Lanfranco Ferroni *
4. Precomprensione, interpretazione giuridica ed interpretazione musicale
Qualche notazione conclusiva sia consentito svolgere con riguardo ai rapporti fra interpretazione giuridica ed interpretazione musicale, ancorché di quest’ultima il sottoscritto abbia una cognizione assolutamente incompiuta, parziale e comunque dilettantistica.
Fra le due tecniche interpretative è possibile individuare la sussistenza di similitudini ed analogie, che ben possono essere rappresentate dal parallelismo che è instaurabile fra (I) causa in astratto e causa in concreto del negozio o del contratto e (II) interpretazione in astratto ed esecuzione in concreto di un brano musicale.
(I) Com’è noto si sta ormai piuttosto univocamente trascorrendo da un concetto di causa astratta definita quale “funzione economico-sociale” ad un concetto di causa concreta intesa quale funzione “economico-individuale”.
Mentre nel vigore del codice italiano del 1865 la dottrina aveva accolto una concezione soggettiva di causa, identificandola con lo scopo che induce i soggetti alla conclusione del contratto, sì che, in quest’ottica, essa finiva sostanzialmente per coincidere con il fine in vista del quale la parte si obbligava, la codificazione del 1942 accoglieva, invece, un concetto di causa in termini oggettivi.
Nella Relazione al codice (la n. 613) si legge, infatti, che “[…] sono ormai maturi i tempi per un superamento dell’esegesi che vede nella causa lo scopo soggettivo perseguito dai contraenti nel caso concreto e, conseguentemente, per configurare tale elemento come la funzione appunto economico- sociale che il diritto riconosce come rilevante, e che giustifica la tutela apportata alla stipulazione intesa come atto esplicativo dell’autonomia privata.”
In questa prospettiva il principale sostenitore della concezione della causa quale funzione economico-sociale, Emilio Betti, osservava che
[…] l’autonomia privata non è tutelata se non in quanto persegua funzioni utili socialmente e rispondenti all’economia nazionale e all’ordinamento pubblico, non essendo più sufficiente, come in regime liberale, il limite puramente negativo che la causa del negozio non sia illecita. [Betti 1940: 222]
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La causa veniva in tal modo “[…] sottratta ad ogni legame con la volontà e sospinta nel dominio esclusivo dell’ordinamento” (Giorgianni 1969: 561), tanto che lo stesso concetto di autonomia privata era visto come lo strumento mediante il quale
[…] le parti provvedono a regolare i propri interessi nei rapporti fra loro o con i terzi, in vista di scopi pratici di carattere tipico, socialmente valutabili per la loro costanza e normalità ricorrente nella vita di relazione. [Betti 1960: 171 (il corsivo è mio)]
mentre la causa era identificata con
[…] la funzione economico-sociale del negozio […] nella sintesi dei suoi elementi essenziali, come totalità e unità funzionale in cui si esplica l’autonomia privata. La causa è, in breve, la funzione d’interesse sociale dell’autonomia privata. [Betti 1960: 181]
Non v’è chi non veda come, così concepita, la causa finisse inevitabilmente per coincidere con il (o sovrapporsi al) concetto di tipo negoziale sì come astrattamente delineato e predisposto dal legislatore. Tanto che, secondo la medesima dottrina qui in esame, “[…] la funzione sociale dell’autonomia privata si rispecchia nel tipo di negozio giuridico.” (Betti 1960: 35)
E finisce per porsi sostanzialmente quale limite alle attività negoziali dei privati, dacché, sì
Come i diritti soggettivi, anche i poteri di autonomia […] non debbono essere esercitati in contrasto con la funzione sociale cui sono destinati: lo strumento dell’autonomia privata, posto nelle mani dei singoli, non deve essere sviato dalla sua destinazione. [Betti 1960: 171 s.]
Concezione, questa, gradita e coerente all’ideologia fascista dell’epoca, in ossequio ed adesione alla quale la causa è utilizzata come strumento di controllo pubblico sull’operato negoziale dei privati e sulla movimentazione della ricchezza, tanto nella sua fase statica (la proprietà), quanto in quella dinamica della sua produzione (l’impresa) e circolazione (mediante il contratto).
La causa, dunque, viene svincolata del tutto dalle finalità delle parti e si distingue dai motivi, dagli scopi particolari che ciascuna di esse tende a perseguire e che rimangono ad essa estranei (e comunque in larga parte irrilevanti) proprio perché soggettivi, contingenti, variabili, molteplici, diversi e spesso contraddittori.
Con la caduta del fascismo e con l’avvento della Costituzione repubblicana le cose cambiano sensibilmente. All’apice dei valori del sistema non si colloca più il corporativismo, l’autarchia ed il produttivismo nazionale propri del fascismo, bensì la persona umana ed i suoi diritti inviolabili. La concezione della causa del negozio o del contratto dovrebbe sensibilmente mutare, dovendosi ora porre, semmai, come strumento di verifica della rispondenza (meritevolezza) dell’atto di autonomia con i nuovi valori posti all’apice dell’ordinamento giuridico.
Ciò nonostante e nonostante la Costituzione non riservi una tutela particolare all’autonomia privata (non potendosi ravvisare tale tutela nell’art. 41 ove si riconosce la libertà di iniziativa economica privata, non già di autonomia contrattuale), la nostra giurisprudenza ha continuato sino a poco più di un decennio fa ad utilizzare, della causa, la tradizionale accezione di funzione economico-sociale.
In dottrina, invece, si era sin dagli anni ‘70 cominciato a prospettare una diversa visione delle problematiche connesse al concetto di causa (Ferri 1966: passim). Il
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sensibile mutamento ideologico riscontrabile nella Costituzione repubblicana, che ha delineato uno stato sociale di diritto e che ha operato un sensibile contemperamento fra le logiche proprie del liberismo puro e quelle sociali(ste), fa si che la causa perda la funzione di controllo sull’agire dei privati, per divenire a sua volta, quale elemento del contratto, oggetto di controllo al fine di verificare se, in concreto, il singolo contratto sia o no conforme ai valori espressi dall’ordinamento.
La nuova accezione di causa che ne risulta, e, cioè, quella di funzione economico- individuale, tende a privilegiare l’impostazione soggettiva, ancorché non più come identificazione fra causa e scopo soggettivo perseguito dai singoli (sì come si era verificato col codice del 1865), in cui la causa si pone come elemento di coesione dei concreti interessi dei privati. L’atto di autonomia torna ad essere espressione di interessi (non più sociali, bensì) privati in quanto tali valutabili dall’ordinamento; ai fini di tale valutazione non sarà più sufficiente verificare se lo schema concreto utilizzato dalle parti sia o no compatibile con uno dei modelli o tipi contrattuali delineati dal legislatore, ma occorrerà, invece, indagare sul significato pratico dell’operazione. Dunque non più un’indagine astratta e statica sul tipo, bensì un’indagine concreta e dinamica volta ad accertare la rispondenza degli interessi perseguiti in concreto dalle parti con gli interessi reputati meritevoli di tutela dall’ordinamento
Ciò che comporta, come peraltro da tempo auspicato da una autorevole dottrina, il superamento della stessa tecnica della sussunzione (Perlingieri 1991: 240 s.). La quale, risolvendosi in un procedimento sillogistico e meccanicistico di riconduzione della fattispecie concreta nella fattispecie astratta prevista dalla norma, potrebbe condurre ad una non corretta o inappropriata qualificazione della prima in assenza della valutazione delle peculiarità che la contraddistinguono e degli interessi e dei valori che vi sono coinvolti. Si approderebbe così a risultati talora sconcertanti ed abnormi, in quanto verrebbero inevitabilmente ignorati o resi irrilevanti profili o aspetti estremamente importanti per la fattispecie concreta, ma non previsti o considerati in quella astratta. E, come già all’inizio posto in risalto, si finirebbe anche per invertire i termini del discorso giuridico: ex iure oritur factum, anziché ex facto oritur ius.
Si deve, invece, individuare ed applicare la normativa maggiormente compatibile con l’assetto di interessi divisato dalle parti, attribuendo il giusto rilievo a tutte le peculiarità che lo caratterizzano
Ora, la sottolineata necessità di superare la tecnica della sussunzione al fine di valorizzare, mediante la valutazione degli interessi concreti versati nel singolo atto negoziale, le peculiarità che contraddistinguono ogni fatto o contratto, comporta che la causa non possa che essere intesa se non come un elemento che fotografa il contratto nella sua dimensione di valore e cioè di regolamento di interessi.
La causa, dunque, come funzione del singolo atto negoziale con cui i soggetti hanno voluto disciplinare i propri particolari interessi, che, conseguentemente, deve riferirsi agli intenti pratici che le parti si prefiggono di perseguire. Ciò che – è bene ribadirlo – non significa ritornare ad una concezione atomistico-soggettiva che ha riguardo alle singole obbligazioni che scaturiscono dal contratto. La nuova concezione di causa di cui qui si discute, infatti, non ha riguardo all’interesse del singolo contraente, bensì all’insieme degli interessi manifestati da entrambe le parti, che, nella loro sintesi palesano il senso della specifica operazione, cioè di quella ragione giustificativa che rileva sia per le parti sia per l’ordinamento. Causa, in conclusione, come espressione oggettiva delle finalità soggettive che gli autori del contratto intendono perseguire.
(II) Il corrispondente, nell’ambito dell’interpretazione musicale, della causa in astratto, potrebbe essere rappresentato dallo studio teorico, da parte di un pianista o di
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un organista, di un brano musicale, all’esito del quale il musicista delinei in via astratta le peculiarità dell’interpretazione che, in sede di esecuzione, intende dare al brano analizzato: dunque i tempi da seguire nei vari movimenti, le pause, i legati e gli staccati, il piano ed il forte, le registrazioni, ecc.
Poi, però, (ed ecco il corrispondente della causa in concreto) in ragione della maggiore o minore rispondenza acustica e della maggiore o minore ampiezza dell’ambiente in cui il brano deve essere concretamente eseguito, potrebbe accadere che gli esiti teorici dello studio debbano essere rivisitati e/o sensibilmente modificati in sede di esecuzione. Oppure, si pensi alla diversa disposizione fonica, ai diversi colori, alla diversa timbrica, al maggiore o minor numero di registri di un organo rispetto ad un altro. Ebbene le indicazioni esecutive reputate adatte all’uno potrebbero rivelarsi assolutamente inidonee ad un altro strumento.
Ma una sorta di similitudine fra interpretazione giuridica e interpretazione musicale potrebbe ravvisarsi anche in ciò che entrambe sono condizionate da una componente precomprensiva che impedisce all’interprete, in entrambi i casi, di risalire alla “lettura” originaria per come voluta dall’autore, rispettivamente, del testo normativo e del testo musicale. Il che si risolve, come appare evidente, in una critica della filologia intesa come insieme di discipline volte allo studio ed alla ricostruzione della forma originaria dei testi (letterari, musicali, filosofici, ecc.), attraverso l’analisi critica e comparativa delle fonti che li testimoniano, al fine anche di pervenire, mediante varie metodologie di indagine, ad una interpretazione che sia la più corretta possibile o la più oggettivamente coerente possibile con quella originaria.
Ad avviso di chi scrive, in adesione convinta al pensiero di Gadamer, non è ipotizzabile la comprensione del testo di un autore nel senso più autentico possibile, mediante un ritorno al passato che consenta di rivivere le premesse storiche poste a base e presupposto del testo esaminato. È, infatti, impossibile ritornare al passato rivivendolo in modo oggettivo, dacché l’esistenza presente e contingente dell’uomo comporta necessariamente il formarsi di una precomprensione della realtà che comporta la contaminazione anche dell’idea del passato che rende la visione del passato qualcosa di diverso dal passato stesso. Si determina, così, una sorta di circolo ermeneutico in cui la comprensione di un testo storico è condizionata da una serie di conoscenza stratificate che caratterizzano la comprensione di uno stato presente (precomprensione), le quali sono il risultato e, ad un tempo, la sommatoria dell’insieme dei rapporti di comprensione e precomprensione provenienti dal passato. Sì che la comprensione di un momento o periodo storico è il frutto di un’incessante stratificazione circolare di nozioni, che si formano costantemente su se stesse, muovendo dalle nozioni precedenti.
Sulla base delle considerazioni che precedono si può assumere una posizione critica sia nei confronti di quegli interpreti del diritto che hanno la pretesa di cristallizzare il senso normativo di una disposizione sulla base di interpretazioni astoriche, dogmatiche e formalistiche che, in quanto tali, dovrebbero risultare insensibili ed impermeabili alle trasformazioni ed evoluzioni degli interessi e dei valori sociali e normativi di riferimento; sia di quegli interpreti della musica che hanno la pretesa e l’illusione di pensare, basandosi su studi filologici, che vi sia un solo, esclusivo ed immodificabile modo di interpretare ed eseguire un determinato brano musicale.
Ciò che consente di concludere che anche il diritto, al pari dell’arte musicale, si rivela idoneo ad intercettare il flusso trasformativo della vita sociale, in tutte le sue componenti, individuando anche la forma che possa più adeguatamente rappresentarla.
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Riferimenti bibliografici
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Mittica, M. Paola, 2014. “Quando il mondo era mousiké.” Materiali per una storia della cultura giuridica, XLIV, 1: 201-231.
Perlingieri, Pietro, 1979. Scuole civilistiche e dibattito ideologico: introduzione allo studio del diritto privato in Italia. In Tendenze e metodi della civilistica italiana. Napoli: ESI.
ISLL Papers
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The Online Collection
© ISLL - ITALIAN SOCIETY FOR LAW AND LITERATURE
ISSN 2035-553X - 2015 (Vol. 8)
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