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3.6. IFACCA, il networking della cultura accessibile

3.6.1. La Cultura della Disabilità

Nel suo report intitolato “Arts and disability policies” e pubblicato nel 2004, IFACCA tratta il tema della disabilità nell’arte ed in particolare i programmi politici adottati a sostegno dell’accessibilità ai luoghi della cultura e ai beni artistici.

Sono numerose le iniziative pubblicate da IFACCA, che vedono protagonista il mondo dell’arte per tutti. Tra questi viene riportato uno studio condotto negli USA a fine anni ‘90 sul rapporto tra cultura e la formazione dell’identità della persona disabile. La cosiddetta Cultura della Disabilità (Disability Culture) è costituita da tutti quegli artisti disabili che non hanno semplicemente intenzione di transitare ma di lasciare un’orma sulla storia dell’arte. La voglia di riscattarsi e mostrarsi al mondo per ciò che si è, di dimostrare che l’arte è davvero per tutti, è la protagonista delle opere d’arte di questi ragazzi. Attraverso l’arte il disabile elabora le proprie difficoltà inconsce fino ad

adottare una prospettiva positiva e multi-identitaria. Inoltre è stato riscontrato che, la libertà di espressione attraverso l’arte nei ragazzi adolescenti, permette di affrontare meglio le difficoltà tipiche della loro età (liti con i genitori, sensazione di non essere capiti, solitudine, eccG) permettendo, così, uno sviluppo più sereno. E’ stato così dimostrato che l’istruzione artistica porta gli studenti disabili al processo di auto-realizzazione che si ripercuote nella sfera psicologica aiutando il soggetto ad affrontare meglio la vita88.

A tal proposito nel 1974 nasce negli Stati Uniti la VSA Arts. La sua azione mira a garantire a livello locale e internazionale un sostegno ai soggetti disabili, assistendoli nella preparazione scolastica per mezzo di educatori e istruendoli nello svolgimento di un mestiere. Durante questo percorso i soggetti vengono incoraggiati a sviluppare nuove forme di arte che gli permettano di comunicare con l’esterno. Nel 2002 il VSA Arts, in collaborazione con Volkswagen of America, ha indetto un concorso annuale per i disabili ciechi aperto ai soggetti di età compresa tra i 16 e i 25 anni. L’obiettivo è quello di formare figure professionali del mondo dell’arte nel momento focale della loro istruzione, e di incoraggiare l’accesso al mondo artistico ad una fascia d’età che spesso non è favorita in questo settore. Il soggetto delle opere d’arte è sempre la sponsorizzazione della società, ma il tema su cui essa deve vertere viene di volta in volta mutato. Per poter partecipare, ognuno di loro ha fornito:

1. Informazioni personali e formative (data di nascita, tipo di disabilità, formazione accademica, nome dell’insegnante che lo ha seguito); 2. Una dichiarazione di 400 parole in cui vengono descritte le motivazioni

personali che lo hanno spinto a creare un’opera d’arte, le tecniche utilizzate, il rapporto tra la sua disabilità e la sua arte, il ruolo che l’arte ha avuto nella sua formazione;

3. Una spiegazione sulla scelta della sua opera che ne chiarisca il legame con il tema;

88

4. Un massimo di 5 opere d’arte; 5. Una descrizione di ogni opera.

Il vincitore, scelto da una giuria di esperti, si aggiudica un premio compreso tra 2.000 e 20.000 $.

Per capire che impatto abbiano il progetto formativo e il concorso finale, nel 2005 è stata effettuata un’analisi sugli effetti avuti sui 47 finalisti. In particolare i ricercatori si sono posti le seguenti domande:

Che impatto ha il programma VSA Arts/Volkswagen sullo sviluppo personale dei disabili?

Che impatto ha il programma sulla didattica, il lavoro dei finalisti e i percorsi artistici?

Che implicazioni hanno i risultati della valutazione così ottenuta e cosa può ancora essere fatto per migliorare il programma?

Il campione è costituito da 24 donne e 23 uomini con età media di 21 anni, una provenienza abbastanza eterogenea (vengono da 26 differenti Stati americani) e affetti da diverse disabilità (fisiche, sensoriali, mentali, difficoltà nell’apprendimento e malattie croniche). La maggior parte di loro (pari a 35) si erano occupati di arte sin da bambino, al momento della presentazione della domanda per il concorso oltre la metà di loro frequentava o aveva completato gli studi al college e, coloro che avevano proseguito con l’università, avevano scelto studi artistici (disegno, fotografia, arti grafiche e digitali).

L’analisi ha portato in un primo momento a descrivere le esperienze dei ragazzi, determinanti nella crescita personale e nella formazione artistica, e in un secondo momento a valutare l’influenza reciproca dell’arte e della disabilità.

In particolare risulta rilevante il ruolo che la famiglia ha ricoperto sin dalla loro infanzia. Circa un terzo dei finalisti è stato influenzato dal fatto che in famiglia

vi fosse già un artista (inteso in senso lato); ciò in alcuni casi ha innescato una curiosità da parte del disabile stesso, mentre in altri sono stati i familiari ad incoraggiarlo alla sperimentazione.

Anche gli insegnanti di sostegno hanno giocato un ruolo essenziale: più della metà dei finalisti ha dichiarato di essere stato spronato dal proprio educatore, il quale ne ha riconosciuto il talento. E’ di fondamentale importanza, a tal proposito, sottolineare che alcuni ragazzi sono stati aiutati a superare le proprie paure e i propri limiti sensoriali. Uno di loro ha raccontato che, nel momento in cui perse la vista, pensò che non sarebbe più riuscito a dipingere. Ciò lo portò ad uno stato emotivo di insicurezza, paura e smarrimento ma, grazie al sostegno del suo insegnate, riuscì ugualmente a praticare la propria arte capendo, così, che il proprio limite funzionale non si sarebbe ripercosso sulla propria attività creativa. Il ruolo fondamentale degli insegnati di sostegno non sta solo nel loro supporto emotivo ma anche nella trasmissione della disciplina artistica, non come semplice materia scolastica ma come passione da poter coltivare, una soluzione dalla quale ripartire. Un ulteriore elemento che ha permesso la crescita di questi ragazzi è stata la possibilità di praticare l’arte attraverso stage, università e lavori, e di poter esporre le proprie opere in occasione di mostre d’arte e concorsi, o di farsi conoscere per mezzo di pubblicazioni.

L’importanza che l’arte ha ricoperto nella propria crescita viene così descritta dai disabili stessi89:

“L'arte è una grande parte della mia vita"

"L’arte definisce chi sono io"

"L'arte è la mia ragione di vita. Mi fa sentire bene con me stesso e mi permette di fare qualcosa di bello. Mi ha dato uno scopo che guida la mia vita

coinvolgendo l'educazione, la socializzazione, il modo di affrontarne le sfide"

“Questa opera è un viaggio attraverso il mio passato. Grazie all’arte posso capire chi sono diventato”

E’ dunque così che i disabili possono abbattere quelle barriere che li separano dal mondo esterno, imparando a comunicare ciò che sono, che sentono, attraverso l’arte. Ed è grazie a quest’ultima che questi ragazzi si sono fatti strada nella società: l’aspetto dei limiti funzionali passa in secondo piano, arrivando a considerarli artisti prima di tutto e disabili in secondo luogo (così come essi stessi si sentono).

L’arte è dunque percepita come una risorsa. Non solo, in alcuni casi è stata utile persino per fronteggiare le limitazioni caratterizzanti la propria disabilità. Uno degli intervistati con problemi di mobilità ed affaticamento ha dichiarato di aver scelto l’insegnamento dell’arte in primo luogo per passione e successivamente perché rispondeva alle sue esigenze motorie, non potendo infatti lavorare 40 ore settimanali. Un’altra intervistata, affetta da disturbi ossessivi compulsivi, ha invece dichiarato che la sua disabilità l’ha spinta a creare delle opere uniche. Ciò le ha permesso di capire che l’ansia può essere anche un volano positivo. Altri 21 finalisti hanno dichiarato che l’arte li ha aiutati a superare la depressione, l’ansia, la paura, la sofferenza associata alla loro disabilità.

“Avendo a che fare con una disabilità nell’apprendimento, per tutta la vita mi sono sentito inferiore agli altri, compatito o in difetto rispetto ai miei coetanei.

Ma nell’arte posso competere ad armi pari [9]. Avere successo nell’arte mi dà fiducia in me stesso, mi fa capire che sono bravo come gli altri, mi aiuta a

realizzare che semplicemente sono più competente degli altri in altre aree. Mi sono stati dati i riconoscimenti per ciò che sono in grado di fare, piuttosto

che per ciò che mi manca”.

La voglia di riscattarsi e di farsi conoscere per ciò che si è senza lasciare posto all’apparenza, è il principale scopo di questi ragazzi.

“Voglio mostrare le mie fotografie che ho scattato a tutti perché voglio che la gente conosca la ‘vera me’ e non ciò che si vede in un primo momento. L’apparenza inganna e sembra proprio che il mio aspetto induca a pensare

che io non riesca a fare nulla”.

Nelle opere d’arte molti di loro hanno rappresentato la loro disabilità, letteralmente o metaforicamente. Un modo questo per elaborare, comprendere e comunicare la propria condizione. Un finalista ha raffigurato un uccellino in gabbia, denunciando una cultura che protegge eccessivamente le persone disabili invece di garantirne il riconoscimenti dei diritti. Al lato del quadro l’uccellino vola libero, simboleggiando la condizione migliore in cui vive un disabile in America; mentre un’altra ragazza, affetta da istoplasmosi, ha rappresentato il mondo dal suo punto di vista: alle sue spalle si trova una porta chiusa, simbolo di ciò che era il suo stato d’animo di chiusura nei confronti dell’esterno nel momento in cui le era stata comunicata la diagnosi, e al suo fianco un vortice dai tratti sbiaditi che indica come lei vede dal suo occhio sinistro (Figura 28).

Figura 28 Catron Peterson Burdette, Self Portrait Diptych, olio su tela (60"x60")

L’analisi si è conclusa assegnando ad ognuno dei 47 finalisti uno status circa il proprio tipo di identità disabile (disable identity), definita tra: normalizzazione, azioni attiviste, affermazione, identificazione situazionale, rassegnazione, apatia e affermazione isolata.

Nella maggior parte dei casi l’arte ha contribuito a spostare la propria identità verso la stadio di normalizzazione: i ragazzi in questione infatti hanno utilizzato l’arte come strumento per dimostrare il proprio valore negli ambiti dello sviluppo, dalla formazione all’inserimento sociale. Coloro che si sono descritti come artisti (ancor prima che soggetti disabili) hanno dichiarato come la disabilità sia solo una parte della propria identità ma non l’aspetto che li definisce; servendosi dell’arte, altri finalisti hanno capito che la propria condizione non ha esclusivamente valenze negative.

La maggior parte di loro definisce la propria identità in termini di normalità e non accetta che l’immagine del disabile sia accompagnata dai soliti preconcetti. In questa figura si concentrano le azioni attiviste.

Lo stadio dell’affermazione viene riconosciuto in quei soggetti che hanno illustrato la propria disabilità nelle opere d’arte e/o per comunicarne un messaggio.

In linea generale l’analisi ha rilevato come l’arte porti ad un sentimento identitario positivo, dove “gli artisti mostrano nelle opere la completa

accettazione di se stessi e l’orgoglio circa ciò che sono”90.

L’analisi condotta non intende essere esaustiva in quanto presenta diversi limiti: il campione non è rappresentativo dell’intera popolazione di artisti affetti da disabilità e come tale può essere riferita solo alla popolazione americana. In secondo luogo le dichiarazioni dei finalisti sono state presentate al solo scopo di accompagnare le proprie opere d’arte al fine di illustrarne i contenuti, e non per condurre delle indagini sulla formazione delle identità. In terzo luogo i dati raccolti risalgono a otto anni fa, benché gli intervistati condividano ancora oggi ciò che dichiararono. Questi punti di debolezza pongono l’accento sulla necessità di effettuare ulteriori ricerche circa il rapporto tra identità e arte, al fine di esaminare in maniera più ampia il ruolo dell’arte all’interno del complesso studio delle identità dei disabili.

3.7.Alcuni casi europei di best practice: Spagna, Inghilterra e