Paolo Heritier *
2. Forme del corpo, forme della legge: la formazione dell’occhio interiore
Figura 3 George Wither, Sapiens dominabitur astris. In A Collection of Emblemes… London: Allot, 1635 Figura 4 Wolf Vostell, dettaglio immagine da un’installazione video, Nîmes 2008
6 “La memoria è, classicamente, il prodotto di una fede collettiva (communis opinio) o, da ultimo, di una fede
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In queste due immagini, possiamo individuare, conclusivamente, un tema connesso a quanto precisato fino a ora: l’idea che vi sia qualcosa che precede la lettera della legge (l’occhio interiore, lo spirito che illumina) ed anche, specularmente, il problema fenomenologico della scrittura nella coscienza, vale a dire come si forma l’occhio interiore, e come ciò influisca sulla legge. “L’occhio interiore” precede la formazione della legge e ne adiuva l’interpretazione, si dice classicamente ma, al tempo stesso, vi è sempre qualcosa che precede e lo istituisce, una scrittura precedente, dogmaticamente istituita, che mette in forma, per così dire, l’anima e la orienta.
Il tema del cuore come fonte della legge, come altra strada per comprenderne il senso, è una delle grande istanze giusnaturaliste, a partire dalla formulazione paolina istitutiva del giusnaturalismo cristiano nell’Epistola ai Romani, 2, 12-16 (“quando infatti i pagani, che non hanno legge, per natura agiscono secondo la legge, essi, pur non avendo la legge, sono legge a se stessi. Mostrano che l’opera voluta dalla legge è scritta nei loro cuori…”). Il problema che qui si pone è quello della pluralità di vie che conducono alla realizzazione e messa in pratica della legge: l’una esteriore (l’osservanza della legge scritta), l’altra interiore (la realizzazione delle opere della legge)7. Di grande interesse è l’idea di una precedente scrittura della legge nel cuore dell’uomo, senza che sia precisato come questo avvenga: per natura? Oppure mediante il medesimo dispositivo indicato dall’emblema dello scriba senza braccia, la scrittura di un impossibile, di una giustizia impossibile? Il tema del cuore come vera e propria fonte corporale del giuridico è poi precisato da Legendre per la fondazione della legge nel suo adagio, riferito al pontefice medioevale come successore ideale dell’imperatore romano nel Corpus Iuris Canonici, testimoniato dall’adagio “Omnia iura habet in scrinio pectoris sui” (Legendre 2000: 285-96; anche Berman 1998; Prodi 2006).
Il primo emblema è ancora una volta tratto dal articolo Visiocracy e da Legal Emblems. Per Goodrich (2015) “l’occhio dello spirito, l'occhio interiore, ha la precedenza sull'esterno, proprio come, nel common law, è la legge non scritta – il costume e l’uso da tempo immemorabile, la legge di natura e di Dio – che ha la precedenza sulla ratio scripta”, la legge scritta, vale a dire la legislazione.
L’autore, al di là della descrizione delle simbologie implicite nell’emblema, quali il ruolo del sole, degli astri, degli scribi intenti a scrivere, coglie con precisione il centro teoretico del dispositivo:
La chiave per l’immagine, davanti e al centro, è quindi nell'occhio nel petto del sovrano. Qui sta la sapienza, esemplificata ed incarnata come il vero cuore della sovranità, espresso come un occhio interiore. Il sovrano, come la Giustizia, non ha bisogno di un occhio corporale o della visione esterna. Quel che conta è la legge non scritta, la ragione della natura che è portata dentro ed è vista dall'occhio dello spirito come essa passa, prima che fuoriesca verso l’esterno. La saggezza precede la visione, e la conoscenza viene prima della vista. Abbiamo, in breve, da apprendere come vedere e dare senso al mondo esterno. Questa è la teologia politica dell'immagine come noi l’abbiamo ereditata e manipolata nella legge. La visione è interposta ed è causata. Essa è formata ed è imprigionata, ed è a questo che la tradizione emblematica era diretta… . [Goodrich 2015]
Il punto che qui viene sollevato è il nesso tra iconomia e oikonomia, in quanto legato al nesso tra la iconocrazia e la visiocrazia8, al tema delle lotte iconoclaste e del
7 Ho analizzato il punto in Heritier 2008a: 47-60 e 2008b: 117-58.
8 Nell’enunciare il neologismo visiocrazia, si riferisce all’uso del termine iconocrazia da parte di Mondzain,
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piano di senso storico che la oikonomia, nel suo riferirsi alla vita stessa della Trinità, solleva (Mondzain 2006; Dagron 1990:1-18; Agamben 2007). Senza poter approfondire l’immenso tema, occorre precisare come quella che Goodrich qualifica come teologia politica dell’immagine, l’occhio interiore come immagine della precedenza della legge non scritta, rappresentata iconicamente come la capacità di penetrare la verità divina del mondo e di dominare l’esterno tramite l’interno sia strettamente legata, come precisa anche Paolo Prodi (2000) nel suo monumentale volume dedicato al tema, al dualismo tra coscienza e diritto9. Jacob Taubes, nel suo dialogo con la teologia politica di Schmitt in relazione al pensiero di San Paolo, qualifica questo complesso punto di intersezione nel seguente modo:
Capite cosa volevo da Schmitt? Volevo mostrargli che la divisione fra potere terreno e potere spirituale è assolutamente necessaria e che senza questa delimitazione l’Occidente esalerà il suo ultimo respiro. Questo volevo che capisse, contro il suo concetto totalitario. [Taubes 1997: 186]
Prodi “glossa”, o meglio aggiunge un piccolo corollario a questa distinzione di Taubes osservando che “perché questa divisione esista bisogna che, in qualche modo, vecchio o nuovo, i due poteri esistano così come sono esistiti nella nostra esperienza di uomini occidentali”(Prodi 2000: 485) (analizzata nel libro, che ne riproduce lo sviluppo storico, dal Medioevo alla modernità). Al di là dello stile discorsivo apocalittico di Taubes e del suo profetare, vorrei a mia volta per così dire “glossare” la glossa di Prodi notando come questa divisione di poteri sia inevitabilmente legata alla Iconocrazia di cui parla Mondzain e alla Visiocrazia cui si riferisce Goodrich. V’è un nesso tra la questione del dualismo “esterno” dei poteri e il dualismo tra interno ed esterno entro l’uomo, e l’immagine non è separabile da questi due profili. Il riferimento alla “teologia politica di San Paolo” deve essere non disgiunto dalla “teologia politica dell’immagine”, dalla nozione del nesso cristologico tra il visibile e l’invisibile, che, tramite San Paolo, ha influito sulla storia dell’immagine nella cultura occidentale10. L’opportunità che la disciplina denominata Law and Humanities, la ripresa del tema dell’estetica giuridica e l’analisi del tema della normatività dell’immagine sembrano offrire alla cultura normativa dell’Occidente rappresenta quel nucleo teorico qui individuato, e ha a che fare con il montaggio complesso estetico giuridico delle distinzioni tra immagine e testo, coscienza e diritto, morale e diritto, in relazione alle nozioni di costume e di (messa in) scena e di (messa in) forma del normativo. Il problema della forma di governo, il problema della forma positiva o consuetudinaria della legge non può essere ridotto alla sola opposizione tra morale e diritto, tra giusnaturalismo e giuspositivismo, sia pure riformulati nei termini attuali del dibatto tra il neocostituzionalismo à la Dworkin e il positivismo post-hartiano, ma necessita di un passaggio umanistico, all’interno della dimensione artistica ed iconica del giuridico.
Oltre la tradizionale distinzione tra diritto e morale, o tra giusnaturalismo e giuspositivismo, appare essenziale, nel mantenere la forma di dualismo tra potere temporale e potere spirituale ritenuta essenziale da Prodi e Taubes – per non cadere in
trine to have made the image the symbol of its power and the instrument of all its conquests. From East to West, it convincer all those in power that the one who is the master of the visible is the master of the world and organizes the control of the gaze.”
9 A cui rinviamo per l’analisi dello sviluppo della dottrina del dualismi foro interiore/foro esteriore;
coscienza/diritto, morale/diritto, che vertono intorno alla qualificazione della nozione di costume.
10 Col. 1, 15, che definisce il Cristo “Immagine visibile del Dio invisibile, generato prima di ogni creatura.”
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qualche forma di neo- o post-totalitarismo à la Schmitt – analizzare la dimensione politico giuridica della dimensione artistica dell’umano, a partire dalla svolta iconica11,
fino a una ipotizzata “svolta affettiva”12 in antropologia: istanze che sembrano
affacciarsi oggi con sempre maggior rilevanza nella filosofia contemporanea, in relazione al superamento della cosiddetta “svolta linguistica” preconizzata a suo tempo da Rorty (Rorty 1994; Somma 2007: 22).
Il problema dell’occhio interiore scaturente dalla vicinanza all’origine (supposta divina)(Stolleis 2007), espressa dalla metafora dell’occhio interiore appare, così, a sua volta preceduta dal problema, da declinarsi in chiave fenomenologica, della precedente “scrittura sull’anima”. In questo senso, il salto temporale dall’emblema di Georg Wither alla immagine/provocazione di Wolf Vostell, che pone al centro del cuore dell’uomo non l’occhio interiore, ma una macchina esterna all’uomo, la televisione, appare di grande interesse e riferibile al mantenimento (o al definitivo declino) proprio di quella struttura dualistica che presiede alla formazione della coscienza all’epoca delle tecnica. Se il Tv dé-coll/age di Wolf Vostell associa infatti le trasmissioni televisive ai ricordi del nazismo (Webel 1994: 251-256, e in generale l’intero volume in cui l’articolo compare) l’immagine della televisione posta nel cuore del Cristo presa a prestito da una sua video- installazione può contribuire efficacemente a esemplificare la nozione di Bernard Stiegler di ritenzioni terziarie. Nella terminologia husserliana, come viene letta da Stiegler al seguito di Derrida, la ritenzione primaria è infatti quel che la percezione trattiene dell’oggetto, allorché la ritenzione secondaria è una ritenzione primaria ritenuta e selezionata, vale a dire il ricordo costitutivo del vero e proprio flusso (temporale) della coscienza, rilevante sul piano dell’immaginazione (e non della percezione), finalizzata a trattenere e selezionare le ritenzioni primarie.
Il problema che Stiegler pone con la sua nozione di ritenzione terziaria è precisamente quello della scrittura dall’esterno sulla coscienza dell’uomo attraverso materiali standardizzati e ripetuti infinitamente nella società di massa. Si pensi alla distinzione tra l’assistere a un’esecuzione di un concerto musicale, sempre interpretabile diversamente dall’orchestra (esempio di ritenzione secondaria individuale frutto di una cultura e interpretazione personale), e l’ascolto dello stesso concerto tramite un I-pod, mediante un dispositivo pertanto impoverente e replicabile all’infinito in modo sempre uguale e oggettivo per una pluralità potenzialmente infinita di soggetti. Nel primo caso v’è spazio per una dimensione interiore ermeneutica, allorché nel secondo si presenta il rischio di una standardizzazione di massa tramite una ripetizione infinitamente replicabile. La critica di Stiegler a Husserl si sofferma pertanto sulla derivazione dall’esterno, da una memoria esteriorizzata, da canali proveniente dall’esterno dell’uomo, all’opera nell’iscrizione di tracce influenti su (formanti) il flusso di coscienza, potenzialmente standardizzandolo e meassificandolo13.
L’immagine già vista (Fig. 4) e la successiva (Fig. 6) di Vostell, insieme a quella (Fig. 7) che riproduce un’opera di un altro noto esponente del movimento della video- art, Nam June Paik, evidenziano bene il punto, se accostate al particolare dell’emblema di Wither.
11 Mi limito a indicare Mitchell 2008.
12 Prospettata nel numero 2013 della Rivista TCRS (Teoria e critica della regolazione sociale).
13 In particolare, l’analisi di Stiegler, poi ripresa in molti volumi successivi, si trova in Stiegler 1996. Si
veda anche il riferimento alla nozione di hypomnémata, come supporto al processo di esteriorizzazione della memoria.
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Figura 3
Dettagli
Figura 4
La televisione, ma tutti i media, entrano oggi, per così dire, nel dispositivo della teologia politica dell’immagine ereditato dal Cristianesimo, mostrando come l’istituzione dell’immagine sia rilevante ai fini della iscrizione di determinati contenuti nella coscienza di un uomo, che viene considerato così come una mera superficie di scrittura, di iscrizione di contenuti determinati a priori mediante dispositivi tecnologici.
L’immagine dell’uomo letteralmente fatto a pezzi e decomposto dalla violenza della guerra nel celebre dipinto di Picasso Guernica (1937), viene così raddoppiata dalla violenza delle immagini stilizzate dell’uomo di Vostell (TV-Schue, Décollage, 1970), in cui il corpo dell’uomo è composto da una testa/televisiore, un “tronco” di scarpe vecchie posto al di sopra di gambe/batterie o, ancora, dell’uomo-robot di Nam June Paik (Family of Robot, 1986)(Paik 2014), in cui il corpo umano assume la forma di un insieme di televisori assemblati in forma umanoide.
Figura 5 Pablo Picasso, Guernica, 1957
Figura 6 – Wolf Vostell,TV-Schue, Décollage, 1970
Figura 7 Nam June Paik, Family of Robot, 1986
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Qui è la forma stessa dell’umano che diviene scomponibile in pezzi esterni che ne determinano l’interno e, conseguentemente, lo sguardo. Qui il costume, lungi dal far riferimento a una coscienza legata al divino, è fornito interamente dalla tecnologia, intesa come forma di iscrizione, di scrittura, televisiva, mediatica, nella coscienza. Il cuore dell’uomo è costituito dalle immagini che egli ritiene (ritenzioni terziarie). Interessante, tuttavia, è il permanere analogico della forma dell’umano, interamente costituito in modo artificiale, che corrisponde al sogno moderno dell’uomo/macchina già presente in quella figura del Corpus Iuris concepita da Hobbes nell’immagine emblematica del Leviatano come rappresentazione personale terza del potere nello Stato Assoluto (dopo l’imperatore romano e il pontefice medioevale).
La scrittura estetica del potere nella rappresentazione iconica del fondamento si è trasformata in scrittura tecnologica del costume, mediata dalle nuove fonti, comunicative e mediatiche, iscritta nel cuore stesso, nella percezione e nell’immaginazione, dell’uomo. Come precisa Mondzain, dallo show terrificante che ha preso avvio con l’attentato alle torri gemelle di New York nel 2001, fino alle recenti distruzioni iconoclaste delle rappresentazioni del divino e alle feroci esecuzioni trasmesse via Web dai nuovi soggetti totalitari, sembrano riportarci a una nuova guerra delle immagini che ne amplia il portato estetico giuridico, fino a condurci a formulare nuovi interrogativi. Se infatti nessuno può negare, nella nostra società dell’immagine, che le immagini siano “an instrument of power over bodies and minds” e che tale potere, considerato nel corso di venti secoli di Cristianesimo come liberatorio e redentivo, sia oggi, con l’avvento delle tecnologie mass-mediatiche, divenuto potenzialmente un vero e proprio strumento di alienazione e di dominio: “images are considered to have incited the crime when a murder seems to have been modeled after fictions shown on screen”(Mondzain 2009: 22). Chi allora diviene responsabile per gli atti che sono compiuti? Coloro che li commettono oppure coloro che diffondono le immagini che le ispirano? La studiosa delle icone Mondzain pone una serie di questioni che le nuove guerre delle immagini sembrano sollevare:
Can images kill? Do images make us killers? Can we go so far as to attribute to them the guilt or responsibility of crimes and offenses that as objects they couldn’t actually have committed?… Do edifying allegories of virtus and patriotism produce a virtuous and patriotic world? Does Picass’s deconstruction od Dora Maar’s face provoke the carnivorous cutting up of a loved one? No? Then how could some images be more irresistible than others? [Mondzain 2009: 26]
In relazione a tutte queste questioni che oggi si ripresentano nella età della tecnologia, la reintroduzione nel dibattito antropologico della tradizione dell’emblematica giuridica e della riflessione sul costume e la consuetudine si impone. Posta sullo sfondo della teologia politica e giuridica dell’immagine ereditata dalla tradizione dei Corpus Iuris, essa deve lasciare il passo a una riflessione radicale del nesso tra la tecnologia, come nuova fonte normativa assunta dalle società post-totalitarie di massa, e l’istituzione di nuovi costumi e consuetudini tramite l’iscrizione di nuove dogmatiche ciecamente e forzatamente iscritte nelle coscienza dell’uomo, tramite le tecnologie di comunicazione e la propaganda tecnologica.
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