• Non ci sono risultati.

3.6 L’evoluzione del Coro Moro e la dimensione collettiva dell’esperienza artistico musicale

3.6.1 Le prove del coro

La prima attività che si avvertì l’urgenza di organizzare e strutturare una volta intrapresa la decisione di fondare il progetto Coro Moro fu quella delle prove,

96 ovvero trovare un luogo adatto, organizzare il calendario settimanale, riunire i ragazzi e condurre il coro.

Dalle testimonianze dei fondatori emerge una collaborazione da parte degli enti locali e delle cooperative che gestivano l’accoglienza che non posero quindi particolari ostacoli all’avvio embrionale del progetto che necessitava appunto di spazi e luoghi per divenire pratica, fossero questi pubblici o privati, a differenza della fase iniziale dell’arrivo dei richiedenti asilo sul territorio come riportato nei paragrafi precedenti

[…] allora abbiamo detto facciamo le prove [...] siamo rimasti in 10-12 affezionati e così abbiamo cominciato e abbiamo continuato, i ragazzi erano lì non avevano niente da fare quindi era molto facile fare le prove quando volevamo tra Ceres e Pessinetto [...] Avevamo questa tastierina piccola, la attaccavamo bastava avere la corrente e poi si partiva con facciamo questa facciamo quella, no riproviamo, tutto normalissimo e molto grezzo, il nostro maestro era Luca, lui suonava e ci faceva da maestro, io magari mi mettevo a suggerire le parole, ma alla fine abbiamo imparato a cantare in sincrono con l’esperienza, le canzoni degli inizi erano molto semplici e poi a forza di farle cento volte le impari [...] Le svolgevamo gratuitamente in un salone del comune di Ceres che si trova in piazza o nel vecchissimo albergo di Pessinetto dove avevano aperto un Cas e alloggiato altri ragazzi [...]

(Laura fondatrice Coro Moro)

Interessante risulta l’emersione di una mancanza di resistenze da parte degli enti locali e delle cooperative che gestivano i centri di accoglienza straordinaria in merito all’accesso a locali di loro proprietà, quindi pubblici per i primi, privati per le seconde, in cui poter svolgere attività ricreative rivolte ai richiedenti asilo ed autogestite da gruppi spontanei di privati cittadini. Tale mancanza di resistenze da parte quindi di attori pubblici e privati responsabili della gestione della presenza di richiedenti asilo sui territori di Ceres e Pessinetto suggerisce una sorta di delega informale a membri della comunità locale di un onere che invece

97 dovrebbe essere istituzionale con la compartecipazione di imprese private come risulta dal d.lgs. 142/2015. Una delega che si traduce in opportunità sia per quei membri della comunità locale sensibile alle istanze del mondo migrante, della partecipazione e dell’inclusione sociale e in una sorta di dialogo tra istituzioni e cittadini a conflittuale e generativo, ma che al tempo stesso potrebbe rivelare ancora una volta le criticità del sistema di accoglienza in Italia e una presa di posizione politica istituzionale ben lontana dall’assunzione di responsabilità derivante dalla normativa nazionale. Tale laisser faire che non è privo di contraddizioni in termini di significati politici, fu comunque un elemento propulsivo per l’avvio delle prove del coro e del consolidamento del progetto

Molto semplicemente di solito c’era un testo di una canzone, le prove le facevamo da Luca, cercavamo di fare inquadrare le voci suddividere un po’ le voci [...] poi le prove erano molto festose soprattutto all’inizio mentre io improvvisavo con basso sax clarinetto, certo definivamo una struttura, il numero di giri e quant'altro e poi si andava [...]

(Flavio sezione fiati del Coro Moro)

Dalle parole dei fondatori persiste anche nel suo avvio il carattere spontaneo del progetto, basato sull’improvvisazione e l’autogestione, nonché il valore che tale esperienza poteva assumere per i ragazzi inseriti nei percorsi di accoglienza quale strategia di attivazione e resistenza, dato che inattività e isolamento all’interno delle strutture di accoglienza rimanevano elementi critici che caratterizzavano la quotidianità dei richiedenti asilo delle Valli di Lanzo. Infatti, dalle rappresentazioni degli stessi richiedenti asilo che riporteremo in seguito emerge, nonostante l’impegno e la fatica richiesti dalle prove, l’importanza di tale esperienza per avviare processi di aggregazione, socializzazione e per strutturare legami

[...] le prove non è stato facile perché siamo arrivati da paesi diversi dal Senegal, dal Gambia e tra i due abbiamo la stessa cultura ma la differenza era inglese

98 francese [...] e altri tipo dal Ghana che la cosa che abbiamo in comune è l’inglese ma poi tra l’altro le lingue dialetti sono tutte diverse […] ma poi siamo stati uniti come una famiglia perché facendo le cose insieme è nata amicizia, fiducia, sai se le persone stanno sempre insieme e fanno le cose insieme c’è più fiducia, c’è più amicizia siamo famiglia no? È una bella esperienza [...]

(Musa membro del Coro Moro)

Le prove all’inizio le facevamo a Pessinetto, Luca e Laura venivano da Ceres e portavano alcuni ragazzi perché solo loro due avevano la patente, noi eravamo fissi a Pessinetto invece, poi facevamo le prove ci divertivamo un sacco e si vedeva che era bello e la gente aveva bisogno di divertirsi e poi passavamo tutta la sera a divertirci e a volte dopo andavamo a mangiare assieme

(Aliou membro del Coro Moro)

Nonostante la fatica percepita da parte di alcuni membri del coro rappresentata dal dover partecipare alle prove con una certa costanza spostandosi da un comune all’altro delle valli e dai luoghi dove erano domiciliati, e nonostante le difficoltà legate a quello che viene ritratto come una sorta di piccolo scontro- tensione tra migranti provenienti da differenti paesi subsahariani nella condivisione del tempo e dello spazio durante prove, dovuto ad una difficoltà di comprensione reciproca conseguente alle distanze linguistiche e culturali esistenti tra loro, vediamo emergere un apprezzamento nei confronti di uno dei risultati che derivarono da tale esperienza: la possibilità di accedere a momenti di divertimento e alleggerimento della propria condizione; sentirsi un gruppo unito e accomunato dalle stesse sfide migratorie, una famiglia, ovvero costruirsi una rete di riferimento e reciprocità con cui affrontare il loro percorso di accoglienza in Italia.

Infine, l’ostacolo e la sfida più significativa per i membri del coro stranieri nello svolgimento delle prove, come emerge dai prossimi estratti di intervista, erano rappresentati dall’acquisizione e comprensione della lingua italiana che richiese tempo e collaborazione tra loro e i fondatori del progetto, ma che, come vedremo

99 nei paragrafi successivi, rappresenterà un impegno-occasione di familiarizzazione con la lingua italiana che anche se vissuto come inizialmente difficoltoso e frustrante porterà non solo a delle soddisfazioni personali di tipo artistico i membri del coro, ma avrà successivamente un impatto positivo sui percorsi e traiettorie individuali dei giovani migranti velocizzando il raggiungimento degli obiettivi dei propri progetti migratori

[...] le prove era difficili perché dovevamo trovare come cantare tutti insieme con il ritmo giusto per tutti […] dovevamo trovare l’equilibrio per tutti [...] c’era l’ansia perché ci sono delle parole in piemontese o in occitano che potevamo prendere dei giorni o delle settimane per capirle e cantare [...] però ce l’abbiamo sempre fatta

(Omar membro del Coro Moro)

Luca ci dava prima i testi delle canzoni e ci diceva la prossima settimana ci vediamo e noi ci mettevamo lì a leggere perché già l’italiano lo sapevamo leggere però alla luce della nostra comprensione e quando ci vedevamo magari leggevamo i testi e ci dicevano questo non si legge o pronuncia così, questo significa questo […] mi ricordo che anche ai primi concerti avevamo sempre i fogli a mano e canti ma poi ci siamo detti no ragazzi dobbiamo imparare le canzoni a memoria […] e non è stata una cattiva idea, pian piano ci siamo riusciti [...] alla fine avevamo 12-13 canzoni [...]

(Maurice membro del Coro Moro)

3.6.2 La scelta del repertorio: la musica popolare come crossover di tematiche