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L'orientamento della giurisprudenza negli anni '90

Sezione II: Il controllo del giudice.

4. L'orientamento della giurisprudenza negli anni '90

La posizione della giurisprudenza di Cassazione sulla natura della sentenza "patteggiata" è apparsa più variegata e contraddittoria in quanto partendo dalle medesime premesse spesso si sono elaborate conclusioni differenti.

Un primo orientamento(190) sostiene che l'applicazione della pena su (189) D. VIGONI, La natura della sentenza ex art 444 c.p.p, in Riv.dir.proc, 1999 pag 269.

(190) Cass, sez. VI, 13 Novembre 1990, Palladini, in Giur.it, 1991, II, 409 con nota di T. LUPACCHINI, In tema di motivazione della sentenza che applica la pena su richiesta delle parti; Cass, sez. III, 21 Novembre 1990, Costa, in Crit.pen, 1991,1-2,141 con nota di T. LUPACCHINI, Sulla inquadrabilità della sentenza

richiesta delle parti presuppone l'accertamento del reato e l'attribuzione della responsabilità all'imputato, effettuato sulla base degli elementi acquisiti fino a quel momento: la sentenza ex art 444 c.p.p si qualifica come sentenza di condanna, a cui seguono tutti gli effetti della stessa, salvo quelli che la legge esclude.

Tale orientamento si basa sulla considerazione dell'impossibilità di separare la sentenza di condanna dall'accertamento dei fatti e delle responsabilità dell'imputato. Da un lato, la legge, vincolando la decisione del giudice alle risultanze degli atti e non al contenuto dell'accordo, spingerebbe a ritenere sussistente l'accertamento della responsabilità dell'imputato, e dall'altro il richiamo alla clausola di equiparazione alla sentenza di condanna, sottolinerebbe l'intenzione a non staccarsi, nonostante le deroghe, da questo tipo di sentenza. Un altro indirizzo(191) sostiene che dal consenso dell'imputato si deduce

un affermazione implicita o per fatti concludenti della responsabilità dello stesso, la quale verrebbe a surrogare il non pieno accertamento e a giustificare il limite cognitivo del giudice. Contemporaneamente si cerca di distinguere la sentenza patteggiata da quella di condanna, a cui sarebbe riconducibile per la produzione degli effetti.

Su questa linea interpretativa si colloca una sentenza del 1992(192)volta

a risolvere i contrasti giurisprudenziali inerenti l'obbligo di motivazione della sentenza di patteggiamento, in cui la Corte tentava di conciliare i limiti strutturali e funzionali del procedimento con i

che definisce il processo, nelle forme dell'applicazione della pena a richiesta delle parti, nella categoria delle sentenze di condanna; Cass, sez. I, 26 Marzo 1991, Negri, in Cass.pen, 1992, 375, 238; Cass, sez. III, 30 Aprile 1991, Di Leo, in Riv.pen, 1992, pag 393.

(191) Cass, sez. VI, 15 Ottobre 1990, Moncef, in Cass.pen, 1992, 371,236; Cass, sez. I, 14 Maggio 1991, Criscuolo, in Riv.pen, 1992, 491; Cass, sez. VI, 29 Maggio 1991, Gualtieri, in Cass.pen, 1992, 1284,671; Cass, sez. I, 22 Marzo 1993, Pezzurro,in Arch.n.proc.pen, 1993, 761, Cass, sez. I, 20 Maggio 1992, Calculli, in Giur.it, 1993, II, pag 531.

vincoli derivanti dai principi costituzionali. Prima di risolvere tali contrasti è funzionale individuare la soluzione inerente la questione sulla natura della sentenza "patteggiata." Infatti, le Sezioni Unite, partendo da questo problema, hanno affermato che la sentenza "trova il suo fondamento primario e la sua ragion d'essere nella volontà delle parti" ed è "affermativa di responsabilità sulla base di un accertamento implicito" così che non può essere riconosciuta quale "vera e propria sentenza di condanna". Ed è per questa ragione che l'art 445 comma 1 c.p.p si limita soltanto ad equiparare "a determinati fini" la sentenza "patteggiata" a quella di condanna.

Quindi l'accettazione delle parti ad un accertamento incompleto vincola il potere decisorio del giudice secondo i criteri dell'art 444 c.p.p, produce l'applicazione di una sanzione, esclude alcune conseguenze tipiche della condanna ed ha un effetto di ritorno in termini di affinità, e non di identità, della sentenza di patteggiamento rispetto al modello ordinario.

Nel corso del tempo l'indirizzo che esclude che la sentenza ex art 444 c.p.p comporti un accertamento positivo della responsabilità penale e che quindi possa qualificarsi in termini di condanna è stato prevalente.(193)

In questi termini si collocano due sentenze delle Sezioni Unite,(194)

intervenute per dirimere il contrasto giurisprudenziale inerente la possibilità di revocare la sospensione condizionale della pena precedentemente concessa.

(193) D. VIGONI, L'applicazione della pena su richiesta delle parti, Giuffrè editore, 2000 pag 317ss.

(194) Cass, sez. VI, 26 Giugno 1995, Capriglia, in Foro.it, 1996, II, pag 356 ss; Cass, sez. I, 12 Gennaio 1994, Rusciano, in Foro.it, 1995, II, pag 243ss; Cass, sez. IV, 21 Maggio 1993, Paone, in Arch.n.proc.pen, 1994, pag 246ss, Cass, sez. IV, 11 Marzo 1992, Maradona, in Giur.it 1993, II, pag 283ss, con nota di P. MOSCARINI, Contumacia e applicazione della pena su richiesta delle parti; Cass, sez.V, 6 Novembre 1991, Masciulli in Arch.n.proc.pen, 1992, pag 564.

La questione venne affrontata sotto il profilo ermeneutico- metodologico, risolvendo in primis la questione sulla natura della sentenza.

Una diversa impostazione circa la natura della sentenza porta ad esiti opposti: se si ritiene che tale pronuncia implichi l'accertamento dei fatti e delle responsabilità, ne consegue la possibilità di revoca della sospensione condizionale della pena; all'opposto, se si sostiene che l'applicazione della pena discenda dall'accordo e si neghi la riconducibilità della sentenza "patteggiata" a quelle di condanna, si dovrebbe escludere la revoca del beneficio della sospensione condizionale della pena.(195)

Nella prima sentenza del 1996(196)i giudici di legittimità hanno

ricostruito l'istituto patteggiato in chiave negoziale.

Una volta liquidati i problemi di compatibilità con la sentenza n°313 del 1990 della Corte Costituzionale, le Sezioni unite affermano che "lo specialissimo procedimento di cui agli art 444 ss c.p.p si sostanzia nell'applicazione di una pena "senza giudizio", dato che il magistrato giusdicente [...] non deve dichiarare la colpevolezza dell'imputato" ed è agevole concludere nel senso che "è dunque di manifesta evidenza che nel patteggiamento si perviene ad una pronuncia giurisdizionale senza giudizio, sia con riguardo alla fondatezza dell'accusa ed alla responsabilità dell'imputato, sia relativamente alla conseguente statuizione della pena" che non può essere altra "se non quella indicata dalle parti, e non scelta dal giudice, nè da lui modificabile."

Tale argomento trova conferma nella lettura dell'art 445 c.p.p nella parte in cui sancisce l'equiparazione e non l'identità tra sentenza "patteggiata" e sentenza di condanna: l'equiparazione si risolve solo

(195) D. VIGONI, La natura della sentenza ex art 444 c.p.p, in Riv.dir.proc, 1999, pag 264.

nell'applicazione della pena che, pur in presenza di differenti presupposti, chiude il processo sia nella sentenza ordinaria che in quella ex art 444 c.p.p. La sentenza "patteggiata" e la sentenza di condanna non sono uguali in punto di accertamento dei fatti perchè la sentenza di condanna è collegata ad un previo "giudizio" di colpevolezza, mentre nel patteggiamento quest'ultimo manca del tutto. Di conseguenza, l'equiparazione si riferisce solo ai profili inerenti l'applicazione e l'esecuzione della pena.(197)

I principi espressi in questa sentenza vengono poi ribaditi e sviluppati nella successiva pronuncia del 1997.(198)

Questa sentenza pone l'attenzione sulle "differenze formali, strutturali genetiche e funzionali" del rito. La diversità della sentenza patteggiata è dovuta alle caratteristiche del procedimento: nel patteggiamento manca "l'accertamento completo" della responsabilità dell'imputato "formalmente estrinsecabile in una espressa dichiarazione di colpevolezza", accertamento che è sostituito "dalla ricognizione dell'accordo intervenuto tra le parti sul merito del processo e sulla pena da applicare." La Corte afferma che la determinazione della pena è rimessa alle parti, mentre al giudice "non resta che la sola possibilità di esercitare un diritto di veto, essendogli interdetto il compito di modificare il contenuto dell'accordo". Inoltre l'applicazione della pena prescinde dall'accertamento giurisdizionale "completo ed esauriente" della sussistenza del reato e della sua attribuzione all'imputato. La funzione giurisdizionale si risolve "in un controllo estrinseco, esauribile solo nell'ambito delle risultanze disponibili e comunque condizionato, anche ai fini del provvedimento conclusivo del procedimento, dal contenuto dell'accordo."

(197) V. BONINI, La riscoperta del modello cognitivo e la sua prevalenza sulla negozialità processuale, in Ind.pen, 2007, pag 170-171.

Infine si liquida la ricostruzione dottrinale che individuava nella richiesta al rito l'attuazione del principio di non contestazione dei fatti con la conseguenza di attribuire rilievo probatorio al c.d "fatto pacifico": viene esclusa l'ammissibilità di questi meccanismi probatori "per l'ovvia considerazione che, una volta ripudiata qualsiasi presunzione legale di colpevolezza, il legislatore poteva affidare solo alle parti il compito di attivare la funzione conoscitiva del giudice sulla fondatezza di una determinata accusa."

In sostanza, i limiti genetici (riconducibili all'impronta negoziale che avvia la procedura) e strutturali (derivanti dai vincoli cognitivi che incidono sul potere di apprezzamento e di controllo del giudice) determinano la dissociazione della dichiarazione di colpevolezza dall'applicazione della sanzione penale.

Dunque, la Corte ritiene che il consenso dell'imputato non si sostanzi nel riconoscimento "esplicito o implicito" della propria colpevolezza e neppure si può affermare che la mancata contestazione del reato possa in qualche modo surrogare l'accertamento giudiziale sulla responsabilità.(199)

Con tale pronuncia i giudici di legittimità rendono esplicita la dissociazione tra accertamento e applicazione della pena, non curanti di un eventuale profilo d'incostituzionalità. La garanzia dell'art 27 secondo comma Cost però non sembra poter accettare una simile scomposizione, essendo la consequenzialità "accertamento-sanzione penale" il presupposto del principio nulla poena sine iudicio. Infatti, la presunzione di non colpevolezza non è un canone costituzionale astratto e autoreferenziale, bensì è posto a tutela della libertà personale, evitando l'irrogazione di una sanzione privativa della libertà senza che

(199) D. VIGONI, L'applicazione della pena su richiesta delle parti, Giuffrè editore, pag 323; D. VIGONI, La natura della sentenza ex art 444 c.p.p, in Riv.dir.proc, 1999, pag 265.

sia stata superata la presunzione posta dall'art 27 secondo comma della Cost. Di conseguenza, il legame tra i principi costituzionali disciplinanti l'accertamento della responsabilità e quelli riguardanti l'irrogazione di una pena non può che essere pensato in un rapporto di funzionalità.

Ma la Corte di cassazione resta estranea a queste obiezioni e la strada della negozialità processuale continua ad essere seguita nelle successive pronunce.(200)

Nella stessa direzione dell'indirizzo espresso dalle due sentenze in tema di revocabilità della sospensione condizionale della pena precedentemente concessa, si collocano altre pronunce delle Sezioni Unite volte a dirimere i conflitti su questioni riguardanti i profili funzionali della sentenza patteggiata.

Le Sezioni Unite,(201)in tema di revisione, affermano la "diversità

ontologica" tra sentenza di condanna e sentenza patteggiata, in ragione dell'esito, frutto della volontà delle parti, che la seconda propone, e della differenza tra i criteri valutativi che reggono il giudizio ordinario e gli altri procedimenti speciali. Dalla rinuncia all'accertamento dei fatti e delle responsabilità, la Corte deduce l'inoperatività del rimedio straordinario della revisione.(202)

Quel che più colpisce di tale sentenza è la rinuncia ai principi generali e costituzionali: si può affermare che "la revisione è l'applicazione del principio costituzionale che assegna al processo penale il compito dell'accertamento della verità e il patteggiamento è una vistosa deroga a tale direttiva perchè consente di infliggere una pena senza previo giudizio di colpevolezza. Ne consegue che o si rispetti la natura

(200) V. BONINI, La riscoperta del modello cognitivo e la sua prevalenza sulla negozialità processuale, in Ind.pen, 2007, pag 167 ss.

(201) Cass, sez.Un, 25 Marzo 1998, Giangrasso, in Cass.pen, 1998, pag 2897. (202) D. VIGONI, L'applicazione della pena su richiesta delle parti, Giuffrè editore,

pattizia che lo rende suscettibile di revisione o l'istituto del patteggiamento deve ritenersi incostituzionale."

Dunque si riconosce legittimità al rito alternativo solo se la sua "specialità" negoziale è in grado di garantire un distacco assoluto dai principi costituzionali.(203)

Un tentativo di "aggiustare il tiro" al fine di consentire la produzione di alcuni effetti derivanti dall'accertamento positivo del fatto si ha avuto con l'intervento delle Sezioni Unite(204) sul tema della dichiarazione di

falsità.

Le Sezioni osservano che la necessità dell'accertamento del fatto, compiuto allo stato degli atti "e non finalizzato all'affermazione della colpevolezza dell'imputato e alla pronuncia di condanna è inderogabilmente postulato, oltre che nell'ottica dell'applicazione di cause di non punibilità, tanto ai fini di controllo dell'esattezza della qualificazione giuridica quanto ai fini dell'applicazione delle sanzioni accessorie." La Corte rileva, da un lato, che la declaratoria di falsità non necessita della pronuncia di una sentenza di condanna, che si impone solo quando le risultanze disponibili comprovino l'esistenza del falso, dall'altro lato che le azioni sono autonome, di carattere "principale" quella che accerta la colpevolezza, di natura "accessoria e complementare" quella relativa alla falsità.

Tali argomenti consentano di concludere per la compatibilità della declaratoria di falso nel patteggiamento, così che ogni considerazione ulteriore sulla natura della sentenza pare mostrare l'intento delle Sezioni Unite di recuperare i profili di apprezzamento del rilievo

(203) V. BONINI, La riscoperta del modello cognitivo e la sua prevalenza sulla negozialità processuale, in Ind.pen, 2007, pag 167 ss.

(204) Cass, sez.Un, 3 Dicembre 1999, Fraccari in dir.proc.pen 1999, pag 1504 ss, con nota di M. MONTAGNA, Principi di diritto enunciati ai sensi dell'art 173 comma 3 disp.att.c.p.p, in Guida al dir, 2000, n°5, 87 con nota di R. BRICCHETTI, L'alterazione dell'autenticità del documento deve emergere dalle prove disponibili, in Arch.n.proc.pen, 2000, pag 32ss.

penale del fatto alla luce degli elementi probatori acquisiti, avvalorando un'attività accertativa indipendente dalla verifica della responsabilità.(205)

La posizione della Corte con riferimento alla revoca della sospensione condizionale della pena precedentemente concessa, espressa nelle due pronunce del 1996 e del 1997 è stata confermata nel 2000(206). Si è

nuovamente negata la revoca della sospensione condizionale per le ipotesi sancite nel primo comma n°1 dell'art 168 c.p in quanto tale disposizione prevede la revoca automatica della sospensione condizionale nel giudizio di immeritevolezza conseguente all'accertamento di un nuovo reato. Tale effetto, essendo riconducibile alla sentenza di condanna, è escluso da quelli prodotti dalla sentenza patteggiata. Al contrario si è ammessa la revoca nell'ipotesi di cui all'art 168 comma primo n°2 c.p in quanto l'effetto caducatorio deriva dal superamento del limite di pena previsto dall'art 163 c.p.p; si tratta tratta di un effetto connesso alla componente sanzionatoria della sentenza (ossia alla circostanza che sia stata applicata una pena) che può essere prodotto dalla pronuncia ex art 444 c.p.p.(207)