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Dalla carta al cinema – Daredevil, il film

Capitolo 2 – Ecosistemi narrativi: tra cinema e televisione

2. Marvel Cinematic Universe: un ecosistema narrativo

2.2 Traduzione e adattamento

2.2.1 Dalla carta al cinema – Daredevil, il film

Finora abbiamo parlato quasi esclusivamente della serie televisiva di Daredevil, ma prima di questo adattamento targato Marvel-Netflix, ne esiste uno precedente. Daredevil infatti è anche un film del 2003 scritto e diretto da Mark Steven Johnson103, sempre in

collaborazione con la Marvel Studios. Ben Affleck ricopre il ruolo del vigilante cieco, mentre troviamo Jennifer Garner come Elektra Natchios (storico amore di Daredevil), Colin Farrell nel ruolo del brutale Bullseye e Michael Duncan come Wilson Fisk/Kingpin, giusto per citare alcuni componenti del cast principale e sottolineare come si tratti di attori con una fama già affermata, anche all’epoca, probabilmente scelti come garanzia per attirare il pubblico vasto verso un prodotto che potenzialmente poteva solo interessare i fan del fumetto.

102 Gaudreault, Postprefazione del 1998, cit., pp. 207-208, in R. Costantini, L’intermedialità audiovisiva:

verso l’oralità terziaria, in (a cura di) L. De Giusti, Immagini migranti. Forme intermediali del cinema nell’era digitale, Marsilio Editori, Venezia, 2008, p. 60.

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Il film tratta le vicende di Matthew Murdock, avvocato difensore cieco che lavora insieme all’amico Franklin “Foggy” Nelson per proteggere gli innocenti, e mentre passa le giornate tra i tribunali, la notte indossa invece il costume da “diavolo” ed esce a fare giustizia per le strade malavitose di Hell’s Kitchen. In particolare, il film si focalizzerà sull’intreccio della storia tra Matt e Elektra, storico interesse amoroso di Daredevil, la quale cercherà vendetta dopo che Kingpin incarica Bullseye di ucciderle il padre.

La pellicola inizia con un Daredevil che, sanguinante ed esanime, dapprima aggrappato a una croce sul tetto di una chiesa, crolla dentro l’edificio, dove lo vediamo soccorso da un prete. Da qui comincia un lungo flashback su cui si articolerà tutto il film.

Ci viene presentato un giovane Matt che vive a Hell’s Kitchen, quartiere di New York, insieme solamente al padre pugile Jack; la madre, infatti, se ne era andata anni prima. Un giorno Matt vede suo padre aggredire un uomo e intuisce che sia immischiato in qualche brutto affare (intuiamo che sia una sorta di strozzino per conto di un proprietario di un locale); il ragazzo, scioccato, scappa via e durante la corsa si va a finire contro dei barili contenenti un liquido radioattivo, rendendolo cieco. Dal quel momento, però, si accorge che tutti gli altri suoi sensi sono come ipersviluppati.

Matt comincia allora una sorta di allenamento autodidatta proprio perché, grazie agli altri sensi, riesce a percepire il mondo attorno a sé in maniera molto più accentuata rispetto agli altri, e a muoversi in maniera agile e sicura nonostante la cecità.

Qualche tempo dopo, Jack ha un incontro di pugilato: era stato incaricato di perderlo (l’incontro era chiaramente truccato) ma, quando ormai a terra stava per adempiere all’incarico, sente le grida del figlio dal pubblico che lo incoraggia a rialzarsi. Decide allora di vincere per lui, ma così facendo firma la sua condanna a morte: quella sera stessa

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sarà ucciso e sul suo corpo verrà lasciata una rosa, marchio di fabbrica dell’assassino, che sarà smascherato più avanti.

Passano gli anni, e Matthew è ormai diventato un avvocato, proprio come avrebbe voluto il padre. In coppia con il collega e amico Foggy, si batte per i diritti di clienti innocenti e non particolarmente benestanti (viene fatto riferimento nel film, infatti, come i loro clienti paghino i servizi dei due avvocati con cibo), mentre di notte indossa il costume da “diavolo” e arriva là dove la giustizia del tribunale non riesce ad arrivare: con un bastone per ciechi usato come arma, si guadagna così la nomea di Daredevil, temibile giustiziere che protegge le strade di Hell’s Kitchen dal crimine.

Una mattina, mentre fa colazione in un bar insieme all’amico Foggy, incontra Elektra Natchios, figlia di un miliardario greco, di cui si invaghisce all’istante. La ragazza mostra dal primo momento una certa esperienza nel combattimento corpo a corpo, ed entrambi rimangono coinvolti l’uno dall’altra e cominciano una relazione amorosa.

Elektra invita Matt a un ballo organizzato dalla sua famiglia, a cui partecipano diverse persone importanti della città, tra cui Wilson Fisk, che si scoprirà in seguito essere il temibile Kingpin e mandante dell’omicidio di Jack Murdock. Durante la serata, Fisk minaccia il padre di Elektra che, costantemente preoccupato per la loro incolumità, decide di abbandonare il luogo insieme alla figlia. Mentre si allontanano in auto, però, i due vengono inseguiti da Bullseye, un assassino assoldato da Fisk e incaricato di uccidere Nikolas Natchios. Daredevil affronta Bullseye che però ha la meglio e riesce a portare a compimento il suo incarico. Elektra, pensando che ad uccidere il padre sia stato Daredevil (Bullseye infatti utilizza il bastone di Devil come arma del delitto), giura vendetta e comincia ad allenarsi per fare giustizia.

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Una sera la ragazza riesce a scovare Daredevil e i due si scontrano ma l’uomo, non volendo farle del male, cerca di parlarle e di dirle che non è stato lui. Elektra non lo ascolta e continua ad aggredirlo, ferendolo. Prima di dargli il colpo di grazia, la ragazza toglie a Daredevil la maschera e scopre così la verità. Vedendo che è Matt, capisce di aver commesso un terribile errore, ma ormai è tardi: Bullseye è arrivato ed è pronto ad ucciderli entrambi. Matt incalza Elektra ad andarsene, ma accecata dalla rabbia e dal senso di vendetta, la ragazza si scontra con l’assassino. Purtroppo, ha la peggio, ed Elektra viene ferita gravemente: morirà tra le braccia di Matt.

Il giustiziere mascherato da diavolo va allora sopra il tetto della chiesa che vediamo a inizio film: ecco riprendere la narrazione da dove si era interrotta con la partenza del flashback. Daredevil chiede al prete di chiamare la polizia, ma nel frattempo viene raggiunto da Bullseye e comincia un nuovo scontro, durante il quale il sicario rivela che Kingpin è il miliardario Wilson Fisk e che utilizza delle rose rosse per firmare i suoi crimini, facendo così capire a Matt che fu proprio lui, anni prima, ad uccidere suo padre. Durante il combattimento Daredevil riesce ad avere il sopravvento e a scaraventare Bullseye contro la vetrata della chiesa, facendolo precipitare giù dall’edificio: andrà a finire dritto su un’auto, ritrovandosi con le ossa rotte ma ancora in vita.

Una volta finito lo scontro con Bullseye, Daredevil decide di voler fare giustizia e vendicare suo padre: si reca quindi al palazzo di Kingpin, dove cominciano a combattere. Quando Fisk sembra avere la meglio, Matt riesce a spezzargli le ginocchia e quando sembra giusto il momento di sferrare il colpo di grazia, il vigilante ci ripensa e decide di

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lasciarlo in vita, fiducioso che avrà quello che si merita dalla giustizia della legge americana.

Qualche giorno dopo Matt troverà sul tetto dove per la prima volta lui ed Elektra si sono baciati un amuleto in braille, che gli fa ben sperare che forse la ragazza non sia davvero morta (su Elektra, infatti, verrà girato un film spin-off omonimo104 dove viene in effetti

confermata questa ipotesi).

La pellicola si conclude con una focalizzazione sul personaggio di Ben Urich, giornalista che ha indagato per tutto il tempo su Daredevil, che ha finalmente scoperto la vera identità sul vigilante e si appresta a scrivere un articolo su di lui. Prima di inviarlo, però, ci ripensa e lo cancella, ritenendo che sia più saggio mantenere la sua identità anonima, cosicché possa ancora continuare a proteggere le strade di Hell’s Kitchen.

A metà dei titoli di coda vediamo che è presente una scena extra, come di consuetudine nei film Marvel, in cui è presente Bullseye su un letto di ospedale, completamente ingessato. Nonostante ciò riesce a infilzare una mosca con una siringa, facendo pensare a un possibile seguito (che però non verrà mai realizzato).

Del film, inoltre, esiste una director’s cut, dove sono presenti 19 minuti di contenti in più rispetto alla versione cinematografica.

Alla sua uscita nelle sale cinematografiche, il film non riscosse particolare successo. Per fare giusto un esempio, Giuseppe Grossi di MyMovies dice, riguardo al film, che:

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“Una sceneggiatura debole sostiene una narrazione costantemente grottesca e sopra le righe, trovando nella recitazione caricaturale di Colin Farrell il più basso picco della sua espressione. A Daredevil manca soprattutto il senso del tatto. Un film che non tocca la corda dell'empatia, né quella del divertimento, in cui la missione eroica è immotivata nelle azioni e negli intenti, senza alcun riferimento al tormento intimo di un personaggio in bilico tra luce e oscurità.”.105

Tutti i personaggi, ma in particolare i “cattivi”, sembrano troppo esagerati, non spontanei: Farrell, appunto, regala questa superficiale interpretazione di Bullseye. Non capiamo mai davvero questo personaggio, né le sue intenzioni, mentre nella serie televisiva a questo personaggio viene regalato un arco narrativo ben strutturato ed esplicativo. Nel film appare come un semplice sicario senza personalità, né spessore. L’unico momento in cui decide di agire per se stesso e non per conto di altri, è quando giura vendetta contro Daredevil che gli aveva fatto “mancare il colpo” (Bullseye è infatti rinomato per non mancare mai il bersaglio).

Stesso discorso vale per il Wilson Fisk di Michael Clarke Duncan. Nonostante sia il mandante dell’omicidio del padre del protagonista, non è mai tuttavia una forte presenta all’interno della narrazione, rimanendo sempre in secondo piano e, ancora una volta, non costruendo una grande trama che faccia da sfondo al suo modo di essere o alle sue azioni. Anche lo stesso protagonista, interpretato da Ben Affleck, mostra delle lacune nel suo background. Non sappiamo, ad esempio, quando decida di diventare un vigilante, ma ci viene già presentato all’interno di quella determinata dinamica, per non parlare del fatto che solo grazie ai sensi aumentati e a un allenamento solitario sembra diventare un combattente provetto, senza aver seguito nessun tipo di addestramento con qualcuno di più esperto, lasciando lo spettatore un po’ perplesso. È vero che si tratta di un supereroe

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e determinate scelte, in storie del genere, sono quasi volutamente non spiegate e lasciate all’interpretazione ma, dal momento soprattutto che Daredevil è forse uno dei pochi supereroi a non avere poteri sovrumani, sarebbe stata gradita, forse, una narrazione più reale e meno alterata da questo alone che invade tutto il film e sembra che regali continuamente questa sensazione di stare, per tutto il tempo, all’interno di un racconto fittizio, atmosfera che si respira dall’inizio alla fine del film.

Come è stato già sottolineato, anche il film rappresenta un adattamento del fumetto della Marvel. La prima serie (chiamata nel gergo statunitense “Volume” 1) dedicata a questo fumetto comparve nel 1964, dalla penna di Stan Lee e Bill Everett, per terminare nel 1998 col n. 380. All’interno di questa prima parte, i cicli di maggior successo furono quelli scritti dal fumettista, sceneggiature e regista statunitense Frank Miller, autore, tra le altre cose, del famoso fumetto Sin City, da cui è tratto l’omonimo film.

Successivamente a questo arco narrativo, se ne aprì un altro che proseguirà fino al 2009, chiamato Daredevil (vol. 2).

Nel 2011 parte Daredevil (vol. 3), di breve durata, dal momento che già nel 2014 si chiude per aprire il ciclo di Daredevil (vol. 4), seguito nel 2016 da Daredevil (vol. 5). In Italia l’“Incredibile Devil” esordì nel 1970.

Diamo un’occhiata alla trama del fumetto, per poter effettuare un miglior confronto con la pellicola cinematografica. Nella controparte cartacea, troviamo nelle vesti di protagonista il nostro Matthew Murdock, un avvocato divenuto cieco quando da bambino, per salvare un signore da un camion che stava per essere investito, viene colpito dalle sostante nocive che questo mezzo trasportava, perdendo così la vista. Ma con la perdita di questo senso, si sviluppano in maniera esponenziale gli altri: questo fa sì che Matt, pur non vedendo, percepisce distintamente tutto ciò che ha intorno, in modo quasi

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soprannaturale. Il bello del personaggio sta in questo: a differenza della maggior parte dei supereroi dei fumetti, che sono caratterizzati da poteri sovrumani, quasi magici, Matt Murdock non ha abilità speciali derivate da qualche esperimento in laboratorio o dal morso di un ragno: la sua forza deriva proprio dal suo handicap. Negli anni imparerà a combattere grazie agli insegnamenti di Stick, un uomo cieco dalla nascita, maestro di un ordine di ninja chiamati Casti.

Il fumetto, come spiegato nel primo capitolo, è un tipo di medium che rientra nelle tipologie della serialità, con una narrazione che accoglie una storia che, oltre ad essere molto lunga e complessa, risulta frammentata, episodica. Si tratta quindi di un materiale narrativo di difficile rielaborazione per un medium come il cinema, che deve raccogliere all’interno di una durata di due ore circa un ciclo di eventi molto lungo. Delle traduzioni complesse sono quindi necessarie. Nel libro di Zecca, in ogni caso, emergono dei punti in comune fra cinema e fumetto. Ci spiega infatti: “Per Metz, cinema e fumetto condividono la molteplicità dell’immagine, sebbene nel caso del cinema essa sia ottenuta meccanicamente e sia “in movimento”, mentre in quello del fumetto essa sia ottenuta manualmente e sia fissa.”106. L’immagine, che sia in movimento o no, è una delle

caratteristiche che si possono ritrovare sia nell’uno che nell’altro medium. Talvolta le tavole stesse dei fumetti possono rappresentare degli storyboard (sequenza di immagini, per lo più bozzetti, e didascalie che descrivono in successione i cambiamenti importanti di scena e di azione nella progettazione di un film, di uno spettacolo televisivo o di uno spot pubblicitario107) già pronti come base di partenza per la traduzione in immagini in

movimento.

106 F. Zecca, Cinema e intermedialità. Modelli di traduzione, FORUM, Udine, 2013, p. 259. 107 Treccani, http://www.treccani.it/vocabolario/storyboard/, consultato il 12 aprile 2019.

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Come è facile intuire, in ogni caso, cinema e fumetto non solo sono media differenti, ma sono anche caratterizzati da codici linguistici differenti, che ne complicano la traduzione da uno all’altro. È per questo che, per

iniziare la trasposizione dalla carta alle immagini in movimento, bisogna partire da quei punti comuni a entrambi: “Le interferenze codicali, cioè le figure linguistiche comuni a cinema e fumetto – come la scala dei piani, la profondità di campo, alcuni raccordi di montaggio (sullo sguardo o sull’asse, per esempio) – rappresentano per così dire la base di partenza della traduzione cinematografica del piano dell’espressione fumettistica, poiché fungono da ‘comune denominatore’ dei due linguaggi.”108. L’operazione che deve

essere fatta quando da un’immagine fissa (quella fumettistica) si vuol passare a un’immagine in movimento (quella filmica), è quella di trasformare l’individualità del disegno nella neutralità della fotografia. Come è possibile notare anche dall’immagine a fianco, numerose sequenze nel film sono state riprese, a livello compositivo e visivo dell’immagine, direttamente dai fumetti (ricordiamo che il film si ispira a Guardian Devil, ovvero Daredevil vol. 2, #1-#8). Zecca poi continua dicendo che:

108 F. Zecca, Cinema e intermedialità. Modelli di traduzione, FORUM, Udine, 2013, p. 259.

Figura 2: un'immagine del fumetto con la corrispettiva scena tratta dal film.

Figura 1: Diagramma della struttura di una sceneggiatura cinematografica e una fumettistica: la essa in scena e la messa in quadro del cinema corrispondono alla messa in disegno nel fumetto; la messa in rete del fumetto è l'evoluzione della messa in serie filmica. (F. Zecca, Cinema e intermedialità, p. 263-264).

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“A partire da queste figure, l’istanza traduttiva pone in essere un’operazione in un certo senso paradossale: riproporre i codici a manifestazione unica del primo linguaggio (come la vignetta), cioè a esso specifici, per mezzo dei codici a manifestazione unica del secondo (come l’inquadratura). È chiaro però che non tutte le figure dell’espressione fumettistica possono essere tradotte in quella cinematografica e che quelle che vengono tradotte sono sottoposte […] a una profonda trasformazione espressiva (fisiologica). È lo stesso Metz a sottolinearlo, quando scrive che è impossibile che una figura passi da un linguaggio all’altro ‘senza cedere a un abuso di linguaggio, poiché, al termine di questo ‘passaggio’, la figura non è più precisamente la stessa’.”109,

sottolineando ancora una volta che il passaggio da una piattaforma all’altra comporta necessariamente una traduzione del linguaggio, trattandosi, appunto, di forme espressive diverse. Zecca ci porge l’esempio della vignetta: essa è differente dall’inquadratura per almeno due fattori. Il primo, è sicuramente quello spaziale, cioè la variabilità delle sue proporzioni, che possono cambiare a seconda del disegnatore di turno, mentre l’inquadratura risulta, perlomeno, stabile. L’altro fattore è quello temporale, ovvero la vignetta si fonda sulla condensazione in un instante significante, mentre l’inquadratura trova la sua espressione proprio nella decomposizione e ricomposizione del movimento. In base a questi due fattori, ecco che la traduzione da una vignetta all’immagine in movimento deve avvenire per delle operazioni specifiche: da una parte, deve trasportare la pluridimensionalità della tavola fumettistica alla linearità dell’inquadratura, dall’altra deve sciogliere la sintesi della vignetta ed espandere la condensazione temporale del disegno attraverso il movimento dell’immagine filmica.110 In conclusione:

109 Ibidem. 110 Ivi, p. 260.

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“per essere portata sul grande schermo, la tavola fumettistica, da entità spazialmente “pre-vista” […], cioè composta da una totalità di elementi contigui (le vignette, appunto), tutti direttamente presenti all’occhio del lettore, deve essere segmentata in un insieme di elementi visti, cioè articolati in unità continue all’interno della scansione sintagmatica del film. D’altro canto, la temporalità fumettistica – capace, […], di rappresentare sinteticamente la durata oltre che raccontarla analiticamente – deve venir per così dire uniformata allo scorrimento temporale dei frames cinematografici.”111,

trasformando quindi delle intere sequenze “fisse” sulla carta ma ricche di informazioni in immagini in movimento che riescano a dare le stesse indicazioni.

Tutte queste indicazioni appena descritte sono fondamentali quando da un testo particolare quale è il fumetto, che si differenzia dal romanzo per la densità di informazioni che l’immagine fumettistica porta con sé, si vuole passare ad un prodotto audiovisivo. In alcuni casi, come abbiamo visto, il film del 2003 ha cercato di usare una componente visiva che richiamasse molto le celebro vignette della sua controparte cartacea. Quello in cui forse il prodotto cinematografico di Johnson ha peccato, è stato il non riuscire dare la giusta profondità a una storia complessa come quella di Daredevil, né tantomeno dare lo spessore che richiedevano determinati personaggi.