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Dalla presa di coscienza al ruolo del proletariato

3.1 AIMÉ CÉSAIRE E FRANTZ FANON

3.1.3 Dalla presa di coscienza al ruolo del proletariato

Persi i toni di reinvenzione poetica del Cahier, il messaggio politico in esso contenuto è stato traslato in maniera nettamente più marcata, nelle pagine iniziali di Discorso

sul colonialismo; in particolare nell’equiparazione proposta tra la condizione del proletariato e

quella del colonizzato, tradotta in termini di impasse che la civiltà europea non è stata mai in grado di affrontare e superare. La lotta di classe entra così, a pieno titolo, nell’ossatura del

Discorso come uno dei suoi pilastri fondamentali e l’elemento dell’epidermide “scivola”,

seppur non definitivamente, in secondo piano.

La coscientizzazione e l’affermazione della propria identità nera sono giunte in Césaire a piena maturazione e il particolare contesto storico del Secondo dopoguerra e l’avvio

dei processi di decolonizzazione sfumano in parte gli intenti del giovane studente nero che dal 1945 è eletto Sindaco di Fort-de-France e successivamente deputato all’Assemblea Nazionale Francese. È questo il periodo in cui Frantz Fanon, reduce dai campi di combattimento, entra in contatto in maniera determinante con la realtà socioculturale della Francia postbellica.

L’accusa da Césaire rivolta attraverso le pagine di Discorso sul colonialismo ai paesi occidentali nel periodo immediatamente successivo alle tragedie della Seconda guerra mondiale - non casuali risultano i continui riferimenti alla Francia -, ha trovato slancio soprattutto per il ruolo che si sono apprestate a ricoprire le democrazie alleate in grado sì di sconfiggere il nazifascismo, ma che nel corso degli anni Cinquanta hanno continuato a condurre politiche nel panorama coloniale sulla falsa riga, per non dire in netta continuità, con le politiche/tragedie partorite, in particolar modo, da parte della Germania nazista.

Si guardi, a titolo d’esempio, al rapido precipitare degli eventi in paesi come il Vietnam e l’Algeria, e al diretto coinvolgimento di paesi come gli Stati Uniti e la Francia; un complesso di scelte, ovvero, che ha costituito una posizione di paradossale continuità nei confronti di quel recente passato per il quale le democrazie occidentali si erano coalizzate e concretamente opposte e che ha legittimato e spinto senza spropositi Césaire a nominare più volte la figura di Adolf Hitler in qualità di presenza permanente nella cultura occidentale anche nel Secondo dopoguerra, come frutto e derivato dello « pseudoumanesimo » occidentale che ha consentito, soprattutto con l’accelerazione impressa nel corso dell’Ottocento, la spartizione del mondo attraverso l’impresa coloniale.

Tale “spirito” - seguendo sempre quanto proposto da Césaire - nonostante la sconfitta riportata dalla Germania nazista non è venuto meno. Le sue radici, la sua essenza e la sua ideologia risultano, infatti, come il frutto non tanto di una particolare condizione che è maturata e si è sviluppata in via esclusiva nella Germania del Primo dopoguerra, bensì, il derivato di una cultura che ha gradualmente preso forma nel corso dell’Ottocento, che ha visto direttamente coinvolti la maggior parte dei paesi europei e che annovera, tra i suoi effetti più catastrofici, quello di aver condotto, per esempio, la Germania alla deriva nazista. Come ha sintetizzato Césaire:

« Si, varrebbe proprio la pena di studiare, clinicamente, in dettaglio, tutti i passi di Hitler e dell’hitlerismo, per rilevare al borghese distinto, umanista, cristiano del XX secolo, che

anch’egli porta dentro di sé un Hitler nascosto, rimosso; ovvero, che Hitler abita in lui, che Hitler è il suo demone e che, pur biasimandolo, manca di coerenza, perché in fondo ciò che non perdona ad Hitler non è il crimine in sé, non è il crimine contro l’uomo, non è

l’umiliazione dell’uomo in quanto tale, ma il crimine contro l’uomo bianco, il fatto di

aver applicato in Europa quei procedimenti colonialisti che sino ad allora erano state prerogativa esclusivamente agli arabi d’Algeria, ai coolie dell’India e ai negri dell’Africa » .197

Césaire non solo così ha contribuito ad ampliare quel successivo filone di studi che ha guardato e poi messo strettamente in relazione l’emergere nel corso dell’Ottocento di una cultura profondamente razzista e pseudoscientifica che, legandosi ai processi sia di Modernizzazione capitalistica sia di colonizzazione, si è spinta fino a condurre alla totale degenerazione le democrazie liberali nel Primo conflitto mondiale e, successivamente, ha spinto alla deriva totalitaria la Germania nazista e al Secondo conflitto mondiale - come tentativo di ricostruire la genealogia di una delle pagine più buie della storia - ma ha 198 introdotto e richiamato la stringente necessità di dare avvio ad un duplice processo di decolonizzazione, che porti, da un lato, all’indipendenza i paesi colonizzati e dall’altro lato, alla decolonizzazione del sapere e della cultura europee.

Il fatto che Césaire abbia tanto insisto nel richiamare la figura di Adolf Hitler o nel nominare alcuni dei principali protagonisti delle imprese coloniali, come ministri o personale militare, antropologi, poeti, scrittori o filosofi è risultato funzionale all’interno di

Discorso sul colonialismo per meglio trasmettere il messaggio che tragedie come quelle dei

campi di sterminio non furono frutto del caso o di folli prese di posizione, ma l’effetto, il prolungamento e la scelta deliberata di adottare una serie di politiche che già erano state

A. Césaire, Discorso sul colonialismo, cit., p. 55. Corsivo di Césaire.

197

Esemplare, da questo punto di vista, lo studio di Enzo Traverso che attraverso la sua ricostruzione

198

genealogica della violenza nazista ha messo in risalto come necessario risulti un approccio che non si limiti ad un’indagine strettamente vincolata all’arco temporale specifico nel quale si manifesta un determinato evento - per quanto concerne lo sterminio degli ebrei si potrebbe operare un’analisi approfondita ed esclusiva che parta dalla metà del 1941 ed arrivi, alla fine del 1944 -, bensì, per una corretta interpretazione, occorre - allargando la prospettiva -, ricercare le premesse storiche rintracciabili in contesti e periodi più ampi. Ecco che per Traverso, necessaria operazione per una maggiore comprensione di un fenomeno come per esempio quello della Shoah, risulta quella indagine che si allarghi a gran parte dei paesi d’Europa che nel corso dell’Ottocento hanno fatto emergere quel sentimento di antisemitismo inquadrato non tanto come causa scatenante ma come elemento costitutivo del fenomeno stesso. Un’operazione che come sottolinea nell’introduzione della sua opera, La violenza nazista, può essere compiuta solo retrospettivamente, adottando una prospettiva diacronica e comparativa al fine di rendere intelligibili eventi che compressi nella loro temporalità ristretta non sono in grado di restituirci il loro peso specifico e rischiano di far scivolare su di un piano strettamente retorico i tentativi di recupero del passato. Adottando tale prospettiva, Traverso ha gettato il suo sguardo su di un periodo storico che, spingendo alla nascita del mondo moderno attraverso il progresso della scienza, della medicina, dell’industria, delle nuove organizzazioni produttive e amministrative alle quali si accompagnano l’espansine imperiale, la colonizzazione e una cultura imbevuta di stereotipi razzisti si presenta come corredo e componente essenziale del nazismo. Nello specifico e per ulteriori approfondimenti si rimanda direttamente a Enzo Traverso, La violenza nazista. Una genealogia, Bologna, Il Mulino, 2002.

applicate - e continuavano ad esserlo - nelle colonie; politiche che durante gli anni Trenta- Quaranta del Novecento, un paese dell’Europa ha scelto di adottare come mezzo per gestire la sua politica interna ed estera nei confronti del resto dei paesi europei ed extra-europei.

La figura di Adolf Hitler non è stata quindi chiamata in causa per accusare un soggetto specifico, bensì, per puntare l’indice contro la cultura (borghese) europea che non è stata in grado di arginare il fenomeno alle origini, né si è resa conto della portata e della pericolosità di quanto stava accadendo:

« E così, un bel giorno, la borghesia viene svegliata improvvisamente da un formidabile contraccolpo: le gestapo si danno da fare, le prigioni si riempiono, i torturatori creano, si perfezionano, discutono intorno alle macchine di tortura. Ci si stupisce, ci si indigna. Si dice: “Com’è strano! Ma sì, è il nazismo, passerà anche questo!” E si aspetta, e si spera; e si nasconde a se stessi la verità, che siamo di fronte alla barbarie, ma a una barbarie suprema, quella che corona e riassume la quotidianità di tutte le barbarie; che si tratta di nazismo, certo, ma che prima di esserne le vittime ne siamo stati dei complici; che quel nazismo lo si è sostenuto prima di subirlo, lo si è assolto, si è chiuso un occhio, lo si è legittimato, perché, sino a quel momento, era stato esercitato con i popoli non europei » . 199

Ciò che in altri termini Césaire ha inteso mettere sotto accusa non si limita alla specificità di un momento che nonostante la sconfitta dell’hitlerismo in Germania ha continuato a permanere nelle vicende che hanno visto legati, ancora negli anni Cinquanta, i paesi occidentali ai territori colonizzati, bensì un arco temporale di circa due secoli, quelli che secondo le interpretazioni proposte da una prospettiva principalmente di ispirazione marxista così sono stati inquadrati: l’Ottocento come secolo di massima espansione e proliferazione delle idee di Modernizzazione e Industrializzazione, cui si sono accompagnate tutta una serie di visioni stereotipate imbevute di razzismo e antisemitismo e le nuove forme di disciplina dei corpi che, diretta espressione e interesse della sempre più protagonista borghesia occidentale, si sono diffuse nel corso del Novecento rafforzando l’idea confermata nella pratica, dell’egemonia e della civiltà Occidentale sul resto del modo subordinato e incivile.

Il duplice processo di decolonizzazione così proposto da Césaire trarrebbe la sua forza dal necessario contributo offerto dalla classe lavoratrice europea - chiamata a fare definitivamente i conti con le borghesie nazionali -, e a « prescindere dall’ammirevole

A. Césaire, Discorso sul colonialismo, cit., pp. 54-55.

resistenza dei popoli coloniali » che, dal canto loro, relegati da Césaire in secondo piano, si 200 uniranno a tale lotta respingendo la presenza della classe borghese imprenditoriale, responsabile principale della condizione di asservimento e subordinazione.

Non si profila in altri termini - quelli che per esempio caratterizzano la visione fanoniana soprattutto espressa nella prima parte de I dannati della terra -, una possibile rivoluzione che non coinvolga direttamente e come protagonista principale l’Europa. Non che Césaire sia convinto dell’impossibilità di un agire autonomo da parte dei paesi colonizzati, ma ha inteso richiamare l’attenzione sulle universali potenzialità della classe proletaria europea in grado, a suo giudizio, di farsi carico dell’intera condizione di subordinazione dell’umanità, sottintendendo che, una volta venuta meno la classe borghese europea, di conseguenza, qualsiasi problematica da essa generata o con essa affiliata sarà destinata al suo esaurimento.

Il colonialismo, nella prospettiva avanzata da Césaire, sarebbe stato quindi debellato non tanto dalla rivoluzione nazionale dei paesi colonialisti ma dalla definitiva vittoria del proletariato sulla borghesia, un lotta che avrebbe avuto come palcoscenico l’Europa e come effetto la fine della dominazione dell’Occidente sul resto del mondo.

La « rivoluzione », così come invocata nelle pagine finali di Discorso sul

colonialismo - « […] la salvezza dell’Europa non consiste in una semplice rivoluzione nei

metodi, ma in un’autentica rivoluzione » -, richiama l’attenzione anche su un processo di 201 profonda rivalutazione delle finalità e degli effetti del colonialismo nei confronti proprio dei suoi promotori. L’impresa coloniale, spoglia della sua aurea di evangelizzazione e civilizzazione si presenta infatti, non solo come il principale effetto della barbarie e dell’asservimento subito dai paesi colonizzati ma, al tempo stesso, come agente

decivilizzatore della stessa Europa:

« Bisognerebbe anzitutto studiare in che modo la colonizzazione contribuisce a

decivilizzare il colonizzatore, ad abbruttirlo nel vero senso della parola, a degradarlo, a

risvegliare in lui quelli istinti reconditi di cupidigia, di violenza, di odio razziale, di relativismo morale » ;202

la violenza nazista è stata richiamata non a caso come esemplare prodotto dell’insieme dei fattori di lunga durata sopra indicati.

A. Césaire, Discorso sul colonialismo, cit., p. 100.

200

Ivi, pp. 100-101. Corsivo di Césaire.

201

Ivi, p. 54. Corsivo di Césaire.

In questo processo, paragonato da Césaire al « verificarsi di una regressione universale, l’infiltrazione di una cancrena, l’estendersi di un focolaio di infezione » , sono in 203 stato di accusa i paesi occidentali e i significati di uomo derivanti dalla cultura e principalmente dall’umanesimo di stampo europeo, fattori che presi nel loro insieme si traducono nell’ideologia e nei valori cardine della classe borghese, unica responsabile dell’inevitabile disfacimento cui l’Europa stava andando incontro.

L’àncora di salvezza a tale stato di cose, come già messo in evidenza, è rappresentata dalla classe sociale che preserva in sé i residui di un autentico universalismo - la classe proletaria - che « in attesa di una società senza classi » , si doveva fare portavoce di 204 tutti gli oppressi, perché l’unica in grado di riassumere nella sua condizione di subordinazione, tutte le sofferenze subite dall’umanità. Pur criticando l’Europa nel complesso e nello specifico la sua classe egemone - la borghesia - Césaire ha riposto le sue speranze finali nell’Europa stessa.

Si rimanda ad un passo successivo un’analisi della critica che anche il Fanon soprattutto de I dannati della terra ha rivolto alla borghesia; si prosegue per il momento, sottolineando come le pagine di Discorso sul colonialismo, non limitandosi a questo, ci riportano necessariamente a focalizzare l’attenzione su un concetto di rivoluzione che in Césaire ha assunto quei toni autenticamente universali e che, precedentemente richiamati soprattutto nell’analisi sopra affrontata della poetica del Cahier, gli ha consentito di stabilire il punto di contatto tra la lotta che sarà affidata al proletariato europeo con la liberazione dal dominio coloniale da parte dei dannati; non tanto come restaurazione e recupero dell’ordine e del tempo interrotti dalla dominazione coloniale - un’operazione in sintesi di recupero del passato da non confondere con il ricongiungimento con il proprio passato in qualità di popolo

nero dell’Africa -, ma come superamento della specifica condizione che rappresenta la

colonizzazione stessa. In altri termini, la rivoluzione invocata da Césaire assume un ulteriore aspetto universalizzante reintroducendo come fondamentali, i concetti di Storia e Cultura.

La specificità della condizione coloniale risiede infatti nell’aver sospeso il tempo della storia; diretta conseguenza dell’impossibilità di stabilire forme di contatto e di interscambio tra un popolo che si pone esclusivamente come dominatore e uno che si trova in posizione di subordinazione e le cui possibilità di sviluppo e crescita, sotto tutti i punti di vista, sono drasticamente interrotte. Da qui, il paragone proposto da Césaire « colonizzazione

A. Césaire, Discorso sul colonialismo, cit., p. 54.

203

Ivi, p. 101.

= cosificazione » data l’impossibilità di stabilire in colonia qualsiasi tipo di rapporto a 205 livello umano (tematica decisamente sostenuta dallo stesso Fanon).

Cristallizzato il corso della storia, la necessità di rompere l’unica forma di contatto manifesta sotto forma di repressioni militari, violenze e soprusi richiama l’attenzione sulla necessità, che in termini fanoniani si esplica nella « tabula rasa che definisce agli inizi ogni decolonizzazione » e in termini più vicini a Césaire nella dialettica tra borghesi e 206 proletari, che presuppone al tempo stesso (e a suggerirlo sarà anche lo stesso Fanon) una completa reinvenzione del panorama socioculturale. Gli effetti di alienazione culturale, ad esempio - frutto della condizione coloniale - necessitano non solo dello smantellamento delle istituzioni coloniali e della proclamazione d’indipendenza dei paesi colonizzati, ma di una necessaria nuova percezione del proprio essere, nel tempo e nello spazio, da parte del soggetto che in fase di decolonizzazione deve maturare quella rivoluzione culturale che lo porti a relazionarsi non più in termini strettamente dicotomici con l’Altro.

Per quanto proposto da Fanon soprattutto nel primo capitolo de I dannati della

terra, il colonizzato si pone come protagonista principale di tale processo politico-culturale,

poiché è nell’atto stesso di liberazione, nell’esercizio (ma non esclusivo) della violenza - nell’agire in definitiva - che riesce a svincolarsi non solo dalla presenza fisica del colonizzatore ma, contemporaneamente, della serie di retaggi, stereotipi e mistificazioni che hanno contribuito in maniera determinante all’interruzione del normale corso della storia e hanno dato avvio ai processi di deviazione esistenziale.

Per quanto riguarda invece i casi analizzati precedentemente in Pelle nera,

maschere bianche, l’invito di Fanon è stato quello di compiere una sostanziale rivalutazione

della propria posizione all’interno di una società che, non poggiando più le sue fondamenta e non legittimandosi sulla dicotomica contrapposizione tra uomo bianco e uomo nero, operi in direzione del superamento di tali artificiose categorizzazioni.

Non è superfluo sottolineare che le due posizioni sostenute da Fanon e sulle quali si farà necessariamente ritorno, pur non essendo esattamente coincidenti trovano entrambe la loro legittimità nella specificità del momento storico e nella differente forma di colonizzazione che pur apportando effetti ritenuti comunque disastrosi, tende a definirsi più su di un piano strettamente culturale per quanto riguarda la Martinica, e decisamente (ma non esclusivamente) più su di un piano fisico e brutale per quanto riguarda l’Algeria.

A. Césaire, Discorso sul colonialismo, cit., p. 63. Corsivo di Césaire.

205

F. Fanon, I dannati della terra, cit., p. 3.

Fanon comunque ha sottolineato come comune denominatore delle possibili differenti forme di colonizzazione risulti, in ogni caso, il portato razzista di matrice europea 207 ed è lungi da sottintendere forme “deboli” o “forti” di colonizzazione, implicitamente dando continuità alle due “diverse” posizioni sostenute.

Nell’analisi proposta da Césaire, la fase di rivoluzione culturale è posta come condizione indispensabile, quasi come fosse preminente al processo nudo e crudo di decolonizzazione; inoltre, non arriva ad assume i toni dell’eversione fanoniana, ma si trova più in linea con quanto proposto nel primo scritto dello psichiatra martinicano. Ciò è riscontrabile nelle premesse stesse di Discorso sul colonialismo ed è deducibile per l’accento posto sulla posizione di indifendibilità maturata dall’Europa, richiamata fin dalla prima pagina , e dal ruolo di protagonista che dovrà giocare il proletariato, richiamato nella parte 208 conclusiva.

La cultura nata dalla ceneri della borghesia europea e dalla fase di decolonizzazione spalancherà le porte ad un nuovo corso della storia e a un rinnovato concetto di Uomo che rotti i legami con il proprio passato di colonizzazione, potrà ristabilire il necessario e producente rapporto con l’Altro, in termini di edificanti e producenti interscambi culturali e sociali.

Spinti dalle medesime intenzioni i due martinicani hanno distribuito i loro “carichi” in maniera sostanzialmente differente. Con Fanon ci si spinge fino a riabilitare la figura del soggetto colonizzato in qualità di protagonista principale del processo di rivoluzione che, indirettamente, porta a modificare radicalmente e definitivamente anche le strutture e la cultura europea. In Césaire, viceversa, la rivoluzione deve necessariamente partire da un’iniziale conversione da parte dell’Europa, spinta dal ruolo che deve giocare il proletariato, processo che non esclude i colonizzati che però, all’interno di Discorso sul

colonialismo, sembrano lasciati sullo sfondo.

Si noti inoltre, come il concetto stesso di negritudine non sia stato esplicitamente richiamato nelle pagine del Discorso, pur inscrivendosi a pieno titolo all’interno dell’intero processo come parte della rivoluzione culturale e come contraltare del processo di

Si rimanda a tal proposito al Capitolo Quarto del presente lavoro, Fanon tra passato e presente, in particolare

207

al sottocapitolo 4.4.1 Verso la rivoluzione africana. « Razzismo e cultura ».

A. Césaire, Discorso sul colonialismo, cit., p. 51; a tal proposito si rimanda anche a M. Mellino, La furia di

208

Caliban: nell’occhio della grande tempesta, Introduzione a Discorso sul colonialismo seguito da Discorso sulla negritudine, cit., p 38.

proletarizzazione e mistificazione imposto dalla civiltà europea . In altri termini, il concetto 209 di rivoluzione richiamato da Césaire non si trova strettamente coincidente con la rivoluzione richiamata nella poetica del Cahier: la prima si pone, infatti, come condizione necessaria ad un rinnovamento preminente delle strutture sociali e politiche, la seconda, ha come fine principale quello di modificare le strutture della coscienza.

Si pone così nuovamente l’accento per completezza (e come anticipato in apertura del presente Capitolo Terzo), sulla funzionalità di una simultanea e comparata lettura di entrambi i Discorsi di Césaire, anche se concepiti in due momenti storici e con finalità (seppur non del tutto) differenti, in rapporto anche alle argomentazioni proposte da Fanon, in particolare nel suo primo scritto. Tale operazione ci restituisce un quadro più chiaro del