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Dentro la Prefazione

4.2 IL TEORICO DELLA RIVOLUZIONE NELL’ANALISI SARTRIANA

4.2.1 Dentro la Prefazione

Riprendendo fin dalle primissime battute la Prefazione di Sartre si nota che il filosofo francese ha distinto, all’interno della sua analisi della realtà coloniale, tre generazioni di sottomessi: 1) circa un miliardo e cinquecento milioni di persone che si servivano del Verbo e che avevano, grazie all’intermediazione dell’élite europea - « una falsa borghesia inventata di tutto punto » -, rapporti con le Metropoli che « come madri », hanno istruito e fabbricato 281 i propri indigeni secondo i principi della cultura occidentale; 2) una seconda generazione, individuata da Sartre in una « specie nuova, i negri greco-latini » figli della prima che, dopo 282 un’iniziale fase di sottomissione, si sono ribellati, hanno cominciano a ragionare e a parlare

J.-P. Sartre, Prefazione a F. Fanon, I dannati della terra, cit., p. XLVIII.

280

Ivi, p. XLI.

281

Ibid.

con le loro bocche e hanno trovato la forza di contestare all’Europa la sua inumanità. Nonostante questo però, sono ancora inquadrati dalla società europea come esseri innocui: « Fra noi, soggiungevamo molto praticamente: lasciamoli sbraitare, li consola; can che abbia non morde » ; 3) infine, un’ultima generazione contemporanea a Fanon, colta ed istruita, 283 che si è posta nei confronti dei princìpi e della cultura europea in una posizione intermedia, né di rifiuto né di assimilazione, ma della quale ha sottolineato una delle principali contraddizione di fondo: « voi fate di noi dei mostri, il vostro umanesimo ci pretende universali e le vostre pratiche razziste ci particolarizzano » . 284

La situazione fatta emergere fin a questo punto da Sartre si presenta “costellata di bocche” che in autonomia adesso riescono a parlare ma che non hanno orecchie attente ad ascoltare il lamento che ne proviene. Il rischio insito nel prestare attenzione a queste voci, in fin dei conti e almeno dal punto di vista dell’europeo - vi si è già fatto riferimento -, sarebbe consistito nella crisi o addirittura nella fine del sistema di « supersfruttamento ».

Momento decisivo è individuato da Sartre nell’anno stesso in cui si è trovato a scrivere, il 1961, l’anno de I dannati della terra di Frantz Fanon che ha proposto la sua personale diagnosi prendendo le mosse da una lampante constatazione: l’Europa sta correndo verso la sua inevitabile rovina. Ma l’attenzione di Fanon, seguendo il ragionamento proposto da Sartre, non si è rivolta all’Europa agonizzante, in fondo, come sottolinea il filosofo francese, « che crepi o sopravviva [Fanon] se ne infischia » ; la sua attenzione è rivolta 285 esclusivamente ai colonizzati ai quali si è rivolto e ha suggerito che il tempo dell’azione - si tratta in realtà del tempo dell’agire - è giunto al punto della sua piena maturazione. 286 L’europeo - oggetto del discorso - è messo da parte da Fanon, il protagonista, adesso, è il colonizzato che può disporre dei mezzi e della forza per liberarsi definitivamente del peso dell’Occidente.

J.-P. Sartre, Prefazione a F. Fanon, I dannati della terra, cit., p. XLI.

283

Ivi, p. XLII.

284

Ivi, p. XLIII.

285

La distinzione assume un’importanza capitale. Il termine agire quando riportato in corsivo, è infatti qui

286

utilizzato in riferimento all’agentività, all’agency, sottintendendo, ovvero, la capacità dell’uomo di agire così come, a partire soprattutto dagli anni Settanta e in particolare in ambito accademico, il termine è stato inteso da parte di numerosi sociologi spinti dal tentativo di indagare e definire le modalità grazie alle quali gli individui esercitano (agiscono appunto) sulle strutture sociali e politiche determinandole e come viceversa tali strutture influenzano e creano gli individui stessi. In altri termini, analizzando due dimensioni reciprocamente costitutive. Il dibattito inerente l’agency ha gradualmente assunto una vasta portata; per approfondimenti in merito si rimanda in particolare a Aurora Donzelli, Alessandra Fasulo, (a cura di), Agency e linguaggio. Etnoteorie della soggettività e della responsabilità nell’azione sociale, Roma, Maltemi editore, 2007.

Per Sartre, Fanon rappresenta il portavoce di un eterogeneo e variegato Terzo Mondo, diviso e frammentato ma, comune stato di cose, ancora asservito tra false indipendenze e continue minacce da parte dell’imperialismo; quale soluzione è giunto a proporre? Una duplice lotta, rivolta contemporaneamente contro il sistema coloniale e contro ciò che esso ha generato, ovvero, intere generazioni di sottomessi e colonizzati. La liberazione, da questo punto di vista, avverrà quando oltre all’indipendenza si potrà decretare deceduto il colonizzato che alberga all’interno di ogni abitante del Terzo Mondo, il cui stato di frammentarietà - in Africa come in Asia, come in America Latina -, trova soluzione e unicità solo grazie ad una rivoluzione socialista, che sia in grado in altri termini, di liberarsi definitivamente della borghesia europea e della borghesia autoctona, connubio che ha consentito il generale status di asservimento.

La questione dunque sembra spostarsi, ed è Sartre ad anticiparcelo, su di un piano più strettamente politico, infatti, accanto alla necessità di operare un profondo lavoro di introspezione - quel liberarsi da se stessi più volte richiamato in Pelle nera, maschere bianche

-, si prospetta la necessità di abbattere, praticamente ancor prima che culturalmente, il nemico

esterno e quello interno attraverso l’azione: « il leader, il culto della persona, la cultura occidentale, ma altresì il ritorno al remoto passato della cultura africana: la vera cultura è la Rivoluzione » . 287

Cosa rende possibile questo fondamentale passo verso la liberazione? La presa di coscienza da parte dell’ultima generazione di sottomessi, del complesso di mistificazioni e di menzogne che hanno consentito all’Europa di intraprendere la sua “missione civilizzatrice” in nome della propria superiorità in campo economico, tecnologico e culturale. Nessun’altra via di scampo: « la servitù o la sovranità » . 288

Per Sartre, il destino dell’Europa sembra segnato e al lettore europeo che si appresta a leggere Fanon passando attraverso la Prefazione non resta altro che un invito:

« Europei, aprite questo libro, andateci dentro. Dopo qualche passo nella notte vedrete stranieri riuniti intorno a un fuoco, avvicinatevi, ascoltate: discutono della sorte che riserbano alle vostre agenzie generali di commercio, ai mercenari che le difendono. Vi vedranno, forse, ma continueranno a parlar tra loro, senza neanche abbassare la voce » . 289

J.-P. Sartre, Prefazione a F. Fanon, I dannati della terra, cit., p. XLV.

287

Ibid.

288

Ivi, pp. XLV-XLVI.

Esclusi, respinti, a parti adesso invertite, gli europei - oggetti del discorso -, si scoprono nelle pagine di Fanon come responsabili della situazione in essere e, al tempo stesso, come responsabili della loro stessa alienazione. Non c’è scampo per nessuno; è la società europea nel suo insieme ad essere colpevole e conseguentemente condannata:

« […] direte voi ancora, noi viviamo nelle Metropoli e condanniamo gli eccessi. È vero: non siete coloni, ma non valete di più. Quelli sono i vostri pionieri, voi li avete inviati oltremare, vi hanno arricchiti; li avevate avvertiti: se facevano scorrere troppo sangue, li avreste sconfessati in punta di labbra; allo stesso modo, uno Stato - quale che sia - tiene all’estero una turba di agitatori, di provocatori e di spie che sconfessa quando li prendono. Voi, così liberali, così umani, che spingete l’amore della cultura fino al preziosismo, fate finta di dimenticare che avete colonie e che là massacrano in vostro nome » . 290

La vergogna, sentimento redentore ma soprattutto rivoluzionario, come ha sottolineato esplicitamente Sartre citando Marx, dovrà spingere il lettore europeo ad accogliere il messaggio di Fanon e il suggerimento del filosofo francese: approfittate di ciò che avete tra le mani e state leggendo, traetene lezione.

Se Sartre è giunto a forzare eccessivamente i toni del discorso nel passo successivo, nel quale il Fanon de I dannati della terra è inquadrato come autentico « nemico », correggendo subito il tiro, si è rivolto direttamente al suo lettore invitandolo ad operare una riflessione maggiormente approfondita sull’autore de I dannati, considerato adesso, come « il primo dopo Engels a rimettere in luce l’ostetrica della storia » . 291

La rivoluzione infatti - liberatrice e rigeneratrice -, darà avvio ad un nuovo corso della storia, libera dal peso di un passato che, dominato dalla violenza e dalla sottomissione, ha spinto alla disumanizzazione e alla cancellazione di intere tradizioni e culture. Non privo di conseguenza interne, il passo verso la maturazione della necessità di ricorrere alla rivoluzione sarà preceduto da grandi sconvolgimenti interni che vedranno canalizzare e sfociare la rabbia e la violenza non ancora nei confronti dei veri responsabili della situazione coloniale bensì, tra coloro che l’hanno subita e continuano a subirla.

La drammaticità della situazione consiste nel doloroso ma inevitabile passo verso la piena maturazione di una nuova presa di coscienza che, giunta « al tempo della deflagrazione », canalizzerà odio e violenza in un’unica direzione:

J.-P. Sartre, Prefazione a F. Fanon, I dannati della terra, cit., p. XLVI.

290

Ivi, p. XLVII.

« Un solo dovere, un solo obiettivo: cacciare il colonialismo con tutti i mezzi. […] Questa violenza irrefrenabile egli [Fanon] lo mostra perfettamente, non è un’assurda tempesta né il risorgere d’istinti selvaggi e nemmeno effetto del risentimento: è l’uomo stesso che si ricompone. […] E il colonizzato si guarisce dalla nevrosi coloniale cacciando il colono con le armi » . 292

Fanon, per Sartre, attraverso le pagine del suo libro ha indicato la strada che porta alla rinascita dell’uomo rinnegato da secoli di menzogne e usurpazioni; se ha insistito nel rimarcare la centralità del soggetto rivoluzionario - mettendo in secondo piano il destino che attende l’Europeo spettatore dell'inevitabile evolversi della situazione -, ha altresì lanciato, nel sotto testo, un messaggio che rende l’intera opera universale nell’indicare una completa rinascita che pur partendo dal colonizzato non esclude necessariamente il colono.

La vera Rivoluzione, infatti, trova compimento nella scomparsa definitiva del colono che alberga dentro ogni europeo, è questa, in conclusione, la vera rigenerazione

nell’Uomo che colta di sfuggita da Sartre si pone esclusivamente come estensore della

dialettica: lascia ad ogni europeo l’incombenza soggettiva di fare i conti con la propria cultura, guardare in faccia l’umanesimo che si presume universale per poter operare una rivoluzione che porti alla definitiva scomparsa dei retaggi che hanno fatto degenerare una situazione che si presenta viziata fin dalla partenza.

Sartre ha scritto la Prefazione consapevole del momento storico che stava vivendo; i primi anni Sessanta hanno visto una progressiva accelerazione dei processi di decolonizzazione che spinsero verso il tramonto dei vecchi Imperi coloniali e all’indipendenza delle ex-colonie.

Da un certo punto di vista, risulta quindi comprensibile l’accento posto sull’invito di Fanon a risvegliare le coscienze dei colonizzati consapevoli delle mistificazioni operate dagli europei e, al tempo stesso, perché ha fortemente insistito nell’esaltare il momento Rivoluzionario relegando in secondo piano l’altro aspetto, non meno importante, che riguarda appunto la completezza di tale momento, che deve necessariamente coinvolgere anche le « nostre anime belle […] razziste » . 293

Sartre, diversamente, ne ha fatto accenno solo nella parte conclusiva della sua

Prefazione limitandosi a ribadire il personale disprezzo verso la società europea nel suo

complesso, dai funzionari di polizia, passando per i mercenari, dalla borghesia alla sinistra,

I J.-P. Sartre, Prefazione a F. Fanon, I dannati della terra, cit., p. LII. Corsivo di Sartre.

292

Ibid.

dai pacifisti ai repubblicani rei tutti di aver fatto da protagonisti o da spettatori passivi di una della pagine più tristi della storia della civiltà europea. È venuto meno, da questo punto di vista, un riferimento che ci riporta ancora a Fanon e al messaggio che già in conclusione di

Pelle nera, maschere bianche invitava a prendere le distanze da « strade inumane », per

cercare di costruire un nuovo dialogo, una nuova umanità:

« È attraverso uno sforzo di ripresa su se stessi e di spogliamento, attraverso una tensione permanente della loro libertà che gli uomini possono creare le condizioni d’esistenza ideali d’un mondo umano » .294

Si avverte nei toni utilizzati da Sartre, qualcosa che colpisce e che soprattutto lo pone nei confronti dei suoi lettori anche odierni - in qualità cioè di europei-Occidentali che ci apprestiamo a leggere il Fanon de I dannati -, in una posizione che nemmeno Fanon sembra aver assunto. Utilizzando una metafora, sembra che Sartre sia salito in cattedra e nell’enfatizzare il messaggio di Fanon si sia dimenticato che lui stesso, come d’altra parte Fanon, è figlio della “nostra” stessa cultura.