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Dal «grimaldello di Freud» a Freud come grimaldello

IV. Il romanzo del Novecento

IV.3. Dal «grimaldello di Freud» a Freud come grimaldello

IV.3.1. Freud: apologia e ridimensionamento

Una così rilevante presenza di riferimenti impliciti, congiunta alla tendenza opposta a insistere sulla metodologia freudiana, in particolare sull’applicazione della costellazione edipica (anche a opere che la dichiarano apertamente), farebbe pensare che Debenedetti stia seguendo una precisa strategia comunicativa. Un procedere che si potrebbe sintetizzare nella formula: dal «grimaldello di Freud» a Freud come grimaldello.

L’idea è che il critico non voglia giocare subito la carta Jung, ma creda sia più opportuno e proficuo far acclimatare prima il suo uditorio (e, chissà, magari anche i futuri lettori, se mai li abbia immaginati) parlando di Freud e di quelle teorie (il complesso di Edipo, appunto) che, già al tempo, erano moneta comune. Solo in un secondo momento, quando ormai, grazie alla mediazione freudiana e alla sottile dialettica del relatore, certi assunti potevano dirsi – adottando una terminologia cara al giornalismo odierno – “sdoganati”, si sarebbero potuti introdurre concetti più ostici, come quello di “sincronismo” o di “inconscio collettivo”.

Che Debenedetti, in quel periodo, fosse particolarmente attento a non ingenerare equivoci e a non offrire il destro a chi cercava argomenti per minare la sua posizione di intellettuale organico al PCI e, soprattutto, a chi voleva solo un pretesto per tacciare di scarsa scientificità i suoi studi, negandogli in tal modo la possibilità di ottenere quella nomina a docente ordinario a cui tanto teneva, è un dato di fatto ampiamente documentato.451 Lo abbiamo già riscontrato nel giudizio editoriale negativo sul libro di Bachelard, dove il rifiuto della pubblicazione si salda a quello di fornire al «conformismo indigeno» ulteriori argomenti per attaccare la psicoanalisi e chi ne fa uso in sede di critica letteraria. Lo avvertiamo, sia pure in modo meno diretto, nella stessa Presentazione del Romanzo del

Novecento, quando Eugenio Montale osserva che:

451

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Entra in ballo la psicoanalisi di Freud e anche la psicologia analitica di Jung, quest’ultima più aperta ai significati del mito ma politicamente più sospetta (è idea di Debenedetti).452

Dando, dunque, per assodato che il critico usi maggiori cautele nel trattare la materia junghiana piuttosto che quella freudiana, appare del tutto plausibile che, nell’impostare le sue lezioni, egli preferisca partire dalla seconda per arrivare gradualmente alla prima, anche a prezzo di qualche piccola o grande omissione.

Proviamo ora a cercare delle verifiche testuali, partendo dal modo in cui viene ritratto Freud. Nei primi tre quarti del volume, non è affatto difficile scorgere la volontà di innalzare un solido monumento in onore del padre della psicoanalisi. Vediamo, infatti, come già nella prima pagina si tessano le lodi dell’Interpretazione dei sogni, un libro che va senz’altro annoverato tra quelli che inaugurano l’era contemporanea:

Le prime origini della pittura cubista […] cadono suppergiù negli stessi anni, i primi di questo secolo, in cui il fisico Planck formula la teoria dei quanta, Einstein trasformando l’equazione di Michelson-Morley scrive le equazioni della relatività e Freud porta la psicologia del profondo a quella tappa decisiva che è rappresentata dal libro sull’interpretazione dei sogni.453

Si prosegue spiegando che:

Sono altrettanti avvenimenti che sfaccettano e significano, nei loro campi diversi e rispettivi, quello che lo stesso Hauftmann chiama un nuovo sistema di coordinate dell’uomo nel mondo, una nuova percezione che l’uomo ha della struttura e quindi un nuovo sentimento e giudizio del mondo e del proprio essere ed esserci nel mondo.454

Concetto che Debenedetti ribadirà più avanti, asserendo che già nel 1927 quel

452

RN, p. XV.

453

Ivi, p. 3. Corsivi del testo.

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libro «direttamente o indirettamente, aveva infiltrato la parte più avvertita della cultura e dell’arte europea»,455 con la conseguenza che:

Le analisi dei sogni o, comunque, le narrazioni di sogni, gravate di tutto il loro peso di indizi e valore di rivelazioni, ormai non si contano più, nei racconti e nei romanzi. L’aggettivo “onirico” […] è diventato uno dei luoghi comuni della critica, appunto perché le situazioni oniriche, oggettive nei personaggi, o soggettive nei romanzieri, nel loro atteggiamento di fronte alla realtà si moltiplicano a perdifiato, fino alla sazietà.456

Il riferimento all’opera forse più nota di Freud ritorna nel corso dell’analisi del tozziano Ricordi di un impiegato, dove, avendo premesso che «tutte le teorie e dottrine onirocritiche con cui si cerca di spiegare i sogni o comunque di interpretarli debbono fare appello a una causa esterna al sogno»,457 si passa a esporre la

spiegazione freudiana, accettata anche dai post-freudiani e dai deviazionisti della psicanalisi, la quale assomma e traduce scientificamente le varie intuizioni che abbiamo accennato, facendo dei sogni un prodotto della psiche (e la psiche è in primo luogo un fatto biologico ed organico), e chiamando in causa quell’attività psichica che rimane sconosciuta, trascendente rispetto alla nostra coscienza, cioè l’inconscio.458

Segue un’intera pagina che ci informa di come il sogno rappresenti, freudianamente, «una sorta di valvola che permette il manifestarsi dei contenuti psichici rimossi»459

Ci sarebbe poi da riflettere sul passo in cui, attribuendo alla scienza, piuttosto che all’arte, il primato nell’aver affrontato la «dualità di Io e Altro entro la

455 Ivi, p. 438. 456 Ivi, pp. 438-439. 457 Ivi, p. 175. 458 Ivi, p. 176. 459 Ibidem.

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personalità apparentemente unitaria dell’uomo»,460 Debenedetti definisce Freud non già il padre o l’elaboratore, bensì «lo scopritore della psicoanalisi».461

Lo psicologo è anche oggetto di un’apologetica che lo accomuna ad alcuni grandi della Storia. Abbiamo già incontrato i nomi di Max Planck e di Albert Einstein, procedendo con il discorso, Debenedetti ravvisa analogie anche con l’autore del Capitale:

Qui viene in soccorso l’altro pensatore, l’altro liberatore, che nel mondo moderno sta di fronte a Marx, e spesso gli è contrapposto in una polemica non sempre necessaria: ed è Sigmund Freud.462

E non manca all’appello neanche chi ha rivoluzionato le concezioni astronomiche, e di conseguenza filosofiche, consolidate da millenni:

Freud ha certamente aperto un’epoca nuova nella esplorazione e conoscenza dell’uomo. Non per niente, nel campo delle scienze dell’uomo, è stato pittorescamente paragonato a Copernico, l’eversore del sistema tolemaico e geocentrico, cioè dell’idea di una terra immobile nel cuore dell’universo, l’instauratore del sistema eliocentrico.463

Certo, quell’avverbio, «pittorescamente», riduce di molto la portata del paragone e segna una parziale distanza da esso; ma, intanto, l’idea è passata.

Proseguendo nella sua appassionata apologia di Freud, Debenedetti auspica che i suoi concetti possano, prima o poi, essere applicati con successo all’analisi e alla cura «di certi disagi storici e sociali»:464 quel giorno, finalmente, «Freud sarà meno sospettato dalle nuove forme di società, di cui abbiamo già visto le prime

460 Ivi, p. 463. 461 Ibidem, p. 463. 462

Ivi, p. 194. Sarà interessante leggere cosa scrive al riguardo Domenico Tarizzo, uno dei primissimi compilatori di uno studio monografico su Debenedetti «Marx, come Freud, considera l’immagine che l’uomo ha di sé e del reale una falsa coscienza. La falsa coscienza ha la funzione di rendere meno gravoso il fardello della vita alienata: lo schiavo si crede libero, il trepido si vede San Giorgio in lotta col Drago. Ma è proprio l’esigenza di questo schema a nevrotizzare l’uomo, a impedire la salute del corpo sociale» (D.TARIZZO, Debenedetti: l’intelligenza libertina, cit., p. 18).

463

RN, p. 465.

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attuazioni».465 È abbastanza chiaro che stia parlando di quelli che erano allora i paesi del Patto di Varsavia. In ogni caso, ciò che più importa è che Debenedetti appare qui ribadire la sua appartenenza al partito di chi intravede un nesso tra psicanalisi e pensiero marxista:

Sta di fatto che lui stesso, Freud, aveva già abbozzato, in modi ancora utopistici e visionari, la estensione delle proprie idee a tutto il campo collettivo della storia: a questa ipotesi aveva dedicato un libro, L’avvenire dell’illusione, che però rimane uno degli episodi più contestati, e giustamente contestabili, della sua opera.466

Soffermiamoci un attimo su questo passaggio. Con il riconoscimento di aver ipotizzato una prospettiva di più ampio respiro del lettino dell’analista, una visione che, aprendosi a «tutto il campo collettivo della storia», conferiva alla psicoanalisi una dimensione sovraindividuale – in una “segreta simmetria” con il materialismo storico, sembra suggerire il testo467 – si conclude l’apologia di Freud. Da questo momento, siamo alla 466a pagina delle complessive 712, non una sola parola sarà spesa per accrescere l’autorità di chi, fin dalle prime battute, era stato più o meno direttamente paragonato a Planck, Einstein, Marx, Copernico; di chi aveva concepito opere epocali e contribuito in maniera decisiva alla nascita di una nuova era. Al contrario, è sotto l’insegna del ridimensionamento che si porrà ogni ulteriore riferimento a Freud (a cui non verrà comunque mai negato il merito di aver aperto la strada a esplorazioni della più recondita natura umana, ben più profonde di quelle tentate dalla psicologia precedente).

La parabola discendente dell’apologia freudiana, come si è visto, inizia con la registrazione di quello che Debenedetti giudica un passo falso dello psicoanalista,

465 Ibidem. 466 Ibidem. 467

Baso questa idea, non solo sulle pagine già analizzate, ma anche su quelle che seguono, dove appare evidente l’intenzione di smussare le incompatibilità della psicologia del profondo con la dottrina marxista. Fanno testo, al riguardo, anche analoghi tentativi presenti in opere precedenti (Vocazione di Vittorio Alfieri, per esempio), nonché certi passaggi delle conversazioni con Walter Pedullà, riportate in Il Novecento segreto..., cit.

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cioè la pubblicazione del libro L’avvenire dell’illusione (il cui titolo esatto è:

L’avvenire di un’illusione).468 Più che di un vero e proprio scossone, dobbiamo in realtà parlare di un tocco lieve a quel monumento commemorativo. Tanto lieve in quanto non possiamo valutarne l’esatta portata, non fornendoci Debenedetti alcuna ulteriore indicazione sugli appunti che muoveva a quel saggio. Ma si tratta comunque di un’inversione di tendenza, che precede inoltre un ben più significativo e poderoso affondo:

È anche vero che Freud giunge sulle sue posizioni rivoluzionarie, muovendosi ancora su un orizzonte che fa di lui l’ultimo e supremo e geniale rappresentante della psicologia empirica, positivistica, deterministica, così come di Einstein si può dire che rimane ancora l’ultimo rappresentante della fisica meccanicistica.469

La prima osservazione che si può fare è che l’accostamento Freud-Einstein diventa particolarmente eloquente, se messo a confronto con quello, proposto come ricordiamo in Probabile autobiografia di una generazione, tra Jung e Bohr. Non occorre, infatti, essere particolarmente ferrati in materia di fisica quantistica per sapere che Einstein e Bohr, furono legati da un rapporto di amicizia ed ebbero accese discussioni sui fondamenti fisici e filosofici del mondo naturale: in particolare, il primo, non potendo ammettere un cosmo regolato dal caso, rifiutava il principio di complementarità e quello di indeterminazione che, invece, propugnava il secondo. Proprio in una lettera indirizzata a Bohr nel ’26, Einstein espresse la nota osservazione che viene usualmente parafrasata come «Dio non gioca a dadi con l’universo». L’altro rispose che non solo Dio giocava a dadi, ma che barava pure.470 La specularità con il rapporto Freud-Jung è facilmente

468

Cfr. SIGMUND FREUD, L’avvenire di un’illusione, in IDEM, Opere, edizione diretta da Cesare Luigi Musatti, vol. 10 (1924-1929. Inibizione, sintomo e angoscia e altri scritti), Torino Boringhieri, 1978, pp. 431-485 (ed. orig., Lipsia-Vienna-Zurigo, Internationaler Psychoanalytischer Verlag, 1927). L’illusione a cui Freud fa riferimento è quella religiosa. A suo modo di vedere, la religione esprime una sorta di “complesso del padre”, che l’uomo avrebbe sviluppato fin dai suoi primordi.

469

RN, p. 466.

470

150 intravedibile.

Ma ciò che più conta, adesso, è che il paragone di Freud con lo scienziato e la messe di aggettivi elogiativi («l’ultimo e supremo e geniale») non devono far sviare l’attenzione dal vero nucleo del discorso: Freud nasce positivista e, nonostante il carattere rivoluzionario delle sue teorie, con il Positivismo resta inevitabilmente compromesso. Sappiamo bene, proprio dalle pagine del Romanzo

del Novecento, cosa questo significhi per Debenedetti. Sappiamo bene come egli

imposti la sua analisi, fin dalle prime battute, in netta antitesi con quella visione positivistica del mondo che, in letteratura, si traduce (sic et simpliciter?) nelle poetiche naturalistiche.

Abbiamo già letto il passo sui «cattivi aristotelici», dietro i quali non è difficile scorgere le fisionomie degli esponenti più retrivi delle suddette poetiche; vediamo ora come, appoggiandosi all’autorità del pittore e saggista Franz Marc, egli invochi proprio la familiarità con una scienza e con una Weltanschauung ancora di matrice positivista, come argomento utile e sufficiente a ridimensionare in modo drastico la presunta novità dell’Impressionismo:

L’artista nuovo, quale era Marc [...] tende a riconoscere ed esprimere un mondo oggettivamente nuovo; la novità apparente dell’impressionismo era di cercare un nuovo modo di vedere un mondo oggettivamente vecchio: il mondo, appunto, delle immagini esteriori della natura. Con un’osservazione ancora più stringente, si arrivava a constatare che quel nuovo modo di vedere il vecchio mondo, la vecchia immagine del mondo, non era precisamente nuovo, come ritenevano i seguaci, gli esegeti, gli apologeti, dell’impressionismo; come il naturalismo rinascimentale, anche quello impressionistico si fondava sui reperti di una scienza della natura visibile, governata da una concezione macroscopica e meccanicistica. Teniamo per ferma, comunque, la constatazione che tra il naturalismo rinascimentale e impressionismo non c’è salto ma continuità di sviluppo471

sulla scienza, Firenze, Giunti, 1996, pp. 18-23.

471

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Ciò che è si ispira o comunque rientra nell’orbita del Naturalismo, dunque, non è affatto nuovo, non è portatore di significati che possano fornire delle coordinate utili a comprendere il mondo contemporaneo. Un assioma che non ammette repliche e che Debenedetti svolge con estrema coerenza trattando di Tozzi, Pirandello, Svevo, e soprattutto, di Kafka, Proust e Joyce. Questi grandi scrittori sono tali anche e principalmente perché hanno saputo realizzare una nuova forma di romanzo: un romanzo che tagliava i ponti con il credo positivista. Secondo il critico, infatti, risolvendosi in «un quadretto tutto composto, con qualche cosa perfino di arcadico, di già immunizzato contro qualunque irruzione drammatica, contro ogni intervento perturbatore».472 Il romanzo naturalista rientra nella sfera dell’«idillio». L’esatto opposto – si direbbe – della pratica innovativa e dirompente di quel Freud che ha «aperto un’epoca nuova nella esplorazione e conoscenza dell’uomo» e che ora a quel pensiero così stantio e compassato viene, seppure, in parte, ricondotto.

Debenedetti, del resto, aveva già espresso una simile posizione quasi venti anni prima:

Il nome di Freud non ci è capitato nel discorso per puro caso: con Freud infatti si apre l’avventura [dell’uomo d’Occidente], sua è la prima mossa: e consiste nientemeno che nel capovolgere il cielo, sia detto senza rettorica. Freud era un medico positivista, e aveva tutto il candore e l'innocenza un po’ visionaria di questo tipo di scienziati. Se non lo sapessimo, gli dovremmo attribuire una strategia veramente infernale. È stato lui a prendere d’assalto la centrale dei divieti, l’imperscrutabile regione donde emanano gli imperativi che ci tengono schiavi, le paralisi superstizioni tributi sacrifici, tutto quanto è coatto nella nostra vita e l’ansioso bisogno di «rendere conto» – a ritogliere quella centrale dagli empirei crudeli, minacciosi, sublimi e lontani, per portarla a collimare con qualcosa di nostro, fisicamente dentro di noi, dal nome più familiare, qualcosa con cui sappiamo convivere fin dalle remote infanzie della specie: l’inconscio. Il Grande-geloso-del-nostro-fango, quello che diceva: «Sei nato con questi istinti, ma guai se li adoperi», era riportato nell’ambito della nostra persona; si

472

152 poteva cominciare a ragionare.473

Possiamo notare come, in quegli stessi anni, Bazlen nutrisse al riguardo opinioni perfettamente coincidenti. Uno dei suoi rarissimi articoli che ci sono pervenuti (testo che, in ogni caso, non fu dato alle stampe, se non diciannove anni dopo la sua morte) è dedicato appunto a Freud:

Nell’àmbito della cultura occidentale, Freud ha scoperto una nuova dimensione dell’uomo. E tutte le riserve che si possono fare sull’opera di Freud, e sono molte, non intaccano la sostanzialità definitiva di questa sua grande scoperta.474

E prosegue:

Freud giovane aveva la barba dignitosa e solenne degli scienziati del diciannovesimo secolo. È il secolo nel quale è nato e maturato. Freud, benché morto meno di dieci anni or sono, è uno scienziato del diciannovesimo secolo.475

Secondo Bazlen, Freud

non concepisce altre realtà intorno a lui, non immagina altri valori al di fuori di quelli dell’ambiente nel quale è nato e vissuto. E l’ambiente era piccolo, sazio, arrivato; digeriva su basi solide e conosciute che il positivismo di allora considerava eterne.476

La sintonia con la posizione debenedettiana appare evidente. Più avanti, Bazlen adotta anche un termine caro all’amico, come quello di “anima”:

473

G.DEBENEDETTI,L’avventura dell’uomo d’Occidente, in S, pp. 892-893.

474

R. BAZLEN, Freud, in ID., Scritti, a cura di R. Calasso, Milano, Adelphi, 1984, p. 259.

L’articolo, che rimarrà inedito fino al 1984, sarebbe stato scritto prima del 14 ottobre 1947. È l’opinione di Roberto Calasso, che ravvisa un riferimento al testo su Freud in una lettera scritta da Bazlen a Vittorio Foà, proprio in quella data. Da quella missiva si apprende anche che l’eventuale destinazione doveva essere il settimanale «Omnibus», diretto, nella sua sezione romana, da Cesarini-Sforza, con cui Bazlen aveva preso accordi poi non rispettati a causa di dinamiche interne alla redazione della rivista (cfr. ivi, p. 256).

475

Ivi, pp. 259-260.

476

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Freud, curvo sul suo microscopio, scopre i bacilli dell’anima. E scopre l’anima. Ma è uno scienziato del diciannovesimo secolo, e crede che l’enigma dell’anima si risolva vedendone i soli bacilli.477

Avviandosi verso le conclusioni, lamenta l’uso che solitamente si fa delle teorie freudiane:

A Noi, maturati in un mondo del quale la scoperta di Freud è una delle tante premesse, che abbiamo subito realtà molto diverse da quell’unica realtà dell’unico ambiente di Freud, la meccanicità delle sue applicazioni dà fastidio, le sue deduzioni sono diventate piatte e meschine. Quanto Freud ci ha dato realmente è già ovvio, quotidiano, corrente, banale. E dimentichiamo che la prova della grandezza di certe scoperte sta proprio nel fatto che diventano subito “naturali”.478

Infine:

Questo scienziato del diciannovesimo secolo, che di tutti i miti che hanno mosso la storia del mondo ha veduto e sezionato soltanto il mito patriarcale, è l’ultimo grande patriarca.479

Fin qui Bazlen. Ma un discorso su Debenedetti e Freud non può fare a meno di coinvolgere anche Umberto Saba.480 Il critico e il poeta si conobbero nel ’23 e

477 Ibidem. 478 Ibidem. 479 Ivi, p. 261. 480

Vediamo qualche brano di una lettera, datata 4 luglio 1947, che Saba indirizza a Debenedetti: «Vorrei che tu leggessi, me presente, tutto il libro, ricompensandoti come tu ricompensai i psicoanalisti: 1000 lire all’ora. [...] Vedi, caro amico, il discorso intorno ai tuoi rapporti colla psicanalisi sarebbe troppo lungo. Io non conosco, o assai poco, i psicoanalisti romani; e ti credo agevolmente quando dici che nessuno di essi possiede della “genialità”. Ora, per quanto riguarda la cura, questa sarebbe certamente utile, ma non mi pare del tutto necessaria; anzi, non lo è certamente. Anche il dottor Weiss non era, forse, “geniale”; era però – come il tuo vecchio Saba – egli pure una persona seria. Io ti avevo messo in rapporto con lui; ma tu, dopo poche sedute, hai smesso. [...] Di che cosa soffri, in fine? Il tuo è un leggero caso di isterismo, complicato da una – molto, anche questa, leggera – stortura dell’Io. Tu hai da superare tutte le fasi infantili della libido, hai trovato qualche ostacolo solo davanti al complesso di castrazione: che – come ben sai – è l’ultimo che il bambino [...] deve superare» (UMBERTO SABA,La spada d’amore. Lettere scelte 1902.1957, a cura di Aldo Marcovecchio, Milano, Mondadori, 1983, pp. 181-182).

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per un trentennio coltivarono un’amicizia molto intensa, com’è abbondantemente risaputo. Altrettanto nota è l’ortodossia freudiana di Saba, sulla quale anche lo stesso Debenedetti è pronto a testimoniare:

E noi qui ci facciamo un certo scrupolo a dirlo, perché il freudismo è uno dei capitoli su cui Saba rimane intransigente: ma dalla psicanalisi, egli ha tratto una chiave molto servizievole per interpretare il mondo, piuttosto che un aiuto a placare il suo destino, a mettersi in grado di viverlo senza medicine.481

Più nel dettaglio:

Assimilò Freud, fu pronto a sposarne le dottrine, a giurare su di loro, perché