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La scelta del repertorio: la musica popolare come crossover di tematiche lingue e

3.6 L’evoluzione del Coro Moro e la dimensione collettiva dell’esperienza artistico musicale

3.6.2 La scelta del repertorio: la musica popolare come crossover di tematiche lingue e

Come illustrato in precedenza, la scelta del coro fu quella di cantare prevalentemente in piemontese, la lingua della canzone tradizionale delle Valli di Lanzo che permetteva di rendere famigliare al pubblico il repertorio proposto e di stimolarne la curiosità proponendo uno spettacolo messo in scena da giovani richiedenti asilo subsahariani, favorendo così contatti e incontri.

100 La scelta della lingua in cui cantare come riportato nel primo capitolo può risultare un elemento non casuale bensì strategico, soprattutto nelle società di immigrazione, come sottolineato nella ricerca di White (2019) sull’uso del franglais da parte delle formazioni hip-hop canadesi di composizione mista da un punto di vista etnico, linguistico e sociale che mischiavano inglese e francese rafforzando l’inclusione e la solidarietà tra minoranze multilinguistiche e multiculturali sfidando le tensioni tra gruppi maggioritari e minoritari.

Tali considerazioni sulla scelta strategica della lingua da utilizzare per le proprie performances emergono anche dalla ricostruzione della propria esperienza musicale testimoniata dai membri del Coro Moro

[…] come ti ho detto cantare la canzone tradizionale non è così facile e secondo me è per quello che la gente si fidava di più e per quello siamo stati conosciuti di più, se fosse stato rap o una cosa così magari non saremmo arrivati fino a Torino, ma siccome è stata una cosa tradizionale è stato importante perché la gente dice che non siamo italiani, che non siamo nati qua cresciuti qua, e che quindi non riusciamo a parlare o capire il piemontese, e non è vero perché riusciamo a parlare e capire il piemontese

(Musa membro del Coro Moro)

Il senso della scelta del piemontese come lingua attraverso la quale proporsi al pubblico, nella testimonianza di uno dei membri più giovani del coro esprime una forma di impegno nei confronti delle comunità locali per comunicare la propria volontà di entrare in contatto con la cultura (e la lingua) delle società ospitanti, l’espressione del rifiuto dell’autoisolamento ritenuto possibile attraverso la scelta di altri stili, sonorità ed eventualmente lingue; opportunità di contatto e rifiuto dell’autoisolamento per ottenere non solo visibilità, ma anche un elemento più forte caratterizzante le interazioni sociali, ovvero la fiducia dell’altro e rivendicare quindi un riconoscimento sociale da parte della collettività autoctona.

Rivendicazione del riconoscimento sociale dell’esistenza di una componente immigrata nel tessuto sociale piemontese rafforzata dalla rivendicazione di uno

101 status di uguaglianza tra autoctoni e immigrati, è ciò che emerge dalla rappresentazione riportata dal clarinettista/sassofonista del coro sul senso dell’uso del dialetto come lingua attraverso la quale proporre le performances: un escamotage persuasivo e strategico per avviare percorsi di rivendicazione di uguaglianza tra migranti e autoctoni, sfidare e far saltare le precognizioni eventualmente etnocentriche (o razziste) del pubblico composto da residenti piemontesi

[...] era più un comunicare una questione e fargli vedere oh guarda che il morus c’è è qua ed è come te cioè canta e poi è stato molto potente il fatto di farli cantare in piemontese [...]

(Flavio sezione fiati del Coro Moro)

A partire dalla scelta della lingua attraverso la quale presentare il progetto al pubblico, il coro ha quindi potuto lavorare sulla costruzione del proprio repertorio canoro.

Partendo da una riproposizione fedele di canzoni tradizionali, i cui testi sono accessibili dagli allegati cartacei alle produzioni discografiche fisiche del coro, quali “La Bergera” canzone sulla storia d’amore di una giovane pastora, “Fija mia, pijlo pa”, sullo scontro tra una giovane ragazza e la sua famiglia in merito alla scelta dello sposo, “Se chanto” inno occitano, canzoni che affrontano tematiche legate al mondo bucolico e della pastorizia, venne fatto un lavoro di reinterpretazione della tradizione popolare piemontese e italiana

[...] si è fatto uso di parodie che è una cosa molto viva nella musica popolare, tipo "mamma mia dammi cento lire che in America voglio andar" che diventa "mamma mia dammi cento euro che in Italia io voglio andar" è geniale perché è un modo per comunicare e far vedere che i tempi possono cambiare ma la gente è sempre quella, una volta eravamo noi a spostarci adesso sono loro e quindi che differenza c’è? [...] oppure “Mare di Livorno” che diventa “Mare di Sicilia”, quel canto è una parodia tratta da alcuni stornelli toscani attestati già nel Cinquecento

102 ma diffusi anche in altre Regioni italiane che avevo trovato io in alcune registrazioni sul campo negli archivi sonori dove lavoravo […] e l’abbiamo proposto per il repertorio

(Flavio sezione fiati del Coro Moro)

[…] “Mare di Sicilia” o “Mamma mia dammi 100 euro” noi l’abbiamo attualizzate a questo momento […]

(Omar membro del Coro Moro)

La reinterpretazione delle canzoni popolari italiane attraverso l’uso della parodia per attualizzarle alla nostra contemporaneità storica emerge quindi come strategia per rinnovare ancora la rivendicazione di uno status di uguaglianza tra autoctoni e immigrati che nel ribaltamento della prospettiva dei protagonisti della canzone “Mamma mia dammi cento lire” trova l’occasione per porre luce su una riflessione in merito ad una condivisione dei significati dell’esperienza delle disuguaglianze sociali vissute in due periodi storici differenti sia dalle collettività immigrate presenti oggi in Europa tanto quanto dai cittadini italiani il secolo scorso; su tale strategia per la rivendicazione di uno status di uguaglianza torneremo più avanti attraverso l’analisi del testo della parodia di suddetto brano popolare italiano.

La scelta di reinterpretare le canzoni della tradizione popolare viene poi illustrata in maniera approfondita da una delle fondatrici del Coro Moro, la quale ribadisce che è stata considerata una modalità attraverso la quale poter trasportare le istanze e le sfide aperte dalla questione migratoria all’interno della canzone popolare italiana e piemontese per arricchire quindi la tradizione popolare con tematiche nuove e attualizzate al periodo storico odierno creando così un’opportunità di tramandare narrazioni inedite all’interno della canzone popolare

[…] Poi abbiamo iniziato a prendere delle canzoni tradizionali e a mutare il testo cioè normalmente lo mutavamo parlando della questione dei migranti in Italia, che tra l’altro è sempre stato il modo classico di tramandare le canzoni tradizionali, una volta non c’era youtube con le lyrics per i testi, i testi delle canzoni

103 si tramandavano oralmente e ognuno portando avanti nella storia la canzone se la modificava perché voleva raccontare un determinato fatto in quel momento e sulla stessa musica le canzoni cambiavano, e anche noi ci siamo semplicemente limitati a proseguire questa tradizione, tutte le canzoni qui sono tramandate dai nonni per esempio, e quello che è rimasto è perché qualcuno ha avuto voglia di insegnarlo ad un giovane magari in una stalla, e alcuni giovani ancora lo fanno, però magari il giovane la trascrive e ci mette anche qualcosa di suo, questa è la forza della canzone tradizionale

(Laura fondatrice del Coro Moro)

Tale intuizione riguardo la forza della canzone tradizionale e alla malleabilità della materia canzone porta in sé un elemento ontologico della musica, ovvero quello dell’interazione sociale, in quanto la musica, come già riportato nel primo capitolo della nostra ricerca, viene considerata da una parte della letteratura sociologica come azione in divenire; la musica come azione il cui significato come sostiene Schűtz (1951) viene costruito attraverso l’interazione tra individui, e per la quale la musica a sua volta si presenta come un canale che la rende possibile.

Un processo che risulta evidente nella scelta del repertorio, nelle prove e nella performance dal vivo del Coro Moro; azioni attraverso le quali le persone, sia musicisti che pubblico, lavorano collettivamente per interpretare e rappresentare il mondo con il quale si confrontano, costruire significati in un mondo di vita intersoggettivo e un set di relazioni (Roy e Dowd 2010); la musica in questa prospettiva diviene una risorsa per la vita associata (De Nora 2000).

È proprio in questa prospettiva di musica come processo, azione e lavoro collettivo per interpretare e rappresentare la realtà che il Coro Moro ha costruito il proprio repertorio proponendo, come riportato precedentemente, una reinterpretazione della canzone popolare, strategica per poter portare all’interno della canzone popolare e divulgare temi e messaggi fino a quel momento inediti alla canzone tradizionale che avranno un chiaro intento politico rivolto alla creazione di un’arena musicale per la promozione e riconoscimento delle istanze e dei diritti del mondo migrante.

104 Prendiamo in considerazione il brano “Mamma mia dammi cento euro” che ribalta la prospettiva sulla migrazione, non più quella italiana negli Stati Uniti nel diciannovesimo e prima metà del ventesimo secolo, bensì quella contemporanea subsahariana verso l’Europa meridionale

“Mamma mia dammi cento euro che in Italia voglio andar…! Cento euro io te li dò

ma in Italia oh no, no, no.

Suoi fratelli alla finestra mamma mia lasselo andar. Vai vai pure figlio ingrato che qualcosa succederà.

Quando furono in mezzo al mare il gommone si sprofondò.

Pescatore che peschi i pesci il mio figlio vai tu a pescar.

Quando furono sulla riva cooperativa li va a piglià e li porta sulla montagna

più di un anno a bere e mangià.

Or che siamo sulle montagne e questa vita ci piace far

però senza i documenti qui in Italia non si può star.

Il consiglio della mia mamma l’era tutta la verità

105 l’è stà quello che m’ha ingannà”

Il brano mentre mantiene la sua melodia originale, diventa oggetto di un ribaltamento totale della prospettiva dell’esperienza migratoria narrata, ovvero acquisisce il punto di vista e la voce dei giovani migranti subsahariani, non solo nella sua esecuzione in studio e dal vivo, ma anche nei temi: la pericolosità del viaggio intrapreso per mezzo degli smugglers (terza strofa), l’esperienza nei percorsi di accoglienza in Italia gestiti dalle cooperative (quarta strofa), l’istanza della regolarizzazione e la difficoltà di affrontare l’iter amministrativo per ottenere un permesso di soggiorno che non sempre si riesce a vedersi riconosciuto e che si scontrano con il lungo periodo di attesa dei documenti durante il quale i giovani richiedenti asilo fanno esperienza di occasioni di socializzazione informali con il territorio in cui si trovano a vivere (quinta strofa).

Altro brano del repertorio del Coro Moro è un brano inedito dal titolo “L’ai traversà” che utilizza arrangiamenti della musica tradizionale e il dialetto piemontese per raccontare l’esperienza del viaggio attraverso il continente africano e il mediterraneo alla volta dell’Europa meridionale

“L’ai traversà quasti tut’an cuntinent, Sun atacame a la vita anche cui dent… E la nostra storia ades duvriu cuntè! E col coro moro nui l’anduma a ‘chantè!”

I versi cantanti in dialetto piemontese servono da cornice introduttiva e conclusiva al corpo centrale del brano, costituito da una parte non più cantata bensì recitata in lingua italiana in cui attraverso una narrazione parlata sullo sfondo di arrangiamenti musicali i membri stranieri del coro trovano una dimensione sonica e scenica attraverso la quale narrare al pubblico la propria esperienza migratoria, sulla quale torneremo nel paragrafo successivo.

Un ulteriore brano sul quale si vuole concentrare l’attenzione in questa breve rassegna e approfondimento del repertorio del coro moro, è un brano il cui testo

106 è stato scritto da un membro del Coro Moro proveniente dal Gambia in lingua mandinka dal titolo “Sambing bii naa’” che significa “Tra un po’ arriverò”

“Sambing bii naa’ Sambing bii naa’ la su’ Aling nga taa’

Aling nga taa’ naa su’ Ntol naal bii taa’

Ntol naal bii taa’ la su’”

“Io adesso sono qui Tra un po’ arriverò a casa Andremo tutti insieme. È una promessa Ritorneremo a casa

Un brano sul tema del viaggio che in pochi versi condensa la dimensione dello sradicamento caratterizzante le esperienze diasporiche, la nostalgia, la tensione verso il ritorno quale prospettiva futura, e al tempo stesso l’incontro e l’intreccio tra la società di origine e quella di approdo in un presente interdipendente e globalizzato.

Alla reinterpretazione di testi tradizionali per attualizzarli alla questione migratoria, all’uso del dialetto piemontese per narrare le vicende dei richiedenti asilo, all’uso di dialetti africani nelle canzoni proposte in repertorio, il Coro Moro aggiunse l’uso di percussioni tradizionali grazie alla presenza fortuita tra i richiedenti asilo delle valli di un giovane percussionista professionista

[...] Makan, questo ragazzo maliano unico musicista del gruppo, è un "griot" e fa parte da dinastie di questi cantastorie, li studi all’università e gli ho detto ma dai non è possibile e lui ha iniziato a raccontarmi la mitologia griot estremamente affascinante e poi lui suona il Tamà detti anche tamburi parlanti o a clessidra, lui

107 è stato per me un’esperienza forte del coro moro ed è stata una bella conoscenza, e poi è testimone della sua cultura perché è nato in una zona rurale, però al tempo stesso ha viaggiato ed è il migliore testimone della sua cultura perché ci è dentro ma anche un po’ fuori e lui stesso riesce a leggersi [...]

(Flavio sezione fiati Coro Moro)

Le parole del sassofonista/clarinettista del coro fanno emergere l’entusiasmo derivante dall’opportunità dell’incontro e della collaborazione con un musicista professionista che portò all’interno della tradizione popolare piemontese la tecnica e le sonorità della canzone tradizionale maliana; un’opportunità considerata sia un’occasione di scambio quanto di arricchimento e crescita sia personali per il nostro intervistato che per la scena della musica popolare delle valli che in precedenza abbiamo visto essere considerata per sua natura una realtà in costante movimento ed evoluzione; un’opportunità che forse senza l’esperienza del coro non si sarebbe data e che restituisce quindi in maniera forte quanto il progetto Coro Moro fosse inserito e riconosciuto nel panorama dei musicisti di musica tradizionale e folk revival della regione.

Questo lavoro collettivo portato avanti dal Coro Moro di reinterpretazione di arrangiamenti tradizionali, dei testi, e di mescolamento di lingue, strumenti musicali e suoni reso possibile, come riportato nelle testimonianze dei fondatori e membri del coro in queste pagine, dalla natura stessa della musica tradizionale che si presta al mutamento, alle contaminazioni, al movimento attraversando le epoche storiche, ha portato ad una sfumatura dei confini tra l’estetica dei suoni, gli idiomi e i significati convogliati dalle canzoni stesse.

Tale sfumatura nella musica come azione e processo viene denominata dalla letteratura “crossover” (Roy e Dowd 2010:196), di cui ricordiamo un esempio rappresentato dalla musica nera negli Stati Uniti: un genere originariamente razzializzato ed escluso dal mercato discografico bianco (Dowd 2003, Ryan 1985), ma nei cui retroscena underground vedeva un vivace scambio di contatti ed esperienze tra musicisti afroamericani e bianchi (Roscigno e Danaher 2004, Roy 2002, 2010) dal quale alla fine ne scaturì un’influenza reciproca tale da aprire

108 successivamente il mercato pop americano alla musica nera (Dowd 2003, Ryan 1985).

Come sostenuto da Lamont e Molnár (2002), Roy (2001) e Zerubauel (1991), il crossover permette di sfumare le distinzioni tra i generi facendo in modo che un genere che in origine potrebbe essere limitato solamente ad un pubblico appartenente ad un determinato gruppo sociale, venga successivamente abbracciato da altri gruppi sociali.

Inoltre, in letteratura la musica della tradizione tramandata oralmente, e la musica che in generale quindi rimaneva fuori dal mercato, identificata come folk (Roy e Dowd 2010), risulta un genere apprezzato da un pubblico socialmente eterogeneo (García-Álvarez 2007), in cui l’unico legame e tratto in comune che si viene a creare tra i membri del pubblico è costituito dall’esperienza musicale stessa, facendo quindi della musica un fattore che può intervenire sia nel sostenere eventuali distinzioni sociali e separazioni, sia agire per una riconfigurazione delle stratificazioni sociali (Roy e Dowd 2010), contribuendo al superamento delle stesse.

La forza aggregante del crossover viene testimoniata nell’esperienza del Coro Moro dall’intensa attività concertistica sostenuta per più di un triennio che vide una nutrita partecipazione di pubblico; un pubblico eterogeneo, dagli amanti del genere tradizionale e della contaminazione, ai neofiti e curiosi fino agli aperti contestatori del progetto Coro Moro.

3.6.3 L’attività concertistica tra attivismo e rivendicazione di uno spazio per