• Non ci sono risultati.

CAPITOLO 2 –ECONOMIA CIRCOLARE E SIMBIOSI INDUSTRIALE:

3. Economia Circolare: definizioni, principi, modello ideale, criticità e modello reale

3.2. Modello reale e criticità

Chiaramente, nel caso reale ci sono delle differenze significative: in ogni fase del ciclo vengono infatti prodotti rifiuti e scarti (in misura direttamente proporzionale al quantitativo di risorse utilizzate e inversamente proporzionale all’efficienza del processo, sempre inferiore al 100%). Questi, per quanto si cerchino di applicare politiche e modalità di recupero, non sono però riciclati e re-inseriti all’interno dei processi nella loro totalità. Come sottolinea il Green Economy Observatory, “le capacità di recupero sono ancora limitate”: questa considerazione è dimostrata dall’incremento costante nella richiesta di risorse (se tutti i residui potessero essere recuperati non ci sarebbe bisogno di approvvigionarsi in maniera così massiccia di risorse naturali) riportato in Figura 17, oltre che dal fatto che “solo un terzo dei 60 più comuni metalli fa riscontrare un tasso di riciclo a fine vita maggiore del 25%” (GEO - The Green Economy Observatory, 2015).

Volendo allargare la considerazione alle 20 “materie prime critiche”, secondo la definizione della Commissione Europea, si nota che i tassi di riciclo a fine vita sono ancora più bassi: solo due categorie (i metalli del gruppo del platino e il tungsteno) hanno tassi di recupero superiori al 20% (Commissione Europea, 2014).

Il modello ciclico di Economia Circolare che risente del solo effetto negativo connesso alle criticità dei processi di recupero (scarsa capacità di recupero e riuso) e alla conseguente generazione di scarti non riutilizzabili in questa fase, è riportato in Figura 22. Anche questo, come si vedrà nel seguito, non corrisponde però ancora al caso reale di modello economico e produttivo circolare.

Figura 22: Schema rappresentativo del ciclo che caratterizza il modello di Economia Circolare, in cui è stata considerata la criticità connessa ai processi di recupero

La capacità di realizzare un modello realmente circolare, infatti, non è legata solo alla capacità di selezionare e riutilizzare -o riciclare- i residui e sottoprodotti dei processi produttivi, ma anche alla capacità di aumentare l’efficienza complessiva dei processi. Ciò significa ottenere gli stessi effetti finali (beni e servizi prodotti) utilizzando meno risorse in ingresso, riducendo il quantitativo di residui e sottoprodotti generati e aumentando la capacità di riutilizzare questi scarti.

Si tratta cioè di sostituire in misura sempre maggiore l’attuale concetto di “fine vita” di un prodotto (e conseguente smaltimento e generazione di rifiuti) con quello di “ricostruzione” o “rigenerazione”, facendo sempre più leva sulla progettazione innovativa (mediante standardizzazione e modularità dei componenti) e sull’uso di risorse rinnovabili. Estremizzando, si tratta di “progettare i rifiuti” (Fondazione per lo sviluppo sostenibile, 2015), nel senso di ottimizzare le caratteristiche dei prodotti così da favorire il processo di smontaggio, recupero e riuso.

Questa modalità di progettazione non è però ancora applicata in misura diffusa, a causa di molteplici motivi, descritti nel seguito. Esistono quindi numerosi fattori di inefficienza, oltre alla ridotta capacità di recupero, che inficiano il modello circolare ideale, rendendolo un modello reale. Questi sono definiti “forze centrifughe” (GEO - The Green Economy Observatory, 2015), che anche visivamente si possono immaginare come fuoriuscite di materiale dal ciclo complessivo (con portate e incidenze diverse nelle varie fasi). Questo modello reale di Economia Circolare, contenente le inefficienze che incidono sui vari passaggi del processo, è rappresentato in Figura 23.

Figura 23: Schema rappresentativo del ciclo che caratterizza il modello reale di Economia Circolare, in cui sono state considerate le “forze centrifughe” che determinano perdite di

efficienza (di peso differente) nelle varie fasi del processo produttivo

I fattori che incidono sulle varie fasi del processo, riducendo l’efficienza complessiva del modello, sono molteplici e connessi sia a ragioni interne al perimetro degli attori della filiera (imprese, laboratori, consumatori, ecc.), sia a ragioni esterne a tale perimetro (contesto istituzionale, normativo, di mercato, ecc.). Secondo la Mc Kinsey la barriera

principale è costituita dalla difficoltà nell’abbattere abitudini (sia dei consumatori che delle imprese) radicate, cambiando mentalità e approccio nei confronti del modello circolare e del recupero delle risorse.

Le principali problematiche sono riepilogate di seguito (GEO - The Green Economy Observatory, 2015).

 Priorità di business: l’interesse delle imprese, specialmente in un contesto di difficoltà economiche, si concentra sulla generazione di utile e reddito, con un orizzonte temporale di breve termine, ulteriormente accorciato dalla crisi. Per tali ragioni, iniziative e attività mirate a obiettivi a lungo termine e trasversali, come il miglioramento delle performance ambientali, sono ritenute “residuali”, specialmente da parte delle PMI.

 Logistica: il recupero e il riuso dei materiali, da immettere come materie prime seconde all’interno di altri processi produttivi, richiede un adeguato contesto infrastrutturale e logistico. I materiali recuperati (o smaltiti e riciclati) devono entrare all’interno di processi produttivi che li possano accettare, abbiano interesse ad accettarli e si trovino a una distanza non eccessiva (e comunque conveniente) dal sito in cui questi sottoprodotti vengono generati. Questa somma di condizioni si realizza con difficoltà, specialmente all’interno di un contesto produttivo che non è stato inizialmente pensato per un modello economico circolare, ma lineare. Ciò chiaramente rende meno efficienti le fasi di riciclo e recupero.

 Investimenti in tecnologia: la possibilità di attuare processi di riciclo, recupero e riuso di materie prime seconde è legata anche alla disponibilità delle necessarie tecnologie nelle varie fasi del processo (per la selezione del materiale, i pre- trattamenti, la valorizzazione, ecc.). Ciò richiede investimenti in innovazione che, anche in ragione del contesto di crisi economica, non sempre sono possibili: questo è un ulteriore parametro che incide negativamente sull’efficienza complessiva di applicazione del modello circolare.

 Normativa: come nel caso della Simbiosi Industriale, gli aspetti normativi e burocratici spesso pongono un freno alla diffusione e all’applicazione di modelli di Economia Circolare. La presenza di numerosi livelli autorizzativi, la complessità delle procedure connesse all’eventuale autorizzazione di processi di riuso di sottoprodotti, i vincoli molto stringenti sulla classificazione dei rifiuti, tendono a

rappresentare dei forti deterrenti nei confronti delle imprese che vorrebbero intraprendere percorsi di valorizzazione dei propri (o altrui) scarti.

 Abitudini, cultura e percezione dei consumatori: i materiali recuperati, come detto, dovrebbero essere riutilizzati come materie prime seconde in ingresso in altri processi produttivi, per produrre altri beni e prodotti. Una criticità è però rappresentata dalla percezione, da parte dei consumatori finali, di una minore qualità di questi prodotti ottenuti dal riuso. Sebbene a volte questa percezione sia solo apparente (le prestazioni dei beni rigenerati o ottenuti da rigenerazione sono sostanzialmente analoghe), anche la prospettiva dei benefici ambientali ed economici (riduzione dell’inquinamento e del prezzo di acquisto) non basta a bilanciare questa considerazione negativa. Il risultato è l’acquisto, da parte del consumatore, di prodotti convenzionali (ottenuti da materie prime non recuperate): in certi settori, perciò, l’applicazione di processi di riuso è paradossalmente considerato un fattore di svantaggio competitivo.

 Assenza di una leadership istituzionale forte: al momento la governance in materia di Economia Circolare è “soft”. Servirebbe una leadership forte da parte delle autorità competenti, in grado di stimolare l’adozione di modelli circolari e di risultare un fattore abilitante.

 Scarsa cultura della collaborazione tra imprese: il modello circolare, per funzionare, necessita di collaborazioni tra imprese e settori industriali. Questa cultura della collaborazione e della condivisione non è sempre presente.

 Informazioni ambientali ridotte o assenti: la conoscenza degli impatti ambientali complessivi associati a prodotti o servizi (misurati, ad esempio, mediante metodi come l’LCA) potrebbe aumentare la sensibilità sia dei produttori che dei consumatori a tal riguardo, con l’effetto di favorire scelte “etiche”, che privilegino la minimizzazione dei consumi di risorse. Spesso la diffusione di queste informazioni non si realizza, e gli aspetti ambientali sono perciò sottovalutati. Sono stati quindi riassunti i fattori che incidono negativamente sull’applicazione del modello ideale di Economia Circolare, generando residui che non possono essere recuperati e riducendo la capacità di re-immettere sottoprodotti nel ciclo produttivo. Questi fattori negativi, definiti anche “forze centrifughe”, “derivano da una serie di inerzie: culturali, tecnologiche, istituzionali, di mercato, ecc. Soltanto superando queste inerzie è

dunque possibile realizzare la circolarità dell’economia” (GEO - The Green Economy Observatory, 2015).