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CRUI ED EDITORIA ELETTRONICA : RACCOMANDAZIONI

Il documento si apre con l’affermazione secondo cui l’editoria elettronica debba essere considerata un mezzo di comunicazione dell’informazione scientifica e trasmissione del sapere (concentrando l’attenzione anche sulle possibilità offerte dall’Open Access).

La CRUI nel 2004 istituisce un Gruppo di lavoro sell’Editoria Elettronica, coordinato dall’Università degli studi di Firenze.

Il documento che si andrà ad analizzare fa riferimento all’Editoria Elettronica come mezzo di diffusione della produzione scientifica. Il documento si presenta (come altri analizzati nei capitoli precedenti) come uno strumento di utilità proposto alle Università italiane, da cui prendere spunto per affrontare il problema dell’editoria universitaria.

Si sottolinea come l’istituzione debba diventare editore, rendendosi responsabile delle pubblicazioni de lavori che nascono e crescono al suo interno.

È dunque necessario che l’istituzione accademica attui un controllo di qualità e garantisca la diffusione dei lavori scientifici prevalentemente sfruttando il mezzo digitale.

Non si concentra esclusivamente sulle University Press, ma si afferma come tutti gli elementi costitutivi l’Università possano diventare editori, facendo quindi riferimento a Dipartimenti, Facoltà, scuole, attraverso la pubblicazione (in varie forme siano queste riviste, collane o siti internet).

Vengono individuati alcuni vantaggi ricavati dall’investire nell’editoria elettronica (investimenti sia finanziari che in termini di

risorse umane). Tra quelli maggiormente significativi si ricordano la possibilità per i docenti di poter pubblicare a costi ridotti i propri lavori, a cui viene garantita il controllo della qualità, offrendo una via alternativa rispetto all’editoria commerciale. In questo modo è possibile mantenere la proprietà intellettuale delle opere, ma anche la possibilità di utilizzarle e integrarle attraverso i servizi offerti dalla rete.

Lo sviluppo dell’editoria elettronica accademica rappresenterebbe anche un’opportunità per gli studenti di riuscire ad ottenere il materiale didattico a costi contenuti e di alta qualità (almeno rispetto alle consuete “dispense”).

Si potrebbe aumentare l’impatto a livello internazionale con la propria produzione scientifica per esempio entrando a far parte del circuito globale delle digital libraries e conseguentemente aumentare il prestigio dell’università attraverso lo “sfruttamento” del marchio editoriale.

In questo modo le Università accoglierebbero e sfrutterebbero le opportunità offerte dalle nuove tecnologie e dalla comunicazione, offrendo una propria produzione scientifica di qualità.

Il documento parte dalla considerazione di come il quadro editoriale accademico sia ancora estremamente soggetto ai dettami degli editori commerciali, anche se si sta sviluppando la volontà da parte delle Università di voler riappropriarsi della produzione editoriale e degli esempi presenti in alcune realtà locali (si ricordi che il documento è datato 2006).

Quindi nuovamente si sottolinea come sia fondamentale per le Università, nel cercare di riprendersi la propria fetta del mercato

editoriale256, considerare l’editoria elettronica come una possibilità di miglioramento, di autonomia nel panorama editoriale delle pubblicazioni scientifiche. Per riuscire a raggiungere questi obiettivi però è necessario che ci si adegui agli standard internazionali e all’elevato livello di qualità e da parte delle istituzioni vi sia un riconoscimento importante per lo sviluppo di questo tipo di editoria. Da qui la necessità di sensibilizzazione dei singoli Atenei per permettere la nascita delle singole iniziative editoriali digitali al loro interno.

Secondo la CRUI per realizzare questo obiettivo ci si deve muovere su tre livelli: strategico, organizzativo e culturale. Il primo, quello strategico fa riferimento alla creazione di una commissione che faccia capo a tutti gli atenei e si muova per la promozione di un’editoria accademica elettronica, considerando anche il modello economico dell’Open Access. a livello organizzativo invece vengono considerate le University Press e gli archivi istituzionali per poter arrivare a condividere esperienze e tecnologie attraverso la Rete. Per quanto riguarda il terzo livello, quello culturale, si propone la sensibilizzazione delle strutture interne alle Università,come i Dipartimenti e le Facoltà.

Come si può leggere, il documento proposto dalla CRUI concentra l’attenzione esclusivamente sullo sfruttamento del mezzo digitale. Ma come si è provato a spiegare nelle pagine precedenti, queste soluzioni e queste prospettive sono possibili facendo coincidere l’utilizzo di tecnologie nuove e vecchie.

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Pare importante sottolineare un punto su cui la CRUI punta molto nel documento analizzato, cioè la necessità di cooperazione e di sensibilizzazione sia all’interno delle singole realtà universitarie, sia all’esterno tra le diverse realtà presenti nel territorio. Da cui anche un ruolo importante è richiesto alle istituzioni politiche e governative.

È infatti fondamentale che all’interno di una singola soggettività, quale può essere quella del mondo universitario pisano, si prenda coscienza e ci si metta in gioco per sviluppare e diffondere le proprie iniziative, ma è altrettanto importante una coesione con il mondo universitario nazionale. Troppo spesso infatti si mette in risalto come vi sia un ambiente frammentato all’interno del mondo universitario, controproducente e alle volte pericoloso, che si crea nonostante le singole realtà abbiano obiettivi condivisi. È difficile, ma è fondamentale pertanto che le realtà editoriali, di ricerca e universitarie in generale cooperino insieme per riuscire ad arrivare al raggiungimento di un obiettivo comune quale è la diffusione della comunicazione scientifica e della cultura.

CONSIDERAZIONI DI SINTESI

Il rapporto tra comunicazione scientifica e mondo accademico è un rapporto antico, come è antico l’obiettivo che hanno da sempre voluto raggiungere: la produzione e la diffusione della cultura e del sapere scientifico-accademico.

Un ruolo fondamentale in questo senso è stato rappresentato,negli anni, dall’avvento delle nuove tecnologie. Un tempo l’invenzione della stampa a caratteri mobili, oggi i computer e Internet.

Le nuove scoperte hanno portato un cambiamento all’interno del mondo universitario e della comunicazione scientifica.

Questo lavoro si propone di inquadrare il panorama attuale della comunicazione scientifica, prendendo le mosse dallo studio di articoli (di docenti, studiosi, bibliotecari) e testi, ma anche da dichiarazioni internazionali e iniziative nazionali (come per esempio il ruolo della CRUI nei confronti dei temi trattati, le Dichiarazioni di Berlino, di Budapest, di Messina). Per farlo si è scelto di concentrare l’attenzione su tre tematiche principali: la valutazione della ricerca scientifica, l’Open Access e l’Editoria accademica, in quanto parte integrante del panorama della comunicazione scientifica. Infatti la valutazione della ricerca e l’editoria rappresentano due elementi caratterizzanti questo panorama, mentre l’Open Access un nuovo modello contemporaneo di comunicazione scientifica.

Il primo capitolo del presente lavoro è dedicato alla comunicazione e alla valutazione della ricerca scientifica. Attraverso un

inquadramento storico (che verrà avanzato per tutti gli argomenti trattati) si propone un’analisi dei metodi quantitativi e qualitativi della valutazione scientifica e il loro legame con le nuove tecnologie e le nuove proposte di valutazione che in questo senso son state portate avanti da diversi soggetti (in particolare bibliotecari e autori di lavori scientifici).

Partendo dunque dalla prima forma di pubblicazione scientifica del 1665 ad opera di Oldenburg a cui segue la prima forma di peer review a cui le riviste dovevano essere sottoposte prima di essere pubblicate, si arriva alla creazione degli indici bibliometrici (tra gli altri, l’Impact Factor) ad opera di E. Garfield, come strumento per risolvere i problemi legati alla c.d. crisi dei periodici successiva alla Grande crisi economica del ’29, e al rapporto con gli editori commerciali che iniziano ad occuparsi del settore dell’editoria accademica.

Vengono così individuati i soggetti principali coinvolti: autori, editori, università e biblioteche.

Si inizia, dunque, a sviluppare il rapporto tra editori commerciali e mondo accademico, un rapporto che dura ancora oggi. Gli editori commerciali infatti si rendono conto delle grosse opportunità offerte dalla produzione di pubblicazioni scientifiche, fino a diventare l’unico strumento utile per gli autori per pubblicare i propri lavori. Dall’altra gli autori vedono negli editori un’alternativa rispetto alle pubblicazioni soggette alle decisioni delle società scientifiche, che non permettevano a chiunque la pubblicazione dei risultati delle proprie ricerche. Nel mentre l’istituzione universitaria si occupa

della produzione del sapere, ma non ha un ruolo attivo nella diffusione delle pubblicazioni.

Gli editori nel corso degli anni acquistano sempre maggiore potere e prestigio, fino ad occupare una posizione di monopolio all’interno del mercato “editoriale” accademico.

La situazione descritta, accentuata dallo sviluppo delle nuove tecnologie (che gli editori commerciali hanno avuto la prontezza di sfruttare) ha reso necessaria l’individuazione di metodi alternativi per la circolazione del sapere scientifico.

Il secondo e il terzo capitolo vengono dunque dedicati alle opportunità offerte dall’Open Access e dalle University Press.

Partendo quindi da una analisi approfondita del panorama editoriale accademico, sia internazionale che nazionale, individuando in primo luogo gli elementi storico-culturali che hanno portato allo sviluppo del rapporto tra editoria commerciale e mondo universitario e della ricerca, il terzo capitolo propone un’analisi delle University Press, considerando come esempio quelle anglosassoni per poi soffermarsi sulla nascita recente di quelle italiane.

Queste infatti si pongono come una prima alternativa al mercato editoriale commerciale scientifico. Sono infatti case editrici a tutti gli effetti, ma si differenziano dalle private principalmente per gli obiettivi che si intende raggiungere e per il loro legame con l’istituzione universitaria.

Essendo case editrici interne all’Ateneo, hanno come obiettivo primario la diffusione del sapere scientifico-accademico, in linea

con gli intenti accademici e universitari. Mentre le case editrici private hanno come obiettivo primario l’ottenimento di profitto. L’alternativa rispetto alla produzione editoriale è rappresentata dal movimento per l’accesso aperto o Open Access, a cui viene appunto dedicato il secondo capitolo.

L’OA si pone su una posizione opposta rispetto alle politiche editoriali, in particolar modo in riferimento alla tutela del diritto d’autore. Parte dalla considerazione della conoscenza come bene comune e dalle straordinarie possibilità offerte dal mezzo Internet per renderla accessibile a tutti. Attraverso l’analisi di articoli, saggi, dichiarazioni internazionali e nazioni a sostegno del movimento OA, la tesi cerca di individuare le strategie attraverso cui si vuole rendere libero l’accesso alle informazioni e alla conoscenza scientifica, concentrando l’attenzione sulle due vie (Gold road e Green road).

Un punto su cui è sembrato fondamentale soffermarsi riguarda l’aspetto critico della tutela del diritto d’autore applicata alle opere scientifiche, dal momento che è un tema che abbraccia tutti gli argomenti analizzati: valutazione della ricerca, editoria accademica e Open Access.

La valutazione della ricerca (che avviene grazie alla pubblicazione di opere scientifiche) rappresenta infatti per gli autori una possibilità di avanzamento di carriera e di ottenere fondi per finanziare nuove ricerche. Di conseguenza è fondamentale per gli autori pubblicare per sopravvivere (Publish or Perish). Ci si chiede: è giusto che la pratica di produzione del sapere scientifico venga affidata agli editori commerciali che sfruttano la necessità di

pubblicare di un autore a proprio vantaggio, senza considerare le esigenze di un autore? In altre parole vorrebbe dire obbligare gli autori a cedere tutti i diritti patrimoniali sulle proprie opere per essere pubblicati e avere quindi la possibilità di essere valutati e di avanzare nella carriera accademica, impedendogli (con la cessione totale dei diritti) la possibilità di riutilizzare l’opera per scopi diversi e futuri. Di conseguenza nasce un altro interrogativo: è giusto applicare la legge che tutela il diritto d’autore delle opere di ingegno anche alle opere scientifiche?

Dall’altra, è necessario per gli autori di opere scientifiche affidarsi completamente alle nuove opportunità offerte dall’OA (con le pratiche di autoarchiviazione e di pubblicazione su riviste ad accesso aperto) o esistono delle vie di mezzo che permettono la coesistenza di editoria accademica e diffusione della conoscenza, come le University Press?

Le University Press potrebbero in questo senso rappresentare uno strumento di garanzia e di tutela per le opere scientifiche e per gli stessi autori. Nate in seno all’ambiente accademico possono svolgere la funzione di certificazione dei lavori scientifici.

Una prima differenza può essere riscontrata nella scelta della divisione dei ruoli. Le UP infatti propongono al loro interno la differenziazione tra Consiglio di Amministrazione e Comitato Scientifico. Quest’ultimo svolge la funzione di valutazione sulle opere da pubblicare.

Un’altra differenza importante è la mission per cui nascono, quindi l’individuazione dei mezzi e degli obiettivi che si intende raggiungere.

Le case editrici commerciali, infatti, sfruttano la pubblicazione di opere scientifiche per raggiungere il proprio obiettivo di ottenere profitto. Quindi considerano le pubblicazioni scientifiche lo strumento e il guadagno l’obiettivo.

Le University Press, al contrario, utilizzano gli utili per raggiungere l’obiettivo di diffusione della conoscenza scientifica. Individuando quindi nella diffusione del sapere scientifico l’obiettivo, e nel riutilizzo degli utili lo strumento per poterlo raggiungere.

L’Università ha lasciato per troppo tempo in mano ad agenti esterni (le case editrici private) la produzione e diffusione della conoscenza scientifica nata al proprio interno, permettendo in questo modo alle imprese editoriali commerciali di acquistare un potere non tanto economico (aspetto che potrebbe essere infatti trascurato, se fosse capace di coesistere con gli obiettivi di diffusione della conoscenza), ma soprattutto di ruolo. In altre parole, la comunità accademica ha permesso alle case editrici private di dettare le regole a cui il mondo accademico doveva sottostare per poter diffondere i risultati delle proprie ricerche, sfruttando (come si è detto) la necessità di pubblicare per gli autori. La possibilità per l’istituzione universitaria di riacquistare un ruolo attivo nella produzione e nella diffusione della conoscenza nata al proprio interno, può essere rappresentata oggi pienamente dalle University Press.

Nonostante questa presa di coscienza però non tutte le Università italiane hanno seguito le esperienze di University Press nate dagli anni Novanta nel nostro paese.

È probabile che l’unione e la cooperazione tra le diverse realtà esistenti (di cui un esempio è il Coordinamento delle 15University Press italiane) possa rappresentare uno strumento fondamentale per capovolgere l’attuale predominio dell’editoria commerciale in ambito accademico, in modo da restituire il “prodotto” scientifico a chi ne ha reso possibile la creazione.

Non basta infatti la consapevolezza e la volontà di cambiare la situazione. Ci si aspetta che le istituzioni politiche e governative si attivino per permettere una migliore e più libera circolazione del sapere, che in quanto conoscenza, non può sottostare a pretese (legami) di tipo economico. Sembra comunque che qualcosa in questo senso si stia muovendo.

APPENDICE

S

EZIONE

1

D

OCUMENTO

1

[Stralci]

L’Open Access e la valutazione dei prodotti della ricerca scientifica. Raccomandazioni

Alla luce delle principali esperienze italiane di valutazione della ricerca scientifica, queste Raccomandazioni si affiancano a precedenti documenti CRUI nel sottolineare l’importanza e la necessità di un’Anagrafe che raccolga, gestisca ed elabori le informazioni sulle attività di ricerca di un ateneo. Una componente strategica di tale Anagrafe è rappresentata dall’Archivio istituzionale ad accesso aperto (open access) compatibile con il protocollo OAI-PMH.

L’utilizzo di un archivio istituzionale come parte del processo di valutazione della ricerca assume un valore cruciale a causa della rapida evoluzione del processo di produzione, diffusione e pubblicazione della ricerca scientifica. I processi di valutazione e le categorizzazioni dei prodotti di ricerca finora operate dalle agenzie di valutazione possono e devono essere aggiornati alla luce dei nuovi contesti che coinvolgono autori, editori, enti finanziatori, valutatori e potenziali utenti.

La comunicazione scientifica si è profondamente modificata e l’articolo pubblicato su una rivista rappresenta spesso il punto finale di una catena comunicativa al cui inizio c’è un intervento a un convegno. Gli archivi ad accesso aperto permettono di valorizzare tutte le tappe di questa catena e di far crescere la reputazione dell’autore e il futuro impatto dell’articolo. È stato anche dimostrato che gli articoli depositati in archivi ad accesso aperto sono citati più

spesso di quelli che non lo sono.

Il ruolo che il mondo dell’Open Access può avere nell’ambito della valutazione della ricerca riguarda la possibilità di sottoporre a giudizio anche materiali non tradizionali e di elaborare nuovi indicatori bibliometrici da affiancare a quelli attualmente in uso. […]

L’Anagrafe della ricerca di ateneo è “una base dati che dovrebbe consentire di raccogliere, gestire ed elaborare le informazioni su tutte le attività di ricerca, e contestualmente agevolare la valutazione dell’efficienza e dell’efficacia delle attività di ricerca scientifica, con il calcolo degli indicatori scelti dal Nucleo di valutazione”. Essa dovrebbe quindi contenere l’elenco completo: a) dei ricercatori; b) delle competenze presenti; c) dei risultati ottenuti in termini di pubblicazioni, libri, brevetti, partecipazione a congressi; d)delle attività di ricerca in corso nell’ambito di programmi e contratti. Tutte queste informazioni dovrebbero poi essere organizzate in una base informativa accessibile e interrogabile.

L’Archivio istituzionale della ricerca di ateneo deve essere considerato come una componente dell’Anagrafe che dovrebbe contenere tutti i risultati previsti al punto c).

Attualmente esistono sul mercato italiano più prodotti che offrono i servizi richiesti a un’Anagrafe della ricerca così come auspicata dalla recente Legge 1 (9 gennaio 2009).

Per garantire la conformità con la “Berlin Declaration on Open Access to Knowledge in the Sciences and Humanities” (2003), di cui sono firmatari anche 71 atenei italiani tramite la Dichiarazione di Messina (2004), occorre però che “una versione completa del contributo e di tutti i materiali che lo corredano, inclusa una copia dell’autorizzazione come sopra indicato, in un formato elettronico secondo uno standard appropriato, [sia] depositata (e dunque pubblicata) in almeno un archivio in linea che impieghi standard tecnici adeguati (come le definizioni degli Open Archives) e che sia supportato e mantenuto da un’istituzione accademica, una società scientifica, un’agenzia governativa o ogni altra organizzazione

riconosciuta che persegua gli obiettivi dell’accesso aperto, della distribuzione illimitata, dell’interoperabilità e dell’archiviazione a lungo termine”.

È quindi fondamentale che gli atenei italiani considerino l’archivio aperto (prodotto nato per gestire in primis i testi pieni dei prodotti della ricerca, corredandoli poi con i metadati descrittivi) come elemento integrante e non accessorio di un’Anagrafe della ricerca in grado di competere a livello internazionale.

Tale fine può essere perseguito solo coinvolgendo l’archivio aperto istituzionale in tutte le fasi del processo di raccolta, analisi, elaborazione, disseminazione e fruizione dei dati relativi alla produzione scientifica dell’ateneo stesso, poiché la funzione svolta dall’archivio aperto è concettualmente e tecnologicamente diversa da quella propria di applicativi finalizzati primariamente alla gestione dei metadati (già di per sé non necessariamente descritti secondo gli standard internazionali OAI-PMH), con il corredo del testo pieno del prodotto di ricerca (senza certezza e standardizzazione per l’integrità e la preservazione di tali allegati). Si raccomanda pertanto agli atenei italiani di studiare forme di sintesi (tecnico-informatica e amministrativo-procedurale) che permettano l’integrazione degli archivi aperti con eventuali prodotti gestionali che già non contemplino un modulo-repository.

[…]

L’Impact Factor è stato oggetto di molte e fondate critiche. Le maggiori novità relative ai metodi di valutazione bibliometrici riguardano l’individuazione di nuovi indicatori che mettono a frutto le potenzialità offerte dal web e che si rivelano alternativi o complementari all’Impact Factor.

A partire dalla fornitura del testo pieno in formato digitale, l’intero processo di valutazione dei prodotti della ricerca scientifica si gioverebbe di un archivio istituzionale ad accesso aperto,

così come dei metadati e delle analisi citazionali e “webometriche”che esso sarebbe in grado di generare. Nella nuova panoramica sugli indicatori di valutazione, infatti, assumono particolare valore i motori di ricerca generalisti (Google, Yahoo,

ecc.) e specialistici (Google Scholar, Scirus, Pleiadi, OAIster, ecc.) e gli archivi aperti istituzionali o disciplinari (repository) che, grazie al protocollo OAI-PMH, aumentano la disseminazione dell’informazione su web e ne massimizzano l’impatto.

Un prodotto di ricerca archiviato in un repository, grazie al protocollo OAI-PMH, aumenta di molto le sue possibilità di essere reperito tramite i motori di ricerca e ottiene un maggior numero di citazioni rispetto allo stesso articolo in formato cartaceo, o in formato elettronico ma pubblicato su sito editoriale o su sito web non OAI-PMH (ad esempio, il sito personale dell’autore).

Nel mondo esistono attualmente 1.300 archivi OAI-PMH (dati: OpenDOAR, http://www.opendoar.org/luglio 2008) e 3824 riviste ad accesso aperto (dati: Directory of Open Access Journals, http://www.doaj.org/, dicembre 2008). Va sottolineato che tutte le riviste censite in questa directory sono peer-reviewed o quanto meno prevedono un controllo di qualità sui contenuti, poiché negli