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Quando l’immigrazione diventa risorsa per la promozione della salute Il modello dei Community Health Educators (Che Model)

Parte seconda Migrazione e tutela della salute

6. Quando l’immigrazione diventa risorsa per la promozione della salute Il modello dei Community Health Educators (Che Model)

Nel settore specifico dell’assistenza sanitaria, caratterizzato da continui tagli delle risorse, la tendenza degli ultimi anni è quella di concentrarsi sui costi imputabili alla presenza migratoria che condizionano la spesa pubbli- ca. Gli immigrati, però, non si limitano a consumare il welfare sanitario, ma ne producono direttamente delle parti surrogando servizi inadeguati o ca-

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Il progetto è stato finanziato dalla Direzione Generale per la Salute e la Protezione dei Consumatori (DG Sanco) dell’Unione europea, testo disponibile al sito: www.eugate.org.uk.

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Lo studio è stato condotto nel 2009 e ha coinvolto 16 Paesi dell’Unione europea: Au- stria, Belgio, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Ungheria, Italia, Lituania, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Spagna, Svezia e Regno Unito.

renti anche per gli autoctoni (Tognetti Bordogna 2010). Basti pensare al contributo essenziale che le assistenti familiari (cosiddette “badanti”) forni- scono al welfare sanitario (Tognetti Bordogna 2009), specialmente quello rivolto agli anziani e alle persone disabili.

In questo paragrafo verrà presentato un innovativo modello di inter- vento in cui l’immigrazione diventa risorsa per promuovere il diritto alla salute delle stesse comunità migranti, facilitando l’accesso e incanalando le domande e i bisogni per favorire un uso appropriato dei servizi sanitari.

Si tratta del modello dell’Educatore di Salute di Comunità (Community Health Educator, Che model) sviluppato a partire dal 1993 dalla sociologa inglese Lai Fong Chiu dell’Università di Leeds, attraverso tre progetti di ricerca-azione partecipata. Il modello si presenta come un potente stru- mento di capacity building delle comunità migranti (Chiu 2003), che per- mette di superare le barriere linguistiche e culturali e utilizza una strategia fondata sull’empowerment sia del singolo immigrato che della comunità di appartenenza. Ma vediamo nello specifico in cosa consiste.

6.1. Nascita e sviluppo del modello

Il modello di “educazione di salute di comunità” viene creato nel 1993 nell’ambito del progetto “Communicating Breast Screening Messages to Minority Ethnic Women, constructing a community health education model (1990-1993)” centrato su una campagna informativa sullo screening al seno che coinvolge otto diverse comunità di minoranze etniche. Fin da subito il modello e la figura dell’Educatore di Salute di Comunità desta grande inte- resse da parte del mondo sanitario e partono numerose applicazioni in varie parti del Paese.

Tra il 1995 e il 1997 il modello del Community Health Educator viene testato nell’ambito del progetto “Woman-to-Woman: promoting cervical screening to minority ethnic women in primary care (1994-1997)” che in- troduce l’utilizzo degli educatori di salute nel contesto della medicina di base per promuovere l’accesso al pap-test nei consultori da parte delle don- ne migranti provenienti da sei comunità differenti. Queste figure professio- nali hanno avuto un ruolo attivo nella rilevazione dei bisogni di salute delle loro comunità e inoltre hanno collaborato con i medici per costruire il pro- gramma di promozione della salute. Gli Educatori di Salute di Comunità hanno non solo accompagnato e supportato le donne appartenenti alla fa- scia di utenti selezionati per lo screening ma hanno di fatto svolto un’attività di sensibilizzazione anche per coloro che non ne facevano parte.

Un ulteriore passo avanti viene fatto con l’implementazione del pro- getto, “Straight Talking: Communicating breast screening messages in pri-

mary care (2000-2002)” finalizzato ad aumentare l’accesso ai servizi e alle informazioni sullo screening al seno in cinque distretti diversi. Per la prima volta, il modello viene applicato non solo per le donne migranti ma anche per le donne inglesi provenienti da aree svantaggiate e gli Educatori di Sa- lute di Comunità sono coinvolti nella ricerca fin dall’inizio del progetto.

Oltre ai suddetti tre progetti di ricerca azione partecipativa, il modello Che è stato utilizzato anche in altri progetti, come “Communication for Health, Informed Choice for All e Smart Choices for smart women” (2005) mirati a potenziare l’health literacy24 dei gruppi target25.

Nel 2000 il Ministero della Salute inglese premia il modello e lo se- gnala per la disseminazione a livello nazionale. Da allora molti distretti lo hanno adottato per fronteggiare bisogni di salute anche differenti, in rela- zione a diversi territori.

6.2. Principi ispiratori

Il modello Che trae l’ispirazione dal modello educativo sviluppato dal pedagogista Paulo Freire e poggia su una base teorica di orientamento filo- sofico ed epistemologico (Michel de Montaigne, Marx, John Dewey, Ri- chard Rorty) nonché di sociologia critica (Habermas e Bourdieu). I due principi cardine del modello sono empowerment e partecipazione. Infatti, il modello di “educazione alla salute di comunità” richiama l’attenzione sul pieno coinvolgimento delle persone nel processo decisionale riguardo alla salute e sulle competenze organizzative delle comunità, e sottolinea l’importanza di contrastare le più ampie determinanti sociali di salute.

6.3. Cenni metodologici

Il modello del Community Health Education parte dal presupposto che esistono delle barriere che impediscono e rendono difficoltoso l’accesso ai servizi sanitari da parte dei soggetti fragili, tra cui i migranti, e che tali bar- riere vanno contrastate al fine di garantire l’equità e superare le inegua- glianze nella salute (Chiu 2003). Il modello richiede un approccio multidi-

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“Health literacy” è un concetto relativamente nuovo nella promozione della salute e in italiano trova il suo corrispettivo nei termini “competenze per la salute” o “alfabetiz- zazione alla salute”. In inglese il termine sta a indicare “le abilità cognitive e sociali che motivano gli individui e li rendono capaci di accedere, comprendere e utilizzare le infor- mazioni in modo da promuovere e preservare la propria salute” (World Health Organiza- tion 1999).

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Per ulteriori approfondimenti è possibile consultare il sito www.healthcommunica tion.leeds.ac.uk.

mensionale e mette in rete i distretti sanitari, enti locali e altri soggetti che si occupano di promozione della salute.

Il modello si basa sull’individuazione e sulla formazione di persone, quasi sempre donne, che appartengono alle comunità migranti o minoranze etniche sulle quali si intende intervenire per rispondere a bisogni specifici. A seguito della formazione e di un opportuno training, i Community Health Educators intervengono per sviluppare azioni specifiche di promozione della salute nei quartieri di residenza e presso le comunità di appartenenza e collaborano con gli operatori sanitari nella progettazione e realizzazione di tali azioni. Per veicolare messaggi legati a problematiche o questioni di sa- lute, il modello punta sull’utilizzo di reti sociali già esistenti (amici, parenti, vicini di casa, associazioni ecc.) che diventano fondamentali in contesto migratorio (Chiu e West 2007). Gli educatori di salute e i professionisti sa- nitari vengono sistematicamente coinvolti in tutte le fasi e tutti gli aspetti della progettazione, implementazione e valutazione dei programmi di pro- mozione della salute.

Lo sviluppo dei programmi specifici di promozione della salute avvie- ne in tre fasi:

• identificazione dei bisogni; • sviluppo degli interventi di salute;

• implementazione e valutazione (Chiu 2003).

6.4. Oltre la mediazione culturale

Fermo restando che sia i mediatori culturali che gli educatori di salute di comunità intervengono per facilitare l’accesso ai servizi sanitari e pro- muovere il diritto alla salute dei migranti, vi sono alcune differenze tra i due modelli di intervento. Vediamo brevemente in cosa consistono.

La mediazione linguistica e culturale agisce principalmente in un con- testo di cura per chi accede ai servizi sanitari mentre il modello di Che si colloca nel campo della prevenzione in quanto interviene per promuovere un uso appropriato e responsabile dei servizi. Mentre i mediatori linguisti- co-culturali prestano servizio nelle strutture sanitarie (o in altre strutture pubbliche) e hanno una funzione ponte per facilitare la comunicazione tra operatori pubblici e migranti che si rivolgono ai servizi, i Community Health Educators lavorano principalmente fuori dalle strutture sanitarie e utilizzano le loro reti sociali anche grazie alla fiducia dei connazionali (Ca- pitani 2013).

I mediatori culturali supportano gli operatori sanitari a decodificare le richieste e i comportamenti dei pazienti migranti al fine di garantire loro le cure e l’assistenza adeguata mentre gli educatori di salute di comunità par-

tecipano attivamente all’intero processo di progettazione, implementazione e valutazione di programmi o azioni specifiche di prevenzione. I mediatori culturali possono essere sia immigrati che autoctoni e ricevono in genere una lunga formazione valida per poter intervenire in vari contesti quali scuola, sanità, comuni ecc. Gli educatori di salute di comunità, invece de- vono essere dell’etnia a cui è destinato il programma specifico di intervento e partecipano alla formazione unitamente agli operatori sanitari con cui de- vono collaborare per l’implementazione del programma.

6.5. Elementi innovativi e punti di forza

La principale innovazione introdotta con il modello della Community Health Education è il concetto della partecipazione intesa come promozio- ne della health literacy enfatizzando il ruolo delle comunità.

Nel contesto inglese, il modello dei Community Health Educators è stato applicato con successo in programmi e azioni rivolte anche a donne autoctone che vivono in quartieri svantaggiati e non solo alle donne mi- granti. Questo costituisce, a nostro avviso, il punto di forza del modello, in quanto sostiene fortemente il principio di equità e universalità del diritto alla salute arricchendo il sistema sanitario di informazioni e conoscenze utili a migliorare i servizi e renderli più accessibili per tutti (Capitani 2013), migranti compresi.

6.6. Sperimentazione del modello in Italia

Il modello dei Community Health Educators è stato sperimentato anche nel nostro Paese con due progetti pilota in ambito nazionale e un terzo eu- ropeo in cui l’Italia è il principale partner promotore.

Il primo progetto, intitolato Artemis e finanziato dal Fondo Europeo per l’Integrazione di cittadini di Paesi Terzi 2007-2013, è stato promosso dal Ministero della Salute, con il coordinamento scientifico dell’Istituto Superiore di Sanità, dal Centro Nazionale Aids, e si è svolto in partenariato con l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (Oim) e l’Albero della Salute, Struttura di Riferimento, Regione Toscana (Ads). Il Progetto, realizzato tra il 2010 e il 2011 ha il merito di aver sperimentato un innova- tivo percorso di formazione valorizzando le figure che già lavoravano nel territorio per favorire l’accesso ai servizi sanitari dei cittadini immigrati. La scelta effettuata è stata quella di sviluppare nei mediatori culturali, ulteriori specifiche competenze riferibili alla figura dell’Educatore di salute di co- munità. Sono stati formati 40 Educatori di Salute di Comunità (Esc) nei ter-

ritori pilota di Firenze, Prato e Roma per supportare sia gli interventi di mediazione interculturale sulla salute già in atto, sia progettando nuove azioni specifiche per avvicinare l’utenza straniera ai servizi sanitari a scopo preventivo e non solo terapeutico. Alla fine del progetto è stato realizzato anche un manuale (Istituto Superiore di Sanità et al. 2011) per gli operatori che descrive il modello di intervento, il profilo formativo dell’Esc, le fun- zioni e le attività, i contenuti della formazione, le attività pratiche e le po- tenzialità di questa nuova figura nell’ambito della mediazione interculturale nella salute come soggetto in grado di raggiungere i migranti sul territorio, sensibilizzarli rispetto alla promozione della propria salute e favorirne l’accesso ai servizi sanitari.

La seconda esperienza pilota a livello nazionale è stata svolta da Ox- fam Italia nella Provincia di Arezzo all’interno del settore Educazione alla salute dell’Usl 8 con l’obiettivo di prevenire le gravidanze indesiderate tra le donne rumene. Nell’ambito del progetto sono state individuate due donne rumene per il ruolo di Educatori di Salute di Comunità e a seguito di una formazione congiunta tra loro e gli operatori sanitari è stato co- struito il programma di interventi sul territorio. Nonostante i limiti dovuti alla durata temporale del progetto, di circa un anno, l’esperienza di Arez- zo costituisce un’importante sperimentazione del modello Che (Tizzi 2014)) per la promozione della salute di comunità a livello locale. Il tema affrontato, ossia la riduzione del tasso delle interruzioni volontarie di gra- vidanza (Ivg) è nuovo rispetto alle precedenti esperienze inglesi e apre nuove prospettive di continuazione nelle pratiche del modello Che e in generale nel campo del health literacy. Un ulteriore punto di forza è co- stituito dal fatto che il progetto prende spunto da una ricerca sociologica condotta sempre da Oxfam Italia26 sul tema delle Ivg che ha fornito valido

materiale di approfondimento qualitativo della tematica contestualizzando il progetto stesso.

La sperimentazione condotta ad Arezzo ha ispirato anche il progetto europeo Meet, “Meeting the health literacy needs of Immigrant Popula- tions”27 promosso da Oxfam Italia, in collaborazione con l’Istituto Supe-

riore di Sanità e il contributo di quattro Paesi partner (Regno Unito, Ci- pro, Austria e Spagna). Si tratta di un progetto biennale (novembre 2013- ottobre 2015), finanziato dalla Commissione Europea con l’obiettivo di sviluppare il modello del Community Health Educator in chiave europea. Nella prima fase del progetto è stata realizzata un’analisi generale e com- plessiva dei bisogni, partendo dalla comparazione critica dei vari contesti nazionali e sono stati individuati i problemi inerenti all’accesso dei mi- granti al sistema sociosanitario nonché i bisogni specifici di formazione di

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La ricerca è stata pubblicata anche all’interno di La Mastra, Luatti e Tizzi (2012).

tutti i gruppi target dei Paesi coinvolti. Le azioni progettuali si propongo- no di agire su due livelli, da un lato il coinvolgimento delle “comunità” dei migranti e dall’altro il rafforzamento delle competenze interculturali all’interno dei servizi sanitari.

Siamo ancora in attesa di conoscere i risultati del progetto Meet che dovrebbe concludersi nel mese di ottobre prossimo ma siamo sicuri che es- so rappresenti un valido tentativo a livello europeo per sistematizzare il modello del Community Health Educator e aprire la strada a nuove ed effi- caci esperienze per un utilizzo appropriato e responsabile dei servizi sanita- ri e potenziare l’health literacy dei migranti.

5. La fragilità come paradigma del nuovo welfare