• Non ci sono risultati.

La risoluzione del conflitto: il ruolo dello thymoeides nella politica delle alleanze

harmonia: dalla stasis al fragile equilibrio dell’oikeiopragia

4. La risoluzione del conflitto: il ruolo dello thymoeides nella politica delle alleanze

psichiche

Alla riqualificazione politica del principio tecnico dell’oikeiopragia segue quella psicologica. Lo stesso eidolon della giustizia come stato di unità nella polis, si traduce, a livello psichico, in uno stato di «ordine interiore e amicizia con se stesso» (444d): solo se ogni parte dell’anima svolge la propria funzione, l’individuo è capace di autocontrollo (enkrateia) ed è uno. Superando la condizione di disarmonia e scissione tra istanze conflittuali, l’energia è convogliata verso i nemici esterni: dalla stasis interiore si passa al polemos, la guerra contro i modi di vivere disarmonici e gli individui che li incarnano. Platone parla della giustizia psichica come uno stato di salute

e dell’ingiustizia come malattia, sulla base di un’analogia fra anima e corpo: come infatti il benessere di questo deriva da un giusto rapporto tra i suoi componenti, dato dal comando dei migliori sui peggiori; lo stesso si può dire per la psiche, per cui la virtù non è altro che una sorta di «salute, bellezza, vigore dell’anima, mentre il vizio malattia, bruttezza, debolezza» (444e). Se nella città l’oikeiopragia è data dal governo degli archontes, la cui sophia li rende in grado di deliberare per il bene e la felicità della polis intera, anche nell’anima la dikaiosyne è correlata alla direzione del logistikon. Il diritto e dovere di governare proprio degli archontes risiede proprio nella loro struttura psichica in cui “prevale” la ragione: al contrario degli affaristi, il cui elemento predominante, data la loro propensione alla produzione e all’accumulo di ricchezza, è l’epithymetikon. La virtù loro propria consiste infatti nella sophrosyne: sia nel senso di autocontrollo interiore che come accordo su chi deve governare ed essere governato, quindi coscienza del proprio ruolo sociale.

Mentre per i governanti, il cui animo è naturalmente predisposto all’autocontrollo, è prevista una paideia musicale e ginnica (375e sgg), per i membri del terzo ceto non è previsto lo stesso iter educativo e non si esclude l’accesso alla proprietà privata, che accentua la possibilità di sregolatezza interiore. Come si realizza quindi negli affaristi l’enkrateia, da cui dipende la dikaiosyne sociale? All’assenza di moderazione individuale corrisponde la tendenza alla sovversione dell’ordine nella polis: al disordine interiore, quello statale. Nell’affrontare tale questione, Platone utilizza il concetto di sophrosyne63 secondo due significati distinti. Da un lato, lo intende come forma di autocontrollo sui propri desideri e piaceri (430e7-11), dall’altro come accettazione e svolgimento del proprio ruolo da parte di ogni classe sociale, finalizzato alla concordia tra governati e governanti (431b6-e), il cui compito

63

consisterebbe nell’instaurare nei primi quel governo di se stessi di cui sono capaci. Tale accettazione della gerarchia sociale è determinata dall’uniformità di opinioni fra tutti i cittadini su chi ha le capacità di comandare e chi ne è privo, a sua volta resa possibile dalla conoscenza di se stessi. La massima delfica dello gnothi seauton è infatti collegata al concetto platonico di oikeiopragia: se si è coscienti di se stessi, ossia delle proprie capacità e limiti, delle proprie conoscenze dal punto di vista etico; se, quindi, si conosce la propria struttura psichica, si accetterà di buon grado di non comandare ma di essere comandati da altri, ritenuti competenti e si realizzerà nella polis uno stato di concordia tra le sue parti che è condizione essenziale per evitare la stasis. Perciò Platone parla nei termini di homonoia (432a-b) e homodoxia (433c): “pensare le stesse cose” o “avere le stesse opinioni” è necessario per la realizzazione della sophrosyne nei termini di symphonia o armonia. La saggezza assume quindi una declinazione epistemica, correlandosi a una forma di conoscenza delle proprie capacità: l’individuo del terzo gruppo, se ha coscienza dei suoi limiti, ovvero della sua incapacità di governare in vista del benessere comunitario e non solo del proprio utile, accetterà la guida dei più capaci. Lo stesso vale per i governanti, che a loro volta devono acquisire conoscenza e coscienza di ciò che sono: la homodoxia cui nel IV libro della Repubblica si lega la sophrosyne rimanda quindi alla massima delfica gnothi seauton, “conosci te stesso”, ma non più nel senso di coscienza dei propri limiti umani per non peccare di hybris nei confronti degli dèi. Si tratta di una conoscenza della propria anima come consapevolezza di se stessi dal punto di vista etico, indispensabile per accettare il proprio ruolo sociale e perché si realizzi la concordia tra le parti della città, che così diviene una.

Se l’ingiustizia nell’anima è disordine, malattia e conflitto, dati dalla mancanza di oikeiopragia e sophrosyne, come si realizza il controllo e la direzione della ragione sui

desideri, quindi la giustizia? Si tratta di una domanda fondamentale, dal momento che abbandonando la concezione unitaria dell’anima come pura razionalità, si abbandona anche la possibilità di garantire l’eudaimonia con la sola conoscenza, equiparando la virtù al sapere e l’ignoranza al vizio. Se ragione e desiderio sono due centri motivazionali autonomi, la prima da sola non è condizione di salute dell’anima: nonostante l’abilità persuasiva delle sue deliberazioni secondo giustizia, la carenza di energia motivazionale rende il logistikon incapace da solo di agire sulla forza dei desideri, che prendendo il comando sovvertono la corretta gerarchia delle parti psichiche. Per superare il conflitto risolvendolo, Platone elabora quindi un terzo eidos dell’anima: lo thymoeides (439e-441c3), assicurando al logistikon una energia motivazionale e completando così il parallelismo dell’anima con la città64

. L’introduzione nella discussione di questo elemento non è accompagnata da dimostrazioni sulla sua esistenza, ma è interessante la delimitazione rispetto alle altre due parti. Se ne indaga innanzi tutto la somiglianza con l’epithymetikon: essendo infatti la sua natura irrazionale, il rischio è quello di confonderlo con il terzo elemento, quindi di risolvere la prospettata tripartizione dell’anima in una bipartizione. L’esempio di Leonzio in particolare, insieme ad altri, viene proposto per scongiurare tale pericolo e mostra che questo terzo elemento viene introdotto come necessario a spiegare il caso di un comportamento complesso: se l’anima di Leonzio si adira contro il desiderio di gettare il proprio sguardo sui cadaveri, non si può identificare lo thymoeides con l’epithymetikon, che lo spinge ad osservare quello spettacolo. Al contrario, la sua natura sembrerebbe affine al logistikon, con cui si allea: se infatti, come viene meglio specificato più avanti, è educato con una buona tryphe (441a1-4), l’elemento irascibile non può che essere fedele servitore della ragione e difensore dell’anima contro i nemici

64 Questa interpretazione sulla genesi dello thymoeides platonico nella Repubblica sarà oggetto di

esterni. Tuttavia, non lo si può nemmeno assimilare alla razionalità, né da essa farlo dipendere: infatti, nei bambini come in alcuni adulti, alla presenza della collera si affianca l’assenza della ragione.

Il termine thymos65 non compare per la prima volta con Platone. Già in Omero lo incontriamo per indicare la fonte originaria delle emozioni e delle azioni: s’intende cioè l’impulso emozionale ad agire, un sommovimento interiore, come suggerisce il verbo thyo da cui deriva, espressione di un’energia senza direzione precisa. Molti sono i significati che racchiude lo thymos omerico, ereditati da Platone: alla base vi sono le emozioni della collera e aggressività legate al senso di vergogna del guerriero per l’onore ferito, quindi i sentimenti di vendetta, autoaffermazione e ambizione. Il filosofo utilizza tale termine con accezioni differenti, a seconda che stia parlando dello thymoeides educato quindi alleato del logistikon, o meno. E’ infatti solo nel legame con la ragione, nel suo addomesticamento, che l’essenza collerica dello thymos può orientarsi verso un nobile obiettivo, acquistando misura e proporzione in quanto coraggio: nel caso contrario di uno thymoeides agrion, non educato, si produrrà solamente una irrazionale e vuota aggressività. Inoltre, il termine thymos si incontra anche nel trattato ippocratico Arie, acque e luoghi, col significato di irascibilità caratteriale attribuita ai popoli nordici: ma il suo sviluppo è spiegato qui come una reazione a determinati fattori climatici e connettendo la psicologia all’ambiente in cui si vive.

Nel conflitto psicologico considerato da Platone l’elemento timico svolge il ruolo fondamentale di mediatore e risolutore. Platone vi individua quell’energia che, se posta a servizio del logistikon, può integrare le sue deliberazioni sul bene generale con i desideri particolari e privati dell’istanza epitimica, permettendone la regolazione da

65

parte della ragione: non si tratta infatti di un’azione volta alla loro soppressione, ma ad una loro giusta e misurata soddisfazione. Alleato del logistikon, intermediario, mediatore: forza motivazionale che, nella forma dell’andreia, integra con il mondo concreto delle passioni e dei desideri le conoscenze epistemiche ed etiche del filosofo, rendendole efficaci. In base alla concezione che Platone esprime nel VII libro della Repubblica mediante l’immagine della caverna, cui il filosofo deve far ritorno dopo aver contemplato il mondo delle idee (514b-520a), i governanti hanno il compito di “applicare” le loro conoscenze sul Bene alla realtà dei bisogni della polis. Solo, infatti, attraverso la soddisfazione moderata delle pulsioni degli affaristi la polis sarà felice nella sua interezza. Ugualmente, non può esistere anima felice se vengono recisi, alla maniera socratica, quelli che Platone nel III libro della Repubblica chiama «i nervi dell’anima» (411b), l’unica energia di cui dispone: né può esistere se questa energia non si indirizza verso il bene di tutta la psiche, ma verso la soddisfazione dei soli desideri dell’epithymetikon, diventandone strumento.

Ciò che permette allo thymoeides platonico di proiettarsi in una dimensione comunitaria, al contrario dei desideri privati dell’epithymetikon, è il suo caratterizzarsi essenzialmente come una risposta emozionale al senso di ingiustizia o oltraggio subito: i sentimenti di ira e vendetta che ne derivano, legati al desiderio di autoaffermazione e approvazione in un contesto sociale, quindi all’ambizione, rendono lo thymos un adatto alleato della ragione, servendole da carica motivazionale in vista della realizzazione del bene e della felicità comune. Come osserva Giulia Cupido, lo stesso ruolo è ricoperto nel Simposio dall’eros, dove se ne descrive il percorso ascensionale, in quanto desiderio, verso il possesso eterno del bene66. L’eros può essere sia il principale alleato

66 Per l’argomentazione sviluppata da questo punto fino alla conclusione del paragrafo circa la possibilità

di stabilire un collegamento tra lo thymoeides nella Repubblica e l’eros nel Simposio, e circa la lettura dell’anima come flusso di energia desiderante, cfr. M. M. Sassi, Eros come energia psichica: Platone e i

della ragione, sia il più grande avversario: possedendo una natura di base neutra, si può canalizzare verso le vette più alte della conoscenza, ma anche verso i più infimi piaceri del sesso, del cibo e delle bevande. Possiamo trovare un punto d’incontro tra la Repubblica e il Simposio considerando lo thymoeides dell’uno analogo all’eros dell’altro dialogo, in quanto fondo energetico della psiche che può prendere varie direzioni sul modello della libido freudiana: se infatti l’eros è ben educato dalla ragione persegue ciò che è giusto, se strumentalizzato dall’epithymetikon, l’utile personale. L’anima è pensata quindi come una forza pulsionale, che può indirizzarsi verso canali differenti a seconda della motivazione che prevale, e che diminuendo in una direzione aumenta verso l’altra. Ricordiamo che, come già accennato nel presente capitolo, si può osservare che nella Repubblica ogni parte dell’anima è caratterizzata da desideri propri, quali la vittoria e l’onore, la conoscenza, e il cibo, la bevanda e il sesso: non essendo quindi il desiderio una prerogativa di una sola parte, ma l’essenza stessa della psiche. In particolare, come spiega Cornford nel suo già citato The doctrine of Eros in Plato’s Symposium, nel IX libro Socrate dice che «poiché tre sono le parti dell’anima, tre mi appaiono anche i tipi di piaceri, uno per ciascuna parte» (580d7-8). Poco dopo, inoltre, indica ogni elemento con l’espressione “amante di”: la parte appetitiva, «non avremo ragione di chiamarla amante di denaro e amante di guadagno? (...) E la parte animosa, non diciamo che aspira tutta e sempre a dominare e vincere e ottenere buona fama? (...) Se dunque la chiamassimo amante della vittoria e di onori, non sarebbe detto a proposito? (...) Quanto alla parte che ci fa apprendere, ognuno può vedere che è sempre tutta tesa a conoscere la verità, così come essa è. Tra le varie parti è quella che meno bada al denaro e alla fama. (...) Se dunque la chiamassimo amante di apprendere e di sapere, non la chiameremmo in modo appropriato?» (581b-c). Tuttavia,

Valditara, Arianna Fermani, Milano V&P, 2007, pp. 275-292; F. M. Cornford, op. cit.; G. Cupido, op.

già nel IV libro sono individuati per il logistikon dei desideri specifici, quei «desideri semplici e misurati, accompagnati da pensiero e opinione corretta e soggetti alla guida del ragionamento, [che] li troverai in pochi: quelli di natura migliore e di migliore educazione» (Repubblica, 431c4-7). Ciascun “elemento” persegue quindi determinati piaceri, caratterizzando l’anima come un flusso di desiderio.

Ogni parte deve ricercare quindi il proprio appagamento ma senza assumere il controllo sulle altre, impedendo loro il perseguimento dei propri piaceri: a tal fine il Simposio propone una educazione del desiderio, centrata sulla concezione dell’eros come energia neutra. Questo demone, spiega Socrate riportando le parole di Diotima, non riassume in sé tutte le virtù: essendo desiderio di bellezza e bontà, non le possiede, risultando privo di ciò verso cui tende, ed è proprio l’assenza dell’oggetto desiderato che lo determina in quanto tale. Si tratta, continua, di una passione universale: ogni desiderio verso un determinato oggetto, e quindi ogni nostra attività, è tensione verso il possesso del bene e della bellezza. Importante è quindi la direzione che questa energia prende: la connotazione valoriale dell’eros, di base neutro, sarà determinata dall’oggetto verso cui tende, della cui bellezza e bontà vuole impadronirsi. Perciò si distinguono tre tipologie di uomini: quello dedito alle ricchezze, colui che dà maggiore importanza alla cura del corpo, e l’amante della verità. La possibilità di sublimare o al contrario, immiserire il desiderio, è quindi resa possibile prima di tutto dalla connotazione neutra di questa energia: ne segue poi, la sua caratterizzazione nei termini di “flusso”, da canalizzare secondo tre possibili direzioni, a seconda della motivazione prevalente. Importante è però la limitatezza di questa energia, che concentrata in una direzione, diminuisce verso le altre, come si sottolinea al verso 588b della Repubblica: qui, dopo aver descritto le tre parti psichiche in quanto uomo, leone e bestia dalle molte teste, si specifica come nutrendo quest’ultima sia lasciato morire di fame l’uomo; oppure, a

485d, dove il desiderio è paragonato a un flusso che se la corrente convoglia in un senso, diventa debole negli altri:

Sappiamo tuttavia che nella persona i cui desideri sono fortemente inclinati in un senso, essi sono più deboli degli altri, come una corrente lì convogliata. Analogamente, in colui i cui desideri siano fluiti verso il sapere in ogni sua forma, questi (desideri)avranno a che fare con il piacere che l’anima prova per se stessa, a scapito dei piaceri (che essa prova) mediante il corpo: se, beninteso, costui intenda essere amante della sapienza non per finta ma davvero.

L’armonia risulterà da una proporzionata distribuzione dell’energia disponibile. Ciò significa che il desiderio deve fluire in ogni direzione, ma nella giusta misura: anche verso i piaceri corporei ma in quantità minore rispetto a quelli dell’onore e del riconoscimento sociale, e questi ultimi in misura inferiore rispetto a quelli della verità e del sapere, affinché gli altri due non finalizzino alla propria soddisfazione l’energia dell’intera psiche. La condizione che ne deriva, spiega Cornford «potrebbe non essere perfetta; ma è la più stabile e felice di qualsiasi altra».

Tuttavia, il modello dei flussi dell’anima delineato da Cornford pur offrendo un’efficace interpretazione della dinamica psichica platonica, non sembra del tutto capace di spiegare adeguatamente l’emergere nell’individuo della coscienza e della responsabilità morale: maggiormente efficace per questo scopo risulta l’interpretazione delle componenti dell’anima come «indipendent sources of motivation», possibile a partire dalla constatazione della presenza intrapsichica di diverse forze in conflitto tra loro. In base al principio per cui non si possono attribuire alla medesima entità due azioni opposte nello stesso tempo, bisogna infatti ammettere, dice Platone, che l’anima di chi vuole bere ma non lo fa sia articolata in componenti che perseguono fini differenti67. Tuttavia, nonostante l’individuazione dell’anima come unità complessa, ognuna delle cui sorgenti motivazionali cerca di assumere il controllo sulle altre due, la

67

psiche «funziona sempre tutta intera, e la sua condotta risulta dalla somma vettoriale delle diverse forze in campo»68.