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II. Savinio, Bazlen e Bernhard

II.4. Porte aperte al sincretismo

Come ci informa Aldo Carotenuto, Bernhard non riusciva a portare a compimento i propri lavori scritti, e questo principalmente perché, secondo i parametri posti dalla tipologia junghiana, la sua conformazione mentale rispecchiava sorprendentemente quella del suo amico Bobi Bazlen, il quale aveva teorizzato per sé una carriera da redattore di «note a piè di pagina».225

Questa impossibilità a cristallizzare su carta le proprie idee è il motivo per cui, a parte qualche articolo apparso in rivista, la riflessione bernhardiana è quasi del tutto contenuta in Mitobiografia, un volume pubblicato postumo nel 1969, una miscellanea di annotazioni e riflessioni prive di una regolare revisione

223 Cfr. JCI, pp. 47 e 127-129. 224 JCI, p. 131. 225

Sull'impossibilità di Bazlen di portare a termine un'opera letteraria, Daniele Del Giudice ha impostato il suo primo romanzo. Cfr. DANIELE DEL GIUDICE,Lo Stadio di Wimbledon, Torino,

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d’autore.226 Il testo – quanto mai arduo, impervio e complesso, zeppo di simboli, diagrammi, ricordi e rimandi a dottrine esoteriche, analogie con ignoti teosofi, e articolato in una prosa spontanea ed intermittente – ebbe una notevole diffusione, al punto che, dopo l’edizione Adelphi, fu riproposto anche nella collana tascabile di Bompiani. Nelle intenzioni dello psicologo, il titolo avrebbe dovuto essere

Automitobiografia ed illustrare le proprie meditazioni in merito al rapporto tra la

vita individuale e il mito ebraico, affrontando il tema dell’individuazione, in termini junghiani, e soffermandosi sull’eterna avventura del divenire se stessi.

A parere di Bernhard, compiere il proprio destino (e sembra di sentire qui le parole del Debenedetti saggista)227 entro i limiti in cui la Provvidenza lo consente, è l’unica e vera missione dell’uomo comune e dell’artista, intendendo così innaturale ed impossibile qualsiasi forma d’arte che non implichi un portato biografico. A rafforzare le idee dello psicologo contribuisce anche il sincretismo religioso della sua persona, secondo cui è lecito leggere il mito ebraico nel senso di un’integrazione, di levatura superiore, con la tradizione cristiana. Risponde a quest’istanza di onnicomprensività, una sua rivelazione del 1964, in cui si dice espressamente che la mitobiografia aspira alla presa di coscienza collettiva. Profondo studioso dell’ebraismo, del protestantesimo, delle tradizioni orientali e delle pratiche meditative, dell’astrologia e della chirologia, attento all’esplorazione di diverse potenzialità psicofisiche, il medico religioso Bernhard ritrova in antichi, quanto diversi, campi del sapere e della cultura motivi ricorrenti, che riscattino l’individuo dall’anomia, restituendogli la ricerca di un Senso.228

Paradigma ineguagliato di libertà individuale, a parere di Bernhard, è Cristo perché sintesi fra dimensione concreta e spirituale; e la croce, simbolo di sofferenza accettata (così come l’Ombra nel processo d’individuazione, la nigredo nella via alchemica, etc.), diviene necessaria all’esperienza della totalità e della

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Cfr. E.BERNHARD,Mitobiografia, a cura di Herbert Erba-Tissot, Milano, Adelphi, 1969 e JCI,

pp. 200-201.

227

Si veda JCI, p. 206.

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trasformazione.229 Il Nazareno inoltre è l’espressione di un ethos individuale rispetto ad una morale collettiva: egli sostanzialmente si pone dinnanzi alla Legge istituzionalizzata, non rispettandola aprioristicamente ed in forma esteriore, bensì incarnandola nel vissuto quotidiano, obbedendo alla realizzazione del suo compito, non a quello imposto dalla collettività. Questo fu un tema caro a Bernhard, costante nelle sue formulazioni psicologiche (individuazione) ed in quelle filosofiche (entelechia). Emerge con forza, in Mitobiografia, un atteggiamento di vita segnato dall’abbandono amorevole ad un Dio, ad un Senso, ad una Provvidenza, al Tao, che, escludendo ogni fatalismo, rivendica al singolo un’attiva “sottomissione”. Egli riteneva l’uomo parte di un flusso di Vita più ampio, in cui lo scorrere del presente ha un preciso significato rispetto al Tutto; il divenire se stessi, entelechialmente, risulta così non solo un diritto, ma un dovere per sé e per l’umanità intera, pena la non-realizzazione, la non-evoluzione. Il concetto di entelechia era definito, negli scritti di biologia degli anni Trenta, come un principio di vita irriducibile alla materia, perno per sostenere che mentre il mondo inorganico è caratterizzato dall’ordine, lo sviluppo organico è determinato da essa, intesa come fattore naturale, finalistico-antropologico, che trascende i singoli individui.230

Non è intenzione di questo lavoro prendere in esame le meditazioni di Bernhard che abbracciano la natura e l’evoluzione del cosmo, ma per quanto concerne il modo d’intendersi della vita psichica e del lavoro psicologico bernhardiano, essa è un concetto di base. Il tema essenziale di fondo è il confronto fra entelechia individuale ed entelechia karmica. La prima corrisponde alla tendenza all’individuazione ed è il manifestarsi di un’entelechia universale nella vita del singolo. Essa è la spinta creativa a realizzare la propria “peculiarità”, è sia un piano del divenire, che l’energia che lo anima. Concependo l’entelechia come istanza sovra-personale, ne deriva che non esiste una libertà personale propriamente detta, poiché essa consiste nel seguire la tendenza prevista. Citando Nietzsche, lo psicologo sostiene che si tratta di «libertà entro una amorosa

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Ivi, p. 204.

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necessità»231, che agisce come dovere morale. L’entelechia karmica, invece, definita come l’insieme di passato familiare, di immagini archetipiche, di valori genitoriali e socio-familiari, è l’eredità che il singolo deve rielaborare per riuscire a dare vita alla propria personale realizzazione.

La contrapposizione fra le due entelechie opera in ogni individuo, in gradi di diversi di consapevolezza. Esserne coscienti significa prendere atto della propria irripetibile esistenza: «A tale peculiarità è legato il compito della vita. E’ il compito che l’uomo ha ricevuto e che egli ha da porre sopra tutto il resto, sia ai fini della realizzazione di tale peculiarità, sia per affermarla contro tutto il resto (l’eredità collettiva). Questo conflitto tra peculiarità ed eredità è il vero e proprio contenuto della vita. Tutta la problematica si può ridurre a questo denominatore comune»232.

Le riflessioni riguardanti il destino individuale ed il destino karmico, e conseguentemente quelle sull’entelechia, presero forma in Bernhard in modo del tutto originale, poiché innestate, come già accennato, in un tessuto aperto alle sollecitazioni culturali più diverse. Egli fu un attento estimatore della scuola di saggezza taoista che, certamente, sulla scia di Jung e delle sue opere, godette dell’ammirazione e lo studio da parte di numerose schiere di intellettuali appartenenti a quella generazione, e che lo psicologo subì in profondità, lasciandosi attrarre dal fascino di un dialogo tra Oriente e Occidente. Utile, in tal senso, ricordare che egli fu un assiduo frequentatore di Eranos, la straordinaria esperienza culturale che vedeva annualmente radunarsi nei pressi di Ascona studiosi e intellettuali di fama internazionale provenienti da ogni parte del mondo, in un entusiasta ed armonico avvicinamento tra culture e saperi diversi. E’ probabile quindi, che fossero più vettori, oltre alla già menzionata amicizia con Giuseppe Tucci, a rafforzare ed accrescere la sua meditazione del taoismo, che tanta importanza riveste in Mitobiografia.

Il Dio di Bernhard è ben altra cosa rispetto all’immagine psichica di Dio formulata da Jung. Al cristianesimo di stampo gnostico-ellenistico, egli

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Ivi, p. 224.

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contrappone proprio la realizzazione del regno di Dio nella Storia: esso è l’elemento ebraico veramente efficace ed operante nel Cristianesimo, senza il quale la novella del Cristo rimane incompiuta, delusa. In Jung quindi il simbolo cristiano non avendo in sé la radice ebraica, rimarrebbe salvatore dell’interiorità, della realtà psichica.

Psicologia ed esperienza religiosa sono in Bernhard termini affini, se non interdipendenti, ed entrambi conducono ad un’esperienza sacra, non necessariamente confessionale, che faccia comunque percepire al soggetto la sua appartenenza – unica ed irripetibile – ad un Senso più ampio del suo limite biografico. Detto questo, si intende come sia fuorviante scindere nettamente visione psicologica e visione religiosa di Bernhard, dato che si intersecano in quella che è prima di tutto ed essenzialmente una ricerca umana, esistenziale. La sua Weltanschauung comporta naturalmente un riflesso nella teoria e nella pratica psicoterapeutica. Il concetto cardine di entelechia è, si pensa, un esempio di quanto sopra scritto, in quanto abita, e ne è parte integrante ed essenziale, tutto il suo pensiero.

Chiaro sunto di questa visione teleologica dell’esistenza e della vita psichica, e del parallelismo fra entelechia e individuazione, è l’abbozzo di introduzione all’Abbandono alla Provvidenza Divina scritta da Bernhard verosimilmente nel 1950 e pubblicata in Mitobiografia. In essa si esplica l’entelechia come piano tendenziale di vita preesistente nell’inconscio, sia collettivo che individuale, ovvero come principio di vita finalistico presente nel corso della storia umana e del singolo.