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Il problema dell’isomorfismo tra città e anima

harmonia: dalla stasis al fragile equilibrio dell’oikeiopragia

5. Il problema dell’isomorfismo tra città e anima

La descrizione della dinamica psichica in termini di conflitto è favorita dalla natura dello thymoeides, ovvero è costruita a partire dalla concezione di questo elemento come “guerriero alleato della ragione”. Perciò, un’analisi di tale concetto può consentire di comprendere meglio il rapporto fra la tripartizione psichica e quella sociale. Quale delle due Platone ha sviluppato prima, costituendo su tale base, l’altra? Alcuni studiosi sono maggiormente propensi a sostenere la precedenza della concezione dell’anima rispetto a quella della polis, sulla base dell’opinione che il Fedro preceda la Repubblica: l’immagine allegorica dell’anima come una biga alata sarebbe una prefigurazione della tripartizione del IV libro. La possibilità che, al contrario, il ragionamento del filosofo coincida con il percorso argomentativo di Socrate nella Repubblica, è stata affermata congiuntamente con la messa in discussione dei rapporti cronologici tra questo dialogo e il Fedro. F. M. Cornford, per esempio69, individua nello thymoeides l’indizio di una configurazione artificiale e posteriore dell’anima.

Secondo Cornford, infatti, la concezione dello thymoeides come alleato della ragione contro l’epithymetikon, dipende da una nozione di conflitto motivazionale. Dall’analisi dell’uomo assetato che non beve, emerge la compresenza di un centro motivazionale istintivo che mira alla soddisfazione di un impulso primitivo, e della considerazione razionale della sua bontà o meno come centro motivazionale opposto. Questo esempio intende provare l’articolazione bipartita dell’anima, mentre l’introduzione del terzo elemento non è accompagnata da una dimostrazione della sua

68 Cfr. Cupido, op. cit., p. 103.

69 Cfr. F. M. Cornford, Psychology and Social Structure in the Republic of Plato, in The Classical

esistenza, ma dalla sua distinzione rispetto alle altre due istanze. Tuttavia, la psiche non funziona solo nei termini di conflitto motivazionale. Se Platone non ne ha preso in considerazione altre modalità, ad esempio facoltà come la sensitiva e la percettiva, ciò può essere dovuto alla secondaria elaborazione della tripartizione psicologica rispetto a quella della polis, già configurata nei termini di stasis. Lo thymoeides sarebbe quindi inserito nell’anima come terzo elemento, per completare l’analogia con il corpo della polis, composto da tre ceti: come alla ragione corrisponderebbe la classe dei governanti e al desiderio quella dei lavoratori, anche i guerrieri devono incontrare nella psiche un elemento analogo.

A smascherare l’artificiosità dell’introduzione del terzo elemento psichico, concorre da una parte la comprensione della natura delle virtù, quindi della loro modalità di elaborazione nel IV libro; dall’altra un’analisi del termine thymoeides, che ne riveli la sua interna confusione semantica. Questo terzo elemento, spiega Cornford, esprime allo stesso tempo sia l’emozione primaria della collera, sia il sentimento dell’onore, o rispetto di se stessi. Non si tratta della stessa condizione interiore, essendo la collera una forza istintiva, il senso dell’onore invece il risultato dell’elaborazione di un complesso di emozioni rispetto all’idea che ogni soggetto specifico ha di se stesso, essendo appunto la propria persona l’oggetto di considerazione. Nel definire lo thymoeides, Platone ha in mente entrambe le condizioni psicologiche. Da un lato l’ira, ossia l’istinto alla lotta, è infatti la naturale base di sviluppo della virtù del coraggio: perciò viene indicata come l’innata disposizione dei guardiani, a 375a. Questo mostra inoltre come la definizione della parte psichica timoeidetica derivi dall’individuazione della virtù dei guardiani nel coraggio, che ha determinato la ricerca del suo naturale terreno di crescita nell’emozione, di ascendenza omerica, del thymos. Tuttavia, quando il filosofo spiega come lo thymoeides sia naturalmente portato ad allearsi con la ragione

senza mai ribellarsi ad essa, mostra di aver confuso nello stesso elemento due distinti fattori psicologici: è infatti il sentimento dell’onore o rispetto di se stessi, che nella sua indignazione è portato a schierarsi in difesa del logistikon. Sia l’emozione primaria della collera che il sentimento dell’onore, sono meccanismi mentali propri dell’uomo: ma fanno parte di una molteplicità di sentimenti ed emozioni ognuna delle quali ha lo stesso diritto di essere individuata come funzione psicologica umana. Né l’ira né l’onore presi separatamente, né fusi insieme, possono quindi, ricoprire il ruolo di una delle tre funzioni psichiche all’interno dell’anima, per la quale non c’è d’altro canto alcun motivo di considerarla distinta in sole tre disposizioni psicologiche.

Per ogni parte del corpo sociale Platone individua la rispettiva virtù: sophia nei governanti, andreia nei guardiani, sophrosyne nei lavoratori manuali. La giustizia invece, in quanto oikeiopragia, è propria di ogni classe, consistendo nel principio di differenziazione per cui ognuno fa solo ed esclusivamente ciò che gli compete, in base alla propria natura. Tuttavia, il filosofo non dà una spiegazione del perché la totalità delle virtù umane possa esaurirsi in queste quattro. Secondo Cornford la spiegazione a questo problema sarebbe da ricercare nella divisione della vita umana in tre fasce di età, corrente nella cultura greca antica: quella degli anziani sopra i cinquant’anni, quella degli adulti, delle donne e dei bambini, e quella dei ragazzi, cui sono correlate le tre virtù umane della sapienza, della temperanza e del coraggio. Tale distinzione è alla base della costruzione della struttura sociale nelle prime poleis greche, divise al loro interno in tre classi corrispondenti alle tre fasce di età sopradette, ognuna preposta a un determinato ruolo perché differenti sono le loro abilità cognitive e fisiche: governanti, produttori, guerrieri. Si può avanzare l’ipotesi che anche la kallipolis platonica, organizzata secondo tre classi corrispondenti a tre fasce di età, sia derivata dalla correlazione fra queste e le rispettive virtù. Platone probabilmente ha costruito la

tripartizione psichica a partire dalla costruzione dello stato, (a sua volta fondato sulla distinzione di “three ages of human life”, ognuna con una sua specifica virtù): assumendo che la polis fondata secondo natura deve riflettere su una scala più ampia la natura stessa dell’individuo. In caso contrario, non si riesce a spiegare la riduzione delle virtù umane alle tre sopradette: le virtù quindi, dalla polis sarebbero trasposte all’anima, di conseguenza distinta nelle tre parti corrispondenti. Da ciò deriva infatti la confusione semantica insita nello thymoeides, che fonde l’ira, terreno di sviluppo della virtù del coraggio, con l’onore, per riflettere nella psiche l’alleanza politica tra guerrieri e governanti.

La possibilità che lo thymoeides sia inserito nella descrizione dell’anima per completarne l’isomorfismo con la città, viene presa in considerazione anche da Olivier Renaut, che mette a confronto le due differenti concezioni di conflitto psichico nella Repubblica, chiedendosi: «c’è un modello (...) che bisogna preferire e di cui dobbiamo dire che sia la verità della teoria della tripartizione dell’anima»70

? E ancora: «che significa vivere un conflitto psichico per Platone?»71. Se nel IV libro l’individuo appare tragicamente scisso tra due sé in lotta, nell’VIII e nel IX, invece, incontriamo un’anima organizzata gerarchicamente in tre parti: da una parte, si ha quindi una rappresentazione tragica della dinamica interiore analoga a quella delle eroine euripidee, dall’altra invece la scissione è strutturale, ossia coinvolge l’intera individualità, determinandone il carattere. Si tratta di due elaborazioni che si escludono a vicenda, o è possibile trovare una loro integrazione? Per affrontare tali questioni è necessario innanzi tutto considerare la differenza di approccio e quindi di finalità che sottintendono queste due rappresentazioni. Nel IV libro della Repubblica, attraverso un’analisi fenomenologica del conflitto, si vuole spiegare il modo in cui il soggetto lo vive in prima persona:

70 Cfr. Olivier Renaut, Les conflits de l’âme dans la République de Platon, in Études Platoniciennes IV,

Les puissances de l’âme selon Platon, p. 184.

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l’intento è quindi pedagogico. Nell’VIII e IX libro, invece, l’approccio teorico vuole mostrare la presenza di una struttura gerarchica conflittuale sottostante la configurazione caratteriale di ognuno, individuando la sua risoluzione nell’attribuzione del kratos alla ragione.

Gli esempi di Leonzio, dell’uomo assetato che non beve e di Ulisse, suggeriscono che l’intenzione del IV libro non sia l’individuazione nell’anima di principi distinti e assiologicamente differenti: non si tratterebbe cioè, delle “parti” come funzioni psichiche che incontriamo nell’VIII e IX libro a proposito dell’uomo timocratico, democratico e tirannico, quanto piuttosto di forze contrapposte, di élans, ognuna delle quali, come un omuncolo, possiede i propri desideri, la propria capacità riflessiva e la propria animosità. Nel libro IV infatti, le parti sono descritte non secondo la loro modalità di funzionamento, desiderante, razionale, animosa, ma come forze o discorsi contraddittori, ossia secondo la relazione che ognuno ha col proprio contrario: approvare ed esprimere disaccordo, desiderare appropriarsi di qualcosa e rigettarlo, tirare a sé e respingere.

Non sempre si ha un conflitto tragico in presenza dell’altro, come avviene invece nel caso contrario. La dinamica del conflitto strutturale si realizza nel passaggio da una determinata configurazione gerarchica tra le parti ad un’altra, mediante un cambiamento dell’opinione su ciò che è bene: un passaggio che può realizzarsi anche in modo pacifico, come avviene nel caso in cui l’individuo sia sottoposto ad un’adeguata educazione musicale e ginnica. Ciò che è in atto, nella transizione dall’uomo oligarchico al tiranno, come dal filosofo all’”uomo dedito al desiderio”, non è tanto un conflitto psichico, quanto un conflitto normativo: in gioco sono due modelli di vita, due sistemi di valori. Tuttavia, si può individuare tra queste dinamiche un filo conduttore: il conflitto si origina in entrambi i casi nel dilemma in cui si trova il soggetto, attanagliato

com’è da due forze o modelli normativi di potenza equivalente, tra cui non riesce a decidere. L’uomo timocratico e democratico, la cui genesi è descritta nei libri VIII e IX, altro non sono infatti se non le risultanti vie di mezzo tra due estremi che trascinano il soggetto in direzioni opposte.

Non si tratta, secondo Olivier Renaut, di dover stabilire la priorità dell’una e dell’altra fra le due rappresentazioni dell’anima. Alla constatazione della differenza tra conflitto psichico e normativo non corrisponde la necessità di effettuare una scelta, quanto invece di integrare le due concezioni, spiegandone la differenza mediante l’individuazione di una unità di intenti sottostante. Se da una parte si vuole mostrare come l’individuo vive e si rappresenta il conflitto, dall’altra si indica una soluzione alla lacerante scissione tragica che lo abita, mediante il parallelismo tra la polis e l’anima, quindi la tripartizione e politicizzazione di quest’ultima: che non sarebbe quindi solo una risposta alla necessità di soddisfare, con l’introduzione dello thymoeides, l’isomorfismo tra la psiche e la città, quanto soprattutto la strada individuata da Platone per risolvere la scissione.

Bisogna considerare il conflitto tragico come effetto di quello normativo: in questo modo, nel momento del dilemma si saprà interpretarne la motivazione e individuarne la risoluzione, scandagliando la propria struttura gerarchica interiore. A tal fine è necessario indurre l’individuo a pensare la propria anima come una città, la cui stasis è determinata da una scorretta distribuzione del potere tra le parti: allo stesso modo, si sarà capaci di identificare la causa della propria stasis interiore e la modalità per risolverla nella mancata “attribuzione” del kratos alla ragione. L’individuo, concependo se stesso come un microcosmo “politico”, considererà la possibilità di conseguire l’armonia interiore, come nella città, tramite l’instaurazione dell’enkrateia: ma affidare la direzione di se stesso alla ragione, significa seguire la legge. Risiederebbe

infatti nei valori che essa incorpora, la funzione di mediazione e risoluzione del conflitto psichico: come dice in conclusione dell’argomentazione Renaut,

«quello che il conflitto psichico vissuto, dove l’anima è necessariamente doppia, distingue, la tripartizione permette di unificare facendo sì che l’individuo aderisca ai valori della città veicolati dalla legge. Riconoscendo che esistono nella sua anima tre funzioni distinte, l’individuo può rappresentarsi la loro composizione in un conflitto etico-politico che diviene l’occasione di riappropriarsi del sé alienato che la tragedia mette in scena»72

.

Olivier Renaut considera inoltre la possibilità, sostenuta da alcuni studiosi, di ridurre la tripartizione dell’anima a una bipartizione tra razionalità e irrazionalità. In particolare, riporta l’argomentazione di T. Penner per cui Socrate, a 439c e 441c non avrebbe dimostrato formalmente l’esistenza dell’elemento intermedio: di conseguenza, ogni esempio di conflitto psichico proposto può essere ricondotto ad una bipartizione tra razionalità ed irrazionalità, compreso quello di Leonzio la cui collera non sarebbe altro che la ragione. Inoltre, nota Penner, nel X libro si presentano casi di conflitto psichico ma senza far menzione ad una tripartizione dell’anima: sembrerebbe perciò che l’inserimento dell’elemento collerico e in generale la struttura psichica tripartita siano dovuti alla semplice necessità di soddisfare l’isomorfismo con la città. La compresenza nell’opera di Platone di un modello conflittuale bipartito e un altro tripartito si può spiegare, come già osservato, distinguendo due differenti finalità nella rappresentazione della stasis interiore: si mostra da una parte, la tragedia interna vissuta dal soggetto, come lacerante scissione in due sé opposti, dall’altra la struttura gerarchica funzionale che permette la comprensione e risoluzione del conflitto tragico. Renaut sostiene inoltre la necessità di leggere nell’immagine dell’anima bipartita non tanto la volontà di opporre la ragione al desiderio, quanto quella di rappresentare la ragione nella sua

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modalità operativa, caratterizzata da una dinamica oppositiva al desiderio. Ciò non escluderebbe quindi l’individuazione di tre specifiche funzioni, per mostrare la possibile risoluzione del conflitto tra ragione e desiderio, attribuendo a ciascuna una sua specifica funzione.