giudice è di accertare, sulla base degli atti, se esistono le condizioni per il proscioglimento e, in caso negativo, se è esatto il quadro nel cui ambito le parti hanno determinato la pena, mentre non occore un positivo accertamento della responsabilità penale."(35) Considerazione

che è stata confermata anche da una sentenza della Corte di Cassazione.(36)

Dunque, l'esame sui problemi di legittimità costituzionale del rito può essere fuorviante se non collegata alla tesi predetta.(37)

Il modello che vede l'irrogazione della pena svincolata da un accertamento di responsabilità, priverebbe di efficacia il ruolo della giurisdizione e ogni profilo di legalità, tanto di matrice processuale (art

pacchetto di riforme del codice penale, del codice di procedura penale e dell'ordinamento penitenziario, in www.penalecontemporaneo.it. (35) Relazione al progetto preliminare del codice, 1989, pag 239-240. (36) Cass, sez. I, 19 Febbraio 1990, Migliardi, in Cass.pen, 1990, II, pag 44ss. (37) G. LOZZI, La legittimità costituzionale del cd patteggiamento, in

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112 Cost) quanto sostanziale (art 25 Cost). Si consentirebbero pratiche di negoziato sull'imputazione, lesive dell'obbligatorietà dell'azione penale e del canone nulla poena sine lege.(38)

Queste due disposizioni costituzionali impediscono al pubblico ministero di incidere sull'andamento del processo e sul trattamento sanzionatorio (premiliatà).

Ma a tale affermazione si può replicare che, la premialità costituisce una ricompensa per l'accusato che attraverso la rinuncia al dibattimento e al contraddittorio "collabora" con la giustizia al fine di favorire la speditezza del rito e il buon funzionamento del sistema giudiziario. Quindi, per garantire il rispetto del principio di legalità, è fondamentale predeterminare ex ante i presupposti di accesso ai singoli riti e sottoppore gli atti e i criteri di manifestazione della volontà del p.m al controllo del giudice.

La conoscibilità ex ante della norma e il controllo giudiziale ex post sull'operato del p.m rendono la richiesta dell'imputato di instaurare il procedimento speciale una libera estrinsecazione del suo diritto di difesa.

Inoltre, sul versante della pubblica accusa si è temuto un contrasto con l'art 112 Cost laddove al fine di favorire il consenso dell'imputato, il p.m decida di derubricare l'imputazione, ovvero nel caso di plurità di imputazioni, di lasciarne cadere alcune per ottenere il patteggiamento su quelle rimaste in piedi. Ma in verità è la stessa previsione costituzionale ad escludere prassi derubricatorie: l'effettiva osservanza di ciò è garantita dal controllo giurisdizionale che si esercita sui contenuti dell'accordo raggiunto dalle parti.(39)

La necessità di una connessione tra la sentenza patteggiata e

(38) F. PERONI, La sentenza di patteggiamento, CEDAM-Padova, 1999, pag 19. (39) S. MARCOLINI, Il patteggiamento nel sistema della giustizia penale negoziata,

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l'accertamento di responsabilità dell'accusato trova riferimento anche nell'art 25, 2 comma, Cost, secondo il quale "nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso", oltre che nell'art 27, 2 comma, Cost secondo cui "l'imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva." L'art 25 Cost trova applicazione nel patteggiamento nella misura in cui mette capo al principio di nulla poena sine iudicio, in base al quale la pena può essere irrogata solo al termine del giudizio.

In altri termini, la sanzione potrà essere disposta solo a seguito di un giudizio di corrispondenza tra il fatto umano, oggetto dell'imputazione, e lo schema legale astratto.

Dunque si deve accertare se la fattispecie concreta sia riconducibile a quella astratta. Tale attività spetta al giudice e lo si deduce anche dall'art 13 Cost in materia di limitazione della libertà personale.(40)

Ancora, la tesi che afferma la mancanza dell'accertamento di responsabilità risulta costituzionalmente illegittimità sotto un triplice profilo, ossia rispetto all'art 13, primo comma, Cost, art 27, 2 comma, Cost e art 111, primo comma, Cost.

Rispetto all'art 13, 1 comma, Cost se si interpreta l'inviolabilità della libertà personale nel senso di indisponibilità della libertà stessa, ne deriverebbe un contrasto con la sentenza che applica la pena su richiesta delle parti in assenza di un accertamento di responsabilità. In questo caso la limitazione della libertà personale risulterebbe disponibile in quanto conseguenza della dichiarazione di volontà dell'imputato senza il riconoscimento di una sua responsabilità.

Inoltre, anche l'art 27, secondo comma, Cost che stabilisce la regola secondo cui il giudice ha il dovere di considerare l'imputato innocente

(40) S. MARCOLINI, Il patteggiamento nel sistema della giustizia penale negoziata, Giuffrè editore, 2005, pag 160-161.

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fino a quando non viene pronunciata una sentenza di condanna definitiva, può essere violato laddove si applicasse la pena senza provarare la responsabilità dell'imputato.

Infine la carenza di accertamento giudiziale comporta una violazione dell'art 111, primo comma, Cost ("tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati) dal momento che motivare significa rendere note le argomentazioni utilizzate per arrivare ad affermare la sussistenza del fatto e della reponsabilità dell'imputato con l'indicazione delle prove poste a fondamento della decisione.(41)

La Corte costituzionale con la sentenza n°313 del 1990(42) si è

pronunciata su queste eccezioni di legittimità costituzionale e le ha respinte.

Per quanto riguarda la violazione dell'art 13 Cost ha affermato che non può essere "assolutamente condivisa l'idea che nel patteggiamento l'imputato disponga della sua indisponibile libertà personale." L'imputato non "dispone" della sua "indisponibile" libertà personale per autolimitarla poichè la richiesta di applicazione della pena da parte dell'imputato avrebbe la finalità di "ridurre al minimo quel maggior sacrificio della sua libertà, che egli prevede all'esito del giudizio ordinario."

Allora, senza l'accertamento di responsabilità il patteggiamento si sostanzierebbe in un accordo delle parti, su cui il giudice esercita un limitato controllo, consentendo di fatto l'esercizio di un potere dispositivo rispetto alla libertà personale.

Per quanto riguarda invece il contrasto con l'art 27 Cost la Corte ha osservato che non appare chiara la ragione per cui è stato prospettato

(41) G. LOZZI, Il patteggiamento e l'accertamento di responsabilità: un equivoco che persiste, in Riv.it.dir.proc.pen, 2004, pag 1397ss.

(42) Corte Costituzionale sent n°313 del 2 Luglio 1990, in Riv.it.dir.proc.pen, 1990, pag 1588ss.

(29)

un contrasto con la presunzione di innocenza.

Da tale regola di giudizio si ricava che la responsabilità dell'imputato deve essere sempre provata, mentre l'innocenza va dichiarata anche in mancanza di prove. Ciò fa sì che un minimum di prove di responsabilità idonee a costituire un accertamento volto a giustificare una condanna è imposto dall'art 27, secondo comma, Cost.

La presunzione di innocenza non precisa nè l'entità della prova nè il momento in cui la prova stessa può ritenersi integrata. Di conseguenza, ciò comporta "delle varibiali che possono disporsi in modo da annullare completamente, di fatto, la presunzione di innocenza, senza che con questo la sì debba immaginare trasformata concentualmente nel suo opposto." La possibilità di variabili nel rapporto tra pena e prova significa che, da un lato, non è costituzionalmente illegittimito un accertamento incompleto e dall'altro che non è consentita una condanna senza accertamento di responsabilità.(43)

I problemi di costituzionali individuati appaiono superabili.

In primo luogo, bisogna sottolinerare che l'art 444 c.p.p stabilisce che il giudice "dispone sentenza con l'applicazione della pena indicata sulla base degli atti." Pertanto gli atti possono essere posti a fondamento della sentenza di condanna in quanto siano valutabili come prove. L'art 546 c.p.p prevede alla lett e) tra i requisiti della sentenza "l'indicazione delle prove poste a base della decisione stessa e l'enunciazione delle ragioni per le quali il giudice ritiene non attendibili le prove contrarie." Nell'ipotesi in cui il patteggiamento consegua ad indagini preliminari la previsione dell'art 546 c.p.p risulterà applicabile in quanto tali indagini possano essere valutate come prova: ciò significa che un'interpretazione logica e letterale dell'art 444 c.p.p, avallata dall'art

(43) G. LOZZI, Il patteggiamento e l'accertamento di responsabilità: un equivoco che persiste, in Riv.it.dir.proc.pen, 2004, pag 1398ss.

(30)

546 c.p.p, dimostra la necessità di un accertamento di responsabilità. Inoltre la possibilità di valutare le indagini preliminari emerge anche dall'art 444 c.p.p che stabilisce che l'emanazione della sentenza di condanna è subordinata al fatto che non debba essere pronunciata sentenza di proscioglimento ex art 129 c.p.p. Dato che tale disposizione prevede l'assoluzione anche con formule di merito, come per l'insussitenza del fatto, è chiaro che tali pronunce comportino l'ammissibilità di una valutazione probatoria.

Dunque la Corte Costituzionale conclude affermando come valga per il patteggiamento "il modello generale di sentenza di cui all'art 546 c.p.p e le prescrizioni della lettera e) del primo comma dove si esige che il giudice indichi le prove che intende porre a base della sua decisione ed enunci le ragioni per le quali non ritiene attendibili le prove contrarie." Da ciò la Corte deduce che "anche la decisione di cui all'art 444 c.p.p quando non è decisione di proscioglimento non può prescindere dalle prove di responsabilità."(44)

Il problematico rapporto tra accertamento di responsabilità e patteggiamento, si è riproposto anche all'indomani nella riforma del c.d patteggiamento allargato che ha esteso il limite di pena originariamente fissato dall'articolo 444 c.p.p.

La questione di legittimità si pone su due piani: da un lato, si prende in esame il quadro dei principi costituzionali, nello specifico l'art 111 Cost, e dall'altro, la struttura del patteggiamento dove la pena è applicata senza un positivo accertamento della responsabilità.

L'esame si fonda sulla premessa secondo la quale la pena patteggiata non accerta la responsabilità dell'imputato. Nel procedimento in esame si può parlare di accertamento solo nel senso negativo di una verifica

(44) G. LOZZI, La legittimità costituzionale del cd patteggiamento, in Riv.it.dir.proc.pen, 1990, pag 1602.

(31)

sull'assenza di cause di non punibilità o, più in generale, sulla circostanza che l'ipotesi fattuale prospettata dalle parti non sia contraddetta dagli atti del procedimento.

Le ipotesi disciplinate nel 5 comma dell'art 111 Cost, tra cui il consenso dell'imputato, sono eccezioni alla regola del contraddittorio. Ma ciò non significa che per la Costituzione il patteggiamento debba restare confinato nella sfera dei reati di media o bassa gravità, nè che di fatto non possa essere il rito maggiormente applicato.(45)

Il quinto comma ex art 111 Cost comporta una rinuncia al contraddittorio nella formazione della prova e non una rinuncia tout

court alla formazione della prova, quindi oggetto della rinuncia è un

metodo di accertamento non l'accertamento stesso. Di conseguenza, si potrebbe dedurre che il patteggiamento è escluso dalla copertura costituzionale poichè qui manca l'accertamento della responsabilità. Ma la Corte non dichiarerà l'illegittimità del patteggiamento perchè ad essere estromesso dal sistema sarebbe l'istituto di per sè e non solo la sua forma allargata. Peraltro risulta anche difficile confutare la lettura del quinto comma ex art 111 Cost perchè ciò che prevede è l'abbandono di un metodo (il contraddittorio) in favore di un altro (la formazione unilaterale della prova) e non l'abbandono dell'accertamento stesso.

Quindi, pur di non dichiarare l'illegittimità del patteggiamento, la Corte incorrerebbe nel rischio di replicare non sul terreno dell'art 111 Cost, bensì sul terreno del patteggiamento affermando che il giudice accerta la responsabilità. Ma in realtà l'accertamento non potrà mai essere svolto in quanto nel procedimento in esame non si applica la regola dell'in dubio pro reo.

(45) P. FERRUA, Patteggiamento allargato una riforma dai molti dubbi, in Dir.Giust, 2003, n°8, pag 11ss.

(32)

Per salvare la legittimità del patteggiamento si dovrebbe arrivare a sostenere che l'art 111, 5 comma, Cost non contempla espressamente una rinuncia all'accertamento della responsabilità.

Si dovrebbe poi considerare l'accertamento della responsabilità una regola disponibile tale da consentire al giudice, a seguito dell'accordo delle parti sulla pena, di svolgere solo una verifica essenzialmente negativa sull'assenza di cause di non punibilità.(46)

Con l'entrata in vigore del codice del 1988 l'originaria disciplina dell'applicazione della pena su richiesta delle parti aveva determinato dei dubbi di compatibilità anche con l'art 101, 2 comma, Cost: "i giudici sono soggetti soltanto alla legge".

Nella relazione al progetto preliminare si affermava che il patteggiamento, disciplinato ai sensi dell'art 444 ss c.p.p, rispetto a quello originariamente disciplinato dall'art 77 l.689/1981, "aveva superato le originarie incertezze anche di natura costituzionale" in quanto in virtù dell'art 448, comma 1, c.p.p si è previsto che il giudice applichi la sanzione richiesta dall'imputato anche quando "ritiene ingiustificato il dissenso del pubblico ministero e congrua la pena." Con tale affermazione si recepirono le indicazioni della sentenza n°120/84 della Corte Costituzionale, decisione con la quale venne esclusa l'illeggitimità costituzionale degli art 77 e 78 legge n°689/81, in quanto il parere favorevole del p.m appare vincolante per il rito e non per il merito.

Il legislatore ha seguito questa impostazione ma, nella relazione non si è colto il vero problema di compatibilità dell'art 101 Cost, che si pone non tanto con riferimento al dissenso del p.m, ma quanto per il limite che l'accordo delle parti determina sul potere del giudice.

(46) P. FERRUA, Patteggiamento allargato, legge tre volte irrazionale tutte le incertezze causate dalle nuove norme, in Dir.giust, 2003, n°29, pag 8.

(33)

Infatti, in base alla previsione originaria dell'art 444 secondo comma c.p.p, il giudice non aveva altro potere se non quello di verificare la qualificazione del fatto, l'esistenza delle circostanze attenuanti e il giudizio di comparazione tra le circostanze stesse.

Dunque il consenso della parte non richiedente inibiva al giudice la valutazione ai sensi dell'art 133 c.p tant'è che doveva applicare la pena concordata anche laddove la ritenesse contrastante con i parametri dell'art 133 c.p.p. Tale violazione non era evitabile neppure sostenendo che era la stessa legge, in deroga all'art 133 c.p, a privare il giudice del patteggiamento del potere di commisurare la pena.

Se si seguissero le indicazioni di tale sentenza, sembrerebbe difficile sostenere la compatibilità con l'art 101, secondo comma, Cost della normativa che impone al giudice una applicazione "acritica" della pena concordata.

A tale proposito, si deve osservare come la ratio sottesa all'art 101, 2 comma, Cost risulti violata quando il giudice viene privato del potere riconosciutogli dalla legge, non per una situazione disciplinata da una disposizione successiva stabilita in deroga, ma a causa del potere discrezionale attribuito ad altri soggetti.

Il problema sembra potersi superare, elaborando un concetto di giurisdizione, in cui si evidenzia come la terzietà del giudice non possa non subire condizionamenti da accordi delle parti in un processo di stampo accusatorio, nel quale la volontà delle parti ha un grande ambito di incidenza.(47)

La Corte costituzionale nel respingere l'eccezione proposta osserva come appaia sufficientemente predeterminata "la situazione su cui le parti sono autorizzate a presentare la richiesta consensuale di

(47) G. LOZZI, Giudizi speciali e deflazione del dibattimento, in Legislazione penale, 1989, pag 567-568.

(34)

applicazione della pena" nè appaiono avere meno "carettere notarile" i poteri conferiti al giudice, il quale dovrà attenersi proprio ai criteri dell'art 133 c.p.p.

La Corte conclude affermando che il potere accordato alle parti è conferito per favorire una rapida collaborazione ed un immediata applicazione della pena e che in un processo di stampo accusatorio la connotazione di terzietà del giudice non può non subire condizionamenti dagli accordi delle parti. Queste considerazioni però non chiariscono del tutto i dubbi di legittimità sollevati in relazione all'art 101, 2 comma, Cost. Ma, a seguito della declaratoria di illegittimità costituzionale effettuata in relazione all'art 27 comma 3 Cost il potere di valutare la congruità della pena alla stregua dei parametri dell'art 133 c.p.p (sia pure con riferimento alla connotazione della rieducazione della pena) è stato restituito al giudice.(48)

Un ulteriore problema di legittimità costituzionale riguarda la ravvisabilità di una violazione dell'art 24, secondo comma, Cost per la mancata attuazione del diritto di difesa inteso come contraddittorio. Con la scelta del patteggiamento, l'imputato rinuncia all'esercizio del contraddittorio ma non per questo rinuncia al diritto di difesa in sè. Il contraddittorio è una delle manifestazioni con cui si esplica il diritto di difesa, non è l'unica. Infatti nel patteggiamento l'imputato rinuncia al diritto a difendersi negoziando optando per il diritto a "difendersi provando."(49)

Si individurebbe una violazione del diritto di difesa anche nei confronti della parte civile. L'art 444 comma 2 c.p.p non riconosce in capo alla

(48) G. LOZZI, La legittimità costituzionale del cd patteggiamento, in Riv.it.dir.proc.pen, 1990, pag 1607 ss.

(49) F. PERONI, La sentenza di patteggiamento, CEDAM-Padova, 1999,pag 16; Per la nozione "difendersi provando" riferimento a G.VASSALLI, Il diritto alla prova nel processo penale, in Riv.it.dir.proc.pen, 1968 pag 12; M.PISANI, Il diritto di difendersi negoziando, in Ind.pen, 1989, pag 822.

(35)

parte civile il potere di sostenere l'inamissibilità della sentenza patteggiata per errata qualificazione giuridica del fatto o per insussistenza delle attenuanti prospettate o per errata comparazione fra circostanze aggravanti ed attenuanti, ossia sui punti in cui si esercita la verifica giurisdizionale. Questa eccezione di illegittimità costituzionale è stata respinta sulla considerazione che l'impossibilità della parte civile di esercitare il contraddittorio sulle questioni sopra enunciate non violerebbe il diritto di difesa in quanto non risulterebbe pregiudicata la tutela dei diritti della parte civile, che possono essere fatti valere nel processo civile. Questo è confermato dalla mancanza di un diritto costituzionalmente tutelato ad ottenere una pronuncia in sede penale sull'azione civile proposta.

Ma tali argomentazioni non sono convincenti poichè il diritto di difesa non può essere eluso sulla base del rilievo che l'impossibilità del suo esercizio in un procedimento in corso risulterà compensata dall'esercizio del diritto in altra sede processuale.

Una volta ammessa la costituzione come parte civile di un soggetto nel processo penale non può escludersi l'operatività dell'art 24 comma 2 Cost inteso come contraddittorio nel corso dello stesso processo penale.(50)

(50) G. LOZZI, La legittimità costituzionale del cd patteggiamento, in Riv.it.dir.proc.pen, 1990, pag 1609.

(36)

CAPITOLO II

IL RUOLO DELLE PARTI NELLA DINAMICA DEL PATTEGGIAMENTO

SEZIONE I

I soggetti, l'iniziativa e i tempi del rito

SOMMARIO: 1. I soggetti e la formazione dell'accordo – 2. La volontà dell'imputato – 3. Il dissenso del pubblico ministero – 4. Il contenuto dell'accordo – 4.1. Il contenuto eventuale: la sospensione condizionale della pena – 5. La revoca della richiesta e del consenso – 6. I tempi del rito – 6.1. La formulazione nel corso delle indagini preliminari – 6.2. La formulazione nel corso dell'udienza preliminare – 6.3. La richiesta prima della dichiarazione di apertura del dibattimento – 7. La comparizione tardiva dell'imputato.

1. I soggetti e la formazione dell'accordo.

I soggetti legittimati all'iniziativa per l'instaurazione del rito sono ex art 444 c.p.p l'imputato e il pubblico ministero.

I poteri di cui sono titolari le parti nell'ambito del procedimento sono inquadrabili entro i confini posti dalle attività di tali soggetti.

Le loro attività vengono individuate e delimitate alla luce delle disposizioni costituzionali, quali il diritto di difesa e il principio d'obbligatorietà dell'azione penale.

La libertà riconosciuta all'imputato è ampia in base all'art 24 Cost, mentre l'attività del pubblico ministero è più limitata in quanto questi deve agire garantendo l'equilibrio tra il diritto di difesa dell'imputato e il potere d'azione di cui è titolare ai sensi dell'art 112 Cost.

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di fare valutazioni di opportunità riguardo la configurazione giuridica dell'illecito: il pubblico ministero non può negoziare l'imputazione. Il pubblico ministero deve muoversi entro dei limiti. L'art 125 att. c.p.p. impone di adottare la richiesta di archiviazione ogni qualvolta "gli elementi acquisiti nelle indagini preliminari non siano idonei a sostenere l'accusa in giudizio" ed esige che sia raggiunta un'apprezzabile completezza delle indagini.

Anche se non è esplicitamente previsto, tale riferimento vale anche per il patteggiamento non essendovi nessuna disposizione volta ad escludere l'applicazione di tale previsione.

Dunque il pubblico ministero quando avanza o manifesta il proprio consenso deve rispettare la previsione ex art 125 att. c.p.p,(51)se cosi

non fosse, il rito oltre a pregiudicare la posizione dell'indagato, svolgerebbe un'efficacia deflattiva fittizia, poichè potrebbe sostituirsi alla procedura dell'archiviazione.

Le valutazioni che fa l'imputato per l'adozione del rito sono invece libere e del tutto irrilevanti ai fini della logica processuale. Nonostante ciò, a dispetto di quanto ha sostenuto parte della dottrina(52) e della

giurisprudenza(53), la manifestazione dell'imputato di avvalersi del rito

non corrisponde ad un'ammissione di colpevolezza.

Un'altra differenza tra i ruoli delle due parti emerge avendo riguardo alla disciplina del dissenso del pubblico ministero: quest'ultimo deve motivare il proprio parere negativo e la mancata illustrazione delle ragioni non rendono vana la richiesta dell'imputato, che al termine del dibattimento può comunque vedersi applicare la pena richiesta.

(51) Sul significato art 125 att. c.p., vedi pronuncia n°88/1991 Corte cost, in Cass.pen, 1991, pag 207.

(52) C. TAORMINA, Qualche altra riflessione sulla natura giuridica della sentenza di patteggiamento, in Giust.pen. 1990, III, pag 650.

(53) Cass, sez. I, 1 Agosto 1991, Criscuolo ed altro, in Arch. n.proc.pen, 1992, pag 110; Cass, sez. I, 22 Marzo 1993, Perruzzo, in Cass.pen, 1994, pag 3075; Cass, sez. I, 7 Luglio 1994, Dellegrottaglie, in Arch. n.proc.pen 1995, pag 130.

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Questa scelta di salvaguardare la richiesta dell'imputato trova il suo fondamento nella caratterizzazione del patteggiamento come modalità di esercizio del diritto di difesa, che non può essere compresso dalle esigenze di celerità del rito.(54)

Nell'ambito dell'applicazione della pena su richiesta delle parti la parte civile, poichè la sentenza di patteggiamento non produce i suoi effetti nei giudizi civili e amministrativi, non potrà intervenire direttamente sul contenuto dell'accordo ma potrà unicamente interloquire "all'esterno" al fine di convincere il giudice a rigettare la richiesta. La stessa facoltà è riconosciuta alla persona offesa, che ove non si venga a costituire parte civile, può opporsi mediante la presentazione di una memoria consentita in ogni stato e grado del procedimento.(55)

Il patteggiamento si connota per una composizione tra le parti sull'applicazione della pena e dunque sull'anticipata definizione del procedimento penale con funzione deflattiva, che si esplica da un lato attraverso l'esercizio del potere dispositivo riconosciuto alle parti(56) e

dall'altro tramite l'operatività dei principi costituzionali.(57)

Alla base dell'istituto si pone l'accordo raggiunto tra l'imputato e il pubblico ministero che può essere manifestato o in un unico atto, rendendo indistinguibile la posizione di chi ha formulato la richiesta e di chi ha prestato il consenso, o mediante due atti distinti ed autonomi: all'istanza avanzata da una parte deve seguire il consenso dell'altra parte. In entrambi i casi si tratta di una pattuizione bilaterale, sostenuta dalla volontà dell'accusato e dell'accusatore, che hanno come unico obiettivo quello di concordare la pena.

(54) V. BONINI, Imputato e p.m. nella scelta del rito patteggiato, in Riv.it.dir.proc.pen, 1997, pag 1182ss.

(55) M. GIALUZ, Applicazione della pena su richiesta delle parti, in Annali di Enciclopedia del diritto, II, Milano 2008, pag 13ss.

(56) Vedi sent Corte Costituzionale, 2 Luglio 1990, n°313, in Giur.cost, 1990, pag 1981ss.

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Dunque è sempre necessaria la volontà univoca e tempestiva di entrambe le parti processuali poichè se si ammettesse che l'organo pubblico possa dare avvio al procedimento con un atto unilaterale si finirebbe per irrogare una pena senza riconoscere all'imputato il diritto di difendersi e inoltre si andrebbero a violare anche le garanzie di accertamento della colpevolezza avendole verificate sommariamente con l'attività investigativa.(58)

La richiesta e il consenso sono formulati oralmente se l'intesa interviene nel corso dell'udienza, mentre negli altri casi è prevista la forma scritta. La forma scritta si ha quando la volontà viene esternata fuori udienza, come accade nel corso delle indagini preliminari, poichè non c'è un giudice che raccoglie e verifica la libera ed autonoma determinazione del dichiarante.

Quindi, la previsione contenuta nell'art 446 c.p.p stabilisce la forma scritta nel caso di richiesta fuori udienza per rispondere all'esigenza di fissare i termini dell'accordo, mentre nel caso di formulazione in udienza è prevista la forma orale poichè l'attività in udienza è sempre verbalizzata.

La giurisprudenza ha affermato che la disposizione ex art 446, comma 2, c.p.p va intesa nel senso che la richiesta "comunque espressa, deve essere esposta oralmente e verbalizzata."(59)

Si è arrivati a questa conclusione sia in ragione del principio per cui le parti hanno sempre la possibilità di presentare richieste e dichiarazioni per iscritto sia in base alla previsione della non necessaria presenza dell'imputato in udienza, tenendo conto però che il giudice può in qualsiasi momento procedere alla convocazione dell'imputato per verificare la volontarietà della richiesta.

(58) L. CREMONESI, Il patteggiamento nel processo penale, CEDAM-Padova, 2005, pag 143ss.

Riferimenti

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