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c ome opera lo spirito creatore

“L’uomo che piantava gli alberi”

6. c ome opera lo spirito creatore

Ora abbiamo la domanda: come opera? Nella Bibbia noi conosciamo un “come opera” molto semplice, molto magico: il primo giorno Dio fa la luce, quindi i due luminari che sono il sole e la luna, e poi continua via via così. Come sapete, Massimo Troisi lo critica perché dice che, per fare lo “spaccone”, Dio in sei giorni ha fatto tutto! Aveva tutta l’eternità davanti, poteva farlo un po’ meglio! In questo racconto, invece, vedrete la progressione, per cui mi sembra molto più ricco questo del testo della Bibbia che l’ha fatta semplice, perché prima fa nascere una cosa, poi le piante, poi gli animali, poi l’uomo, però non si apprende nulla. Qui, invece, Elzéard Bouffier ci può dare degli stimoli per dire io come devo operare oggi.

Mi fece bere dalla sua borraccia e, poco più tardi, mi portò nel suo ovile.

È una persona che mette a disposizione quello che ha, ha un innato senso dell’ospitalità, perché è interessato alle cose che vanno male ed è interessato a chiunque entra nel suo cerchio di azione, è disposto a mettere a disposizione quello che ha. Pensate che dà da bere al narratore che è assetato e disperato.

Tirava su l’acqua, ottima, da un foro naturale.

È uno che si industria nel risolvere i problemi.

Divise con me la minestra e, quando gli offrii la borsa del tabacco, mi rispose che non fumava.

Dimostra che ha il suo stile di vita. Non è che, solo perché sei mio ospite, devo per forza dirti di sì altrimenti ti offendi! Se a me non piace fumare, non fumo. E se uno dice: “Ma mio figlio poi non mi sta a sentire!”. Appunto, tuo figlio non ti sta a sentire perché stai troppo appresso a lui, non hai una struttura e una statura di chi dice: “Le cose sono così, secondo me”. Sei una persona che ha bisogno sempre di rincorrere l’esterno.

Il suo cane, silenzioso come lui, era affettuoso senza bassezza.

Dà proprio l’idea della concretezza, della frugalità.

Era rimasto subito inteso che avrei passato la notte da lui.

Sono tutti segni di ospitalità. Io invito molto ad ospitare le persone perché, quando si fa visita o si accettano le visite di altri, è un momento di grande arricchimento. Il problema è che più andiamo in un mondo industrializzato, in un mondo in cui i tempi e i metodi sono molto etero-referenziali e molto affrettati, più si rinuncia alla visita, più ci si impoverisce.

Prese un sacco e rovesciò sul tavolo un mucchio di ghiande. Si mise a esaminarle l’una dopo l’altra con grande attenzione...

Lo spirito creatore non può fare delle cose generiche, deve capire che sta facendo una cosa difficile e deve esaminare ciò verso cui va con grande attenzione, anche quello che vuole seminare.

...separando le buone dalle guaste.

Perché non basta che siano tutte ghiande; ci sono ghiande che si rivelano guaste e quindi non sono adatte per questo processo.

Gli proposi di aiutarlo. Mi rispose che era affar suo.

“Fatti i cazzi tuoi!”, così gli risponde. “Io ho un’esperienza. Adesso solo perché sei mio ospite, ti vuoi dare da fare e devi far vedere che mi aiuti! Ma mi crei più problemi”. Vedete che libertà ha lo spirito

creatore, è anche capace di dire: “No, grazie, non mi interessa. Non è compito tuo”.

Messo dalla parte delle buone un mucchio abbastanza grosso di ghiande, le divise in mucchietti da dieci. Eliminò ancora i frutti piccoli o quelli leggermente screpolati, poiché li esaminava molto da vicino. Infine ebbe davanti a sé cento ghiande perfette.

La creazione richiede che noi ci industriamo. Dobbiamo dare il meglio di noi, non delle cose approssimate! È meglio aspettare perché si farà presto, piuttosto che avere fretta di aiutare l’altro a cambiare, perché così si fanno cose arrangiate. Io molto spesso dico di no alle persone che non sono pronte a venire a intraprendere un percorso; è nel loro interesse. Bisogna seminare ghiande possibilmente perfette.

Bisogna aspettare, cioè seminare delle ghiande che sono adatte.

La società di quell’uomo dava pace.

Chi sta insieme ad uno spirito creatore deve sentire che da lui emana pace. “Pace” non significa che non è angosciato, ma che accoglie anche queste cose; questo facilita la creazione.

Gli domandai l’indomani il permesso di riposarmi per l’intera giornata da lui. Lo trovò del tutto naturale.

Entriamo sempre nell’elemento vivo dell’ospitalità.

Mi diede l’impressione che nulla potesse disturbarlo.

Se io voglio essere spirito creatore e coinvolgere anche altri, non mi devono dare fastidio gli altri. Se qualcuno mi gira troppo attorno, gli dico: “Non rompere le palle”, però non gli dico: “Vattene, mi dai fastidio!”. Serve la capacità di fare questo.

Prima di uscire, bagnò in un secchio d’acqua il sacco in cui aveva messo le ghiande meticolosamente scelte e contate.

Questo è un altro esempio di questa modalità di prendersi cura.

Lasciò il piccolo gregge in guardia al cane.

Se io voglio intervenire su una situazione e voglio creare cose nuove, non posso dire: “Che fa mio figlio da solo a casa? Da solo non può stare! Però io vorrei andare là...”. E allora lascialo da solo! Una cosa la devi scegliere. Lascia un piccolo gregge in guardia al cane. Non ti preoccupare, il cane forse fa meglio di te, se stai vicino è peggio!

E salì verso di me. Temetti che venisse per rimproverarmi della mia indiscrezione ma niente affatto, quella era la strada che doveva fare e m’invitò ad accompagnarlo se non avevo di meglio.

Lo spirito creatore è tollerante nel senso buono, gli piace stare con gli altri anche se determina il confine. Non è che il piacere significa che deve subire e sopportare! Questo non è buono.

Arrivato dove desiderava...

È il desiderio che ci fa vedere dove piantare, cioè è il nostro soggettivo:

“A me che mi dice questo terreno? Che mi ispira questa cosa?”. Cioè, dovremmo dare molto valore anche a dove voler piantare.

...dopo il pranzo di mezzogiorno ricominciò a scegliere le ghiande.

Vedete, la regolarità. Non si può aiutare una situazione cosiddetta psicotica se non c’è regolarità. Non si può fare tanto un giorno e pochissimo gli altri giorni. Bisogna cominciare a scegliere.

Da tre anni piantava alberi in quella solitudine. Ne ha piantati circa centomila. Di centomila, ne erano spuntati ventimila. Di quei ventimila, contava di perderne ancora la metà.

Lo spirito creatore opera sapendo che deve seminare molto di più, perché sa che può arrivare da centomila a ventimila, da ventimila a diecimila. Non è che tutto quello che noi seminiamo riesce e produce!

Dice: “Come, io ho provato con dieci persone e solo uno ne viene?”.

È già molto, poteva non venire nessuno, invece ne è venuto uno che ci ha creduto! Noi in maniera infantile vorremmo che dieci faccia cento, invece spesso cento fa dieci, è l’opposto. Bisogna abituarsi alle delusioni, al fatto che, anche se hai provato tante volte, non ti devi scoraggiare se è riuscito poco, perché di cento cose che hai fatto dieci sono rimaste.

Non le vedi tu che volevi vedere cento, ma dieci sono rimaste. Aspetta un altro po’ e ne vedrai ancora.

Mi disse che se Dio gli avesse prestato la vita, nel giro di trent’anni ne avrebbe piantate tante altre che quelle diecimila sarebbero state come una goccia nel mare.

Un altro aspetto è che Elzéard Bouffier non è uno che si ferma. Il processo di creazione è bello. Se voi dite: “Quando finisco?”, significa che non lo fate con piacere. “Quando mio figlio guarirà?”. Guarirà da che cosa? Crescere non ha un termine. Questo è un processo rivolto anche alle nostre parti psicotiche. Uno si scoraggia perché non capisce che più vive e più può crescere.

Stava già studiando, d’altra parte, la riproduzione dei faggi.

E questo mentre procede bene con le querce.

Aveva accanto alla casa un vivaio generato dalle faggine, che aveva

protetto dalle pecore con una barriera di rete metallica.

Perché bisogna anche preservare quello che si sta facendo.

Pensava inoltre alle betulle.

Vedete come cresce lo spirito creatore: il primo giorno le querce, poi ci inserisce i faggi, poi le betulle. Immaginate che sono tante specie di vita. Voi sapete che le betulle sono quelle che attirano l’umidità e permettono poi al terreno di diventare anche più umido.

Finita la guerra, Elzéard Bouffier non era morto.

Secondo me, la vita preserva lo spirito creatore. Se tu vivi come spirito creatore, questo ti preserva anche da altre cose.

Gli erano rimaste solo quattro pecore, ma in cambio possedeva un centinaio di alveari. Si era sbarazzato delle bestie che mettevano in pericolo i suoi alberi.

Uno spirito creatore non può dire: “A quelle cose sono abituato, sono legato! Se mi togli questo...”. Devi vedere cosa serve alla creazione, non cosa piace a te! Forse se ne era tenute quattro per il latte, per alimentarsi o per altro, però, dato che ormai cominciavano ad esserci molti alberi, il terreno era più adatto ad allevare api. Quindi, è capace di cambiare anche lavoro. Questo vale anche per le relazioni sentimentali:

bisogna anche saper vedere se sono ancora pecore o api. Bisogna essere concreti: le pecore dopo tanti anni può essere che non servano più, o non vogliano più, allora bisogna passare alle api. Le pecore hanno svolto un ruolo importante; la compagnia che hanno fatto le pecore a Elzéard Bouffier è straordinaria. Penso che le api vengano dopo perché sono il segno della presenza. Il gregge è una presenza che non ti dà fastidio.

Però, se poi le cose cambiano, le pecore, sì, ci sono servite, ma si può passare ad altro. Non abbiate paura! Guardate che si lascia una pecora e si trova un alveare! Bisogna affidarsi. È meglio le cose vere piuttosto che mantenere qualcosa perché poi uno dice: “Gli altri che pensano? Che fanno?” o per nostalgia o per scrupolo! La vita premia chi è coraggioso.

Se uno guarda con la testa indietro, non guarda avanti, si mantengono delle cose, ma poi si sta male.

Non s’era per nulla curato della guerra.

Le guerre fuori di noi, ma anche quelle dentro di noi, degli altri un po’ invidiosi, ci saranno sempre. Io l’ho visto nella mia esperienza.

Diceva Dante: “Non ti curar di loro, ma guarda e passa”, cioè è importante se riesci a fare questo senza farti prendere dalla rabbia che

hai, dalle ingiustizie che hai subito; quelle sono cose inutili che ti fanno perdere. Bisogna fare: “citt’ a vocc’ e forz’ ‘e nerv’” ("zitto con la bocca e forza con i nervi").

Aveva continuato imperturbabilmente a piantare.

Se sono convinto di un progetto, continuo. Questo vale anche in una relazione amorosa. Nel senso che ognuno di noi continua a piantare quando tutto va bene e quando non ci sono guerre. I giovani di oggi stanno bene all’inizio della relazione, quando tutto va bene, si scambiano le coccole, stanno calmi a casa propria, non hanno problemi;

poi appena stanno insieme e comincia un po’ la guerra delle diversità, ci si lascia. È un grave errore, perché non ci sarà mai una coppia che non presenti la guerra delle diversità. Se poi dici: “Io mi sposo con un altro”, va bene, fai una tribù con tre, quattro, cinque, sei matrimoni, fino a quando poi non sai più neanche quello che diventerai. Bisognerebbe continuare imperturbabilmente a piantare, se uno ci crede e ci ha creduto in una relazione.

Il processo aveva l’aria, d’altra parte, di funzionare a catena. Lui non se ne curava; perseguiva ostinatamente il proprio compito, molto semplice.

È chiaro che quando inizio e innesco un processo, quello funziona anche per conto suo. È come il lievito: quando lo faccio, lo attivo, poi funziona per conto proprio. Quando io ho cominciato un processo in una coppia e in una famiglia, quello poi continua da sé, anche attraverso il negativo. Voi ne siete la dimostrazione, perché i processi funzionano a catena. Come il negativo funziona a catena, cioè le mie catene e i miei debiti originali si trasmettono, anche il positivo, lo spirito creatore si può trasmettere a catena. Però Elzéard Bouffier non se ne cura, non sta lì a dire: “Signore fa’ sì che il mio raccolto...”. No, tu hai seminato e vai avanti.

Non l’ho mai visto cedere né dubitare.

Sì, un po’ ti scoraggi, poi dopo ti riprendi. Quando le hai sentite all’inizio certe cose, poi bisogna continuare. Io ho avuto molti di questi momenti, però in realtà poi è importante procedere.

Dio solo sa di averlo messo alla prova.

Non ha fatto il conto delle sue delusioni. Lo spirito creatore la prima cosa che deve mettere in conto è accogliere le delusioni. “De-ludere” significa “uscire fuori da un gioco”. La delusione significa che probabilmente abbiamo vissuto delle cose che ritenevamo importanti

ma che erano un gioco, erano un’esperienza, erano una prova. La delusione ci dice: “Guarda, questa non è una cosa per te, non è seria, escine fuori!”. Ma noi lo viviamo come grande sofferenza. Poi dopo, se andiamo avanti, diciamo: “Meno male che ho perso quella cosa!”.

Ma lo capiamo dopo! “De-ludere”, ricordatelo, significa “uscire da un gioco” che forse non era adatto alla nostra vita.

È facile immaginarsi tuttavia che, per una simile riuscita, sia stato necessario vincere le avversità, lottare contro lo sconforto. Un anno, più di diecimila aceri, morirono tutti. L’anno dopo abbandonò gli aceri per riprendere i faggi che riuscirono ancora meglio delle querce.

Bisogna avere flessibilità. Sì, ho fatto delle cose a cui tenevo, ma non hanno funzionato. Sì, muoiono tutti e sono deluso, però esco dal gioco di piantare aceri e torno a piantare faggi. Bisogna avere una capacità imprenditoriale, nel senso buono del termine.

A quell’epoca Bouffier andava a piantare faggi a dodici chilometri da casa.

Un processo creatore, se è vero, si diffonde. Non bisogna dire:

“Questa è la mia città, questo è il mio luogo, qui ho cominciato con i tossicodipendenti!”. Se un processo creatore è vero, vai anche a dodici chilometri di distanza, cioè continui.

Per evitare il viaggio di andata e ritorno, poiché aveva ormai settantacinque anni, stava considerando la possibilità di costruirsi una casupola di pietra sul luogo stesso dove piantava. Ciò che fece l’anno seguente.

Potremmo dire: "Costruiamo il Villaggio Quadrimensionale!"

(v.). Il Villaggio Quadrimensionale (v.) è una sintesi, perché non c’è più il Villaggio-Mondo (v.), cioè le civiltà precedenti dove tutto era racchiuso in piccoli centri. Il Mondo-Villaggio (v.) non ci piace perché è pieno di disagio, che è quello di oggi in cui stiamo male. Il Villaggio Quadrimensionale (v.) non è solo il fabbricato, ma significa riprendere l’anima del villaggio, delle relazioni forti, e qui lo stiamo sperimentando, secondo un’ottica globale o quadrimensionale non più limitata al villaggio stesso. È il nuovo mondo che si può realizzare.

L’opera corse un grave rischio solo durante la guerra, perché le automobili andavano allora col gasogeno, non c’era mai abbastanza legna. L’impresa si rivelò fallimentare dal punto di vista finanziario.

Spesso nelle cose che costruiamo c’è qualcuno che vuole distruggere attivamente. Però penso che la vita ci viene incontro. Anche perché,

quando si tratta di cose che richiedono impegno anche nel distruggere, la gente preferisce lasciar stare.

Era a trenta chilometri di distanza, e continuava pacificamente il proprio lavoro, ignorando la guerra del ’39, come aveva ignorato quella del ’14.

Dà proprio l’idea che non viene turbato da eventi distruttivi dell’e-sterno. Lo spirito creatore non è uno che dice: “Ormai tutto fa schifo...

Quello la pensa così... Tutto va male...”, ma “a trenta chilometri” continua pacificamente il proprio lavoro, “ignorando la guerra”, nel senso che sa che la guerra c’è, ma che fa, si ferma?

7. cosaconcretizzalospiritocreatore

Ora abbiamo la domanda: cosa concretizza?

Lo spirito creatore non è uno spirito contemplativo che si ferma a contemplare la verità o le cose che sarebbe bello fare! Lo spirito creatore è immesso nella storia perché la vuole rigenerare. Il senso di quello che ha fatto, il valore di quello che ha fatto, la cartina tornasole della sua atti-vità è ciò che lui concretizza. Non ho detto in quanto tempo, perché ci sono cose che per concretizzarle ci vogliono tanti anni, però è importante che gradualmente qualcosa concretizzi. È ovvio che lo spirito creatore concretizza sicuramente se lui stesso cresce. Può anche non esserci ancora qualcosa al di fuori di lui, però bisogna mettere in conto anche che crea il suo stesso spirito. Lo spirito creatore si sa autoalimentare e crescere.

Ma vediamo qui che cosa concretizza.

Restavano diecimila querce che sarebbero cresciute in quel posto dove prima non c’era nulla.

Sono rimaste queste diecimila querce da centomila che aveva piantato.

Dopo la guerra del 1914, il paese era cambiato.

Lo spirito creatore non lascia intatto se stesso, ma anche il rapporto di coppia, la famiglia, il lavoro, l’ambiente attorno a sé; le cose cambiano.

I cambiamenti avvengono, non è detto che subito si colgano o che tutti li colgano, però qualcosa cambia.

Scorsi in lontananza una specie di nebbia grigia.

“Nebbia grigia” significa che quello che stiamo già concretizzando non è visibile ma è confondibile, perché ancora non vediamo da vicino quello che sta crescendo. In ogni caso, dei segni di cambiamento ci sono.

Le querce del 1910 avevano adesso dieci anni ed erano più alte di me e di lui.

Quando si semina qualcosa di vivo, le persone crescono. Queste sono anche cose concrete.

L’area misurava, in tre tronconi, undici chilometri nella sua lunghezza massima.

Il processo di semina o creativo si diffonde parecchio: undici chilometri non sono una cosa da poco!

I faggi che mi arrivavano alle spalle, sparsi a perdita d’occhio, ne erano la prova. Le querce erano fitte e avevano passato l’età in cui potevano essere alla mercé dei roditori.

Altre cose concrete, cioè quello che ha seminato ormai è autoreferen-ziale e sa difendersi dalla distruzione.

Mi mostrò dei mirabili boschetti di betulle.

Le betulle che attirano l’acqua.

Ridiscendendo al villaggio, vidi scorrere dell’acqua.

Ritorna una cosa assente dall’inizio, una cosa che non c’era ma che era potenziale e adesso è visibile: l’acqua sorge dove in passato c’era stata ma era scomparsa.

Nel ventesimo secolo si doveva fare ricorso alle cisterne. Con l’acqua erano riapparsi anche i salici, i giunchi, i prati, i giardini, i fiori e una certa ragione di vivere. La costa che avevamo percorso era coperta d’alberi che andavano da sei a otto metri di altezza.

Vedete quante cose ha concretizzato!

Nonostante la rovina in cui la guerra aveva lasciato il paese, c’era una corriera che faceva servizio tra la valle della Durance e la montagna.

La presenza della corriera significa che ci sono persone, c’è vita.

Non riconoscevo più i luoghi delle mie prime passeggiate. Ebbi bisogno del nome di un villaggio per concludere che invece mi trovavo proprio in quella zona un tempo in rovina e desolata. Ora tutto era cambiato, l’aria stessa.

Perché il vento e le dinamiche all’interno dell’aria risentono molto di quello che è il territorio e la vegetazione.

Vidi che avevano costruito una fontana, vicino ad essa avevano piantato un tiglio. La speranza era dunque tornata.

Le cose concrete, in realtà, poi portano la cosa più importante che è la speranza, perché le persone che non hanno più speranza si fanno

Le cose concrete, in realtà, poi portano la cosa più importante che è la speranza, perché le persone che non hanno più speranza si fanno