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Claudia Stancati *

2. La struttura, le fonti , i temi e i personaggi dell’opera

Il processo è invece il cuore stesso della rappresentazione nel Mercante di Venezia. La struttura dell’opera è formata da una protasi che presenta i due ambienti e i personaggi e tre sequenze della durata di due giorni ma parallele l’una all’altra, sempre prima Venezia e poi Belmonte, un continuo alternarsi di due scenari, uno in cui prevalgono gli esterni: a Venezia Rialto, le calli e i ponti, a Belmonte, un’isola assolata della vicina Dalmazia, invece una ricca casa e un elaborato giardino. L’azione si svolge per il 45 % a Belmonte e per il 55% a Venezia con una continua alternanza tra i due mondi che distano solo un giorno di viaggio ma sono divisi da durate soggettive variabili. Belmonte è in realtà il centro di un vero e proprio sub-plot in cui Shakespeare colloca il mondo speculare del romanzo e della fantasia, creando un’opera di genere misto in cui comico e poesia cortese fanno da pendant alle vicende torbide della città, testimoniando che nessuno come Shakespeare attinge quella che Addison chiama the fairy way of writing (Addison 1712).

La differenza tra i due luoghi è marcata anche dall’utilizzo dei diversi codici e registri linguistici. A Venezia i codici linguistici sono quelli dell’economia e della legge, le figure quelle del sofisma e dell’invettiva, a Belmonte, si parla in versi, spesso in rima, tra intermezzi musicali, canzoni, filastrocche, tra allitterazioni e assonanze, quasi formule incantatorie e come esempi di oratoria abbiamo le dichiarazioni dei pretendenti di Porzia (Morocco, Arragon e Bassanio che parlano in versi degni del loro rango) o gli ambigui messaggi contenuti negli scrigni.

Solo all’inizio, nella protasi, curiosamente c’è una deliberata inversione di codici linguistici: i mercanti scelgono il parlar cortese e Porzia e Nerissa usano il registro comico diffondendosi sui caratteri delle diverse nazionalità, mentre Jessica che fugge usa il registro del buffone Lancelot Gobbo. L’apparizione in scena di Shlylock muta

1 “Col giudizio con cui giudicate sarete giudicati, e con la misura con la quale misurate sarete misurati”,

Matteo 7.1. La fonte di Shakespeare potrebbe essere un’opera del 1584 Mirror for Magistrates in cui si ipotizza una forma di controllo come quella messa in atto nell’opera dal principe di Vienna.

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completamente il registro linguistico. Il mercante entra parlando il linguaggio del denaro e poi usa l’oratoria più efficace per narrare le umiliazioni cui è sottoposto in quanto ebreo. Ovunque nel testo detti e proverbi sono usati da Shakespeare per creare adesione ed empatia tra la scena e gli spettatori. Hazard e venture sono i vocaboli più usati nel Mercante di Venezia (più che in tutte le altre opere di Shakespeare) poiché è rispetto alla sorte che si misura la diversità degli uomini. Antonio rischia i suoi beni per prestare a Bassanio i soldi per conquistare Porzia, Morocco rischia per lo stesso motivo la scelta dello scrigno e via di seguito.

I temi del dramma sono tradizionali, il contratto sulla libbra di carne si trova addirittura nel Mahabahrata indiano2. Lo stesso episodio è riportato nelle Gesta romanorum (LXVI)3 qui la libbra di carne dovuta al mercante è legata alla conquista di una principessa ma le prove sono diverse benché ci sia il particolare degli scrigni. Altra fonte del Mercante è una novella italiana la prima novella della IV giornata de Il Pecorone di Giovanni Fiorentino (1558), in questo caso il racconto è ambientato a Venezia e vi compaiono sia l’usuraio ebreo sia una gentildonna di Belmonte, che travestita da giudice risolve la situazione nel corso di un processo. Nel 1580 Anthony Munday in Zelauto or the Fontaine of Fame riproduce una scena di processo tratta da un’altra novella del Pecorone in cui un usuraio veronese pretende un occhio dai due giovani debitori. E ancora nel 1596 sotto il titolo di The Orator Handling: a hundred several Discourses in Form of Declamations viene tradotta in Inghilterra un’opera di retorica francese del 1581 che contiene, tra l’altro, l’esempio dell’orazione “di un ebreo che per un suo debito esigeva una libbra di carne di un cristiano”. La storia torna anche in drammi elisabettiani precedenti ma certo è Marlowe, che a sua volta si ispira al Novellino (XIV novella) di Masuccio Salernitano, la fonte più vicina a Shakespare. Se il termine ad quem della composizione del Mercante può essere fissato intorno al luglio del 1598, il termine a quo fissato dopo il 1594 è proprio quello della data dell’esecuzione capitale di Roderigo Lopez l’ebreo portoghese convertito al cristianesimo, medico personale di Elisabetta accusato di complottare contro la regina e contro l’erede al trono portoghese Don Antonio Perez. Questo clima antisemita è segnato dalle molte rappresentazioni del dramma di Marlowe The Jew of Malta e, come ci dicono le opposte letture di Bloom (1998) e di Auden (2007), è proprio l’antisemitismo il primo dei temi che saltano agli occhi del lettore contemporaneo del Mercante.

Per Bloom Shakespeare metterebbe in scena un dramma antisemita, tuttavia occorre ricordare che non ci sono molti Ebrei nella Londra di Shakespare se non poche centinaia convertiti per lo più al cristianesimo, cacciati nel 1290, gli Ebrei infatti verranno riammessi solo con Cromwell, e non ci sono, oltre a Shylock, altri personaggi ebrei nelle altre opere shakespeariane se non il ‘giudeo bestemmiatore’ il cui fegato è gettato nel calderone infernale delle streghe del Machbeth (1605-1608, IV, i).

Per Auden invece Shakespare riscatterebbe gli Ebrei proprio con le parole con cui Shylock si difende ritorcendo le accuse contro i suoi stessi accusatori. Sicuramente, per Auden, Shakespare recepisce il clima antisemita ma la sua mancata adesione all’antisemitismo sarebbe testimoniata, al di là dell’uso dei consueti stereotipi, dal fatto che toglie al suo ebreo il nome Barabba datogli da Marlowe e dal fatto che spiega la crudeltà di Shylock con i torti che egli ha subito e che hanno indurito il suo cuore. La

2 Si tratta di un’opera del 1400 a. C. non tradotta in inglese o altre lingue occidentali prima del 1660, in

essa possiamo leggere: “ciò che qui c’è, lo si può trovare anche altrove ma ciò che qui non si trova, non esiste in nessun luogo” (Mahābhārata, I, 62, 53 ma anche XVIII, 5, 50).

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parte finale dell’opera contiene, infatti, una vera e propria requisitoria contro le crudeltà di cui il mondo cristiano si è reso colpevole nei confronti degli Ebrei.

Quando viene chiesto a Shylock cosa farà della carne tolta al suo nemico egli risponde:

A far da esca ai pesci. Non dovesse nutrire altro, nutrirà la mia vendetta. Mi ha sempre danneggiato, m’ha impedito di farmi un mezzo milione, ha riso delle mie perdite, deriso i miei guadagni, offeso la mia nazione, ostacolato i miei affari, raffreddato i miei amici, infiammato i miei nemici; e per quale ragione? Io sono un ebreo. Non ha occhi un ebreo? Non ha mani, un ebreo, organi, membra, sensi, affetti, passione? Non è nutrito dallo stesso cibo, ferito dalle stesse armi, assoggettato alle stesse malattie, curato dagli stessi rimedi, riscaldato e raffreddato dallo stesso inverno e dalla stessa estate, come lo è un cristiano? Se ci pungete, non sanguiniamo? Se ci fate il solletico, non ridiamo? Se ci avvelenate, non moriamo? E se ci fate torto, non dovremo vendicarci? Se siamo come voi per il resto, vogliamo assomigliarvi anche in questo. Se un ebreo fa torto a un cristiano, che benevolenza ne riceve? Vendetta. Se un cristiano fa un torto ad un ebreo, che sopportazione avrà questi, secondo l’esempio cristiano? Chiaro, vendetta! La malvagità che m’insegnate io la metterò in opera, e sarà difficile che non superi chi m’ha istruito. [Mercante, III, i]4

Per quanto riguarda i personaggi i mercanti in scena sono in realtà due, Antonio e Shylock, entrambi escono di scena soli e, ognuno a suo modo, sconfitto mentre le tre coppie si allontanano felici. I personaggi maschili dell’opera sono spesso padri traditi dalle figlie in diversa misura e, in fondo, ad essere tradito è anche il defunto padre di Porzia. Lo stesso Antonio è abbandonato da Bassanio che pure gli deve tanto, ed egli assiste allo scioglimento finale del dramma consapevole che, in realtà, sul palcoscenico del mondo, anche se scampa a Shylock, la sua parte “è triste” (Mercante, I, i)5. Non ci

sono madri nell’opera, le tre giovani donne protagoniste agiscono travestite e incarnano il ruolo della ‘figlia dell’orco’ che nelle favole aiuta il giovane più o meno audace e sprovveduto che sfida il potere paterno, tra loro è Porzia, che da sola pronuncia un quarto delle parole dell’opera, che finisce per essere il personaggio principale.

All’immagine giusta e lungimirante del governo di Venezia corrisponde in Shakespeare la rappresentazione dei ‘vizi privati’. Amori, affetti, passioni in questa storia si traducono in denaro, in oro, in gioielli. E da ciò deriva il tono tragicomico dell’opera in cui tutti i temi delle fonti sono utilizzati per creare l’immagine di un mondo borghese mercantile in cui domina l’avidità; persino la figlia dell’usuraio che fugge per amore lo fa portandosi via gli averi del padre, che la chiama mescolando oro affetti e gioielli e condanna dell’apostasia, come narra malevolo Solanio “non ho mai udito passione così confusa, così strana e violenta, e così mutevole, come quella che il cane ebreo ha urlato per le strade” (Mercante, II, viii). E in effetti così si dispera Shylock:

Mia figlia! Oh, i miei ducati! Oh, mia figlia! Fuggita con un cristiano! Oh, i miei ducati cristiani! Giustizia! La legge! I miei ducati e mia figlia!

4 La traduzione impiegata dell’opera, da qui in poi indicata con Mercante, è tratta dall’edizione italiana del

1982 a cura di Giorgio Melchiori del Teatro completo di William Shakespeare, in 9 voll., uscita da Mondadori, Milano.

5 Il mercante per ciò che riguarda Antonio va letto tenendo presenti sia il Sonetto 20 che l’omonimo

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43 Un sacco zeppo, due sacchi zeppi di ducati, di doppi ducati, rubatimi da mia figlia! E gioielli, due pietre, due ricche pietre preziose, rubate da mia figlia! Giustizia! Trovate la ragazza! Ha le pietre con sé, e i ducati! [Mercante, II, viii]

e ancora:

Ah, ecco, ecco, ecco, ecco! Sparito un diamante costatomi duemila ducati a Francoforte! Tale maledizione non era mai caduta sul nostro popolo fino ad ora; io non l’avevo mai provata fino ad ora. Duemila ducati per quello, e altri preziosi, preziosi gioielli. Vorrei mia figlia morta ai miei piedi, con i gioielli negli orecchi. La vorrei ai miei piedi in una bara, con i ducati nella cassa. Nessuna notizia di loro, è così? E non so quanto ho speso nella ricerca. E tu... Perdita su perdita! La ladra sparita con tanto, e tanto per trovare la ladra, e nessuna soddisfazione, né vendetta, né malasorte all’orizzonte se non quella che cade sulle mie spalle, né sospiri se non quelli del mio fiato, né lacrime se non quelle che io verso.

Maledetta lei! Tu mi torturi Tubal. Era la mia turchese, la ebbi da Lia, quando ero scapolo. Non l’avrei data via neanche per una foresta di scimmie. [Mercante, III, i]

L’oro (molteplici sono nell’opera le allusioni al mito di Giasone) è il simbolo per eccellenza della ricchezza cercata, perduta e riconquistata per una società che ha bisogno della ricchezza per esprimere quella che Auden definisce una ‘concezione estetica della vita’ (Auden 2007: 125-137) e diventa il fulcro del dramma. Nella partita fra l’Ebreo che fa il suo ingresso in scena dicendo “Antonio è buono […] dicendo che è buono intendo dire solo che è solido” (I, iii) e il Mercante cristiano, la libbra una precisa misura di carne umana, deve diventare l’equivalente di una certa quantità di denaro, di oro. Quando si traffica col denaro è facile dimenticare che si sta toccando la carne degli uomini, i loro corpi e i loro destini, il contratto e il processo portano alla luce tutto questo. Ai suoi personaggi Shakespeare rivolge l’ammonizione morale: ciò che è più prezioso è nascosto sotto altre apparenze, simboleggiate dallo scrigno di piombo come vediamo dal discorso con cui Bassanio accompagna la sua scelta vittoriosa:

Così possono le apparenze rivelarsi false. Il mondo si fa sempre ingannare dagli ornamenti. Nella legge, quale arringa per quanto corrotta e guasta, insaporita da una voce aggraziata, non nasconde la sua apparenza di male? Nella religione, quale dannato errore non può una fronte austera benedire e comprovare con una citazione, celando la grossolanità con un bell’ornamento? Non esiste vizio così manifesto che non assuma un segno di virtù nel suo aspetto esteriore.

Quanti codardi, i cui cuori sono falsi come scale di sabbia, portano al mento la barba di Ercole o dell’accigliato Marte; ma se li guardi dentro, hanno il fegato bianco come il latte. Costoro non assumono che le escrescenze del valore per rendersi temibili. Considerate la bellezza e vedrete che la si acquista a peso, e in ciò si compie un miracolo di natura, perché quelle che più se ne coprono più si fan leggere: così quei serpenteschi riccioli dorati, che fanno al vento tali capricciose capriole in una bellezza finta, sono spesso riconosciuti come il lascito di un’altra testa, essendo nel sepolcro il cranio che li nutrì.

Così l’ornamento non è che l’insidiosa riva di un mare pericoloso, la bella sciarpa che vela una bellezza indiana; in una parola, l’apparente verità di cui si vestono le epoche astute per intrappolare anche i più saggi. Perciò, tu, oro sfarzoso, duro cibo per Mida, non fai per me; e neanche tu, pallido e volgare mezzano tra uomo e uomo. Ma tu, misero piombo, che non prometti nulla e, piuttosto, minacci, il tuo pallore mi muove più dell’eloquenza, e qui io scelgo – la mia gioia ne sia la conseguenza! [Mercante, III, ii]

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“Tu che non scegli dall’aspetto ecco risulti l’eletto. Dalla fortuna prediletto non cercare altro oggetto” (Mercante, III, ii) gli risponde la pergamena dello scrigno di piombo assegnandogli la vittoria.

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