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d a dove parte uno spirito creatore

“L’uomo che piantava gli alberi”

4. d a dove parte uno spirito creatore

Primo quesito: da dove parte uno spirito creatore?

Uno spirito creatore non parte dalle cose che già vanno bene. Un vero spirito creatore parte da una terra “informe e desertica e le tenebre ricoprono l’abisso”. Una descrizione più negativa di questa non c’è.

Questo è l’inizio della Bibbia, per chi crede. Noi possiamo sempre dire che è diventato “padre misericordioso” e tutte le altre elaborazioni successive, ma la prima modalità con cui la Bibbia presenta Dio è come spirito creatore. Io direi a molti religiosi: “Scusate, se volete essere figli di Dio, oggi che cosa volete creare?”, non basta fare come il papa che va in

Inghilterra a parlare dei pedofili in termini negativi! Sono membri tuoi, che tu hai selezionato, che tu hai formato, che hai fatto esprimere! Cioè, questo atteggiamento di eliminare gli opposti e di eliminare il negativo è facile, ma lo spirito di Dio non scappa, aleggia sulle acque.

Vediamo da dove parte il racconto. Per chi ha fatto il corso di Episte-mologia Globale (v.), lo chiamiamo Stato Quiete (v.), che significa da dove si parte, l’identità di partenza.

Una quarantina circa di anni fa, stavo facendo una lunga camminata, tra cime assolutamente sconosciute ai turisti, in quella antica regione delle Alpi che penetra in Provenza. Si trattava, quando intrapresi la mia lunga passeggiata in quel deserto, di lande nude e monotone, tra i milledue e i milletrecento metri di altitudine. L’unica vegetazione che vi cresceva era la lavanda selvatica.

Vedete, qui c’è proprio l’idea del deserto.

Attraversavo la regione per la sua massima larghezza e, dopo tre giorni di marcia, mi ritrovavo in mezzo a una desolazione senza pari. Mi accampai di fianco allo scheletro di un villaggio abbandonato.

Sono tutte immagini di una situazione di partenza disastrosa.

Non avevo più acqua dal giorno prima e avevo necessità di trovarne.

Nel deserto senza acqua noi non sopravviviamo molto.

Quell’agglomerato di case, benché in rovina, simile a un vecchio alveare, mi fece pensare che dovevano esserci stati, una volta, una fonte o un pozzo.

Ciò che è desertico e informe è stato vita; la storia questo è. Nel momento in cui la storia esprime vita, è lo stesso momento in cui esprime la non-vita, la morte. Quindi, non c’è niente che rimane eternamente in vita. Noi siamo soggetti al ciclo vita-morte, continuamente.

C’era difatti una fonte, ma secca. Le cinque o sei case, senza tetto, corrose dal vento e dalla pioggia, e la piccola cappella col campanile crollato erano disposte come le case e le cappelle dei villaggi abitati, ma la vita era scomparsa.

Vedete, la vita era scomparsa.

Era una bella giornata di giugno, molto assolata ma, su quelle terre senza riparo e alte nel cielo, il vento soffiava con brutalità insopportabile.

In questa situazione, anche il vento diventa insopportabile.

I suoi ruggiti nelle carcasse delle case erano quelli d’una belva molestata durante il pasto. E, oltretutto, conoscevo perfettamente il carattere dei rari villaggi di quella regione. Ce ne sono quattro o cinque sparsi lontani gli uni dagli altri sulle pendici di quelle cime, nei boschi di querce al fondo estremo

delle strade carrozzabili. Sono abitati da boscaioli che producono carbone di legno. Sono posti dove si vive male.

Certamente, nel disagio si vive male.

Le famiglie, serrate l’una contro l’altra in quel clima di una rudezza eccessiva, d’estate come d’inverno, esasperano il proprio egoismo sotto vuoto.

Quando si sta male, si è inariditi; anche in una famiglia o in una coppia, ci sono essenzialmente i conflitti e stanno male tutti.

L’ambizione irragionevole si sviluppa senza misura, nel desiderio di sfuggire a quei luoghi.

Tutti vogliono sfuggire dai luoghi desertici che non danno vita.

Gli uomini portano il carbone in città con i camion, poi tornano. Le più solide qualità scricchiolano sotto questa perpetua doccia scozzese. Le donne covano rancori. C’è concorrenza su tutto, per la vendita del carbone come per il banco di chiesa, per le virtù che lottano tra di loro, per i vizi che lottano tra di loro e per il miscuglio dei vizi e delle virtù, senza posa.

C’è caos e non sta bene nessuno.

Per sovrappiù, il vento altrettanto senza posa irrita i nervi. Ci sono epidemie di suicidi e numerosi casi di follia, quasi sempre assassina. Nel 1913 quella frazione di una dozzina di case contava tre abitanti. Erano dei selvaggi, si odiavano, vivevano di caccia con le trappole; più o meno erano nello stato fisico e morale degli uomini preistorici. Le ortiche divoravano attorno a loro le case abbandonate. La loro condizione era senza speranza.

La loro condizione è senza speranza. La condizione da cui si parte è così brutta che nessuno spera più che sia possibile cambiare. Questo lo dico per chi parte da una situazione familiare con diagnosi cosiddette psicotiche che vengono viste come diagnosi “senza speranza”.

Non avevano altro da fare che attendere la morte: situazione che non dispone alla virtù.

Attendere la morte, cioè dire: “Non c’è niente da fare!”. Molte persone quando vedono una cosa cronica - “cronico” significa che passa il Kronos (v.), cioè il tempo, e non cambia niente -, preferiscono che muoia il loro parente.

Come avete visto, vi ho dimostrato che qui c’è lo stesso discorso della Genesi. Solo che, mentre lì c’è solo un elenco, qui si arricchisce di tanti particolari.

Uno spirito che non è creatore va in ansia, ha paura e scappa, oppure delega: “Verrà qualche altro che ci penserà, ci sarà qualcuno per mio

figlio se lo mando in comunità”. Davanti a queste cose non abbiamo il coraggio di dire: “Ma io oggi posso essere e voglio essere spirito creatore?”.

5. Qualicaratteristichehaunospiritocreatore

Per chi decide di essere spirito creatore, adesso vediamo dal testo quali sono le caratteristiche necessarie. È ovvio che non lo leggerò in sequenza così come è, l’ho riorganizzato per quello che serve a me.

Stavo facendo una lunga camminata, tra cime assolutamente sconosciute ai turisti.

Prima caratteristica. Uno spirito creatore, se vuole creare, si mette in ambiti sconosciuti alle persone che vivono nell’ordinario. Chi vive già nelle situazioni in cui si sta bene o si pensa di stare bene, difficilmente diventerà uno spirito creatore, ma diventa solo un “cammello”, uno che deve stare negli obblighi-doveri dell’organizzazione dove già sta, con qualche vantaggio, perché ogni cosa dà un vantaggio. Non solo, ma bisogna fare una “lunga camminata”.

Questa regione è delimitata a sud-est e a sud dal corso medio della Durance, tra Sisteron e Mirabeau; a nord dal corso superiore della Drome, dalla sorgente sino a Die; a ovest dalle pianure del Comtat Venaissin e i contrafforti del Monte Ventoux. Essa comprende tutta la parte settentrionale del dipartimento delle Basse Alpi, il sud della Drome e una piccola enclave della Valchiusa.

Seconda caratteristica: bisogna farlo nella storia. Secondo me, non lo si può fare dicendo: “Io prego per gli altri perché dopo andremo tutti in paradiso”! E oggi chi ci salva? Cioè, ci vuole qualcuno che scelga di starci storicamente e faccia una “camminata tra cime”, che dà l’idea dello sforzo, del sacrificio, del salire; non è una discesa comoda, ma un salire.

Era un pastore. Una trentina di pecore sdraiate sulla terra cocente si riposavano accanto a lui.

Un altro aspetto dello spirito creatore è che si tratta di una persona che vive all’interno di questa regione, quindi una persona che in quel contesto deve essere minimamente radicata. Non si può pensare che io sono pieno di Spirito (v.) e voglio andare a fare il missionario chissà dove! Debbo incardinarmi, devo far parte integrante di quella realtà, possibilmente essendo anche capace di autoalimentare quello Spirito

(v.) che aleggia, perché produco io stesso il cambiamento. Mentre parlo, traducete questo anche in questo senso: come stare a contatto con le persone cosiddette psicotiche, perché è lo stesso.

L’uomo parlava poco...

Quando stiamo nelle situazioni più difficili, mia madre mi ha trasmesso questo proverbio: “citt’ a vocc’ e forz’ ‘e nerv’”. Cioè, quando sei in queste situazioni, non parlare molto, “zitto con la bocca” e “forza ai nervi”, significa: procedi! Stai attraversando il canale da parto e lì è inutile parlare. Forza ai nervi e spingi!

...ma lo si sentiva sicuro di sé e confidente in quella sicurezza.

Non si può aiutare una persona che sta male in una situazione racca-pricciante se io non sono sicuro. “Sicuro” significa che mi sento abba-stanza fiducioso di stare in quella situazione e provo a fare qualcosa. Ma io devo essere sicuro, io lo devo fare! Non può essere l’esterno che mi dà quella sicurezza! E devo essere confidente in quella sicurezza, devo avere fiducia. “Fiducia” significa che, nei momenti in cui mi sembra che non ci sia, ci devo credere, devo affidarmi. Sono condizioni abbastanza difficili.

Era una presenza insolita in quella regione spogliata di tutto.

“Insolita”, perché non riflette la situazione di degrado e di deserto che c’è. Se io già sto male con me e sono un genitore, un operatore, come capita in molte comunità, in molti Presidi, ecc., se io non sto bene in quella regione, non posso aiutare nessuno.

Non abitava in una capanna ma in una vera casa di pietra, ed era evidente come il suo lavoro personale avesse rappezzato la rovina che aveva trovato al suo arrivo.

Al suo arrivo, ha rappezzato quello che era distrutto.

Il tetto era solido e stagno. Il vento che lo batteva faceva sulle tegole il rumore del mare sulla spiaggia. La casa era in ordine, i piatti lavati, il pavi-mento di legno spazzato, il fucile ingrassato; la minestra bolliva sul fuoco.

Anche se io sono in una situazione difficile, devo curarmi, non posso dire: “Va tutto male! Mio figlio non mi fa più vivere!”. No, tu salvaguarda il tuo spazio in cui ti incardini, cioè dove stai bene! Perché se tu non hai un riferimento, come fai a riprendere energia? La situazione cosiddetta psicotica ti sfianca. Ma se tu non hai cose in cui ti ricavi “una casa di pietra, l’ordine”, ecc., come fai? Uno ti può dire: “Veramente perdi tempo in queste cose secondarie?”. No, il mio corpo lo voglio curare! Invece, quando abbiamo dei problemi, noi ci lasciamo andare.

Notai che l’uomo era rasato di fresco, che tutti i suoi bottoni erano soli-damente cuciti, che i suoi vestiti erano rammendati con la cura minuziosa che rende i rammendi invisibili.

Più dobbiamo affrontare cose difficili, più dobbiamo avere un nostro riferimento, un nostro habitat che sia buono per noi, altrimenti come facciamo a ripartire?

Gli domandai se quella terra gli apparteneva. Mi rispose di no. Sapeva di chi era? Non lo sapeva. Supponeva che fosse una terra comunale, o forse proprietà di gente che non se ne curava? Non gli interessava conoscerne i proprietari.

Di chi è proprietà la terra? Di qualche conquistatore che se ne è appropriato! Di chi sono proprietà le cosiddette Americhe? Di chi se ne è appropriato! E chi l’ha detto? Quindi, non gli interessava conoscere i proprietari. Oppure quando uno dice: “Ma come, tu non fai come dice Freud o come dice l’APAC?”. No, io provo e, se non realizzo, cambio.

Cioè, la proprietà della vita non è di nessuno. Posso ascoltare il parere degli altri, ma anche io allora sono proprietario! Certamente, non vado a casa di un altro e gli dico: “Esci fuori da questa casa perché è mia!”, però c’è sempre una parte della vita che non possiamo considerare proprietà di nessuno. Qual è il problema di oggi? Che l’economia finanziaria si è appropriata di tutto, perfino di come dare una stretta di mano e quanto costa, come far giocare i bambini, come dire una buona parola, come dire la messa, e tutto questo ha un costo economico. Lo spirito creatore va alla ricerca di qualcosa di cui non gli interessa conoscere i proprietari, semplicemente perché la vita viene prima dei proprietari. Uno che vuole creare cose di vita se ne frega dei proprietari.

Aveva posseduto una fattoria in pianura.

Se una persona non comincia a possedere cose sue e a starci bene, non potrà mai diventare uno spirito creatore perché sarà preso dalle sue paure.

Bisogna prima aver posseduto qualcosa in cui noi ci siamo trovati bene.

Aveva vissuto la sua vita.

Lo spirito creatore deve anche aver vissuto un po’ di armonia nelle cose sue.

Aveva perso il figlio unico, poi la moglie.

In questo caso, perde addirittura il figlio unico e poi la moglie. Nella vita ci sono possedimenti e perdita dei possedimenti. Quindi, più uno ha esperienza, più può essere spirito creatore.

S’era ritirato nella solitudine...

Dopo che aveva perduto, si era ritirato nella solitudine: c’è una reazione al negativo, che è una reazione di regressione. Anche lui conosce che significa diventare desertico, sterile, tenebroso. Lo spirito creatore non è uno che è il più bravo, il più bello, il più ispirato che Dio ha scelto! È quello che più ha attraversato i vari aspetti della vita.

...dove trovava piacere a vivere lentamente, con le pecore e il cane. Aveva pensato che quel paese sarebbe morto per mancanza d’alberi.

Comincia a tenere conto che tutto quello che ha vissuto lo deve incarnare oggi, nel territorio in cui sta.

Non avendo altre occupazioni più importanti, s’era risolto a rimediare a quello stato di cose.

Lo spirito creatore non interpreta soltanto dicendo: “Ah, qui ci vorreb-bero persone interessate! Qui ci vorrebbe qualcuno per mio figlio!”, ma si risolve lui a rimediare a quello stato di cose. Cioè, è responsabile, entra direttamente in scena, non delega.

Operava in una solitudine totale.

Lo spirito creatore deve anche essere pronto a vivere ed operare in situazioni in cui la sua solitudine è totale, cioè deve fare riferimento solamente a se stesso. Se uno dice: “Io faccio questo se c’è il mio amico.

Io faccio quello se c’è il medico, se c’è un gruppo”, non va bene. Tu per primo cosa vuoi fare? “Solitudine” da “sollus” significa appunto “intero”, cioè sto così piacevolmente con quello che già io sono, che non ho paura di quello che c’è da fare, e quindi mi metto a farlo.

Il lavoro calmo e regolare...

La creazione non si fa con la bacchetta magica, facendo oggi un terremoto e poi tutto il resto! Queste sono letture o previsioni infantili.

“Lavoro calmo e regolare” dà proprio l’idea di una continuità. Conti-nuità sapendo che ci vuole tempo e possono venire fuori tante sorprese che uno neanche immagina.

...l’aria viva di altura...

Cioè, beneficia anche delle condizioni attorno a sé. Vive la frugalità. Lo spirito creatore non può dire: “Mi manca questo, mi manca quell’altro, nessuno mi riconosce!”. “Frugalità” non significa che uno rinuncia, ma si accontenta del poco, perché ha un obiettivo molto più grande.

...e soprattutto la serenità dell’anima...

In profondità, lo spirito creatore ha una Scintilla Metastorica (v.),

cioè sa che questa storia, anche se negativa, è stata buona, perché tutto proviene da una fonte che lui non riesce a vedere completamente, non riesce a conoscere e a sapere. Però è sereno perché sa che c’è, anche se non la riesce a vedere nella sua storia attuale.

...avevano conferito a quel vecchio una salute quasi solenne.

Il problema non è di vivere in condizioni disagiate o lavorare tanto, non è quello che ci fa morire o che ci fa avere problemi di salute. Ci sono malattie autoimmunitarie che colpiscono i vari organi, la tiroide, l’intestino, lo stomaco ma anche il sistema nervoso, che i medici non sanno spiegarsi, e allora aggiungono delle paroline facendo la diagnosi.

Probabilmente, se andiamo ad approfondire ciò che quella persona ha vissuto, vediamo che non c’è stato “lavoro calmo e salutare”, l’aria viva di altura, la frugalità, la serenità. Gli sono mancate queste altre cose.

Era un “atleta di Dio”.

Questo Elzéard Bouffier è uno che nella storia è un “atleta di Dio”, cioè dell’In.Di.Co. (v.). Lo spirito creatore non è uno che lo fa perché deve aumentare il fatturato! Se è così, prima o dopo si ferma. Non lo fa perché gli altri gli dicono che è bravo, perché altrimenti, quando gli dicono che non lo è, si ritira. È un “atleta di Dio”, cioè un rappresentante dello spirito creatore in questo ambito. Quindi, il suo riferimento non possono essere gli altri.