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Dalla città all’anima: il problema della stasis interiore

harmonia: dalla stasis al fragile equilibrio dell’oikeiopragia

3. Dalla città all’anima: il problema della stasis interiore

«Ci siamo ora imbattuti, o uomo ammirevole, in una questione davvero banale, se l’anima ha in se stessa queste tre forme oppure no» «Proprio banale, disse, non mi pare: ma forse Socrate, è vero il detto che difficili sono le cose belle». (Platone, Repubblica, IV, 435c5-9)

Dopo aver definito le virtù di ogni gruppo sociale, si individua la giustizia in quell’eidos già indicato nel II libro come fondamentale per la polis: si tratta del ta heautou prattein, corrispondente a un principio di divisione sociale del lavoro. Riformulandolo come oikeiopragia, Platone lo ripropone in un’accezione politica: una città si dice perfettamente governata, quindi perfettamente buona, solo a condizione che ogni cittadino svolga il compito che gli è proprio «senza moltiplicare le sue attività» (433a10). In questo modo ognuno sarà eccellente nello svolgere la propria funzione e la città sarà sophe, sophron e andreia, essendo la giustizia condizione di sviluppo delle virtù, e garanzia della loro sopravvivenza. Al contrario, la maggior rovina per la città si realizza con lo scambio di funzioni tra cittadini, o quando il singolo ricopre molteplici ruoli: situazioni la cui causa può risiedere nell’arricchimento eccessivo, nell’adulazione della massa o in quant’altro porti al governo chi non ne ha le competenze, generando ingiustizia.

Cosa significa svolgere il ruolo che è proprio «secondo natura»? Cosa s’intende per «natura» dell’uomo? Attraverso l’indagine sulla giustizia sociale, s’introduce nella

seconda parte del IV libro la questione della psiche, nel suo stato costante d’instabilità e conflittualità. Se la città è composta da tre tipologie di individui, gli archontes, gli epikouroi e i technitai, ognuno dei quali svolge un determinato compito in base alla sua physis, ciò è dovuto all’esistenza in ogni individuo del carattere proprio della rispettiva classe sociale. Probabilmente Platone, nel caratterizzare le differenti personalità della natura umana come irascibile, desiderante e razionale, trae spunto dal trattato ippocratico Arie acque luoghi57, dove si distinguono come nella Repubblica diverse tipologie caratteriali, non correlandole alle classi sociali ma a popolazioni diverse, e indicandone la causa nell’ambiente dei luoghi che esse abitano: lo spirito collerico proprio delle regioni nordiche sarebbe dovuto alla variabilità e rigidità metereologiche, l’intelligenza tecnica connota i greci e coloro che vivono nei territori mediterranei, mentre gli egiziani, abitanti di terre aride, sono amanti del denaro.

Tuttavia, anche se è possibile classificare ogni uomo come razionale, o desiderante o irascibile, ciò non significa che in ognuno non si incontrino tutte e tre queste facoltà, ma che ve n’è una che prevale sulle altre. A Platone interessa quindi mostrare la compresenza nell’anima umana di tre parti, formulando il problema in questi termini: è necessario comprendere se anche qui, come nella polis,

se ve ne sono tre (di parti) e con l’una compiamo un’azione, con un’altra, cioè con la prima apprendiamo, con la seconda di quelle che sono in noi ci adiriamo, infine con una terza desideriamo i piaceri del cibo, della generazione e di tutti quelli loro apparentati, oppure agiamo in ognuna di queste attività con l’anima intera fin dal primo impulso. Questo sarà difficile da determinare a un livello adeguato. (Platone, Repubblica 436a8-b3)

Abbandonata quindi del tutto l’idea di un’anima nell’accezione socratica di un’entità monolitica razionale, Platone discute la possibilità che la psiche sia un’unità complessa e conflittuale attraverso una lunga argomentazione, con cui se ne individuano prima due

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parti differenti, quella razionale e quella irrazionale. Solo in seguito, per “completare”, come sostengono alcuni studiosi, il parallelismo con la tripartizione sociale, ne viene individuata una terza: lo thymoeides58. Socrate assume come base dell’argomentazione il principio di non contraddizione, e procede inizialmente discutendo la condizione interiore di un uomo assetato che tuttavia si rifiuta di bere. Ripercorriamo gli snodi fondamentali di questa argomentazione.

Si delinea una teoria della motivazione, tracciando una fenomenologia dell’anima che individua le funzioni psicologiche determinanti il comportamento. Socrate assume per via ipotetica, come punto di partenza per dimostrare la complessità psichica, il principio per cui una determinata entità non può essere, agire o subire nello stesso tempo, sotto lo stesso aspetto e verso lo stesso oggetto, in un determinato modo e nel suo contrario. Se infatti consideriamo un uomo che sta fermo e muove le mani e la testa, non diremmo che costui sta fermo e si muove, ma che una parte di lui sta ferma e l’altra si muove. Allo stesso modo, una trottola non la descriveremmo contemporaneamente come ferma e in movimento, ma ferma rispetto al proprio asse, in movimento rispetto alla circonferenza (436b9-e8). “Atteggiamenti” psicologici opposti, come prendere e rifiutare, assentire e negare, portare a sé e respingere, possono essere presenti nello stesso individuo solo se ricondotti a centri motivazionali diversi. Lo stesso vale quindi per il desiderio e il suo contrario: desiderare significa infatti tendere verso qualcosa, non desiderare allontanare da sé, respingere. Già nel Simposio l’epithymia59 è caratterizzata nella sua essenza intrinsecamente relazionale: il desiderio è tale in quanto desiderio di, tensione verso un oggetto. La sacerdotessa Diotima descrive infatti l’eros come movimento verso qualcosa causato da un vuoto, una mancanza: si tratta cioè di un

58 La trattazione dello thymoeides nel IV libro della Repubblica sarà oggetto di considerazione nel

seguente paragrafo di questo capitolo.

59 Cfr. S. Campese, Epithymia/epithymetikon, in Vegetti (a cura di), Platone, La Repubblica, cit., pp. 245-

bisogno, della ricerca di ciò che non c’è e di cui si avverte la necessità. Lo stesso si può dire per la sete, distinguendola in quanto “desiderio in sé”, dalla sete ad esempio di una bevanda calda o fredda, o di molta o poca bevanda, in quanto “desiderio qualificato”. Nel primo caso si tratta di un impulso psichico primitivo: un movimento o forza motivante che spinge verso la soddisfazione di un bisogno la cui modalità d’espressione è l’immediatezza, essendo privo di una razionalità che giudica la bontà o meno dell’impulso. Socrate tiene infatti a puntualizzare l’indipendenza del desiderio in sé da qualsiasi tipo di considerazione morale, connotandolo come autonomo centro motivazionale: la ragione rappresenta un altro centro a sua volta autonomo, che può sia accordarsi sia confliggere col desiderio stesso. L’anima dell’uomo che ha sete ma non beve, quindi, coerentemente con il “principio degli opposti”, è un’entità composta e conflittuale (437b-439d10).

Per meglio chiarire il principio per cui una cosa non può, nello stesso momento e sotto lo stesso aspetto, compiere due azioni contrarie, Platone riporta, tra gli altri, anche l’esempio precedentemente accennato della trottola: non si dirà contemporaneamente ferma e in movimento, ma in movimento rispetto alla sua circonferenza e stabile rispetto all’asse:

Ebbene, supponiamo che chi parla così voglia divertirsi ancora di più e sostenga, argutamente, che le trottole, considerate nel loro insieme, stanno ferme e al tempo stesso si muovono quando girano attorno con la punta piantata nel medesimo luogo; o che così si comporta anche un qualsiasi altro oggetto che ruoti nello stesso punto. Questo non lo potremmo ammettere perché la quiete e il moto di tali oggetti non vanno considerati in relazione alle loro parti stesse. Diremmo invece che essi hanno asse e circonferenza e che rispetto all’asse stanno fermi perché non sbandano da nessun lato, rispetto alla circonferenza ruotano. Quando poi l’oggetto gira e nel contempo inclina la direzione assiale verso destra o sinistra o sul davanti o all’indietro, allora in qualunque sua parte manca la quiete. (Libro IV, 436d5-e8)

Paragonando la complessità dell’anima a quella di una trottola60, Platone esemplifica la dinamica interna dell’uomo nella sua composizione di elementi differenti e contrastanti. Eppure, nel moto della trottola sembra essere assente la conflittualità che invece caratterizza l’anima, perché i due stati contrari di movimento e stasi nella prima vi si compongono in maniera armonica. Lo stato di armonia psichica è invece una conquista per l’individuo, che si trova in una costante condizione scissa. La stessa osservazione si può fare a proposito dell’immagine dell’arciere, altro esempio portato a sostegno del principio degli opposti, che paragonato all’anima umana sembra però non riprodurre la dinamica conflittuale: l’azione dell’arciere è infatti frutto di un coordinamento armonico tra le due braccia, che svolgono movimenti opposti. Tuttavia, mediante questo parallelismo tra l’anima e la trottola, Platone potrebbe voler suggerire un modello temperato e giusto di equilibrio psichico. Non si può infatti escludere che egli avesse in mente, con questo esempio, oltre al giocattolo anche il moto dei cieli studiato dall’astronomia e dalla cosmologia del IV secolo. Più precisamente, queste discipline assumevano la sfericità del cielo e della Terra, quindi la rotazione del cielo delle stelle fisse intorno all’asse immobile dei poli, su cui si trova il globo terrestre. E’ probabile che il filosofo conoscesse, al momento della redazione della Repubblica, il planetario di Eudosso, in cui si teorizzavano le «sfere omocentriche», databile intorno al 360 a. C.: nel libro VII si tratta infatti di astronomia geometrica, in particolare definendo (528a) il contenuto dell’«astronomia» come «il solido in rotazione». Forse quindi, Platone attraverso l’immagine della trottola, si è voluto indirettamente riferire al moto dei cieli, indicandone nella spontaneità e naturalità della composizione armonica di moto e quiete, la realizzazione di quell’equilibrio cui la psiche umana deve tendere: una condizione raggiungibile perché connaturata allo stesso movimento celeste.

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Ritornando all’esempio dell’uomo che ha sete o fame ma rifiuta di soddisfare tali desideri, vorrei aggiungere alcune riflessioni. Anche nel Fedone si parla dei desideri paradigmatici della sete e della fame: tuttavia, in questo caso questi sono propri esclusivamente del corpo con i suoi bisogni da soddisfare, mentre nella Repubblica sono attribuiti all’anima, più precisamente alla sua sfera irrazionale. In particolare, nel IV libro gli stessi esempi sono utilizzati per individuare nell’anima due autonome fonti dell’azione, rettificando il principio socratico dell’involontarietà del male: la volontà non è sempre diretta al bene, e non è solo per mancanza di conoscenza che agiamo in conformità con ciò che bene non è. Se questo accade è perché nella psiche vi sono centri motivazionali autonomi con desideri propri che si relazionano cercando di prevalere l’uno sull’altro, per assumere il controllo della psiche: si tratta cioè di un conflitto di forze desideranti, dove la giustizia risulta dal “prevalere” del logistikon sui desideri di altre parti dell’anima. Del logistikon da un lato, dell’epithymetikon dall’altro, vengono ora specificati differenti oggetti in quanto forze autonome con proprie finalità. Da una parte, «desideri semplici e moderati», dall’altra invece la soddisfazione caotica e casuale di ogni tipo di impulso, senza alcun criterio selettivo.

Una lettura della tripartizione psichica come partizione del desiderio, da intendersi come unico fondo energetico dell’anima, è stata proposta per la prima volta da F. M. Cornford. Il suo articolo The doctrine of Eros in Plato’s symposium61 si apre con un confronto tra la morale repressiva del Fedone e l’etica dell’armonia nella Repubblica, per una rilettura di Socrate non solo come uomo intellettuale, ma anche “passionale”. Se il primo dialogo è infatti incentrato sulla preoccupazione della morte, il secondo si interessa invece alle condizioni per una vita felice: incontriamo perciò da una parte l’opposizione della ragione, propria dell’anima, alle passioni del corpo da

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reprimere ed eliminare, mentre dall’altra le parti dell’anima non sono intese come «irriducibili e distinti fattori», da cui ne deriverebbe la morale repressiva della ragione sulle altre due istanze. Nella Repubblica, continua lo studioso, si distingue per ognuna di queste una tipologia di desiderio, con il proprio oggetto e il proprio piacere, da cui conseguono i tre distinti tipi di caratteri a seconda del desiderio prevalente. La virtù consegue all’instaurazione di uno stato di armonia o bilanciamento dei vari desideri, ognuno dei quali ha diritto alla propria soddisfazione. L’etica della Repubblica non suggerisce quindi la repressione dei bisogni delle due componenti inferiori, avvertendo comunque del pericolo che una di queste prenda il controllo dell’anima, strumentalizzando le altre ai propri scopi: tuttavia, non trovando nemmeno essa stessa una vera forma di soddisfazione, che può realizzarsi solo sotto la guida della ragione. Ciò che caratterizza quest’ultima è la sua dinamica selettiva62: si relaziona nei confronti della terza parte scartando i desideri superflui e non necessari e moderando gli altri, da appagare ma nella giusta misura e per il benessere dell’anima intera. Nel libro IV la sua attività viene descritta secondo una modalità censitoria: si tratta cioè di limitare, moderandoli, gli impulsi dell’epithymetikon perché non prevalgano su quelli degli altri centri motivazionali, in particolare sul logistikon. La sua capacità di universalizzazione, cioè il suo volgersi verso il bene di tutta la comunità psichica, limitando a questo fine la soddisfazione dell’epithymetikon, è ciò che gli conferisce il diritto di governare l’anima: per questo Socrate la chiama “la razza padrona” (archikon genos, 444b5). La sua forza risiede nella capacità persuasiva delle sue deliberazioni sul bene generale, ma la sua povertà in termini di energia motivazionale la rende debole nei confronti dell’epithymetikon: per questo sarà necessaria, per una soluzione positiva del conflitto, l’alleanza con un terzo elemento ad essi intermedio, lo thymoeides. Platone

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infatti, parla del logistikon come la parte “più piccola” dell’anima, traducendo il linguaggio politico utilizzato per gli archontes in termini energetici: rispetto alla grande energia pulsionale dei desideri, la ragione difetta nettamente di forza. Infatti, non ci si sofferma molto sulla spiegazione del concetto di logistikon, i cui tratti sono delineati in modo meno approfondito rispetto alle altre istanze dell’anima: questo probabilmente per via del carattere intuitivo del termine, data la sua derivazione dal verbo logizesthai, «ragionare, calcolare». Ciò che invece si sottolinea è l’instabilità della sua egemonia all’interno dell’anima, ovvero il suo costante rischio di essere strumentalizzato dalla sfera dell’epithymetikon, data la sua carenza energetica: perché la risoluzione della stasis psichica sia possibile, è necessaria l’introduzione di un elemento corrispondente alla classe sociale dei guerrieri, che, come questi con i governanti, possa allearsi con la ragione in sua difesa, fornendole la spinta ad agire ed essere efficace, indispensabile per l’armonia interiore. Tuttavia, si tratta di un equilibrio che, data la sua costitutiva fragilità, non è da intendersi come un’acquisizione stabile.