Paolo Heritier *
1. Forme del corpo, forme della legge: il piede
E tuttavia, a partire dall’individuazione di questa struttura comunicativa universale (almeno nella concezione giuridica dell’Occidente), in tema resta ancora qualcosa da
Paolo Heritier, Forme estetico giuridiche del corpo e fonti del diritto: la mano, il piede, l’occhio
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dire, in relazione a questa seconda immagine emblematica e ai suoi sviluppi. Proveremo a inserirci nel tema apponendo quindi qualche glossa testuale e visiva al commentario, in questo paragrafo, e a estendere il discorso, nel prossimo e conclusivo paragrafo.
Un’analisi più ampia del secondo emblema è per la verità condotta anche da Goodrich, non nell’articolo Visiocracy, ma nel libro Emblemi giuridici, collocando il tema in un discorso ancora più ampio, se possibile. Seguire lo sviluppo dell’analisi costituirà quindi un détour che ci sarà utile a procedere nella comprensione del nesso mano-piede come posto all’origine della questione della forma plurale della scrittura della legge mediante il corpo, comunicata e appresa mediante l’immagine e la visione, come problema del fondamento e della tradizione.
Notando come il common law sia in primo luogo una forma non scritta di diritto, Goodrich precisa come siano “custom and precedent rather statute or code that marks and defines our national law”(Goodrich 1990: 116-117)3. Conoscere la legge, in questa
prospettiva, significa rendersi conto di una tradizione non scritta esistente al di fuori della storia, nel dominio delle cose divine:
in Coke’s words, even where it is a matter of reading the law, it is a question of reading not simply the words of the text but also the tradition that accompanies them; the text is a mere representation of an external memory; it is a vestige in the classical sense of vestigium, an imprint, a footprint, a mark or trace of something, of some bodv, of some practice that passed on time out of mind or countless years ago. Where it is a question of reading, then it is not the words but the truth that is to be adhered to: in lectione non verba sec veritas est Amanda. [Goodrich 1990: 117]
La memoria è, classicamente, il prodotto di una fede collettiva (communis opinio) o, da ultimo, di una fede nella verità dei testi (de fide istrumentorum), che pertiene a un tempo al testo religioso e al testo giuridico. Per questa via, usi e costume, nella teoria del common law, ci riconducono alla natura, intesa come modello e l’immagine della fonte divina. Il common law occupa una posizione in natura, cammina nei sentieri della terra, e il motto che Bornitius usa, il costume è una seconda natura, appartiene a questa tradizione:
La natura precede lo scritto, o meglio, è una più alta forma di scrittura, una achiropitica, vale a dire una iscrizione senza mani. La natura è la prima legge, la prima chirografia, e la sua più immediata forma è quella dell’immagine, il mondo visibile con tutti i suoi sentieri e segni. La natura imita la divinità e l’umanità, nell’imitare la natura, risponde a e obbedisce al divino. [Goodrich 2015]
Il significato dell’emblema che rappresenta lo scriba senza braccia assiso su un ceppo, fuori dalla città, immerso nella natura, intento a scrivere con il suo piede destro sta a dire che sono le azioni e essere più credibili delle parole e seguono una strada che non passa per la mano:
Possiamo parlare mentre camminiamo, in movimento, ma non possiamo scriver mentre deambuliamo. Il deambulare è allora il segno della legge prima, l’iscrizione di una più elevata causa, l’archetipo della scrittura, ed è mostrando il soggetto amputato intento a scrivere con il piede destro che Bornitius esprime il potere di una legge che appare senza l’intervento di alcuna mano umana, una legge di natura essa stessa. Questo è quello che classicamente è significato da una legge non scritta
3 Per altre analisi del tema del common law, variamente tra pensiero storiografico e teoria giuridica
La vita nelle forme. Il diritto e le altre arti. Atti del VI Convegno Nazionale ISLL
121 – ius non scriptum – che è iscritto invisibilmente nei cuori, solo nella memoria, senza alcun bisogno di esser scritto. [Goodrich 2015]
Non può non tornare alla mente qui quello che Goodrich scriveva a proposito della grammatologia come questione della forma della legge:
For grammatology, the key question is precisely that of the form of law: a science of legal writing will look at law specifically as writing; it will define law by its opus, its work which is a body of writing, a special literary genre or species of writing that would have to be placed close – in the order of genres – to drama on the one hand and to the epic on the other. [Goodrich: 1990: 114]
La questione della legge come forma riguarda la stessa messa in scena della scrittura in un ordine gerarchico, in una metafisica della presenza, che la decostruzione di Derrida criticherebbe.
Per Ricoeur, esponente di un’ermeneutica tradizionale, nella scrittura il testo scritto fisserebbe, per così dire, una parola anteriore, in una concezione del rapporto tra parola e scrittura secondo la quale la prima sarebbe antecedente, necessariamente, alla seconda e ove sarebbe emersa prima la parola, solo successivamente la scrittura, come formalizzazione di un elemento fonetico. Sarebbe così configurabile un rapporto di sostituzione, tra dialogo e testualità: la scrittura sostituirebbe la parola; il lettore sostituirebbe l’interlocutore (Ricoeur: 1986 : 156-178), in un dispositivo di finzioni strutturanti l’ordine di senso della “metafisica della presenza”, volta a risolvere il paradosso della legalità costruendo una gerarchia delle fonti retta della nozione di natura e dalla struttura teologica giuridica già precisata. Com’è noto la differenza tra la posizione di Derrida e quella di Ricoeur muove dalla proposta di invertire il rapporto tra parola e scrittura fissato nell’ordine gerarchico naturale indicato da Aristotele nella celebre affermazione del De Interpretazione “I suoni emessi dalla voce sono i simboli degli stati dell'anima e le parole scritte, i simboli delle parole emessi dalle parole parlate”4.
In questa visione tradizionale la voce avrebbe infatti un rapporto di prossimità iniziale con l’anima: gli stati dell’anima essendo in contatto diretto, naturale con la voce, ne deriverebbe la condanna della scrittura come fenomeno secondario derivato e negativo, enunciata da Platone nel Fedro, a ragione di questo presupposto circa la prossimità originaria dell’anima alla voce, a cui seguirebbe la celebrazione platonica della memoria. Di qui la critica di Derrida a questa concezione, alla “metafisica della presenza” volta a riassegnare il primato alla scrittura.
In questo contesto decostruzionista si inserisce l’interpretazione di Goodrich dell’emblematica giuridica e del ruolo dell’immagine nella scienza della scrittura giuridica: la scrittura, per gli scribi dotati di mani, è un artificio umano, un secondo ordine giuridico riflessivo del decreto divino primo, il primo ordine delle immagini nella natura stessa, garantito dal sovrano.
L’immagine precede la scrittura e lo scritto è così un modo secondario dell’immagine: la parola stampata è semplicemente un’altro segno figurativo, una specie di geroglifico… L’immagine allora è parte di quello che Derrida definisce “scrittura in generale”, un aspetto del costume e dell’uso, la pratica immemoriale che i giuristi di common law chiamano la lex terrae, un ambito di immagini prime, di modelli emblematici. [Goodrich 2015]
Paolo Heritier, Forme estetico giuridiche del corpo e fonti del diritto: la mano, il piede, l’occhio
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Possiamo quindi giungere a una prima conclusione sulle prossimità e le differenze tra i due emblemi, tra le due diverse forme di scrittura normativa che essi fissano. Si tratta di analizzare le condizioni di possibilità stesse della messa in scena del testo normativo5, nel suo rapporto con il suo fondamento divino.
Dal punto di vista iconico, la classica contrapposizione tra civil law e common law è emblematizzata dalla opposizione mano/piede (decreto/consuetudine), ma all’interno di una comune concezione visuale del riferimento alla natura e al problema della pluralità necessaria di forme della scrittura del vero. I riferimenti di Goodrich palesi sono qui Legendre e Derrida, ma il problema che viene posto è precisamente quello della pluralità delle forme di orientamento del comportamento umano, tutte, diversamente, legate alla posizione dell’iconico e allo sfondo teologico di legittimazione del giuridico.
Si è già precisato come, per Goodrich, la tradizione del common law sia da intendere come un linguaggio implicante la trasmissione di un assetto istituzionale; resta da precisare come questo sia scritto nell’uomo: la tradizione di common law, ricordava Goodrich in Languages of Law, “implies the affective attachment of the individual to the order of institutional existence”( Goodrich 1990: VII). L’analisi dei testi giuridici implica la presa in conto dell’immagine come forma della scrittura del normativo, parte di quel fenomeno della scrittura in generale ricercato da Derrida nella Grammatologia. In questo senso, l’analisi delle differenti forme della scrittura nei due emblemi è assai indicativa di un problema antropologico e cognitivo. Le due immagini differiscono per l’arto che scrive (la mano, il piede), nel senso già precisato da Goodrich, e anche per il differente scenario: quello collettivo degli scribi immerso nella struttura architettonica imperiale, o quello individuale dell’uomo privo di braccia, immerso nella natura (e tuttavia anche esso rinviante al processo collettivo precedente di istituzione del sentiero, del costume, della traccia derivante dall’azione). Il punto che vorrei sollevare è quello delle condizioni di possibilità – o di impossibilità – della scrittura con le mani. Lo scriba senza braccia non può scrivere con le mani, deve necessariamente individuare una via differente di scrittura, che passa per altri sentieri, per altre forme del corpo. V’è, in questa distinzione tra scrittura con le mani e scrittura con i piedi una semplice equivalenza di risultati? Le diverse forme in cui la scrittura viene resa, che cosa indicano?
V’è, a mio avviso, insita in questa sovrapposizione, la possibilità di una trappola. In una trappola, come nota Derrida nella sua prefazione alla seconda edizione del testo di Silvano Petrosino Jacques Derrida e la legge del possibile, ignoriamo “chi intrappola chi”: la vittima è unica ma essenzialmente soggetta a sostituzione, data l’essenziale iterabilità della macchina così chiamata trappola. Quindi non sappiamo mai chi intrappola chi, dato che colui che mette la trappola può potenzialmente restare anche’egli sempre intrappolato. Non sappiamo mai quale animale ci lascerà le zampe (piège – trappola, pedica, pes, pedis), poiché la trappola è anche un’aporia che impedisce al vivente di camminare bene. Essa interrompe persino il poter camminare, con o senza scarpe (Derrida 1997: 17). Il tema della prefazione al testo di Petrosino è legato al titolo del libro, riferito alla legge del possibile nel “padre” del decostruzionismo, già un’interpretazione di quel nesso tra possibile e impossibile e del prevalere dell’uno sull’altro nel pensiero di Derrida:
Quando l’impossibile si fa possibile, l’evento ha luogo (possibilità dell’impossibile). È persino questa, irrecusabile, la forma paradossale dell’evento: se un evento è
5 Questo sarebbe, tra l’altro, il compito dei Critical Legal Studies secondo Goodrich, rileggere con Foucault,
al seguito di (e contro) Kant, le condizioni di possibilità dei testi giuridici del common law (Goodrich 1990: 2).
La vita nelle forme. Il diritto e le altre arti. Atti del VI Convegno Nazionale ISLL
123 possibile, se si iscrive in condizioni di possibilità, se non fa che esplicitare, svelare, rivelare, compiere ciò che era già possibile, allora non è o più un evento. Affinché un evento abbia luogo, affinché sia possibile, è necessario che sia, in quanto evento, in quanto invenzione, la venuta dell’impossibile. [Derrida 1997: 11-12]
La condizione di possibilità opera sempre come condizione di impossibilità, ciò che rende possibile rende al tempo stesso impossibile la realtà stessa che rende possibile: questa “filiazione incredibile”, nota Derrida è l’origine stessa della fede. In che relazione sta questa fede che scaturisce dall’impossibile con quella fede collettiva in precedenza denominata, con riferimento al common law, communis opinio6? La condizione
dell’impossibilità dello scrivere con le mani manifestato dalla figura del disabile privo di braccia è al tempo stesso la condizione di possibilità dello scrivere con i piedi, ma cosa è qui, quel “al tempo stesso”, quale è la forma che prende questa impossibilità nel suo divenire possibile? Quali sono le “condizioni di possibilità”, oggetto proprio dell’analisi dei Critical Legal Studies secondo Goodrich, di questo prendere forma diverso, e quale il complesso rapporto con l’idea di natura? Il commento di Bornitius all’emblema inizia precisando “Admirandum est naturae artificium acque ingenii humani vis ac potentia” e ripete lo schema Consuetudo altera est natura con Consuetudo altera extat natura. L’emblema si confronta con il problema della continuazione della natura nella consuetudine in un dispositivo che tiene conto della impossibilità corporale di compiere un’azione (Vidimus manibus carentes fila texere, litteram pedibus exarare), inserendo l’impossibilità come condizione della possibilità di un’altra azione, di un’altra (forma di) scrittura, come punto di partenza necessario del discorso normativo, in quanto forma corporale della legge. Per natura, si nasce senza braccia? Questa, non è la stessa trappola, lo stesso paradosso presente nella nozione stessa di legge (della possibilità, caratterizzante l’impostazione filosofica di Derrida, secondo Petrosino)?
L’immagine come forma secondaria e altra della scrittura della legge, può dunque aprire alla possibilità impossibile dell’evento, cui è legata, nella prospettiva di Derrida, la figura stessa dell’irrompere della giustizia, forma giuridica ulteriore alla legge e a essa mai riducibile che chiama in causa la nozione di evento?