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Il cuore della musica come azione e processo: le interazioni sociali

La musica nella letteratura sociologica è stata analizzata sia come oggetto che come processo.

Come oggetto la musica viene considerata in quanto sistema istituzionalizzato di tonalità, ovvero razionalizzazione della musica, si pensi alle dodici note (scala di Do che include bemolle e diesis) di un’ottava che permette di spostare una canzone da una chiave ad un’altra; e in quanto bene di consumo che si è sviluppato nei secoli, dalla stampa dei primi spartiti nel sedicesimo secolo e la nascita delle prime leggi sul diritto d’autore, fino all’avvento del grammofono alla fine del diciannovesimo secolo per la diffusione domestica di incisioni musicale e dello streaming digitale nel ventunesimo secolo (Roy e Dowd 2010). Inoltre, le

42 questioni legate alla proprietà della musica sono oggetto di conflitto che ha conseguenze sulle dinamiche sociali (Leyshon 2005, Sanjek 1991).

Le dinamiche sociali saranno quindi al cuore dello studio sociologico della musica in quanto attività e processo; tralasciando la musica come oggetto, ci concentreremo su questo secondo angolo visuale dal quale analizzare il fenomeno musicale.

Un’efficace definizione di musica in quanto attività venne proposta dal musicologo Christopher Small (1998) che coniò il verbo “musicking” (ibidem:2), per indicare che la musica è un’azione in divenire, un processo, e che quindi può essere meglio descritta con un verbo piuttosto che con un nome, il quale rappresenterebbe semplicemente e riduttivamente un’astrazione dell’agire. La dimensione della musica come azione per Small risulta evidente nella performance, e in tutti gli sforzi che la precedono e che la rendono possibile (Roy e Dowd 2010). Si pensi nel caso delle orchestre la gestione di questioni interpersonali come il conflitto tra i membri o la definizione della leadership (Murningham e Conlon 1991), oppure la gestione delle aspettative esterne da parte degli studenti dei conservatori nei confronti dei docenti e la gestione della propria stanchezza fisica e mentale (Alford e Szanto 1996, McCormick 2009), o lo sviluppo di abilità interazionali da parte dei musicisti jazz nell’esecuzione della musica di improvvisazione (Roy e Dowd 2010).

Partendo dall’assunto che le persone lavorano collettivamente per interpretare e rappresentare il mondo con il quale si confrontano (ibidem), il fare musica diventa un buon esempio di tali sforzi collettivi. Passando dagli esempi sopracitati che riguardano la preparazione delle performances in sala prove o in ambito accademico, e l’esecuzione delle stesse su di un palco, fino ad includere tutti coloro che stanno attorno alla diffusione della musica in generale (Becker 1982) come ad esempio il pubblico pagante che acquista biglietti per i concerti (Small 1998), Roy e Dowd (2010) pongono l’attenzione su come tutte queste azioni si reggano su significati creati in maniera intersoggettiva e quindi scaturiti e supportati dall’interazione tra gli individui.

Per l’analisi del fenomeno musicale come processo, utilizziamo quello che viene definito “contextual approach” (ibidem:189) il quale si concentra sull’azione del

43 fare musica e sugli ascoltatori. Secondo tale approccio la musica può divenire una risorsa per la vita associata attraverso la quale sottolineare aspetti e momenti importanti della propria vita, abitudini e routine (De Nora 2000), costruendo simboli e significati in un mondo di vita intersoggettivo (Feld 1984) e stabilendo un set di relazioni nell’ambiente in cui viene eseguita, all’interno delle quali risiede il significato dell’azione del fare musica (Small 1998).

Un concerto di musica classica ad esempio crea un insieme di significati che possono essere ricercati nell’architettura della sala scelta per la performance, nelle interazioni fisiche tra i partecipanti, nelle conversazioni e nei rapporti intersoggettivi che intervengono (ibidem).

I significati contenuti nelle azioni legate all’esperienza musicale si reggono a loro volta ad altre azioni come la riflessione e l’interpretazione condivise. Si pensi al dibattito relativo alla lettura di una connotazione violenta del genere musicale rap, ovvero se esso sia un’apologia della violenza o se possa essere un canale per la conciliazione. Secondo Roy e Dowd (2010) tale dibattito si risolve non tanto in una semplice analisi delle liriche delle canzoni, quanto su cosa decide di farne il pubblico di tali canzoni, e ciò sta a significare che la musica più che un oggetto, rappresenta un insieme di azioni.

Efficace a questo proposito risulta la definizione del significato della musica di Schűtz (1951), secondo la quale questo ha una connotazione particolarmente sociologica poiché viene costruito attraverso l’interazione tra individui, e al contempo la musica si presenta a sua volta come un canale che rende possibile l’interazione stessa.

Prescindendo dal contesto sociale particolare delle collettività immigrate possiamo vedere infine, come la connotazione sociologica del significato della musica come processo che nasce dalle interazioni intersoggettive, intervenga nella strutturazione delle identità e nella costruzione di ponti tra gruppi sociali differenti.

La capacità della musica e dei suoi significati di strutturare e caratterizzare il self e le relazioni come già sottolineato da De Nora (2010), è un aspetto che emerge particolarmente nelle interazioni con gli altri, poiché la musica oltre ad essere caratterizzata da interpretazioni collettive, rappresenta un’occasione per trovare

44 qualcuno tra gli altri (Roy e Dowd 2010); le persone possono utilizzare la musica per creare un noi, un gruppo (Roy 2002), si pensi agli estimatori del genere punk anche una volta superata l’età della giovinezza (Bennett 2006). Il significato della musica non sta solo nel suo contenuto quindi, ma in tutto il processo di interazione e scambio tra pubblico, musicisti e l’oggetto musicale (Roy e Dowd 2010).

A favorire tale processo di interazione potrebbe intervenire un potente mezzo di socializzazione, soprattutto se trasmesso da pari o mentori (Bayton 1998, Clawson 1999, Curran 1996), ovvero il genere musicale, definito da Becker (1982) come un target che si sostanzia in modi particolari di fare arte che sono suscettibili ad un cambiamento nel tempo, a volte anche repentino. Sewell (1992) aggiunge che i generi a loro volta sono costruiti da schemi e risorse culturali alimentandole poi a loro volta, e possono avere come risultato quello di rafforzare o limitare l’azione sociale e le interazioni.

La musica intesa come processo e interazione, nonostante le eventuali classificazioni in generi, ha la capacità di sfumare le distinzioni tra i generi facendo in modo che un genere in origine limitato ad un particolare gruppo sociale venga successivamente abbracciato da altri gruppi sociali (Lamont e Molnár 2002, Roy 2001, Zerubauel 1991).

Un esempio di tale sfumatura, chiamata nel lessico musicale “crossover” (Roy e Dowd 2010:196) è rappresentato dalla musica nera negli Stati Uniti.

Nonostante la razzializzazione della musica nella prima metà del ventesimo secolo, che comportava l’esclusione della musica nera dal mercato discografico (Dowd 2003, Ryan 1985), molti musicisti neri e bianchi si conoscevano tra loro, imparando gli uni dagli altri ed eseguendo rispettivamente i brani gli uni degli altri apprezzandone il valore artistico (Roscigno e Danaher 2004, Roy 2002, 2010). Questo scambio di influenze continuò fino ad arrivare all’apertura del mercato pop alla musica nera a seguito dell’impresa pionieristica delle case discografiche e delle emittenti radio minori nella seconda metà del ventesimo secolo (Dowd 2003, Ryan 1985) che permisero il riconoscimento del valore del crossover tra i generi musicali anche da parte delle case discografiche maggiori, si pensi al

45 successo del jazzista afroamericano Nat King Cole (Dowd 2003, Peterson 1997, Skinner 2006) e della sua hit “Unforgettable” del 1951.

Gli accademici per prendere in considerazione e studiare la musica che restava fuori dal mercato nel ventesimo secolo, l’hanno denominata “folk” (Roy e Dowd 2010), e rimanendo sempre sul terreno delle sfumature tra i generi o del crossover, hanno evidenziato come il genere folk, fosse ascoltato ed apprezzato anche da un pubblico con alto livello di istruzione ed occupazionale, dando luogo ad un allineamento di confini sociali e simbolici eterogenei, mettendo così in discussione l’argomentazione di Bourdieu sul legame tra capitale e classe nell’accesso al consumo di opere musicali (García-Álvarez 2007), che abbiamo riportato precedentemente nel par.1.2.2.

Alla luce sia del fenomeno della razzializzazione della musica negli Stati Uniti, sia del fenomeno del crossover tra i generi musicali e dell’apprezzamento interclasse della musica folk, risulta difficile mappare i gusti musicali e la partecipazione alle performances in termini di omologia, poiché il pubblico è costituito da individui collegati dall’esperienza musicale che raramente risultano socialmente omogenei. La musica quindi interviene in maniera non trascurabile nel sostenere e al tempo stesso riconfigurare le stratificazioni sociali (Roy e Dowd 2010). Può esistere dunque una relazione tra la musica e le disuguaglianze, e un legame tra la musica e gli studi sociologici sulla stratificazione sociale, dal momento che orientamenti sociali come i gusti e le preferenze musicali all’apparenza ininfluenti, possono contribuire a marcare socialmente distinzioni di razza, genere, classe (ibidem), o al contrario attraverso le sfumature dei confini estetici, simbolici e di significato, contribuire al loro superamento.

A seguito della rassegna della letteratura in materia e dell’analisi di come le interazioni sociali siano in particolare al cuore della produzione artistica musicale, e di come la musica stessa contribuisca alla formazione delle interazioni stesse e della configurazione e riconfigurazione stessa delle trasformazioni sociali, avvicineremo quindi la nostra ricerca allo studio di due laboratori ed esperienze di musica corale in nord Italia, che vedono il coinvolgimento di gruppi eterogenei

46 di attori costituiti da membri di collettività immigrate differenti presenti sul territorio e residenti con cittadinanza italiana.

Seguirà quindi nel capitolo successivo una presentazione ed analisi delle caratteristiche sociodemografiche dei contesti territoriali che permetterà di ricostruire lo sfondo e il contesto in cui hanno avuto luogo le progettualità ed esperienze delle realtà artistico musicali da noi scelte come casi studio della tesi qui presentata.

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Capitolo 2

La presenza immigrata nelle cornici urbane industriali e nelle

comunità montane rurali: uno sguardo sulle caratteristiche

sociodemografiche dei territori di riferimento dei casi studio

Al 01 gennaio 2019 in Italia gli stranieri residenti ammontavano a 5,2 milioni, su di una popolazione totale di 60,3 milioni di residenti, costituendo quindi l’8,6% della popolazione totale del paese.

Dal momento che la nostra ricerca rivolgerà l’attenzione sulle esperienze di produzione artistica musicale in un contesto multiculturale (in cui prendono vita interazioni, ed eventuali incontri o scontri e negoziazioni) progettate ed implementate da due associazioni attive sul territorio di due enti locali, del nord- est e del nord-ovest del paese, si è ritenuto opportuno riportare brevemente alcuni dati sulla popolazione immigrata residente nelle rispettive regioni di riferimento, in modo tale da restituire un ritratto demografico della presenza delle collettività immigrate sui territori regionali e locali e delle sue dinamiche evolutive e delle risposte dei residenti locali, delle istituzioni e della società civile alla comparsa e al consolidamento della presenza di nuovi abitanti.

2.1 Caratteristiche della presenza di stranieri residenti nella regione