• Non ci sono risultati.

L’analisi psicoanalitica dell’uomo di colore

2.1 GENESI

2.1.6 L’analisi psicoanalitica dell’uomo di colore

Fanon ha preso le mosse dal presupposto che l’uomo nero convinto della sua

inferiorità (principale e diretta conseguenza del colore della sua epidermide), soffre di una

nevrosi che si manifesta nelle aspirazioni e negli atteggiamenti di « lattificazione », nei tentativi di fuga da se stesso, in costanti stati di disorientamento e incertezza e che trae origine principalmente dal contesto sociale che gli è stato imposto fin dall’infanzia. Facendo leva principalmente sugli studi di Sigmund Freud, dello psichiatra, psicanalista e antropologo svizzero Carl Gustav Jung e del già richiamato Alfred Adler , e pur riconoscendo che la loro 141 attenzione non si è sufficientemente soffermata sulla psicopatologia dell’uomo di colore, Fanon ha cercato di mettere in risalto come la mistificata visione dell’uomo di colore da parte dell’uomo bianco abbia generato sia quella gabbia che è necessario abbattere per « liberare l’uomo di colore da se stesso », sia la disumanizzazione dello stesso uomo bianco che crea l’inferiorizzato e nega se stesso come uomo in quanto razzista.

Ecco che se Fanon si è posto l’obiettivo di condurre un’analisi psicanalitica sulle origini della condizione nevrotica vissuta dall’uomo di colore, gli si è reso necessario rivedere alcuni degli assunti principali posti a capo delle scuole psicoanalitiche: su tutti, la necessità di muovere da un’analisi di specifici gruppi e ambienti sociali.

Va da sé che i progressi della psicanalisi, di matrice prettamente occidentale, poiché è dall’Occidente che tali studi provengono ed è sulla società e sull'ambiente occidentale che principalmente, se non esclusivamente, si sono basati, non sono necessariamente corrispondenti e funzionali per condurre un’analisi delle società Altre.

Nei confronti del fondatore della psicoanalisi Fanon risulta oggettivamente debitore. Forte è infatti

141

l’attenzione che ha rivolto ai processi psichici inconsci e agli impulsi sessuali, al centro della teoria filosofica e scientifica freudiana. Pur traendo spunto ed utilizzando la stessa terminologia del neurologo e psicoanalista austriaco ma, allo stesso tempo, proponendo una personale sociodiagnosi - funzionale a Fanon per una più profonda e corretta analisi della questione vissuta dall’uomo nero - è giunto in parte a prenderne le distanze. L’attenzione posta precipuamente da Freud sull’individuo, in Fanon si è infatti spostata prevalentemente sulla società nel suo complesso. L’analisi culturale proposta da Fanon guarda - ma anche in questo caso finisce col prendere le distanze - alla teoria dell’inconscio collettivo avanzata da Jung - anch’esso, da questo punto di vista in contrasto con Freud - e alla teoria della nevrosi di derivazione adleriana. Per un ulteriore approfondimento che accenni anche alle influenze sul pensiero fanoniano da parte di Marcuse, Lacan e Guex, si rimanda a P. Clemente, Frantz Fanon tra e esistenzialismo e rivoluzione, cit., pp. 55-61. Per Clemente la debolezza del pensiero di Fanon è insita nella presa di distanza dalla psicologia individuale e nella conseguente leva fatta a partire da una psicologia di massa, in quanto frutto dell’approccio a diversi orientamenti e scuole psicoanalitiche e non di una reale e concreta fondazione di una psicopatologia nera. Si rimanda inoltre alla raccolta tradotta di alcuni saggi dal taglio prettamente medico-psichiatrico raccolti da Beneduce in F. Fanon, Decolonizzare la follia. Scritti sulla psichiatria coloniale, cit.

Parlare di strutture familiari, Statali o Nazionali ha senso, infatti, solo se in riferimento alle società occidentali, perché da esse sono formate, su di esse si basano e con esse si identificano. Ci si potrebbe domandare: tale tipo di approccio potrebbe portare ad un’analisi sincera e scientificamente obbiettiva anche nelle società di matrice non occidentale? La domanda è retorica. Applicando gli stessi procedimenti i risultati risulterebbero viziati fin dalla base. Da qui nasce l’impossibilità di condurre in ambienti e società Altre - la colonia rappresenta il caso limite -, un rigoroso e ortodosso lavoro psicoanalitico e la necessità di insistere verso un’analisi capace di muoversi nella consapevolezza del forte legame insito tra gli aspetti psichiatrici, razziali e coloniali.

Per quanto riguarda quest’ultimo aspetto Roberto Beneduce si è spinto a definirlo nei termini di un’« abbraccio mortale » , del quale Fanon - muovendo « da una situazione 142 clinica concreta, un tema decisivo del dibattito degli anni Cinquanta: il complesso rapporto tra neurologia e psichiatria, fra organogenesi e psicogenesi » si è mostrato più che 143 consapevole.

Si aggiunga a tal proposito che l’analisi che ha intrapreso Fanon per quanto concerne la situazione vissuta in Martinica, non è giunta ad individuare in infantili traumi subiti o in presunte violenze esercitate dall’uomo bianco, le origini sedimentate della nevrosi, ma anzi, come ci ha confermato lo stesso Fanon, nella maggior parte dei casi « il negro che diventa anormale non ha mai avuto rapporto col bianco » ma per rendere più chiaro il 144 ragionamento, occorre aggiungere, nessun rapporto diretto.

L’attenzione di Fanon si è prevalentemente rivolta verso l’“avventura” coloniale che irrompendo e modificando leggi, principi e valori ha finito col generare un autentico

dramma quotidiano: l’imposizione ovvero, di quel mondo simbolico bianco che ha provocato

uno stato di nevrosi nel momento stesso in cui si è resa esplicita l’impossibilità da parte degli

Altri di stabilirvi e riscontrarvi una completa identificazione.

È constatato ciò che per Fanon è risultato sostanzialmente fuorviante procedere secondo i canoni stabiliti dall’analisi psicoanalitica per i casi di nevrosi di determinati contesti sociali tipicamente europei; sintetizzando: si individuano le reazioni di tipo nevrotico; si

Roberto, Beneduce, La tormenta onirica. Fanon e le radici di un’etnopsichiatria critica, Introduzione a F.

142

Fanon, Decolonizzare la follia. Scritti sulla psichiatria coloniale, cit., p. 22. Ivi, p. 20.

143

F. Fanon, Il negro e l’Altro, cit., p. 166.

individuano e si analizzano, attraverso un percorso a ritroso, le fasi intermedie della nevrosi; si procede, infine, a rintracciare l’origine della nevrosi stessa.

Niente di tutto questo per Fanon può essere applicato laddove l’origine stessa della nevrosi è causata non da traumi di un lontano passato ma dalla situazione presente che si manifesta, in fase preliminare, nella « tensione » insita nell’incontro tra l’uomo bianco e l’Altro.

Il processo, come non di ha mancato sottolineato Fanon è esattamente l’opposto . Da qui il ricorso al concetto di “catarsi collettiva” infantile, attraverso la quale 145 Fanon ha individuato la causa della nevrosi . 146

La colonia, come già accennato, si presenta come caso limite; ciò che Fanon ci ha descritto prendendo come modello di riferimento la piccola Martinica è esemplificativo e ci dà modo di capire come questo grado di subordinazione che sfocia in comportamenti di tipo nevrotico, non sia dipendente dal classico rapporto signore-servo, così come descritto da Hegel nella Fenomenologia dello spirito, ma da come profondamente - culturalmente e

materialmente - la società sia stata modificata e plasmata nel tempo. È, in fin dei conti questo,

uno dei nodi centrali e il filo conduttore che lega tutti i capitoli de Il negro e l’Altro.

L’affermazione universale di uguaglianza che porrebbe fine alla dialettica sfruttatori-sfruttati, oppressori-oppressi, secondo Fanon non ha prodotto la sua sintesi dialettica, bensì, un illusorio riconoscimento, che nei fatti non si traduce più nell’opposizione signore-servo ma nell’identificazione - sempre in termini di opposizione - del nero come simbolo del male e del bianco come simbolo del bene. Per dirla con Pietro Clemente:

« […] è avvenuto che la società dei bianchi-padroni ha dato libertà formale ai negri- schiavi affermando l’uguaglianza astratta dei di tutti gli uomini […] Ma ciò è avvenuto su un piano mistificato, senza la lotta. Non vi è stato quindi un riconoscimento reale, la schiavitù è restata, ma è stata nascosta dalle parole. È così che la legge afferma l’uguaglianza degli uomini, ma l’evidenza ne afferma la diversità. Lo schiavo non esiste più, ma il razzismo e il colonialismo esistono » . 147

Ancora Pietro Clemente ha cercato di far chiarezza sulle posizioni sostenute da Fanon a suo giudizio prive di

145

un reale valore conoscitivo e dal forte accento politico e morale. Per Clemente l’uso che Fanon ha fatto della psicoanalisi risulta fortemente “ideologico”, si basa ovvero su generalizzazioni e non su specifiche prese di posizione sui concetti cardine delle scuole psicanalitiche. In altre parole generalizzando e opponendosi a certe impostazioni Fanon è riuscito a costruire un discorso che però, spesso, cade in contraddizione. Si rimanda nuovamente a P. Clemente, Frantz Fanon tra esistenzialismo e rivoluzione, cit., pp. 55-61.

Cfr. Ivi, p. 38; e F. Fanon, Il negro e l’Altro, cit., p. 166.

146

P. Clemente, Frantz Fanon tra esistenzialismo e rivoluzione, cit., p. 21.

Da questo punto di vista sono passate sotto la lente di ingrandimento utilizzata da Fanon, imposizioni culturali tipicamente europee - immagini, idee, sistemi di pensiero - che profuse ad esempio attraverso gli insegnamenti scolastici e dall’interno dei nuclei familiari, soprattutto durante il periodo adolescenziale, hanno finito col permeare la psiche dei giovani martinicani provocando tutta una serie di alterazioni e traumi manifesti in età adulta.

È già in età adolescenziale che il bambino di colore viene a contatto con l’idea di

bianchezza come sinonimo di bellezza, di purezza, di verità e civilizzazione e di conseguenza

è con quest’idea di perfezione che tenderà ad identificarsi:

« Le storie di Tarzan, di esploratori di dodici anni, di Topolino e tutti i giornali illustrati tendono ad una vera e propria liberazione dell’aggressività collettiva. Sono giornali scritti da bianchi, destinati ai fanciulli bianchi. Orbene il dramma sta proprio qui. Nelle Antille (e noi abbiamo tutte le ragioni per credere che la situazione sia analoga nelle altre colonie) sono questi stessi giornali illustrati a essere divorati dai giovani indigeni. E il Lupo, il Diavolo, il Genio Cattivo, il Male, il Selvaggio sono sempre rappresentati da un negro o da un indiano e siccome nel bambino c’è sempre una identificazione col vincitore, il piccolo negro si immagina esploratore, avventuriero, missionario “che rischia d’essere mangiato dai cattivi negri”, e lo immagina con la stessa facilità del bambino bianco » . 148

Fanon è giunto ad individuare nella presa di coscienza del non essere bianco il motivo posto alla base dei traumi esistenziali denunciati e confermati nelle incertezze dell’adulto di colore di fronte al suo essere e percepirsi come nero e quindi, all’opposto dell’uomo bianco: costantemente in difetto, privo di cultura, antieroe.

Fumetti, filastrocche, settimanali illustrati, canzoni e racconti sono stati al centro delle critiche che Fanon ha sollevato nello specifico in Pelle nera, maschere bianche nel capitolo Il negro e la psicopatologia. Ciò che ha inteso sottolineare il medico-psichiatra è come attraverso innocui - almeno all’apparenza -, sitemi di educazione e processi di trasmissione delle informazioni - tipicamente di matrice europea, in cui il soggetto/eroe principale è inevitabilmente l’uomo bianco, l’europeo, l’occidentale - si siano generate alterazioni e mistificazioni che attraversando la soggettività dell’uomo di colore, hanno

F. Fanon, Il negro e l’Altro, cit., p. 166.

prodotto un conflitto che senza l’incontro con l’uomo bianco difficilmente sarebbe potuto emergere.

Non è esistita in Martinica - secondo quanto sostenuto sempre da Fanon -, alcuna alternativa a tali forme di imposizione culturale antecedente gli anni Quaranta, quando la diffusione degli scritti di Césaire e dei poeti della negritudine hanno cominciato ad assumere la posizione di contraltare ad un mondo che si voleva esclusivamente bianco. Per dirla con Fanon:

« […] possiamo dire che qualsiasi nevrosi, qualsiasi comportamento anormale, qualsiasi eretismo affettivo in un antillese è la risultante della situazione culturale. In altre parole esiste una costellazione di dati, una serie di proposizioni che, lentamente, subdolamente, col favore di scritti, di giornali, dell’educazione, dei libri scolastici, dei manifesti, del cinema, della radio, penetrano in un individuo, costituendo la visione del mondo della collettività a cui questo appartiene. Nelle Antille questa visione del mondo è bianca perché non esiste nessuna espressione negra » . 149

Melanina e inconscio, la prima durante l’infanzia ignorata perché condizione normale all’interno della famiglia e della società ha assunto il suo peso specifico non appena lo sguardo bianco si è posato sull’uomo di colore e il secondo, permeato fin dall’età dell’infanzia ha fatto emergere quel senso di colpevolezza frutto del percepirsi diverso dal modello di riferimento che adesso, con la sua presenza fisica, svela all’occhio la differenza, l’ineguaglianza la mancata corrispondenza.

Facile a questo punto - ricongiungendosi anche a quanto precedentemente già analizzato -, riflettere sullo spaesamento fatto rivivere da René Maran a Jean Veneuse che fin dall’infanzia si trova come soggetto nero in mezzo ai bianchi e per giunta in terra francese; e facile allo stesso tempo, capire come la presunta Mayotte Capécia, trascorsa l’infanzia e il periodo dell’educazione in Martinica non si percepisca come donna nera e quasi inevitabilmente fugge dall’idea che del nero la cultura bianca si è costruita.

Non è superfluo ragionare su questa costruzione perché proprio le idee di perfezione e verità, di cultura e civilizzazione, si sono rese tali perché, in costante rapporto/ confronto con il loro opposto sintetizzato ed incarnato nell’uomo di colore. Ecco come è emerso, conseguentemente, quel diffuso sentimento di diffidenza che, a pieno titolo, può

F. Fanon, Il negro e l’Altro, cit., p. 171.

essere definito negrofobia, necessario nella costruzione di un mondo bianco che si vuole chiuso nella sua perfezione.

Fanon ha già raggiunto un’altra delle sue conclusioni: la società europea è una società profondamente ed intrinsecamente razzista ; è su specifici retaggi che ha posto le sue 150 fondamenta a giustificazione e al fine di costruire quella precisa identità che si è gradualmente affermata attraverso il confronto/scontro con l’Altro, che si vuole, inevitabilmente e in accezione negativa diverso.

Ancora una volta Fanon, a supporto della sua tesi, ha fatto leva sulla lezione di Jean-Paul Sartre. L’idea stigmatizzata dell’ebreo e dell’ebraicità, emersa preponderante durante il corso dell’Ottocento è stata strettamente legata alla paura e alla diffidenza nei confronti dell’ebreo in qualità di avido commerciante e accumulatore seriale di ricchezze. Immagine ideale di una seria minaccia per la società europea.

Sulla stessa falsa riga è avvenuta la stigmatizzazione dell’uomo di colore, il volerlo necessariamente relegare su un differente piano socioculturale soprattutto attraverso la sua rappresentazione - in questo caso prendendo le distanze anche dalla figura dell’ebreo -, come seria minaccia ma nello specifico per le donne bianche in quanto “naturalmente” dotati di « potenza sessuale allucinante »:

« I negri, loro, hanno la potenza sessuale. Pensate! Con la libertà che hanno, in piena boscaglia! Sembra che abbiano rapporti sessuali sempre e in ogni luogo. Sono dei genitali. Hanno tanti bambini che non li contano più. Diffidiamo, perché ci inonderanno di meticci. Decisamente tutto va male… Il governo e la burocrazia assediati dagli ebrei. Le nostre donne dai negri » . 151

Antisemitismo e negrofobia come volontà di ricercare necessariamente l’essenza del diverso - a giustificazione e per l’edificazione del proprio sé -, sono state chiamate in causa da Fanon nel tentativo di dimostrare come tali sentimenti di avversione siano parte costituente della cultura razzista dell’Europa.

Ma il passo in avanti che ha cercato di compiere Fanon ha preso le mosse soprattutto dall’assunto secondo il quale la negrofobia « si situa sul piano dell’istinto, sul piano biologico » . A questo livello si viene a generare la stigmatizzazione del nero come 152

Cfr. F. Fanon, Il negro e l’Altro, cit., pp. 110-111.

150

Ivi, pp. 175-176.

151

F. Fanon, Il negro e l’Altro, cit., p. 178.

“bestia” come “animale”, spostando il cuore della questione da un piano strettamente culturale - evidente nel caso dell’antisemitismo -, anche sul piano biologico-razziale: vengono individuati nella corporeità, nelle fattezze fisiche e nei tratti somatici i difetti e le differenze di fondo. Da qui il diverso trattamento riservato agli ebrei e ai neri:

« Non verrebbe in mente a nessun antisemita di castrare l’ebreo. Lo si uccide o lo si sterilizza. Il negro invece lo si castra. Il pene simbolo della virilità, viene annientato, vale a dire è rinnegato. Si scorge subito la differenza fra i due atteggiamenti. L’ebreo è colpito nella sua personalità confessionale, nella sua storia, nella sua razza, nei rapporti che ha con i suoi antenati e i suoi discendenti. Nell’ebreo che viene sterilizzato, si uccide la discendenza; ogni volta che un ebreo viene perseguitato, è tutta la razza che viene perseguitata attraverso lui. Ma il negro invece viene colpito nella sua corporeità. È in quanto personaggio concreto che lo si lincia. È in quanto essere attuale che lo si considera pericoloso. Il pericolo dell’ebreo è sostituito dalla paura della potenza sessuale del negro » . 153

Fanon si è di conseguenza scagliato contro tutto quel complesso di mistificazioni, false attribuzioni e stereotipi che l’Europa ha attribuito all’uomo di colore, in riferimento al ristretto ed intimo ambito sessuale, “giovane puledro”, “stallone”, o più generalmente, “bestiale”, “brutale”, “sporco”, “brutto”, “simbolo del Male e del peccato”; in sintesi, quell’insieme che ha contribuito a creare quell’idea, quel prototipo e quella rappresentazione che è prepotentemente entrata nel sentire comune. Se infatti sul piano del reale, come non ha mancato di sottolineare Fanon, la questione potrebbe essere facilmente risolta, è sul piano dell’immagine e dell’immaginario collettivo che si deve cercare di intervenire - attraverso un’opera di demistificazione -, al fine di abbattere un mondo che si vuole diviso da differenze e caratteri attribuiti artificiosamente e tendenziosamente.

La drammaticità della situazione è aggravata dal fatto che si è posta ed ha influenzato, contemporaneamente, sia l’inconscio dell’uomo di colore sia quello dell’uomo

bianco, in quanto si trovano a condividere la stessa forza motrice che le ha permeate. Infatti,

la fine della dialettica schiavo-padrone che ha illuso l’uomo di colore di vivere liberamente la propria vita su di un piano di parità e uguaglianza - e che invece continua a giacere in posizione subordinata per effetto di imposizioni di tipo culturale e biologico-razziali -, unita alla costante minaccia vissuta dall’uomo bianco e generata proprio dalle sue stesse

F. Fanon, Il negro e l’Altro, cit., p. 178.

falsificazioni - il nero e l’ebreo come simboli del male che minacciano costantemente la società europea -, trovano origine sempre e comunque all’interno della società occidentale, colonialista e capitalistica che le ha generate.

L’imposizione di una data situazione culturale, attraverso gli strumenti di educazione e informazione cui si è già fatto riferimento - l’inevitabile visione di un mondo diviso tra bene e male che l’abitante delle Antille vive come trauma esistenziale - non è l’unico aspetto denunciato da Fanon. Nella sua prima opera, infatti, Fanon ha anche gettato lo sguardo da una parte, sulla situazione vissuta dall’intellettuale nero inferiorizzato prettamente sul piano culturale e, dall’altra, su quella dei contadini e dei lavoratori delle colonie che vivono più sul piano materiale, fisico ed economico la subordinazione. In altri termini, partendo da una comune situazione di alienazione, Fanon ha inteso mettere in evidenza le diverse sfaccettature e le differenze di fondo riscontrate:

« […] lo sforzo di disalienazione del medico di origine guadalupana si fa capire per motivi essenzialmente differenti da quello del negro che lavora alla costruzione del porto di Abidjan. Per il primo l’alienazione è di natura quasi intellettuale: egli concepisce la cultura europea come mezzo per distinguersi dalla sua razza, e pertanto si pone come alienato. Per il secondo, l’alienazione si pone in quanto egli è vittima di un regime basato sullo sfruttamento di una razza da parte di un’altra, sul disprezzo di una certa umanità da parte di una forma di civiltà considerata superiore » . 154

Pur riscontrando tale tipo di differenza - fermo restando il comune status di alienazione e lo sforzo di disalienazione che si rende necessario - pragmaticamente - senza illudersi che « appelli alla ragione o al rispetto dell’uomo possano cambiare la realtà » , per 155 Fanon è stata l’esigenza di spostare l’attenzione sulla lotta di liberazione non all’interno di una società di neri che vivono insieme ai bianchi e con i quali si vorrebbero identificare, ma sulla tragica situazione di chi vive costantemente uno status di subordinazione imposto dall’uomo bianco su di un piano fisico ed economico, ad offrire un possibile soluzione al problema:

« Il problema negro non si risolve attraverso i negri che vivono fra i bianchi, bensì attraverso i negri sfruttati, schiavizzati, disprezzati da una società capitalista, colonialista, incidentalmente bianca ». 156