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Come già affermato in precedenza, ciò che impedisce al figlio di ereditare dal padre è un attaccamento ossessivo al passato o, all'opposto, una negazione del passato. Tengo, dapprima appare troppo legato al passato – l'immagine del primo ricordo- e sembra voler negare il rapporto con il proprio padre. Ripercorrendo la propria biografia, riflette spesso sul loro rapporto, comprendendo la sua rivalità nei confronti del genitore, dimostrata chiaramente nel momento in cui, a dieci anni, decide di non accompagnarlo più nelle sue riscossioni domenicali. Tale ribellione, provocata dal senso di vergogna che il padre gli ha fatto provare, sancisce di fatto la definitiva rottura dei loro rapporti, seppur per qualche anno continuino a vivere insieme in silenzio.

Nel momento in cui Tengo, ormai trentenne, decide di andare a trovare il padre nell'ospedale per persone affette da demenza in cui risiede, si rende conto improvvisamente di quanto il loro legame non sia stato segnato dall'amore. Essi erano solamente «due esseri provenienti da due luoghi diversi e diretti verso direzioni differenti. Per caso avevano trascorso alcuni anni insieme»238.

Eppure trovandosi di fronte a quell'uomo, il quale non ricorda più niente e che non lo riconosce come suo figlio, quel «guscio di un uomo», Tengo non può che desiderare un dialogo con il padre. Dapprima gli rivela il proprio odio, ma subito dopo desidera instaurare un dialogo che possa aiutarlo a scoprire la verità sulla propria nascita. Per Tengo è una questione fondamentale, tutto ciò che desidera sapere riguarda proprio la sua origine e solamente le parole del padre potranno liberarlo dal pensiero che ha da tutta la vita: l'identità dell'uomo protagonista del suo primo ricordo.

«Senza conoscere la verità io non sono niente e continuerò a non essere niente nemmeno in futuro» dichiara Tengo al padre, implorando una risposta che possa aiutarlo ad andare avanti. Per tutta la vita infatti ha fantasticato sul fatto che l'uomo con cui viveva non fosse suo padre e per tutta la vita ne ha cercato la conferma. Tengo 238 Ivi, p. 492

tuttavia, grazie alla lettura del romanzo di Fukaeri e soprattutto alla scrittura del proprio romanzo, riflette sulla propria vita e sul rapporto del padre riuscendo a superare gli antichi rancori. Comprende che il padre, lasciato dalla madre, si è preso cura di lui e lo ha amato, a modo suo. Il suo intento era sempre stato quello di educarlo e insegnargli a essere un uomo, per tale motivo era stato crudele perché, come lui stesso aveva sperimentato, la vita è dura. Tengo cerca di mettersi nei panni di quell'uomo che, trasferitosi giovanissimo in Manciuria per lavorare, era riuscito a evitare le incursioni dell'esercito e, una volta tornato dalla guerra come unico superstite, aveva trovato un lavoro alla NHK. Era un uomo che era riuscito dal nulla ad appartenere a un'organizzazione statale pertanto non solo svolgeva il proprio lavoro con orgoglio e dedizione ma continuava a raccontare al figlio le avventure riguardo alla sua vita fino a quel traguardo.

Tengo riesce, attraverso la scrittura del proprio romanzo, a fare pace con se stesso, a eliminare la rabbia che provava nei confronti del padre.

Sono venuto a trovarti […] perché volevo sapere da dove venivo, accertare i miei legami di sangue. Adesso, però, questo non mi interessa più. Io sono io, indipendentemente dai miei rapporti di parentela. E comunque sia, tu sei mio padre. Mi sta bene così. Non so se possa dirsi una riconciliazione. Forse ho solo fatto pace con me stesso239.

Tengo riesce finalmente a comprendere che la propria identità non dipende dai rapporti di parentela, per tale motivo può riappacificarsi con il padre.

In seguito il signor Kawana muore e Tengo riceve la sua eredità tramite l'avvocato: una busta contenente documenti di lavoro e altri che attestavano i successi scolastici del figlio e qualche soldo. Nessun bene di grande valore eppure quella busta destinata al «legittimo erede» sembra contenere molto di più: attesta l'amore che il genitore ha provato per il figlio, dimostra la sua paternità simbolica.

Durante la sua prima visita in ospedale, il padre aveva affermato a Tengo:

Se si crea un vuoto, deve venire qualcosa a riempirlo. È quello che facciamo tutti. […] Io ho riempito il vuoto lasciato da qualcuno. E tu riempirai il vuoto

creato da me. Sono turni. […] Tua madre si è unita al vuoto e ti ha messo al mondo240.

Egli gli aveva già rivelato che era il suo vero padre, ma perché potesse comprenderlo Tengo doveva capirlo da solo. Infatti nel momento in cui associa la paternità al vuoto il padre gli rivela che «se non lo [avesse] capi[to] da solo, non ci [sarebbero state] spiegazioni che [avrebbero potuto] far[glielo] capire»241 mostrando, come ricorda

Goethe, che la paternità deve essere riconquistata per poterla possedere davvero. Nel momento in cui Tengo esprime la propria personalità attraverso la scrittura del romanzo si stacca dal genitore, ma al tempo stesso comprende il debito che ha verso di lui. Tengo diviene così il legittimo erede242.

La condizione dell'erede è etimologicamente quella dell'orfano, del mancante, del deserto243. L'assenza del padre diviene dunque fondamentale per il processo di

individuazione di Tengo e gli permette di essere a sua volta padre del figlio che Aomame ha in grembo.