• Non ci sono risultati.

c ome si Forma e come cresce una situazione cosiddetta “ psicotica ” Qual è il titolo che vorrei dare a questo racconto yiddish? Il titolo

“Il principe che si credeva un gallo”

2. c ome si Forma e come cresce una situazione cosiddetta “ psicotica ” Qual è il titolo che vorrei dare a questo racconto yiddish? Il titolo

originale è: “Il principe che si credeva un gallo”. Io propongo: “Come entrare e modificare una situazione cosiddetta psicotica”. Penso che si possa leggerlo così, perché il principe, così come si è comportato, avrebbe avuto una diagnosi di “schizofrenia”. Diciamolo senza mezzi termini:

stiamo parlando di una situazione cosiddetta “psicotica”. Innanzitutto, vediamo come si forma una situazione cosiddetta “psicotica”.

C’era una volta, in un antichissimo regno, un giovane principe bello e intelligente.

Io l’ho inteso così: stiamo parlando di una situazione che può riguardare tutti perché, se riguarda il figlio di un re, una persona bella e intelligente, a mio parere indica che sono meccanismi universali. Questo è quello che sta capitando oggi; a maggior ragione, conoscere questi meccanismi, non per la fiaba ma per noi, può essere interessante.

Ma un giorno si mise in testa di essere un gallo.

Qui c’è una frase che probabilmente raccoglie tutto un percorso. Per spiegarmi meglio, mi avvarrò della Unità Didattica (v.) del Graal delle Profondità (v.). Come sapete, nel Medioevo, il Graal rappresentò il calice in cui bevve Gesù durante l’ultima cena; si diceva che nel Graal erano state raccolte le gocce del suo sangue poco dopo la sua morte. Rappre-sentava un oggetto importante per chi lo trovava, perché era magico, dava tutta una serie di poteri, tra i quali la salute, ad esempio. Ora, per stare bene nel mondo di oggi, più che trovare il Graal, bisogna recuperare tutti e quattro i Codici (v.) della vita che vengono qui rappresentati. Il cosiddetto “schizofrenico” o “psicotico” è una persona che ha dovuto svendere i Codici Antenati (v.), quelli più antichi, e si è limitato al Codice Simbolico (v.) o delle rappresentazioni, all’interno del quale ciò che noi chiamiamo “allucinazioni” e “deliri” non è che un modo di vivere questi Codici Antenati (v.) più profondi (del corpo e delle emozioni) che non si sono formati sufficientemente. Quindi, è una persona che non è cresciuta. Per molto tempo può anche mantenersi con poco ma, appena si trova in una condizione di sovraccarico o di novità, si può rivelare la povertà che esiste nei suoi Codici Antenati (v.) più profondi.

“Si mise in testa” significa che tutta la sua vita non viene più giocata direttamente con i Codici Profondi (v.) delle emozioni e del corpo, ma

essenzialmente nelle rappresentazioni. All’interno delle rappresentazioni ognuno organizza la sua vita in maniera unica. Ecco perché poi non si riesce a capire dall’esterno. È difficile capire dall’esterno tutto quello che passa nella sua testa. Ha abbandonato il suo vecchio equilibrio anche precario e adesso si stanno smuovendo delle parti sue che non sembrano coerenti secondo l’inquadramento razionale; sono tuttavia perfettamente reali e comunicanti. Cosa è successo al principe, ma anche ad ognuno di noi? È successo che l’unica area di riserva adatta a lui è il Codice Simbo-lico (v.), quello delle rappresentazioni. Sugli altri aspetti si è sentito non visto, non nutrito e svalutato.

“Si mise in testa” significa anche che chi sta in una situazione cosid-detta “psicotica” organizza il senso della sua vita e delle altre parti sue dentro di sé, nelle rappresentazioni. Ma dentro quel “si mise in testa”

c’entra anche, in un certo senso, il re, c’entra la regina, c’entra la vita che ha vissuto. E allora “si mise in testa” leggetelo così: non è cresciuto, è stato svalutato nei Codici Profondi (v.) del corpo e delle emozioni.

Ecco, noi sostituiamo la diagnosi molto comoda di “malattia genetica”

con “fase di grande povertà”, perché non si è cresciuti opportunamente.

Chiaramente, se uno vuole intervenire con i farmaci lo può fare, però rimangono questi buchi, queste parti deboli, così inesistenti da doverle rinforzare, e ci vuole un po’ di tempo. Bisognerebbe intervenire in modo opportuno quando si è bambini.

Quindi, “si mise in testa” significa che, quando noi vediamo il sintomo, quello è già l’esito di un percorso che non ha visto nessuno, compresi i medici e i taumaturghi del re, gli amici suoi, compreso il re stesso.

Quindi, non ci togliamo dalla responsabilità! Quando uno si mette in testa qualcosa, quello è l’esito finale di un percorso di impoverimento, di una non-crescita. Quando uno vuole ricominciare, purtroppo si devono riproporre queste esigenze. Lì casca l’asino, perché siamo in un mondo veloce dove si vogliono risultati immediati, a basso costo e sempre più accelerati; non si curano più i Codici Antenati (v.) del corpo e delle emozioni e, quando li vogliamo trasmettere ai nostri figli, diventa difficile.

Quando poi bisogna trasmetterli a uno che ha la sua età però in realtà ha delle cose da sciogliere più profonde appartenenti ad un’età molto precoce, è chiaro che ci troviamo in difficoltà, perché ci facciamo pren-dere dal corpo di adulto che ha, dal fatto che è un ottimo lavoratore, ecc.

Quindi, “si mise in testa di essere un gallo” è un sintomo per gli

psichiatri tradizionali, perché uno che dice di essere un gallo lo si inter-preta come uno che non ha il senso dell’identità, come uno che sragiona.

Rappresentarsi che si è un gallo significa che lui non può credersi uomo.

Collegate questo alla mancanza di crescita nei Codici Antenati (v.), più antichi, Bio-organico (v.) e Analogico (v.)! Per salvaguardare le cose sue più profonde ha dovuto limitarsi a credersi un gallo. Questa è la verità.

In realtà, quando nell’utero cresciamo e ci sviluppiamo, attraver-siamo tutta la storia della vita: attraver-siamo pesci, anfibi, rettili, mammiferi, cioè l’uomo nei nove mesi della sua gravidanza attraversa tutta la storia della vita. Nella storia interiore questo può essere tradotto nel fatto che noi ci identifichiamo in tante parti. Nel momento in cui non mi sento più il figlio del re, un giovane principe bello e intelligente, è chiaro che mi rappresento come un gallo. Quello è il massimo che io ho potuto rappresentare di me! Allora la psichiatria tradizionale dovrebbe dire:

“Poverino! Come ha sofferto, come si è impoverito!”, dovrebbe dire: “Ma noi dove stavamo nel suo percorso di crescita?”. Invece no, nessuno si fa carico del perché ci sono stati questi impoverimenti, ma si delega alla psichiatria la capacità di trasformare ciò che è visibile, “uno che si crede un gallo”, in un cosiddetto “schizofrenico”, con le conseguenze che poi questo comporta nelle risposte che si mettono in atto. In realtà, il sintomo è già un impoverimento dei Codici (v.). Il sintomo è già l’esito di un impoverimento in cui c’entriamo tutti, soprattutto l’ambiente familiare.

All’inizio, il re suo padre credette che si trattasse soltanto di una crisi passeggera.

Cosa succede quando nasce un sintomo strano all’interno delle nostre famiglie, e la famiglia non si è per niente interrogata prima, né riconosce il suo non esserci stata? “Il re suo padre credette che si trattasse solo di una crisi passeggera”, cioè all’inizio nessuno vuole riconoscere che ciò che succede riguarda anche lui, re e padre del principe. Per far sì che non riguardi anche loro, i genitori sono portati a sottovalutare, a dire: “Questo è un piccolo momento di depressione… sarà il clima che è cambiato…

troppo lavoro… è una crisi che passerà”, cioè si sottovalutano le cose.

Quando il re e quindi la famiglia si muove? Quando dal Codice Simbolico-razionale (v.) - cioè credere, da parte del principe, di essere un gallo significa che quell’idea ce l’aveva in testa, ma all’esterno non era cambiato molto, o in ogni caso conviveva l’essersi messo in testa di essere un gallo con altre sue funzioni di principe - si passa al Codice Analogico (v.).

Ma quando il principe iniziò a togliersi tutti i vestiti, a sbattere le braccia e a fare chicchirichì come un gallo, il re prese la cosa sul serio.

A quel punto si dà da fare la famiglia. I vestiti fanno parte del Codice Analogico (v.): si è principe se si ha i vestiti da principe. Questo impo-verimento non si manifesta solo nella testa, ma si manifesta anche nel corpo o addirittura nel Codice Bio-organico (v.): il Principe comincia

“a sbattere le braccia e a fare chicchirichì come un gallo”. Sono segni di qualcosa che c’era già prima.

Allora “il re prese la cosa sul serio”: a questo punto nasce il concetto di “malattia” che viene dal latino “male habitus”, ossia “l’abito del male”.

Svestendosi degli abiti e facendo chicchirichì come un gallo, il principe ormai aveva l’“abito del male”, cioè la malattia. La malattia è solo un qualcosa di tardivo che non aggiunge nulla, perché la diagnosi, se gli psichiatri sono in grado di farla, dovrebbero riuscire ad anticiparla, a farla prima che l’altro arrivi a mettersi in testa di essere un gallo, se di diagnosi si tratta! Voglio dire che è molto comodo per la società individuare persone ad alto costo - perché ci costano parecchio - che aggiungono la parolina magica di “schizofrenia” e che, in questo modo, hanno il potere legale di dare psicofarmaci o ricoveri! Non è un granché.

Più che di malattia, noi parliamo di “non crescita”. Perché se tu hai una malattia, la colpa è di qualcosa che ti manca o di un virus che è entrato, e allora si combatte questo. Per noi invece è un problema di crescita.

A questo punto, vediamo qual è l’approccio tradizionale alla malattia che è presente nel testo.

3. larispostatradizionaleallainterpretazionedimalattia Intanto il giovane principe aveva eletto domicilio sotto la tavola della sala da pranzo.

Quando ormai l’ambiente ha accettato questo e si spaventa, prende la cosa sul serio, può sembrare strano ma lì, avendo ormai perduto la faccia, la persona si permette di tutto, si permette di esprimere al massimo la propria rappresentazione.

E accettava di mangiare soltanto i chicchi che si facevano cadere sul tappeto reale.

L’identità ormai è espressa in maniera completa. Non è solo una

rappresentazione dentro la propria testa, non è solo sbattere le braccia e fare chicchirichì, ma è stare nel pollaio, sotto al tavolo e mangiare i chicchi che gli altri fanno cadere sul tappeto reale. Vedete come, a questo punto, il non aver fatto crescere il principe impone al re di subire la distinzione del figlio.

Vedete, una famiglia che ha accumulato molte cose buone ma non è in un percorso di crescita, perde anche le cose che ha accumulato, infatti qui dice che il tappeto reale viene utilizzato come se fosse un pollaio!

Oggi la non-crescita delle persone che ci appartengono distrugge anche quel poco che abbiamo accumulato, ci sporca e declassa tutti gli oggetti di valore che abbiamo. Questo avverrà pure per l’economia finanziaria.

Come avviene in un cancro, se non si interviene, il cancro fa morire l’individuo e quindi muore anche il cancro. L’economia finanziaria oggi ci sta trasformando in persone che si mettono in testa delle rappresen-tazioni che non sono più adeguate.

Il re era molto triste nel vedere il figlio in uno stato simile.

A questo punto, l’identità si esplicita. Il conto si paga perché, quando questo impoverimento tocca una persona importante delle nostre relazioni, emerge la tristezza: ciò significa che non si vede più il senso della vita.

Perché per un re vedere che il proprio discendente non più adeguato è un fallimento, quella persona non riesce più ad essere funzionale. Quindi, la reazione della famiglia è la tristezza, lo sconforto, non sa cosa fare, tant’è vero che, anche qui, si ricorre ai medici. Guardate che anche le famiglie povere vanno dai migliori medici, sono capaci di fare sacrifici inimmaginabili. Più un medico esce in televisione, più è gettonato, più le persone fanno sacrifici per i propri familiari, pensando di delegare la situazione ad una persona esperta che sa come aiutarli, più rischiano di rimanere fregati.

Fece venire i migliori medici, i suoi maghi, i suoi taumaturghi.

Il re non si limita ai medici, ma fa arrivare anche i suoi maghi, i suoi taumaturghi. Questi facevano già parte del suo ambiente, come mai non erano serviti o non erano intervenuti prima?

Tutti cercarono di far ragionare il ragazzo.

Il problema di questi interventi è quello di far capire al principe che non è un gallo: “Guarda, ragiona! Tu sei il principe, figlio del re… non sei un gallo!”. Se andate in ambito psichiatrico, la risposta è questa: se uno continua a confermare la sua rappresentazione, viene considerato

grave e si aumentano i farmaci; alla fine il ricovero dura per tutta la vita.

Vogliono assolutamente che l’altro cerchi di ragionare, cioè vogliono che, solo col Codice Simbolico (v.), la persona migliori riconoscendo che il suo ragionamento è falso! Ma non capiscono che il Codice Simbolico (v.) esprime e rappresenta la povertà che c’è nei Codici Profondi (v.). Per cui, se non si cresce in quelle parti, in profondità, la rappresentazione non cambia! Noi lo vediamo continuamente: le persone che vengono da noi con diagnosi di “psicosi” non cambiano perché si convincono che ragionano male o che delirano! Anzi, più si fa così, più uno si nasconde.

Le cose cambiano quando le si accolgono e quando si interviene per far crescere i Codici Profondi (v.). La psichiatria ha fallito sul piano del ragio-namento, attualmente la psichiatria ha già abbandonato questo criterio.

Poi provarono con le loro medicine e con la magia.

In realtà, molte ricette mediche o molti interventi rischiano di essere interventi magici.

Ma lui rimaneva convinto di essere un gallo.

Se uno è povero nei Codici Profondi (v.), meno male che ha trovato la soluzione di essere un gallo per non suicidarsi! Il problema è che non si capisce che il cosiddetto “delirio” è una modalità che impedisce all’altro, per esempio, di togliersi la vita, oppure di essere così incazzato da andare dal padre e farlo fuori, cioè previene suicidi e omicidi. La psichiatria è convinta che non si cambiano le cose, perché la schizofrenia è considerata cronica, perché non si fanno interventi per cambiare in profondità, ma ci si ferma all’aspetto sintomatico. In quel modo, i deliri non passano.

Uno a uno, i medici, i maghi, i taumaturghi se ne andarono. Ogni volta, il “gallo” lanciava il suo chicchirichì.

Mi sembra proprio la vittoria di chi resiste a schemi che non vanno più.

Una persona cosiddetta psicotica cambierà quando vede dei cambiamenti reali. Chi sta in una situazione cosiddetta psicotica non cambia perché fa male agli altri o perché gli altri glielo dicono, ma quando cambieranno delle cose in profondità. Questo lanciare il suo chicchirichì alla fine di ogni intervento è proprio il far prevalere non solo una forma di rivolta, ma il ribadire ciò che è importante per la vita, nonostante tutti questi ruoli socialmente rilevanti.

Il re cadde in uno stato di profonda depressione, convinto che nessuno avrebbe potuto guarire il figlio da quella strana malattia.

Come finisce questo approccio, quello della psichiatria tradizionale,

fondato sugli opposti, cioè quello che sostiene che il sintomo è un opposto della normalità, della razionalità, dei ruoli funzionali, quindi è una malattia e bisogna fare di tutto per cancellarla? “Il re cadde in uno stato di profonda depressione”. Cioè, si perde la speranza che ci possa essere un cambiamento e si accetta l’“inguaribilità”, nasce il concetto di

“cronicità”. Come dico sempre, “cronicità” viene dalla parola “krònos”, che in greco significa “il tempo che passa”: pur passando il tempo non cambia niente. Che cosa fa questa cronicità? Aumenta la depressione, perché uno ci ha provato e ha provato di tutto. Il concetto di “malattia”

punisce definitivamente anche il re.

Ordinò ai suoi servi di vietare l’accesso del palazzo a tutti i guaritori o ai cercatori di fortuna. Ne aveva abbastanza.

Che cosa avviene? La famiglia si chiude nel dolore, nella disperazione, nella cronicità. Prima almeno c’erano i manicomi, ora non si sa cosa fare;

oggi ci sono le case residenziali psichiatriche, le case-famiglia, che però tengono le persone lì due o tre anni, e dopo si ripresentano. Insomma, sono cose anche buone però, secondo me, non sono adeguate. La fami-glia vieta l’accesso alla propria casa ad ognuno che vofami-glia sbandierare una speranza. In altre parole, si è creato ormai un muro di perdita di speranza, di inguaribilità, e poi diventa difficile entrarci.

Riepilogando, nella prima parte abbiamo visto come si crea una

“malattia”. Il sintomo è solo la parte conclusiva di un percorso di non-crescita che non è stato visto da nessuno. Molto spesso, chi lo deve vedere sono quelli che lo hanno creato, parliamo delle famiglie di origine. I familiari non vedono perché sono coinvolti in quello che avviene e hanno anche i loro buoni motivi. Infatti, ognuno ha la sua storia, anche i genitori hanno la loro; se ce la facessimo raccontare, potremmo capire meglio tanti aspetti.

Il sintomo ha tre gradi di espressione. Inizialmente, ce l’abbiamo in testa. Quindi prima di farlo vedere agli altri, c’è stato tutto un percorso nelle nostre rappresentazioni, dentro di noi, dove si è già creato. Quando poi si manifesta con il corpo e con le emozioni, fino a manifestarci come un gallo, ne è passata di acqua sotto i ponti! Fino ad allora, nessuno, dalla famiglia alla società allargata, è riuscito a vedere questo. Quando si prende la cosa sul serio, questo permette all’interessato di esplicitare il massimo della crisi: si mette sotto il tavolo e mangia i chicchi sul tappeto reale; si sente autorizzato a fare tutto, avendo perso la faccia.

La reazione dei familiari è quella dello sconcerto e della tristezza. Da lì si ricorre all’approccio tradizionale fondato sugli opposti. Chi, più di un re, può chiamare i migliori medici, taumaturgi e maghi? Però sono tutte risposte sintomatiche e, su tutte, vince il gallo che lancia i suoi chicchirichì. Mi sembra proprio una sconfitta di tutto questo, nel senso che il principe con il suo sintomo sconfigge tutti. Questo grido lanciato mi sembra un canto di vittoria della situazione cosiddetta “psicotica”, perché sfianca tutti, perché è imprevedibile, si può complicare, e da un battito d’ali far scatenare una tempesta. La soluzione della famiglia, dopo che accetta che la cosa è cronica, è quella di chiudersi, di vietare l’accesso a chiunque nel palazzo, ovvero ad ogni speranza.

4. comeFaraccogliereunapropostaalternativa

Vediamo adesso un approccio alternativo a quello sintomatico secondo il quale se c’è un sintomo devo eliminarlo. Vediamo come cambiano le cose.

Un giorno, un saggio sconosciuto bussò forte alle porte del palazzo.

Qual è l’alternativa che si crea? Non è quella di chi ha studiato ed è diventato un guaritore, ma di chi è saggio. “Saggio” non inteso come studioso, ma “saggio” viene dal termine “sapio” che significa “gustare”

personalmente. Fare questo implica metterci del tempo. Non a caso, il saggio è legato all’essere anziano, cioè è qualcuno che ha dovuto lavorarci, non si diventa saggi solo perché si è intelligenti! Quelli sono gli studiosi, sono i geni, ma per accompagnare le situazioni cosiddette psicotiche non sono sufficienti.

Qui dice ce è un saggio “sconosciuto”, perché chi gusta la vita non pensa a farsi pubblicità, ha un sapere che viene dalle sue esperienze ed è così preso dalle cose che fa, che non pensa a farsi pubblicità. Per entrare nella dinamica deve entrarci lui attivamente. Gli altri vengono chiamati dal re. Lui ha il coraggio di bussare ad un palazzo chiuso che nasconde tante difficoltà, e bussa forte. Cioè, non è detto che chi è portatore di una risposta alternativa trovi il tappeto! Spesso trova le porte del palazzo chiuse e viene trattato da sconosciuto, mentre i medici erano stati rico-nosciuti ed erano stati accolti con grande onore. Lui invece è sconosciuto e deve bussare alle porte.

Il servitore più fedele socchiuse il portale e scorse un vegliardo che lo fissava

Il servitore più fedele socchiuse il portale e scorse un vegliardo che lo fissava