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Le criticità dei servizi per immigrati di Dasantila Hoxha e Vittorio Lannutt

1. Introduzione

La crisi economica e il rischio di default che ha vissuto recentemente l’Italia hanno determinato un’ulteriore crisi del welfare state pubblico e i servizi per gli immigrati sono stati tra i più penalizzati. Quanto sta acca- dendo in Italia non è diverso dagli altri Paesi dell’Europa meridionale, per cui da un punto di vista teorico negli ultimi anni nel dibattito accademico è tornata in auge la teoria della convergenza, alimentata soprattutto dalla glo- balizzazione dell’economia. La teoria della convergenza, proposta da Clark Kerr nel 1960, sosteneva che alla fine tutti i sistemi industriali moderni avrebbero sviluppato caratteristiche istituzionali simili. Tuttavia, non tutti gli Stati hanno compiuto le stesse scelte sulle politiche sociali e sanitarie. Queste differenziazioni sono state determinate dalle specifiche condizioni nazionali e istituzionali, nonché dalle tradizioni storiche e culturali e dalle dinamiche politiche interne. In ogni caso nel vecchio continente negli ulti- mi venticinque anni c’è stato un generale spostamento delle risorse finan- ziarie dai governi centrali agli enti locali.

Secondo uno studio curato da Yuri Kazepov (2010), nel quale sono stati confrontati gli investimenti nel settore dei servizi sociali in otto Paesi euro- pei, tra i quali l’Italia, è emerso che nei primi anni Novanta del secolo scor- so c’è stata una sostanziale convergenza, mentre successivamente le traiet- torie dei Paesi divergono. La costante di questi ultimi due decenni riguarda i Paesi dell’Europa meridionale, dove le Regioni hanno aumentato la loro autonomia. In Italia, si è giunti a una regionalizzazione in un periodo stori-

co caratterizzato dal crollo del muro di Berlino e soprattutto dall’affer- mazione dei partiti regionalisti divenuti portavoce di un risveglio di identità regionali ed etniche. Quello che si è verificato nel corso di questi venticin- que anni è stato un sostanziale indebolimento dello stato centrale, storica- mente percepito come lento e inefficiente. In Italia il passaggio definitivo alla regionalizzazione è stato sancito con la riforma costituzionale del 2001, con la quale le Regioni hanno acquisito autonomia gestionale nei seguenti settori: sanità, servizi sociali, scuola, lavoro con maggiori conseguenze di vasta portata (Barberis, Bergmark e Minas 2010). La cosa contraria si è ve- rificata in Svezia, dove nella seconda metà degli anni Novanta sono state approvate riforme e azioni di governo nazionali finalizzate a reindirizzare l’iniziativa dello Stato.

Una chiave di lettura per interpretare la crescente tendenza verso la re- gionalizzazione può essere la necessità di resistere alle dinamiche della globalizzazione e all’integrazione europea, dal momento che i flussi di ca- pitali, merci e persone appaiono privi di controlli da parte dello Stato cen- trale, per cui il ricorso a istanze localiste è stato dettato dalla convinzione che le regioni siano in grado di offrire un’unità più flessibile per le innova- zioni istituzionali e politiche.

L’obiettivo principale del progetto PartNeR era l’ampliamento e il po- tenziamento delle reti di governance1 e di coordinamento nel territorio

della provincia di Chieti per qualificare i servizi pubblici dedicati ai mi- granti, per cui il presupposto era quello di tornare a dare centralità a questa fetta di popolazione, con l’intento di ridefinire i confini e le competenze territoriali. La necessità della ridefinizione è propria dei servizi sociali, dunque anche delle politiche migratorie, in un contesto nel quale si è af- fermato un moderno processo di rescaling, che ha riformulato alcune no- zioni geografiche rilevanti (regione, territorio e locale) e ha visto affermar- si un inedito concetto di territorialità, caratterizzato dalla divisione di competenze tra il livello nazionale orientato a plasmare i flussi migratori e i livelli locali maggiormente protesi all’integrazione. Secondo Mara To- gnetti Bordogna questa dicotomia è destinata ad accentuarsi perché le po- litiche nazionali si collocano in un livello europeo (Tognetti Bordogna 2005). In altre parole i processi di rescaling rappresentano uno dei muta- menti più significativi nell’interpretazione territoriale, in quanto istituzioni di un livello più elevato possono definire (o limitare) obiettivi e politiche delle istituzioni di livello inferiore, stravolgendo processi democratici e di governance. Il processo di rescaling può dunque implicare sia il passaggio di responsabilità e capacità tra i diversi livelli istituzionali, sia la defini-

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La governance va intesa come processo decisionale nel quale vengono coinvolti più ampi settori e interessi, per cui va tenuta presente l’importanza dei processi di deterritoria- lizzazione e riterritorializzazione nella ridefinizione di confini e competenze.

zione di nuove scale di azione sociale (Keil e Mahon 2009). Questo è l’aspetto principale emerso nei focus group, dove gli operatori hanno più volte manifestato disincanto, impotenza e delusione per le scelte politiche fatte dal governo regionale nel settore dell’immigrazione. Un risultato che non stupisce dato il quadro politico che si è delineato in Italia, caratteriz- zato dall’incapacità di cogliere le sfide e l’arricchimento sociale, politico ed economico che è in grado di fornire il fenomeno migratorio, per cui la mancanza di un modello italiano ha determinato nella pratica la gestione del fenomeno migratorio affidato agli enti locali. Questa dinamica è scatu- rita anche dall’urbanità diffusa in Italia, dove gli immigrati sono presenti in modo capillare in Comuni sia di grandi che di piccole dimensioni, per cui l’integrazione di questa fetta di popolazione è una sfida molto impor- tante per la coesione sociale. Può sembrare superfluo, ma è necessario sottolineare che la governance delle politiche di questo settore dovrebbe essere posta ai primi posti dell’agenda politica degli amministratori, so- prattutto per evitare che la differenziazione Noi/Loro possa radicalizzarsi (Cacellieri e Barberis in stampa). In un’ottica di governance, infatti, il mi- grante non dovrebbe essere percepito semplicemente come un utente pas- sivo delle politiche migratorie, ma al contrario come un portavoce del rin- novamento del welfare, grazie al quale le politiche sociali non sono più standardizzate, ma devono declinarsi in base alle esigenze e ai mutamenti degli attori presenti nei singoli territori (Tognetti Bordogna 2006).

In questo capitolo saranno elaborati e commentati gli argomenti princi- pali emersi nei cinque focus group svolti nel progetto. Dato l’obiettivo di PartNeR è stato deciso di utilizzare questo strumento di ricerca per raffor- zare, o fornire spunti per la creazione qualora non ci fossero, di reti di go- vernance2. Tuttavia, per onestà intellettuale va chiarito che questo obiettivo

è stato raggiunto molto marginalmente, nonostante i conduttori dei focus group abbiano sollecitato molto i partecipanti a riflettere e a discutere que- sto tema. Le cause di questo esito sono due:

• i focus group sono stati svolti contemporaneamente alla preparazione del piano sociale regionale per il triennio 2015-2017. Questo fattore ha

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Le domande chiave che sono state poste nei focus group sono state:

• Come sviluppare nuove strategie di governance per migliorare i servizi e gli interventi rivolti ai migranti?

• Siete disposti a lavorare in maniera coordinata per rendere efficaci le risorse a disposi- zione e per evitare frammentarietà e grandi differenze territoriali? Come?

• Perché la Regione dovrebbe tornare a finanziare questo settore?

• Quali strumenti utilizzare affinché la Regione torni a finanziare questo settore? • Siete d’accordo che la mancanza di politiche migratorie regionali contribuisce a rompe-

re il patto sociale, già in atto nella nostra società?

• Ritenete necessario avere una formazione specifica sulle nuove strategie di governance per migliorare i servizi e gli interventi rivolti ai migranti?

inesorabilmente condizionato l’implementazione del progetto, perché i partecipanti hanno manifestato atteggiamenti di attesa e soprattutto ne- gativi, vale a dire aspettative scarsamente positive, molta incertezza e tantissimo disincanto riguardo alla probabilità che l’area immigrazione venga inserita nel Piano Sociale Regionale e che i servizi per gli immi- grati vengano inquadrati come Liveas;

• la riduzione dei fondi nel corrente anno (considerato anno di proroga del precedente Piano Sociale Regionale 2011/2013), dato che come si leggerà più avanti, molti degli operatori coinvolti ritengono propedeuti- co l’aspetto economico per costruire reti e servizi efficienti.

Le difficoltà scaturite dalla mancanza di fondi hanno suscitato delle dif- ficoltà ai conduttori dei focus group, che hanno sempre provato a insistere nel porre al centro della discussione la necessità della governance. Di con- seguenza è emersa una grave contraddizione connaturata e riconducibile a come l’Italia intende affrontare e gestire il fenomeno migratorio, vale a dire che il Fei ha finanziato un progetto volto a favorire le reti, quando queste sono impossibili da creare a causa della mancanza di fondi e soprattutto dalla mancanza di volontà nel considerare “i migranti” parte fragile della popolazione.

2. Le difficoltà affrontate in una fase di cambiamento del welfare