Sezione II: Il controllo del giudice.
2. L'inappellabilità
sentenza patteggiata – 5. La revisione dopo la legge n°34/2003 con particolare attenzione al caso della sopravvenienza di nuove prove - 6. Concordato sui motivi d'appello.
1. Considerazioni preliminari.
Nella disciplina del regime delle impugnazioni della sentenza patteggiata si riflette l'intento deflattivo perseguito dal legislatore dato che il patteggiamento consente di evitare il dibattimento di primo grado ed un grado d'impugnazione. Infatti, alla luce dei benefici connessi al patteggiamento, l'imputato perde la possibilità di usufruire della disciplina ordinaria prevista per le impugnazioni, visto che la sentenza patteggiata non è appellabile, fatta salva l'ipotesi ex art 448 c.p.p, ma solo ricorribile in cassazione.(249)
L'appello è il mezzo di impugnazione ordinario attraverso il quale le parti che hanno interesse e ritengono viziata per motivi di fatto o di diritto la decisione del giudice di primo grado, chiedono, con riferimento ad uno o più capi del provvedimento, una decisione del giudice di secondo grado.
L'appello è un gravame parzialmente devolutivo, in quanto attribuisce alla cognizione del giudice di secondo grado solo i punti della decisione contenuti nei motivi del ricorso.
Di regola il giudice d'appello pronuncia sentenza con la quale
conferma o riforma (modifica) la sentenza appellata; i casi di annullamento sono solo quelli sanciti ex art 604 c.p.p. La decisione di appello dà luogo ad una nuova sentenza che si sostituisce a quella impugnata e che, a sua volta, può essere oggetto di ricorso in cassazione.(250)
Il ricorso in cassazione è un mezzo d'impugnazione ordinario mediante il quale le parti che ne hanno interesse chiedono alla Corte di cassazione l'annullamento per i motivi di diritto della decisione pronunciata dal giudice di primo grado o d'appello.
I motivi del ricorso in cassazione sono tassativamente previsti nell'art 606 c.p.p e riguardano sia gli errores in procedendo, ossia i vizi derivati dall'errata applicazione di norme processuali, sia gli errores in
iudicando, ovvero i vizi derivati dall'errata applicazione del diritto
sostanziale e dall'errata motivazione dell'iter logico-giuridico seguito per giungere alla decisione impugnata.
Le decisioni della Corte di cassazione possono essere di inamissibilità, di rigetto, di rettificazione o di annullamento (con o senza rinvio). La revisione è un mezzo di impugnazione straordinario che può essere esperito senza limiti di tempo dai condannati avverso le sentenze di condanna e di patteggiamento. I motivi sono tassativamente previsti ex art 630 c.p.p, ai sensi della lett a) se i fatti stabiliti a fondamento della sentenza o del decreto penale di condanna non possono conciliarsi con quelli stabiliti in un'altra sentenza penale irrevocabile del giudice ordinario o di un giudice speciale; lett b) se la sentenza o il decreto penale di condanna hanno ritenuto la sussistenza del reato a carico del condannato in conseguenza di una sentenza del giudice civile o amministrativo, successivamente revocata, che abbia deciso una delle questioni pregiudiziali previste dall'articolo 3 ovvero una delle
questioni previsti dall'art 479; lett c) se dopo la condanna sono sopravvenute o si scoprono nuove prove che, solo o unite a quelle già valutate, dimostrano che il condannato deve essere prosciolto a norma dell'art 631; d) se è dimostrato che la condanna venne pronunciata in conseguenza di falsità in atti o in giudizio o di un altro fatto previsto dalla legge come reato.
L'organo competente a decidere è il giudice d'appello che può dichiarare l'inamissibilità, accogliere la richiesta oppure rigettarla. In caso di accoglimento, revoca la sentenza di condanna e pronuncia proscioglimento, indicandone la causa nel dispositivo, nel caso di rigetto, conferma la sentenza e condanna il richiedente alle spese processuali.(251)
2. L'inappellabilità.
La sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti non è appellabile, ai sensi dell'art 448, 2 comma, c.p.p.
La correttezza di questa scelta legislativa, sotto il profilo costituzionale, è stata difesa dalla Cassazione(252) che ha dichiarato
infondate le questioni costituzionali sollevate. E ciò sia rispetto all'art 24 Cost, affermando che la tutela del diritto di difesa non comporta necessariamente la garanzia del doppio grado di giurisdizione, sia in relazione all'art 3 Cost, rilevendo l'insussistenza di un'ingiustificata disparità di trattamento fra imputati che siano ricorsi al rito e imputati per cui si sia proceduto con altre forme, in virtù del particolare e favorevole trattamento sostanziale e della coerenza, sotto il profilo
(251) G. CONSO, V. GREVI, M. BARGIS, Compendio di procedura penale, CEDAM-Padova, 2014, pag 1016 ss e 1072ss.
(252) Cass, sez. I, 26 Settembre 1991, Baldascini, in Arch.n.proc.pen, 1992, 267; Cass, sez. VI, 20 Dicembre 1991, Gigliotti, in Arch.n.proc.pen, 1992, 566; Cass, sez. VI, 5 Aprile 1995, Colombini, in Riv.pen, 1996, pag 368.
logico-giuridico, con il fondamento consensuale del rito.
È stato anche sostenuto(253)che l'inappellabilità trova la sua ragion
d'essere nel fatto che il patto tra le parti riguardi entrambi i punti principali del thema decidendum: ossia la responsabilità e la sanzione. Se infatti si accogliesse l'impostazione secondo la quale la negozialità è limitata alla sanzione, mentre la responsabilità è oggetto di accertamento giurisdizionale, non si spiegherebbe l'inappellabilità della sentenza di patteggiamento almeno riguardo al punto non coperto dall'accordo.
In realtà il codice esclude l'appello proprio perchè la sentenza è il risultato di una volontà condivisa delle parti (all'atto di appello si è rinunciato con la richiesta e il consenso al rito): perciò l'appello è ammesso solo nelle ipotesi in cui la sentenza di patteggiamento è il frutto di un progetto unilaterale.
Quindi di regola la sentenza patteggiata è inappellabile, ma, nel caso in cui la sentenza sia stata emessa, in base alla richiesta del solo imputato, dal giudice del dibattimento che abbia ritenuto ingiustificato il dissenso del pubblico ministero, quest'ultimo potrà presentare appello per far valere la ragionevolezza della propria mancata adesione. Parallelamente, il p.m potrà proporre appello nell'ipotesi di sentenza patteggiata predibattimentale e cioè nel caso in cui, non realizzatosi l'accordo per il dissenso del p.m, a seguito del rinnovo della richiesta, il giudice l'abbia ritenuta fondata pronunciando immediatamente sentenza.(254)
Qualora il p.m impugni per far valere la ragionevolezza della sua mancata adesione, all'imputato, come confermato dalle stesse Sezioni
(253) M. GIALUZ, Applicazione della pena su richiesta delle parti, in Annali di Enciclopedia del diritto, II, Milano 2008, pag 42.
(254) D. VIGONI, L'applicazione della pena su richiesta delle parti, Giuffrè editore, 2000, pag 381.
Unite(255), non sarà riconosciuto neppure il potere di avanzare appello
incidentale, dato che il potere di proporre appello incidentale non spetta a chi è privo del potere di proporre quello principale.
Il giudice d'appello esercita una plena cognitio sulla causa e, in caso di accoglimento dell'appello del p.m, potrà applicare la pena più grave con una sentenza ormai priva degli elementi premiali tipici della sentenza emessa ex art 444, comma 2, c.p.p. Inoltre il giudice d'appello potrà pronunciare, laddove ritenga esistenti i presupposti, una sentenza di proscioglimento ai sensi dell'art 129 c.p.p.(256)
Bisogna, da ultimo, esaminare la disciplina relativa alla fattispecie inerente la conversione in appello dell'eventuale ricorso per cassazione proposto dall'imputato avverso la sentenza di patteggiamento in concomitanza dell'impugnazione d'appello proposta dal pubblico ministero. A riguardo, l'orientamento giurisprudenziale maggioritario ritiene che l'eventuale ricorso per cassazione proposto dall'imputato può convertirsi in appello ai sensi art 580 c.p.p.(257)
Il principio espresso nell'art 580 c.p.p non è, quindi, derogato per i procedimenti speciali rispetto ai quali il codice stabilisce un sistema d'impugnazione diverso.
L'art 580 c.p.p stabilisce che quando vengono esperiti più mezzi di impugnazione verso una stessa sentenza, il ricorso per cassazione si converte in appello. E secondo l'interpretazione maggioritaria, tale conversione si realizza anche quando la sentenza è inappellabile per la parte che ha proposto ricorso per cassazione.(258) Di conseguenza, tale
articolo trova applicazione quando, come nel caso in esame, la sentenza sia impugnata dal pubblico ministero e dall'imputato per gli
(255) Cass, sez.Un, 18 Giugno 1993, Rabiti, in Cass.pen, 1994, pag 556. (256) A. ARRU, L'applicazione della pena su richiesta delle parti, in G.
SPANGHER, (a cura di) Trattato di procedura penale, Torino, 2008, pag 49. (257) Cass, pen, sez.V, 9 Luglio 2001, n°34843, Basso, in Giur.it, 2003, pag 1448. (258) Cass, pen, sez.V, 9 Luglio 2001, n°34843, Basso, in Giur.it, 2003, pag 1448.
stessi reati in ordine ai quali c'è stata pronuncia di sentenza a norma dell'art 448, comma 1, c.p.p.
Dunque la Cassazione predilige l'applicazione del principio di ragionevolezza, secondo il quale in casi del genere è corretta la prevalenza della ratio dell'art 580 c.p.p, che ha lo scopo di evitare la pluralità di giudizi sulle stesse questioni, attuando le esigenze di economia-processuale e impedendo la formazione di giudicati contrastanti.
La conversione però non comporta un'estensione dei motivi deducibili rispetto a quanto previsto dall'art 606 c.p.p per il ricorso in cassazione. L'impossibilità di ampliare i motivi implica che, anche se vi è conversione del ricorso in appello, l'imputato non potrà prospettare questioni di merito, pena il rischio di vedersi respinta la sua impugnazione.(259)