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4.4 Da McCarthy a Murakami: la trasmissione del desiderio

Io credo che anche noi, tutti noi non siamo nient'altro che spettri, in noi continua a circolare e a scorrere e a vivere non soltanto ciò che abbiamo ereditato dai nostri genitori, dico il sangue paterno e materno, ma anche tutti i pensieri immaginabili che sono già stati pensati, le vecchie credenze sepolte. Ogni specie di cose antiche e defunte […] in una catena senza fine

Ibsen, Gli spettri

Il padre della Strada, come si è già affermato in precedenza, sebbene viva insieme al figlio in un mondo apocalittico senza alcun futuro, riesce a trasmettere al bambino la propria eredità. Designata come un “fuoco”, tale lascito permette al figlio di credere ancora che ci possa essere un senso nella vita, che esista la bontà e che, nonostante tutto, ci possa essere ancora la speranza di un futuro migliore.

Recalcati riflette sul rapporto padre-figlio analizzando il modo in cui i valori vengono trasmessi dall'uno all'altro e giunge alla conclusione che, affinché un padre possa consegnare alla progenie il proprio patrimonio, è necessario un doppio movimento: da un lato il padre deve offrire il proprio sapere, dall'altro il figlio deve essere in grado di riceverlo. Tale meccanismo sancisce la presenza di una dimensione attiva e non passava del figlio: infatti ciò che viene ereditato non è il sangue o un bene materiale, ma qualcosa di simbolico.

fede e promessa. Il padre deve essere prima di tutto un testimone che garantisca la presenza di un senso della vita, di un desiderio e della sua stessa trasmissione; in secondo luogo egli deve avere fede nel figlio, credere nel futuro e, infine, deve promettere che esista un'altra soddisfazione rispetto al godimento mortale. In generale, egli deve garantire che esista una vita che vale la pena di essere vissuta. Ed è proprio ciò che insegna il padre della Strada: egli testimonia concretamente che ancora esiste un senso, in virtù del quale egli lotta ogni giorno contro la morte, diversamente dalla madre; egli ha fede nel figlio tanto che lo definisce come “Verbo di Dio” e, infine, egli promette al bambino che il futuro sia un mondo migliore.

Il padre del romanzo di McCarthy, dunque, sembra rappresentare chiaramente il compito che deve svolgere ogni padre, divenendo l'esempio del “giusto genitore”. Tuttavia, perché il processo di filiazione possa avvenire, il figlio a sua volta è chiamato ad agire attivamente.

Freud nel Compendio della psicoanalisi, cita una nota frase di Goethe per dimostrare che ereditare significa riconquistare: «Ciò che hai ereditato dai padri, riconquistalo se vuoi possederlo davvero»218.

Per ereditare qualcosa dell'Altro, per essere davvero un erede, non è sufficiente ricevere passivamente un'eredità già costituita, ma è necessario un movimento soggettivo di ripresa, di soggettivazione del debito. Senza questo movimento di ripresa del passato che ci costituisce, senza questo doppio tempo in cui dobbiamo fare nostro ciò che è stato nostro, dove dobbiamo ripetere proprio ciò che ci ha costituito, non si dà alcuna esperienza soggettiva dell'eredità219.

Come più volte sottolineato, secondo Lacan la vita si umanizza grazie al desiderio dell'Altro, il quale implica che l'esistenza si basi su una separazione da se stessi; allo stesso modo anche l'ereditare necessita di un distacco: dapprima è necessario l'allontanamento dall'altro per poter appropriarsi del sé, e in un secondo momento è necessario tornare all'Altro riconoscendone la dipendenza. La lontananza, pertanto, dovrebbe permettere da un lato il riconoscimento della propria individualità, dall'altro la consapevolezza che alla base della vita vi è la presenza dell'Altro. Per tale motivo 218 Freud Sigmund, Compendio di psicoanalisi, in Opere, vol. XI, p. 634

l'ereditarietà si basa su quella che Lacan definisce il “lutto del padre”: è necessario abbandonare il padre, lasciarlo, per poter capire se stessi e avere la possibilità di rinascere; solo in seguito il passato può essere ripreso ed ereditato.

Secondo Recalcati due sono gli atteggiamenti che impediscono al figlio di recepire l'eredità del padre: il rifiuto del passato o, al contrario, un eccessivo attaccamento ad esso. Kawana Tengo, il protagonista di 1q84, un romanzo di Haruki Murakami, appare oscillare tra questi due opposti: da un lato appare incapace di dimenticare l'immagine del suo primo ricordo che lo assilla e lo paralizza, dall'altro nega il suo legame con il padre. La svolta avviene grazie alla lettura e riscrittura del romanzo La crisalide d'aria, composta da un'affascinante e alquanto enigmatica diciassettenne di nome Fukada Eriko (chiamata anche Fukaeri o solo Eri).

Il romanzo 1q84 è diviso in tre libri, ripartito su due volumi: libro 1 e 2, Aprile- Settembre e libro 3, Ottobre-Dicembre. Da subito si nota che a precedere il titolo del primo capitolo vi è il nome di Aomame, che poi si scopre essere la protagonista. Nel secondo capitolo il nome della donna è sostituito da Tengo, il protagonista di un'altra storia. Per tutto il romanzo220, si alternano in questo modo i capitoli: quelli dispari

raccontano le vicende della donna, quelli pari le storie dell'uomo. Le due narrazioni inizialmente sembrano non avere nulla in comune: una ha come protagonista Aomame, una sorta di Nemesi moderna, che rende giustizia a donne vittime di violenza uccidendone i carnefici con un affilatissimo rompighiaccio che, posizionato in un punto preciso della nuca, uccide senza lasciar traccia. L'altra vede come figura principale Tengo, un trentenne mediocre, ombra di un genio bambino, ormai privo di straordinaria capacità, che trascorre la sua vita tra le lezioni che tiene alla scuola preparatoria e una relazione clandestina con una donna sposata, di dieci anni più vecchia. Con il proseguire della lettura iniziano a emergere le prime somiglianze tra le due storie, finché esse appaiono profondamente legate221: Aomame e Tengo si

conoscono sin da bambini e sono innamorati l'uno dall'altro da tutta la vita; dopo una serie di vicissitudini i due riescono a rincontrarsi e coronare il loro amore. 1q84 è pertanto una storia d'amore di ambientazione fantasy (in un mondo in cui splendono due lune), ma non solo, infatti il romanzo presenta molteplici livelli di lettura. A 220 Solamente nella terza parte, presente nel volume II, ad alternarsi sono tre “voci”: Aomame, Tengo e

un'analisi più approfondita e a un lettore accorto, esso appare l'allegoria del processo creativo di uno scrittore (la storia di Aomame, dunque, non è altro che la narrazione di Tengo) e, nello specifico, il percorso di individuazione dell'autore stesso.