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II.5 L E DUE VIE DELL ’O PEN A CCESS : G OLD ROAD E G REEN ROAD

II.5.2 L A STRADA VERDE

La seconda strada proposta dalla BOAI è l’auto-archiviazione. La denominazione Green Road viene attribuita successivamente dallo studioso Steven Harnad. Con il colore verde, infatti, si indicano nel database Sherpa/RoMEO145 gli editori che autorizzavano gli autori ad archiviare i propri articoli, in preprint o post print, ad accesso aperto146.

La strategia propone di archiviare gli articoli (e i contributi della ricerca scientifica) in depositi ad accesso aperto. I depositi possono essere di due tipi: disciplinari o istituzionali.

I depositi disciplinari dividono i risultati delle ricerche in ambito disciplinare, proponendo un’infrastruttura ordinata per discipline alla comunità scientifica.

Esempi importanti di archivi disciplinari possono essere ArXiv (per la fisica, matematica, biologia e informatica), CiteSeerx (dedicato all’informatica), RePEC (per le scienze economiche), PubMed Central (per le scienze biomediche) ed E-LIS (per le scienze dell’informazione).

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Sherpa/RoMEo (RightsMEtadata for Open archiving) è un database che fornisce indicazioni relative alle politiche condotte dai vari editori sull’auto-archiviazione. Nasce, infatti, per indagare sugli aspetti legali dell’auto-archiviazione nelle pubblicazioni scientifiche in Gran Bretagna.

Cfr. http://wiki.openarchives.it/index.php/Sherpa/RoMEO 146

Alla pagina Wiki su openarchives, citata nella nota precedente, si può trovare la lista della suddivisione degli editori per colore, da cui ha preso spunto Harnad, relativa alla maggiore o minore apertura dell’editore nei confronti dell’accesso aperto. Editori verdi: permettono l’archiviazione di pre- e post print. Editori blu: permettono l’archiviazione di post print. Editori gialli: permettono l’archiviazione di pre-print. Editori bianchi: non permettono alcun tipo di archiviazione.

I depositi istituzionali, di origine più recente, vengono così definiti per sottolineare l’impegno delle istituzioni nella conservazione dei documenti ad accesso aperto e il loro successivo mantenimento. Per le istituzioni, infatti, i repository147rappresentano una vetrina della produzione scientifica svolta all’interno dell’istituzione, per le comunità di ricerca rappresentano un mezzo per diffondere il lavoro prodotto.

Fondamentale è l’opportunità di archiviare la cosiddetta letteratura grigia148all’interno dei repository.

Un esempio importante di archivio per l’Italia può essere rappresentato dal progetto “Magazzini digitali”. Nasce dall’idea di creare un’infrastruttura per conservare le risorse digitali in Italia, dal momento che ancora non esiste un’azione legislativa definita per quanto riguarda il deposito legale delle pubblicazioni digitali149. È un progetto finanziato dalla Fondazione Rinascimento Digitale e coinvolge la Biblioteca Nazionale di Roma, la Biblioteca Nazionale di Firenze e la Biblioteca Nazionale Marciana di Venezia.

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Repository è il termine inglese con cui ci si riferisce, in linea generale, ai depositi.

In particolare, si intende il luogo all’interno del quale vengono gestiti metadati. Da questo momento si utilizzerà anche questo termine per riferirsi agli archivi. 148

Con il termine letteratura grigia si intende l’insieme di report, studi di settore, tesi di dottorato e dati primari.

Utile la definizione proposta dall’editore Laterza, secondo cui la letteratura grigia comprende una vasta area di “documenti non convenzionali” che non vengono diffusi attraverso i canali convenzionali e che quindi sono di difficile individuazione e accessibilità. Tra questi rientrano le tesi di laurea e di dottorato, rapporti tecnici aziendali, relazioni presentate a convegni, saggi in attesa di essere accettati dai periodici accademici, dispense universitarie, abstract e anche prodotti hardware e software. Cfr. http://www.laterza.it/bibliotecheinrete/Cap10/Cap10_10.htm

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Aspetto sul quale stanno lavorando diverse case editrici universitarie, tra le quali la Pisa University Press di cui si parlerà nel prossimo capitolo.

I depositi svolgono tre delle quattro funzioni già descritte per le riviste, cioè quelle di registrazione, consapevolezza e archiviazione. Mentre ancora non si può parlare di certificazione, con cui si intende la certificazione della qualità di un lavoro di ricerca dopo il processo di revisione tra pari (peer review). Per gli archivi, infatti, l’unico controllo che viene svolto riguarda i dati e i metadati relativi al documento (autore, titolo ecc.). È normale che questo non avvenga dato che, come si è visto, vengono archiviati anche materiali appartenenti alla letteratura grigia (che non sono soggetti a peer review).

Per risolvere questo aspetto sono state avanzate diverse proposte. Ad esempio si prenda l’idea di Herbert Van de Sompel. Considerando i preprint (cioè le copie manoscritte di articoli non referati) si vuole attivare una funzione di certificazione attraverso un meta servizio, definito overlay service. Questo dovrebbe essere applicato ad un repository. In altre parole, si pensa di creare un’infrastruttura in cui il processo di revisione si attiva come meta servizio, da applicare ai repository in cui vengono conservati gli articoli manoscritti non ancora referati. Quindi in questo modo verrebbero collegati i repository e i servizi di revisione, riuscendo a proporre un insieme ampio e definito dell’informazione distribuita nei canali della comunicazione scientifica.

Quanto descritto avviene in Italia con il “Bollettino telematico di filosofia politica”, una rivista ad accesso aperto dell’Università di

Pisa, in cui vengono pubblicati articoli già presenti all’interno dell’archivio pisano Giuliano Marini150

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Esistono vari tipi di depositi istituzionali. Le differenze si individuano nelle diverse tipologie di istituzione che finanziano il deposito (possono essere università, dipartimenti, enti di ricerca) o anche nelle finalità che si vogliono raggiungere con la creazione dell’archivio. Quindi si può distinguere tra: depositi dipartimentali, depositi di ricerca, depositi interistituzionali e depositi istituzionali su base tematica.

I primi (dipartimentali) sono quelli gestiti da un dipartimento universitario. Rappresentano un fondamentale punto di riferimento per i docenti. Permettono di mantenere contatti diretti con la comunità di ricerca di riferimento (per esempio il Linguistic Electronic Archive del Dipartimento di Scienze del Linguaggio dell’Università di Venezia).

I secondi (di ricerca), sono gestiti da enti o centri di ricerca. Per quanto riguarda il contesto italiano, si può pensare agli archivi mantenuti dal CNR (Consiglio Nazionale della Ricerca).

I depositi interistituzionali sono gestiti da due o più istituzioni in modalità consortile. Come esempio si può considerare il White Rose Research Online151, un unico archivio Open Access a disposizione di diverse università, quali l’Università di Leeds, Sheffield e York. L’ultimo tipo (istituzionale su base tematica) viene mantenuto da una o più istituzioni e si caratterizza per la scelta tematica.

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Cfr. http://archiviomarini.sp.unipi.it/ 151

Per gli archivi è necessario utilizzare software open source per la loro gestione e manutenzione. Tra i più diffusi si ricordano i prodotti open source Eprints (lanciato nel 2000 è il primo prodotto open source per repository. È stato realizzato dall’Università di Southampton) e DSpace (lanciato nel 2002 dal Massachusetts Institute of Technology permette di gestire un archivio per catturare, distribuire e conservare la produzione intellettuale di un’istituzione).