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Claudia Stancati *

4. Dal contratto al processo

A Venezia come abbiamo detto c’è sufficiente ‘eguaglianza’ perché i due mercanti possano stipulare un contratto che certo non ha un nomen juris e una disciplina

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particolare ma che è tuttavia tutelato dalle leggi. Nelle vesti di avvocato Porzia dirà: “La causa da voi intentata è strana ma regolare, e la legge veneziana non può impedirvi di procedere” (Mercante, IV, i).

Il contratto istituisce un rapporto che non cancella le differenze che non crea amicizia alcuna ma solo pari misure: denaro per un tempo dato, con un dato interesse, e poi oro contro carne.

Shylock è acutamente consapevole della distanza che lo separa da Antonio che, fino al momento del contratto, non fa prestiti né li contrae prendendo o dando interessi:

lo odio perché è cristiano; ma di più perché nella sua bassa ingenuità presta denaro gratis e ci abbassa il tasso d’interesse. Lui odia la nostra sacra nazione e inveisce proprio dove più si radunano i mercanti, contro di me, i miei affari, il mio ben meritato profitto, che lui chiama interesse. Sia maledetta la mia tribù, se gli perdono! [Mercante, I, iii]

Per questo Shylock afferma: “comprerò e venderò con voi, parlerò e camminerò con voi, e così via, ma non mangerò, non berrò e non pregherò con voi” (Ivi, I, iii) .

A suffragare la sua concezione della vita Shylock dispiega tutta la sua sapienza biblica narrando di come Giacobbe stesso si sia arricchito. E alle rimostranze di Antonio risponde: “No, non prendeva interessi, non interessi diretti, come direste voi. […] Questo fu un modo di profittare, ed egli fu benedetto; perché il profitto è una benedizione, se gli uomini non lo rubano” (Ivi, I, iii).

Per Antonio la lettura dell’episodio biblico data da Shylock è una riabilitazione dell’usura:

Giacobbe fu strumento, una cosa che non era sua facoltà far accadere, ma diretta e foggiata dalla mano del cielo. Fu inserito, questo, per giustificare l’usura? O è forse il vostro oro e argento pecore e montoni? [Mercante, I, iii]

È così esattamente per Shylock per cui il denaro va fatto generare con la stessa rapidità con cui si riproduce il bestiame, e diventa, secondo il proverbio popolare che sarà citato da Marx, money which begets money .

Questa radicale differenza si è tradotta nei comportamenti antisemiti del raffinato Antonio che Shylock gli rinfaccia:

Signor Antonio, più e più volte a Rialto voi mi avete insultato per le mie somme di denaro e i miei interessi; ho sempre sopportato con una paziente scrollata di spalle, perché la sopportazione è l’insegna di tutta la nostra tribù. Mi chiamate miscredente, cane assassino, sputate sulla mia gabbana d’ebreo, e tutto per l’uso che io faccio di quello che è mio.

Ebbene, ora sembra che abbiate bisogno del mio aiuto. Ma bravo! Venite da me e mi dite, ‘Shylock, vogliamo del denaro’, così mi dite, voi che mi avete scatarrato sulla barba e preso a calci come si scaccia dalla soglia un cane randagio, voi mi chiedete del denaro! Cosa dovrei dire a voi? Non dovrei dire, ‘Ha denaro un cane? È possibile che un bastardo presti tremila ducati?’, oppure dovrò prosternarmi e con il tono di uno schiavo, col fiato sospeso, e in un umile sussurro, dirvi così: ‘Buon signore, mi avete sputato addosso mercoledì scorso, scacciato a pedate il tal giorno, un’altra volta m’avete chiamato cane, e per queste cortesie io vi presterò tutto questo denaro’? [Mercante, I, iii]

Di questi comportamenti Antonio non si pente, il contratto che sta per stipulare non suppone amicizia o riconoscimento:

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46 È probabile che ti chiami così ancora, che ti sputi addosso ancora, e anche che ti scacci a pedate.

Se vuoi prestare questo denaro, non prestarlo come ad amici, perché quando mai l’amicizia ha preteso da un amico quel che può generare lo sterile metallo? Ma prestalo piuttosto al tuo nemico; così, se mancherà all’impegno, potrai con miglior viso esigere la penale. [Mercante, I, iii]

Shylock incalza:

Venite con me da un notaio, firmatemi una semplice obbligazione, e, tanto per scherzo, se non mi pagate il tal giorno nel tal luogo, la somma o le somme specificate nel contratto, la penale sia indicata in una libbra esatta della vostra carne chiara, da tagliare e prendere in quella parte del vostro corpo che piacerà a me.

[…] se lui non rispettasse la scadenza, che guadagnerei ad esigere la penale? Una libbra di carne umana, presa da un uomo, non ha altrettanto pregio né profitto della carne di montone, o manzo o capra. […] incontriamoci tra poco dal notaio; voi ditegli come stendere questa buffa obbligazione ed io vado subito a mettere in borsa i ducati. [Mercante, I, iii]

Nella stipula del contratto l’eguaglianza tra i due contraenti è solo formale, quello che è in gioco è la visione della vita del mercante ebreo contro quella aristocratica di Antonio, irriducibili l’una all’altra. È su questi valori non c’è trattativa possibile. Nella richiesta del prestito Shylock vede l’occasione per comprare col suo oro la vendetta là dove non può avere né l’eguaglianza reale (che non vuole), né il rispetto che neppure con tutto il suo aristocratico distacco Antonio può offrirgli. A Shylock basta che la legge tuteli il contratto che ha stipulato

Nel processo Shakespeare illustra il contrasto tra le due visioni del mondo con quello tra due tipi di leggi: l’antico e il nuovo testamento. ‘Occhio per occhio dente per dente’ chiede Shylock e invoca “i miei atti mi ricadano sulla testa!”, echeggiando versetti biblici quali “il sangue di Cristo ricada su di voi e sui vostri figli”, o la profezia di Daniele: “misurare, pesare, dividere” (Mercante, IV, i), mentre Porzia contro la legalità che non ammette eccezioni fa ricorso ad una superiore giustizia realizzata attraverso la clemenza e quindi non attraverso la norma ma attraverso l’eccezione alla norma medesima.

Shylock, da parte sua, si appella ossessivamente alla ‘obbligazione’, a quel contratto pienamente legale e liberamente accettato da Antonio che è l’unico strumento che gli consenta non solo la tutela del capitale prestato e non tanto il riconoscimento della sua dignità quanto piuttosto la vendetta:

La mia obbligazione! Non dir nulla contro la mia obbligazione! […]

Ho fatto giuramento d’esigere la mia obbligazione. Tu m’hai chiamato cane senza ragione, ma, poiché io sono un cane, attento alle mie zanne. Il doge dovrà rendermi giustizia. […]

Esigo la mia obbligazione. Non voglio sentir parole, esigo la mia obbligazione, e perciò non parlare più. Non si farà di me un tenero idiota dall’occhio spento, che scuota la testa, s’addolcisca, sospiri e ceda all’intercessione dei cristiani. Non mi seguire, non voglio parole, esigo la mia obbligazione. […]

Io invoco la legge e la penale della mia obbligazione. [Mercante, IV, i]

Antonio è pienamente consapevole dell’odio di Shylock e della validità del contratto per cui “il doge non può impedire il corso della legge, perché, se fossero negati i privilegi

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che gli stranieri hanno da noi a Venezia, ciò screditerebbe la giustizia dello stato, dato che il commercio e il profitto della città dipendono da tutte le nazioni” (Mercante, IV, i) .

Ancor Prima dell’intervento di Porzia, il dialogo tra il Doge e Shylock mostra con chiarezza tutti gli elementi che abbiamo indicato:

Shylock, tutti credono, e così credo anch’io, che persisterai in questo perfido atteggiamento fino all’ultimo atto; e poi si pensa che mostrerai clemenza e compassione più strane di questa tua strana crudeltà manifesta; e laddove ora tu esigi la penale, che è una libbra di carne di questo povero mercante, non solo vorrai rinunciare all’obbligazione, ma, toccato da umana gentilezza e benevolenza, gli condonerai una parte del capitale, considerando con misericordia le perdite che di recente gli si sono accumulate sulle spalle, tali da schiacciare un principe dei mercanti e strappare commiserazione per il suo stato a petti di bronzo e duri cuori di pietra, a inflessibili turchi e tartari mai educati ad azioni d’affettuosa generosità.

Aspettiamo tutti una risposta gentile, ebreo.

Ho informato Vostra Grazia – replica Shylock – del mio intendimento, e sul nostro santo Sabato ho giurato di prendermi la penale che mi è dovuta dall’obbligazione. Se me lo negate, ne ricada il danno sul vostro statuto e sulla libertà della vostra città. Mi chiederete perché io preferisca prendere una porzione di putrida carne anziché accettare tremila ducati. Non risponderò a questo, ma diciamo che è un mio capriccio. È una risposta? E se la mia casa fosse molestata da un topo, e a me piacesse dar diecimila ducati per farlo avvelenare? Vi basta la risposta? C’è chi non sopporta un maiale cotto a bocca aperta, c’è chi dà in smanie se vede un gatto, e altri che non riescono a trattenere l’orina quando la zampogna suona di naso; perché l’emozione, signora delle passioni, le governa secondo il modo che le piace o le ripugna. Ora, per rispondervi: come non può dare una sicura ragione chi non sopporta un maiale a bocca aperta, chi un gatto innocuo e necessario, chi una lanosa zampogna, ma deve per forza sottomettersi all’inevitabile vergogna di offendere, ricevendo egli stesso offesa; così non sono io in grado di dare una ragione, né voglio, al di là di un odio radicato e di una certa ripugnanza che ho per Antonio, per cui così insisto in un costoso processo contro di lui. Vi basta la risposta? [Mercante, IV, i]

La ragione dell’accanimento di Shylock sta quindi nella sfera emozionale della vita del mercante, nelle passioni della cui rivincita il diritto è in questo caso un mero strumento. Il contrasto tra due forme di vita che si sono intrecciate nella forma giuridica del contratto è insanabile come avverte Antonio stesso interrompendo il battibecco tra Bassanio e Shylock:

Ti prego di ricordare che discuti con un ebreo. Tanto varrebbe che ti mettessi sulla spiaggia a dire all’alta marea d’abbassare il suo livello; tanto varrebbe che disputassi con il lupo perché fa belare la pecora per il suo agnello; tanto varrebbe che proibissi ai pini montani di agitare le alte cime e di stormire quando sono scossi dalle raffiche del cielo; piuttosto che cercare di ammorbidire – cosa c’è di più duro? – il suo cuore giudeo. Perciò, ti scongiuro, non fare altre offerte, non usare altri mezzi, ma lascia che nel modo più semplice e breve io abbia la mia sentenza, e l’ebreo ciò che vuole. [Mercante, IV, i]

Quando uno straniero tocca i privilegi di un mercante veneziano, sia pure grazie ad un rispetto della legge portato alle sue estreme, paradossali, conseguenze, allora la legge vorrebbe flettersi alla necessità di salvare il mercante. La giustizia cristiana e cattolica cerca con tutti i mezzi di riportare la libbra di carne al suo significato simbolico,

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di trasformarla in denaro. Ma fallisce poiché quello di Shylock è un atto di ribellione radicale. Al Doge che gli chiede: “come potrai sperare clemenza, se non ne concedi?” Shylock risponde accusando i cristiani di violare l’uguaglianza che professano e invocando l’intangibilità delle leggi della città:

Quale giudizio dovrei temere, se non faccio alcun male?

Voi avete con voi molti schiavi comprati, che, come i vostri asini e cani e muli, usate per compiti abbietti e servili, perché li avete acquistati. Dovrei dirvi, lasciateli liberi, sposateli alle vostre figlie! Perché sudano sotto i loro carichi? Che i loro letti siano soffici come i vostri e i loro palati stuzzicati dalle stesse vivande. Rispondereste: gli schiavi sono nostri. Così vi rispondo io: la libbra di carne che esigo da lui fu pagata cara, è mia e voglio averla. Se me la negate, vergogna sulla vostra legge! Non hanno forza i decreti di Venezia. Aspetto la sentenza. Rispondete, l’avrò? […] Finché con i tuoi insulti non toglierai il sigillo dalla mia obbligazione, offenderai solo i tuoi polmoni a urlare così; aggiustati il cervello, giovanotto, o è destinato a irrimediabile rovina. Io sono qui per avere giustizia. [Mercante, IV, i]

L’etica inflessibile di Shylock non conosce mediazione e ogni appello al diritto come clemenza si mostra insufficiente a placarlo; egli non violerà la legge che gli impone di non venir meno ad un giuramento fatto per una città che non riconosce pari dignità alla sua visione della vita e alle sue convinzioni religiose: “un giuramento! Ho fatto al cielo un giuramento; dovrò gravarmi l’anima di uno spergiuro? No, non per Venezia!” (Mercante, IV, i).

A trovare la soluzione è una donna che comprende di poter vincere sulle ragioni legittime dell’ebreo proprio usando con determinazione e senza deroghe la legge stessa, applicandola alla lettera. Al principio Porzia chiede al mercante di essere clemente poiché:

La clemenza ha natura non forzata, cade dal cielo come la pioggia gentile sulla terra sottostante; è due volte benedetta, benedice chi la offre e chi la riceve; è più potente nei più potenti, e si addice al monarca in trono più della sua corona. Lo scettro mostra la forza del potere temporale, è l’attributo della soggezione e della maestà, sede del timore che incutono i regnanti; ma la clemenza sta sopra al dominio dello scettro, ha il suo trono nel cuore dei re, è un attributo di Dio stesso; e il potere terreno più si mostra simile al divino, quando la clemenza mitiga la giustizia. Quindi, ebreo, pur se giustizia è ciò che chiedi, considera questo, che a rigore di giustizia nessuno di noi troverebbe salvezza. Noi invochiamo clemenza, e quella stessa preghiera insegna a tutti noi a fare atti di clemenza. Tanto ho detto per mitigare la giustizia della tua richiesta; se la manterrai, questa rigorosa corte di Venezia dovrà per forza dar sentenza contro il mercante. [Mercante, IV, i]

A Porzia Shylock ribatte:

si direbbe che voi siate un degno giudice, conoscete la legge; la vostra interpretazione è stata molto corretta. Vi invito, in nome della legge, di cui voi siete un meritevole pilastro, di procedere alla sentenza. Per l’anima mia, io giuro che non c’è potere in lingua d’uomo che mi muti. Io m’attengo alla mia obbligazione. [Mercante, IV, i]

Al rifiuto di Shylock e di fronte ai tentativi di Bassanio che gli chiede di mutare la natura della penale a costo di forzare la legge in nome della giustizia: “per una volta distorcete la legge con la vostra autorità; per una grande giustizia, fate un piccolo torto, e

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frenate il volere di questo diavolo crudele” (Mercante, IV, i), Porzia replica: “questo non sarà mai, non c’è potere a Venezia che possa alterare una legge stabilita: ciò costituirebbe un precedente, e molti abusi, dietro tale esempio, irromperebbero nello stato” (Ivi, IV, i).

La concezione che qui Porzia enuncia è condivisa da molti dei grandi ‘libertini’ dell’epoca e trova eco nello stesso Pascal (Castrucci 1981; Stancati 1996); del resto Shakespare scrive solo pochi anni prima che Hobbes, separando legge e diritto imponga con ciò anche la separazione di morale e diritto e per, questa stessa strada, l’artificialismo politico e giuridico moderno.

È per tutelare la legge che non può tollerare eccezioni se non integrandole in una nuova formulazione, che Porzia cerca la soluzione nel rispetto letterale della legge e non più nel principio di clemenza. È citando letteralmente il testo del contratto che Porzia introduce quel grimaldello che le permetterà di aver ragione dell’ebreo dandogli più giustizia di quanto egli chieda come in ogni sofisma che si rispetti:

Ebbene, quest’obbligazione è inadempiuta! e legittimamente con essa l’ebreo può reclamare una libbra di carne, che deve essere da lui stesso tagliata quanto più vicino al cuore del mercante […] Perché il senso e il proposito della legge comportano chiaramente la penale che appare qui dovuta nell’obbligazione. […]

Una libbra della carne di quel mercante è tua, la corte l’aggiudica, e la legge l’assegna. […] E tu devi tagliare questa carne dal suo petto, la legge lo concede, e la corte l’aggiudica […] c’è qualcos’altro: questa obbligazione non ti concede neanche una goccia di sangue; le parole dicono espressamente ‘una libbra di carne’. Prendi dunque la tua penale, prendi la tua libbra di carne, ma se, nel tagliarla, versi una goccia di sangue cristiano, le tue terre e i tuoi averi sono, per le leggi di Venezia, confiscati dallo stato di Venezia.. […] Quindi preparati a tagliare la carne. Non versare sangue e non tagliarne né più né meno di una libbra esatta di carne. Se ne prendi più o meno di una libbra esatta, fosse solo quel tanto che la renda più leggera o più pesante della ventesima parte d’un misero grammo, o d’una frazione di quella, o meglio se la bilancia pende della misura di un capello, tu muori, e tutti i tuoi beni sono confiscati [Mercante, IV, i]

È solo nel momento in cui Shylock sconfitto rinuncia alla sua obbligazione che Porzia lo incalza ancora e gli mostra quanto egli dipenda da quella clemenza che ha rifiutato:

Aspetta, ebreo, la legge ti tiene ancora in pugno. È stabilito nelle leggi di Venezia che se è provato contro uno straniero che, con mezzi diretti o indiretti, egli attenta alla vita di un cittadino, la persona contro cui egli ha tramato entrerà in possesso di metà dei suoi beni, l’altra metà va alle casse dello stato, e la vita del reo è alla mercé del doge soltanto, escluso ogni altro appello. In questa situazione io dichiaro che tu ti trovi, perché risulta manifesto dalla tua azione che, indirettamente, e direttamente anche, tu hai tramato contro la vita stessa del convenuto e sei incorso nel danneggiamento sopra da me recitato. Giù, dunque, e supplica clemenza al doge. [Mercante, IV, i]

Ed a questa clemenza Shylock oppone ancora un rifiuto, dinanzi alla totale divergenza delle due concezioni del mondo il diritto resta una ‘forma’ che lascia fuori l’essenza di ognuna delle forme di vita di cui permette la coesistenza:

prendetemi la vita e tutto, non fatemene grazia! Mi prendete la casa, quando mi prendete la trave che sostiene la mia casa; mi prendete la vita quando mi prendete i mezzi con cui vivo. [Mercante, IV, i]

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L’uscita di scena dell’ebreo segna così l’inizio della moderna legalità sganciata da ogni richiamo alla tradizione, alla clemenza, all’orizzonte religioso. Shylock se ne va sconfitto e solo. In silenzio torna alla sua condizione di Altro, di straniero in tutte le sue accezioni.

Il Mercante shakespeariano si mostra come un testo difficile e misterioso, di profonda ambiguità, un capolavoro in bilico tra intolleranza a razzismo, senso dell’etica e denuncia delle false apparenze. In esso gli universi paralleli si intrecciano, rivelandosi l’uno specchio dell’altro – pur nello scontro di climi e atmosfere, linguaggi divergenti, ogni certezza presunta comincia ad incrinarsi e a creare un’altra possibile realtà, mentre davanti ai nostri occhi si svela il carattere doppio o sfuggente di quasi tutti i personaggi. Gli ‘eroi’ rivelano le proprie debolezze e i ‘malvagi’ sanno spiegare le ragioni dell’odio, che sempre nasce da violenze reciproche, a turno inflitte e subite. In questo dramma, la cui unità è stata fortemente discussa, Shakespeare vuol mostrare come da un lato e dall’altro dello specchio non è l’appartenenza religiosa o sociale ma l’integrità, l’ingegno e l’inventiva (che sono la cifra dei personaggi di Antonio e Porzia) ad esprimere la positività poiché l’usuraio e lo scialacquatore sono il recto e il verso di un solo foglio. Tutti – giovani innamorati e nobili gaudenti, mercanti cristiani e usurai ebrei, belle ereditiere e servi deformi – si preoccupano della propria sopravvivenza e della propria felicità, difendendo con feroce determinazione il proprio ideale di vita come l’unico possibile, calpestando la tolleranza e confidando ciecamente nel potere del denaro.

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