• Non ci sono risultati.

Critiche al modello e riflessioni sugli sviluppi: l’alternativa rappresentata dalla “Teoria

CAPITOLO 1 DALLO SVILUPPO SOSTENIBILE ALLA GREEN ECONOMY

2. I limiti alla crescita mondiale e la teoria dello sviluppo sostenibile: evoluzione e

2.2. Critiche al modello e riflessioni sugli sviluppi: l’alternativa rappresentata dalla “Teoria

Per quanto sempre più condiviso, bisogna però specificare che il concetto di sviluppo sostenibile finora descritto non trova unicamente consensi: aspre critiche a questo modello arrivano da economisti come Serge Latouche9, Mauro Bonaiuti10, Maurizio Pallante11 e in generale dai molteplici e differenti movimenti che si riconoscono nella cosiddetta “Teoria della Decrescita”. Alla base di questo approccio, infatti, c’è l’idea che sia impossibile ipotizzare uno sviluppo economico basato su continui incrementi di produzione di beni (merci) e in sintonia con la preservazione dell’ambiente. Questo concetto viene ritenuto particolarmente realistico e adattabile nel caso delle società occidentali che, seguendo il modello precedentemente definito di sviluppo sostenibile, si trovano ora di fronte al paradossale problema di dover consumare più del necessario pur di non scalfire la crescita dell’economia di mercato, con numerose conseguenze negative: la persistenza nel sovra- sfruttamento delle risorse naturali, l’aumento del quantitativo di rifiuti prodotti, la mercificazione dei beni.

Il tutto, a modo di vedere dei teorici della decrescita, non è quindi compatibile con le esigenze di sostenibilità ambientale: sulla base di queste premesse, lo sviluppo sostenibile è ritenuto una teoria superata, in ogni caso non più applicabile alle moderne economie mondiali (Ardeni, 2009), in quanto fautore di un approccio troppo “blando” al problema dell’uso delle risorse. Nel complesso, la Teoria della Decrescita si può quindi pensare come un manifesto volto a portare l’attenzione verso la necessità e l’urgenza di un “cambio di paradigma” per arrivare a un’inversione di tendenza rispetto al modello dominante della

9 Serge Latouche (1940) economista e filosofo francese, è professore emerito di Scienze economiche

all’Università di Parigi XI e all’Institut d’études du developpement économique et social (IEDES) di Parigi.

10 Mauro Bonaiuti (1962) economista italiano, è professore a contratto di Finanza Etica e Microcredito presso

l’Università di Torino.

crescita, basato su una produzione sovrabbondante di merci e sul loro rapido consumo. Se si ritiene che la spina dorsale della civiltà occidentale risieda nella produzione materiale di beni e nella massimizzazione del profitto secondo il modello di economia di mercato, parlare di decrescita, quindi, significa immaginare non solo un nuovo tipo di economia, ma anche un nuovo tipo di società.

La Teoria della Decrescita invita dunque a una messa in discussione dei principali aspetti di natura socio-economica, al fine di renderli compatibili con la sostenibilità ecologica, un rapporto armonico uomo-natura, la giustizia sociale e l’autogoverno dei territori, restituendo una possibilità di futuro a una civiltà che, secondo i teorici della decrescita, tenderebbe a un futuro non sostenibile.

In Figura 3 sono sintetizzati (e semplificati) graficamente i differenti punti focali presi in considerazione dalle teorie dello sviluppo sostenibile e della decrescita, rispetto al modello lineare convenzionale, con riferimento unicamente al processo produttivo. Si evidenzia il fatto che la teoria dello sviluppo sostenibile si concentra prevalentemente sull’aspetto della sostenibilità e dell’efficienza d’uso delle risorse, mantenendo però sostanzialmente invariati i consumi.

La teoria della decrescita invece prevede una contrazione dell’intero processo, a partire dai consumi, con delle conseguenze evidentemente maggiori anche rispetto al consumo di risorse e alla generazione di rifiuti.

Figura 3: sintesi grafica realizzata per schematizzare le differenti fasi di attenzione prevalente relative alle teorie dello sviluppo sostenibile e della decrescita, considerando unicamente gli

aspetti legati al processo produttivo

Va sottolineato che la riflessione rispetto alla necessità di cambiare il modello di sviluppo è maturata, soprattutto negli ultimi anni, in un contesto mondiale di accelerazione degli scambi e delle interrelazioni economiche internazionali, in parallelo a un’accelerazione del degrado ambientale e dei cambiamenti climatici. A tal proposito, per citare uno dei testi di riferimento in materia (“Che cos’è lo sviluppo sostenibile”, di Tiezzi e Marchettini, 1999):

“il nostro modo di vivere, di consumare, di comportarsi, decide la velocità del degrado entropico (misura dello stato del disordine di un sistema), la velocità con cui viene dissipata l’energia utile e il periodo di sopravvivenza della specie umana. Si arriva così al concetto di sostenibilità, intesa come l’insieme di relazioni tra le attività umane la loro dinamica e la biosfera, con le sue dinamiche, generalmente più lente. Queste relazioni devono essere tali di permettere alla vita umana di continuare, agli individui di soddisfare i loro bisogni e alle diverse culture umane di svilupparsi, ma in modo tale che le variazioni apportate alla natura dalle attività umane stiano entro certi limiti così da non da non distruggere il contesto biofisico globale. Se riusciremo ad arrivare a un’economia da equilibrio sostenibile come indicato da Herman Daly, le future generazioni potranno avere almeno le stesse opportunità che la nostra generazione ha avuto: è un rapporto tra economia ed ecologia, in gran parte ancora da costruire, che passa dalla strada dell’equilibrio sostenibile. Giorgio Nebbia conclude il suo saggio (“Lo sviluppo sostenibile”, Edizioni Cultura della Pace, Firenze 1991) con un’importante osservazione: “Occorre avviare un grande movimento di liberazione per sconfiggere le ingiustizie fra gli esseri umani e con la natura, una nuova protesta per la sopravvivenza capace di farci passare dalla ideologia della crescita a quella dello sviluppo. Nessuno ci salverà se non le nostre mani, il nostro senso di responsabilità verso le generazioni future, verso il “prossimo del futuro” di cui non conosceremo mai il volto, ma cui la vita, la cui felicità dipendono da quello che noi faremo o non faremo domani e nei decenni futuri. La costruzione di uno sviluppo sostenibile e la pace si conquistano soltanto con la giustizia nell’uso dei beni della Terra, unica nostra casa comune nello spazio, con una giustizia planetaria per un uomo planetario. Senza giustizia nell’uso dei beni comuni della casa comune, del pianeta Terra, non ci sarà mai pace”” (Tiezzi & Marchettini, 1999).

Negli ultimi due decenni, perciò, per citare il Professor Ardeni, “si è reso necessario trovare nuovi equilibri tra funzioni pubbliche e funzioni private, tra stato e mercato, riconoscendone i rispettivi limiti. Il riconoscimento dei limiti della gestione statale monopolistica di alcune attività economiche (energia e telecomunicazioni), con la loro privatizzazione e liberalizzazione, ha consentito servizi più efficienti e competitivi. Il riconoscimento dei limiti del mercato nella gestione delle risorse ambientali, con l’impiego di strumenti normativi e economici da parte dello stato, ha consentito così di ridurre drasticamente le emissioni inquinanti” (Ardeni, 2009).

Tenuto conto di queste premesse e di questo contesto, la sostenibilità può quindi essere intesa anche come un nuovo concetto e strumento per affermare valori che sviluppano

nuove prospettive per un nuovo “patto costituzionale” (Ardeni, 2009), che coinvolga, come riportato in precedenza, non solo aspetti ambientali ed economici, ma anche istituzionali e politici. Ciò “implica la riconsiderazione e la rinegoziazione delle relazioni fra molteplici livelli decisionali e dimensioni di intervento. Data l’enorme complessità dei sistemi normativi e il gran numero di istituzioni e individui coinvolti nella negoziazione, questo processo comporterà molto tempo. “Sostenibilità” non è soltanto un termine scientifico ma anche e soprattutto politico. Esso ha acquisito importanza in un particolare momento storico come risposta a problemi specifici. La sua utilità politica sta essenzialmente nella sua attualità e flessibilità, nella sua capacità di acquisire consenso e, allo stesso tempo, di mutare percezioni e valori” (Ardeni, 2009).

Per riassumere, si può quindi ribadire che l’approccio legato alla sostenibilità e allo sviluppo sostenibile, evolutosi nel tempo, non ha incontrato solo riscontri positivi, ma anche critiche forti, legate alla sua capacità di incidere in un mondo i cui sistemi economici e produttivi sono fortemente radicati. Proprio per questa ragione, diventa di fondamentale importanza il coinvolgimento della politica e delle istituzioni, in grado di recepire e applicare “dall’alto” gli input provenienti, in primis, “dal basso”: studiosi, cittadini, abitanti del mondo che chiedono che siano applicati modelli più equi, sostenibili e in grado di garantire una prospettiva di vita soddisfacente anche alle generazioni future.