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L’interpretazione teleologica ed assiologica, rilevanza primaria ed esclusiva degli interessi che i valori e principi costituzionali s

Lanfranco Ferroni *

2. L’interpretazione teleologica ed assiologica, rilevanza primaria ed esclusiva degli interessi che i valori e principi costituzionali s

prefiggono di realizzare, superamento del dogmatismo e del

formalismo ed attualità dell’insegnamento sotteso al brocardo “ex

facto oritur ius”

Premesso che l’interpretazione assiologica rappresenta il necessario complemento di quella teleologica, può affermarsi che la teleologia deve essere intesa nel senso che un concetto giuridico, per essere valido, deve poter servire al fine intenzionale della sua elaborazione, deve, cioè, servire al “telos” (scopo, fine) che ne costituisce la direttiva di formazione. Ma, come già appena sottolineato, non si può parlare di teleologia senza riferirsi ad una prospettiva assiologica. Sembra, infatti, impossibile poter pensare ad un interesse o ad un fine isolato in sé stesso, al di fuori di ogni ordine di interessi o di fini che siano fra loro in rapporti subordinazione o di correlazione. Un fine può essere pensabile ed attuabile come subordinato ad un altro fine, in modo che la sua realizzazione costituisca un mezzo per il conseguimento di un fine ulteriore; oppure può essere pensabile ed attuabile come fine ultimo, cioè, come tale da non poter a sua volta essere assunto come mezzo in rapporto alla realizzazione di fini ulteriori. Il termine “valore” può, per l’appunto, essere utilizzato per indicare un fine ultimo.

Praticamente ogni serie di fini, effettivamente attuabili e suscettibili di essere assunti come mezzi per la realizzazione di fini ulteriori, può implicare e presupporre valori, cioè, essere condizionata da un mobile orizzonte assiologico. Sì che ogni prospettiva teleologica è condizionata implicitamente o esplicitamente, in maniera diversa a seconda delle diverse situazioni, da orizzonti di valori storicamente mutevoli.

In questo senso, il significato della parola “assiologica” e il significato, ormai abbastanza comune, attribuito al termine “cultura”, s’integrano reciprocamente. Il termine “cultura” può essere usato per indicare un ambiente sociale in rapporto ai valori che di volta in volta lo caratterizzano.

Così intesa, la cultura condiziona i processi di formazione e di trasformazione dei concetti giuridici (sintomatica, ad es., è l’evoluzione che si è registrata in materia di responsabilità civile in cui si è verificato un significativo incremento delle voci di danno risarcibili, man mano che si sono affermate come apprezzabili e rilevanti, nella considerazione sociale, utilità ed interessi diversi da quelli patrimoniali in senso proprio e stretto, quali il danno biologico ed il c.d. danno esistenziale, che un tempo autonoma rilevanza non avevano). Nel significato di un concetto giuridico sono, infatti, implicate le finalità pratiche di chi lo usa e di chi lo propone. Ma queste finalità non sono, per l’appunto, concepibili come puri fini assolutamente particolari ed arbitrari, proprio in quanto sono collegate al contesto culturale di interessi e valori, al quale appartengono e dal quale, per cosi dire, emergono.

Se si prescindesse da una visione storica, assiologica e culturale dei concetti giuridici, ci s’imbatterebbe in difficoltà insuperabili e, applicando acriticamente tali concetti, si rischierebbe di pervenire a risultati inaccettabili e, talora, paradossali.

La vita nelle forme. Il diritto e le altre arti. Atti del VI Convegno Nazionale ISLL

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Sembra opportuno, a tale ultimo riguardo, offrire delle esemplificazioni esplicative di quanto affermato.

Caso A.

Si prenda in considerazione la disposizione normativa (ora) racchiusa nel comma 1 dell’art. 337 sexies c.c. (originariamente contenuta nell’art. 155 quater, comma 1, c.c. introdotto ad opera dell’art. 1, comma 2, della l. n. 54 del 2006 ed ora abrogato dall’art. 106, comma 1, lett. a del d. legisl. n. 154 del 2013), la quale, introdotta dalla legge sull’affidamento condiviso (l. n. 54 del 2006), nelle sue prime applicazioni, ha posto agli interpreti significative difficoltà. La disposizione in esame, infatti, con riguardo, in particolare, all’assegnazione della casa familiare, dopo aver solennemente affermato (e ribadìto) che “il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell’interesse dei figli”, ha disposto poi che “Il diritto di godimento della casa familiare viene meno nel caso che l’assegnatario […] conviva more uxorio o contragga nuovo matrimonio”.

Questa seconda previsione sembra decisamente contrastare con quella di principio che la precede: non si vede, infatti, come la scelta (indubbiamente legittima) del coniuge col quale il minore conviva, di iniziare e/o di formalizzare una nuova relazione, possa condizionare il diritto di quest’ultimo (che è sicuramente prioritario) a continuare ad abitare nella casa familiare.

Orbene la giurisprudenza di merito (il riferimento è, in particolare, a Trib. Viterbo, 12 ottobre 2006, ma ve ne sono anche varie altre), abbandonando prospettive di asettica interpretazione letterale, che avrebbero condotto ad esiti contrastanti coi principi di riferimento della materia, ha saputo individuare, con una condivisibile interpretazione selettiva, assiologicamente orientata ai valori e principi costituzionali, l’ambito di operatività della seconda delle due disposizioni richiamate. Si è, infatti, affermato che “Non è applicabile la causa di estinzione relativa alla convivenza more uxorio del coniuge assegnatario della casa coniugale, quando il provvedimento (di assegnazione) sia stato emesso nel ‘prioritario’ interesse dei figli. La convivenza more uxorio determina la revoca dell’assegnazione della casa coniugale in assenza di figli conviventi.”

Ora sulla disposizione in esame è stata sollevata anche una questione di legittimità costituzionale, per contrasto con gli artt. 2, 3 e 30 cost., ma la Corte Costituzionale, con ordinanza del 5 dicembre 2007, n. 421, l’ha ritenuta manifestamente inammissibile, non già però nel merito, bensì in rito per l’omessa descrizione della fattispecie concreta che ha impedito alla Corte di vagliare l’effettiva applicabilità della norma denunciata al giudizio principale, così derivandone una carenza di motivazione sulla rilevanza.

Dalla motivazione dell’ordinanza d’inammissibilità sembra tuttavia emergere un’implicita, indiretta conferma dell’interpretazione selettiva operata dai giudici di merito. Vi si legge, infatti, che “L’ordinanza di rimessione manca […] di una compiuta descrizione della fattispecie, non facendosi neppure riferimento, in essa, alla presenza, nella specie, di figli ed alla minore o maggiore età degli stessi”. Con ciò la Corte ha mostrato di attribuire rilevanza, ai fini dell’applicabilità e dunque della legittimità della disposizione, alla ricorrenza o no di determinati presupposti di fatto (presenza o assenza di figli; maggiore o minore età degli stessi); da ciò emerge che il principio “ex facto oritur ius”, può acquisire rilevanza anche nel giudizio di legittimità costituzionale.

Dalla vicenda appena descritta emerge chiaramente che se si fosse fatta pedissequa applicazione della sia pur (letteralmente) univoca previsione normativa (“Il diritto di godimento della casa familiare viene meno nel caso che l’assegnatario […] conviva more uxorio o contragga nuovo matrimonio”) si sarebbe pervenuti ad esiti assolutamente contrastanti col principio cui la materia s’ispira: il superiore interesse dei figli. A scongiurare tale

Lanfranco Ferroni, Interpretazione assiologica e precomprensione

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sconcertante esito ha concorso nelle pronunce giurisprudenziali proprio il ricorso all’interpretazione teleologica ed assiologica.

Caso B.

L’interpretazione assiologica può altresì comportare l’enucleazione di significati normativi che la mera lettera della disposizione neppure consentirebbe, in sé presa, di enucleare.

Un esempio interessante può esser quello rappresentato dall’art. 1052 cod. civ., il cui secondo comma – che attribuisce al giudice il potere di concedere una servitù di passaggio ancorché il fondo non sia intercluso, allorché lo stesso, tuttavia, abbia un accesso alla via pubblica inadatto, inadeguato o insufficiente alle esigenze proprie dell’agricoltura o dell’industria – è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo “nella parte in cui non prevede che il passaggio coattivo di cui al primo comma possa essere concesso dall’autorità giudiziaria quando questa riconosca che la domanda risponde alle esigenze di accessibilità – di cui alla legislazione relativa ai portatori di handicap – degli edifici ad uso abitativo.” (Corte Cost., 10 maggio 1999, n. 167).

Il richiamo alla gerarchia dei valori costituzionalmente delineata – in cui la persona umana è posta all’apice – ha così consentito un significativo ampliamento dell’ambito di operatività della disposizione in esame, estendendone l’applicazione a situazioni (quella del soggetto portatore di handicap) neppure contemplate dalla norma.

In conclusione, come si può constatare dall’esame dei casi esposti sub A e B, l’interpretazione assiologicamente orientata ai principi e valori costituzionali consente già sul piano sostanziale di ampliare sensibilmente gli spazi di tutela delle situazioni soggettive, senza che si riveli neppure necessario sollevare, formalmente e previamente, questioni di legittimità costituzionale.

E consente, altresì, di prospettare interpretazioni selettive del significato normativo delle disposizioni legislative (nel senso che, senza modificarne il testo, se ne circoscriva o subordini l’operatività e/o la legittimità dell’applicazione alla ricorrenza, in concreto, di determinati presupposti di fatto e/o alla presenza o all’assenza di interessi contrastanti), oppure l’enucleazione di significati normativi che la mera lettera della disposizione non consentirebbe di prospettare, così evitando al giurista di dover operare quella comoda “deviazione in calcio d’angolo” in cui sostanzialmente si risolve l’adesione rinunciataria ed acritica al vecchio aforisma “dura lex sed lex”, ovvero all’altro “summum ius, summa iniuria”, che vengono solitamente e pigramente invocati dagli interpreti quando si avvedono che l’applicazione asettica e letterale di una disposizione conduce a soluzioni evidentemente inique e paradossali.

3. La precomprensione o “aspettativa di senso”, quale strumento

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