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Daniele M Cananzi ∗

4. Per un’estetica del diritto

È tempo di iniziare a trarre alcune considerazioni.

Innanzitutto la questione del diritto, alla quale da ultimo sono giunto, ma preparata sin dalle prime considerazioni.

L’ipotesi che propongo vede la giuridicità indefinibile perché intende cogliere il diritto nella sua interezza e questo significa rintracciarlo nell’azione, ovvero nell’esperienza che è vissuta dall’esistenza.

Questi passaggi – impegnativi quanto delicati – richiedono, mi rendo perfettamente conto, maggiore attenzione argomentativa rispetto a quanto molto sinteticamente mi è certo possibile in questa sede. Dovrà bastare riproporre lo spirito che bene così Capograssi individua:

Se si prescinde dall’esperienza giuridica nella sua totalità, e si considera la singola legge si può negare la legge come comando, e l’obbedienza della volontà e quindi negare il problema dell’esperienza. Ma se si guarda nel suo intero e vivo complesso l’esperienza giuridica, la realtà nella sua struttura concreta e caratteristica non potrà essere negata; e la sua struttura è che tutta questa esperienza si inserisce in modo imprescindibile sistematico connaturale nell’orbita e nella storia dell’azione del soggetto. [Capograssi 1959d: 246]

L’analisi strutturale seguita ha condotto ad evidenziare la realtà – tra formatività e norma – del diritto; una realtà particolare perché al crocevia tra oggettivo e soggettivo, forma e contenuto, proprio come la specificità dell’interpretazione giuridica dimostra, tra costituzione e svelamento un realtà che non è ex nihilo creativa ma che non è depositata nella cosalità cosmografica. Già solo questa evidenzia le ragioni per evitare quella opposizione tra giuspositivismo e giusnaturalismo che è stata una costante, anche nella riflessione di fine millennio.

Dire, poi, che il diritto è nell’azione porta ad interrogare la giuridicità circa un aspetto spesso trascurato ma che mi appare centrale: l’attuazione spontanea e

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l’istituzionalizzazione del diritto in termini extrastatuali (Ciaramelli 2013: 132 ss.). La realtà del diritto ha a che fare, certo, con la sanzione, con la misura attuata con la forza, ma prima e soprattutto con la spontaneità che accoglie la misura e non vi si ribella, una spontaneità profondamente iscritta nell’essere dell’essere umano, soggetto di diritto.

A questo si ricollega anche l’indagine possibile e necessaria, almeno ai fini che qui perseguo, di indagare la condizione ontologica della realtà umana e giuridica; la realtà mortale, di quell’essere umano che è tale grazie ad un essere che lo informa.

Sono questi gli scorci attraverso i quali mi sembra di cogliere il panorama, più ampio e ben più complesso, dell’esperienza giuridica, con tutto quello che questa espressione significa. Elementi e frammenti ulteriori del discorso che svolge una estetica del diritto.

Quale estetica? Perché estetica?

Estetica è l’indagine che muove dalla struttura del diritto che appare essere di formatività. Una formatività della norma, dell’ordinamento, dell’essere che vi è coinvolto, misurato, ordinato: l’essere umano. Non si tratta di affiancare un’altra teoria al novero già nutrito delle teorie del diritto ma tentare di estrapolare dal dritto in action quanto è strutturalmente presente, secondo un metodo che è anche, come si è potuto già vedere, merito.

Formatività è così non solo una particolare forma, quella della norma, ma anche la particolare forma che il diritto si trova ad avere perché è la particolare forma che l’essere umano possiede. Libertà e responsabilità sono i termini antropologici, ontologici, logici, giuridici, che contengono tutto questo. Sono i termini che costituiscono quell’orizzonte di senso entro il quale interpretare ha senso e il cui senso può essere cercato, ovvero interpretato (Riconda 2002; Romano 2013).

Questo incontra una particolare ermeneutica morfologica, quella strutturale (Frosini 1971; Carcaterra, 1974) e quella che evidenzia come “pensare per immagini” sia pensare il ruolo della forma al cospetto con l’essere (Vercellone 2011; Breidbach & Vercellone 2010), ma anche la riflessione – attraverso Legendre e Di Robiland – circa la figura per una estetica giuridica (Heritier 2009).

Il mondo del testo, secondo l’espressione ricoeuriana particolarmente significativa, contiene molto più di quanto non si possa pensare, anche perché che qualcuno dica qualche cosa a qualcuno non è solo la struttura del discorso ma anche la struttura intersoggettiva dell’identità umana. Ecco perché il diritto sfugge – a mio avviso – a definizioni ed è/ha una forma che inventa il suo modo ma non il suo essere! Differentemente si disperderebbe il nesso umano-giuridico, con conseguenze mortifere per entrambi.

L’ipotesi della non definitività del diritto rende, tra l’altro, proprio l’interpretazione indispensabile perché l’esperienza non è un fatto ma è la vita compresa, è la necessità di averne comprensione.

Questo significa assumere l’asse verità/interpretazione e quello unità/molteplicità sui quali la formatività si (in-)forma: gli assi che tracciano una ermeneutica e una estetica giuridica16.

I due pilastri, comuni e interconnessi, attraverso i quali si può pensare il diritto oggi. A ben vedere, il diritto è nella vita e da questa trae la sua indefinibilità e la sua magmaticità, ma secondo ordine e con misura, proprio quelle che nella vita il diritto immette e garantisce.

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In fondo, il giurista pensa l’esistenza attraverso la formatività della vita, in questo si esplicita il nesso tra diritto e vita, tra vita ed essere, quello dell’essere umano colto nell’ordine suo.

L’impostazione dell’estetica del diritto che ho molto sommariamente presentato si inserisce nel più ampio plesso del dibattito attuale non solo ma certamente principalmente ermeneutico. Penso ad esempio a quanto il neocostituzionalismo è andato osservando, soprattutto in chiave di critica al positivismo ed all’importanza di alcuni momenti di riflessione, mi vengono in mente due volumi Diritto positivo e positività del diritto ed Ermeneutica e filosofia analitica che hanno caratterizzato intensamente gli anni ’90. Non a caso si rifletteva in questi testi e si riflette oggi sulla positività del diritto, sulla formatività, nell’ottica delle mie considerazioni.

Diversamente rispetto al passato, la questione dei diritti appare non fondamentalmente morale, quel minimo di morale che – Hart docet – non si nega a nessuno, ma sia essenzialmente questione giuridica. Si argomenta come non si possa determinare o ammettere alcuna identificazione diritto-norma, come nella visione di Kelsen e dei suoi epigoni. Si osserva come – diversamente dall’idea bobbiana – non si debba procedere dalla struttura alla funzione ma, al contrario, proprio del diritto oggi sia da pensare la struttura in quello di invariante che contiene e che manifesta.

Per queste ragioni, che ambientano ed evidenziano lo spazio dell’estetica del diritto, mi appare centrale tornare a riflettere sulla morfologia e sulla formatività, sul senso e sul fondamento del diritto.

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Interpretazione assiologica e precomprensione

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