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Il welfare italiano, insieme a quello degli altri tre Paesi dell’Europa me- ridionale: Spagna, Portogallo e Grecia è stato definito da Enrico Pugliese “welfare mediterraneo”. Questi quattro Paesi presentano molti punti in co- mune rispetto al sistema delle protezioni sociali. La convergenza è presente anche nel settore dell’immigrazione, sia per la consistenza dei flussi, sia per le politiche in materia di immigrazione (Ponzini e Pugliese 2008).

Le dinamiche sociali riguardanti il confronto tra migranti e autoctoni in Italia si vanno a inquadrare in un contesto caratterizzato da un modello ur- bano policentrico e “diffuso”, grazie alla capillarità in tutto il territorio de- gli insediamenti abitativi. Gli stessi migranti si sono insediati su tutto il ter-

ritorio da nord a sud, non soltanto nelle metropoli o in prossimità dei poli industriali, ma anche nei piccoli centri.

La pluralità dei modelli territoriali si inquadra in una dinamica caratte- rizzata da due fattori. Il primo è la dispersione territoriale: non sono pochi i Comuni medi e piccoli che hanno saldi migratori superiori alla media na- zionale, oltre 600 mila immigrati vivono in Comuni che hanno meno di 5 mila abitanti e un altro milione e 200 mila vive in città che hanno tra i 5 e i 20 mila abitanti (Anci e Legambiente 2012; Istat 2012). Il secondo è l’importanza crescente assunta dalla governance dell’immigrazione e dalle policy network locali, sia nell’implementazione delle misure nazionali, sia nel “fare modello” (Zincone 2006).

L’inserimento degli immigrati in Italia e le stesse leggi in materia sono state fortemente influenzate da un’ambivalenza della cultura politica italia- na. Da un lato c’è stata un’esagerata propensione a prevenire i flussi mi- gratori, dall’altro una tendenza all’accoglienza e al rispetto della diversità culturale (Melotti 2004). Gli immigrati in Italia si sono inseriti grazie a una forte domanda di manodopera immigrata, seppure implicita, essendosi inse- riti in diversi settori lavorativi: piccola e media impresa, edilizia, turistico- alberghiero, agricoltura, ristorazione, pulizie, vari servizi urbani (facchi- naggio, manutenzione del verde, movimentazione merci ecc.), servizi alle famiglie. Le caratteristiche del mercato del lavoro e le differenze territoriali italiane hanno indotto Ambrosini (2005) a parlare di una pluralità di mo- delli territoriali:

industria diffusa, presente nel centro-nord grazie a una miriade di pic- cole e medie imprese, dove gli immigrati trovano lavoro come operai, in particolare nell’edilizia;

economie metropolitane, in questo modello c’è un’alta percentuale di donne e gli immigrati sono impiegati nel basso terziario, nell’edilizia e nei servizi alle persone;

attività stagionali nel mezzogiorno, i settori prevalenti sono l’agricoltura e il turismo;

attività stagionali nel centro-nord, dove c’è domanda soprattutto nelle aree turistiche, in parte in agricoltura e nell’edilizia e in misura minore nel lavoro di cura.

Complementare allo schema di Ambrosini è il quadro delineato da Pu- gliese rispetto al motivo per cui in Italia gli immigrati si sono insediati sia nelle zone più produttive come il centro-nord, sia nel meridione7. Secondo

Pugliese, infatti, i lavoratori migranti sono presenti nel sud, perché i salari offerti ai lavoratori agricoli sono spesso inferiori alla metà di quelli con- trattuali e le condizioni di lavoro non rispettano le norme di garanzia, ciò

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La spiegazione di Enrico Pugliese va considerata valida fino a prima della crisi eco- nomica iniziata nel 2008.

spiega l’indisponibilità dei disoccupati, soprattutto giovani di estrazione ur- bana ad accettare questi lavori. Per i migranti, al contrario, questi lavori so- no appetibili, perché pagati molto di più dei lavori ottenibili nei Paesi d’origine. Si è dunque in presenza di uno squilibrio qualitativo tra domanda e offerta di lavoro, dato che nel sud Italia a un’offerta di lavoro giovanile a elevato tasso di scolarizzazione non corrisponde una domanda di lavoro, soddisfatta dai migranti. Gli immigrati si sono insediati principalmente nel nord Italia a causa di una carenza demografica, per cui molte imprese sono state costrette ad assumere immigrati, perché vi era una scarsa presenza di manodopera locale che non poteva soddisfare la domanda.

Questa lucida fotografia di Pugliese ci permette di riprendere la defini- zione di Castles (2002a) di “lavoratori delle D” (dirty, dangerous, deman- ding), estesa da Ambrosini (2011) che parla di lavori “delle cinque P” (pe- santi, pericolosi, precari, poco pagati, penalizzati socialmente). Queste de- finizioni spiegano la dinamica che si è delineata nel mercato del lavoro, vale a dire che questi lavori sono svolti quasi esclusivamente da immigrati, dato che sono rifiutati dalla manodopera autoctona. Pertanto queste società hanno bisogno degli immigrati, anche se non vogliono riconoscerlo. Da studi recenti (Avola 2012; 2013), inoltre, è emerso che nonostante la crisi il fabbisogno di manodopera immigrata non è ancora esaurito e gli immigrati negli ultimi anni stanno intraprendendo percorsi inversi rispetto al passato, in quanto dal nord Italia dove si erano prevalentemente stabiliti, stanno tor- nando a lavorare nelle campagne del sud, anche se stagionalmente.

Al 1º gennaio 2015 gli immigrati regolari presenti in Italia erano 5 mi- lioni e 73 mila, l’8,3 per cento della popolazione totale. Nel 2014 c’è stato un incremento di 151 mila unità e la distribuzione territoriale è: il 59,5 per cento nel Nord, il 25,4 per cento nel Centro e il restante 15,1 per cento nel Sud (Istat 2014). Nonostante la crisi, continua ad aumentare il numero degli immigrati, ma i flussi in entrata sono in diminuzione, mentre sta aumentan- do l’emigrazione italiana (Istat 2013; Unar e Idos 2014).

Le famiglie con almeno un componente straniero sono 2.354.000 (il 7,1 per cento del totale delle famiglie), al loro interno la disoccupazione desta preoccupazione non solo perché è cresciuta rapidamente, ma perché coin- volge maggiormente individui adulti che ricoprono un ruolo determinante nella costituzione dei redditi familiari. I minori di origine straniera, le se- conde generazioni, sono oltre 1 milione (925.569 quelli con cittadinanza non comunitaria) e 802.785 erano gli iscritti a scuola nell’anno scolastico 2013/2014 (il 9 per cento di tutti gli iscritti).

Il lavoro non è più il principale motivo di permanenza dei migranti in Itala. Secondo proiezioni dell’Ismu su dati di fonte Istat e Ministero del- l’Interno, al 1º gennaio 2014 sono 2,9 milioni i migranti che hanno un permesso per motivi familiari e 2,4 milioni i migranti in possesso di un

permesso per motivi di lavoro d’altro tipo (200 mila). Questi dati sono in netta contrapposizione con quanto avveniva nella prima metà degli anni Novanta, quando i motivi di lavoro erano circa il doppio, rispetto a quelli familiari.