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La ricerca di Euridice Una lettura incrociata: Fanon, Césaire e Jean-Paul Sartre

3.1 AIMÉ CÉSAIRE E FRANTZ FANON

3.1.6 La ricerca di Euridice Una lettura incrociata: Fanon, Césaire e Jean-Paul Sartre

Per concludere, si ritiene necessario fare un piccolo passo indietro rispetto a quanto prospettato nelle ultime battute. Rimandando ai capitoli successivi un’analisi delle riflessioni che soprattutto a partire dalla fine degli anni Settanta le opere dei due martinicani sono state in grado di stimolare e influenzare (ci si soffermerà quasi esclusivamente sul

Si rimanda per approfondimenti al capitolo Sul surrealismo etnografico, in J. Clifford, I frutti puri

236

contributo offerto da Fanon e principalmente attraverso la sua prima opera), si ritine opportuno porre l’attenzione sul già richiamato saggio di Jean-Paul Sartre, Orfeo Negro, introduzione all’Anthologie de la nouvelle poésie nègre et malgache di Leopold Sedar Senghor nonché, parte integrante della sua opera di critica letteraria Qu’est-ce que la

littérature? e oggi giorno riproposto anche come opera a sé stante.

Richiamato per la fondamentale influenza che esercitò su Frantz Fanon, quanto proposto dal filosofo francese non di meno attrasse l’attenzione di Aimé Césaire che, interrogato in merito alle differenti interpretazioni che furono date al suo neologismo e riferendosi esplicitamente a quanto scritto da Sartre proprio in Orfeo Negro, così si pronunciò nella metà degli anni Settanta:

« Bisogna però tener presente che la famosa definizione data da Sartre della negritudine, una definizione geniale e che ci onora, non coincide con quella a cui noi ci richiamiamo » . 237

Muovendo dal tentativo di offrire una breve lettura di Orfeo Negro si cercherà, allargando leggermente la prospettiva, di mettere in evidenza come il pensiero sartriano, non riducibile esclusivamente al saggio preso qui in esame, abbia profondamente influenzato Frantz Fanon e conseguentemente l’impostazione stessa di Pelle nera, maschere bianche.

Le battute iniziali di Orfeo Negro si collocano sulla stessa falsa riga di quanto Sartre ha successivamente scritto nella Prefazione a I dannati della terra. Secondo l’interpretazione offerta da Sartre, infatti, la poesia nera - al pari di quanto scritto da Fanon nella sua opera più nota, non si rivolgerebbe alla civiltà occidentale, o per meglio calarsi nel registro delle espressioni utilizzate, non “parla” al mondo bianco, non “parla” del mondo

bianco, si limita al massimo, prendendone le distanze, a giudicarlo. Così si può leggere nelle

primissime battute che introducono i numerosi versi citati da Sartre:

« Oggi questi uomini neri ci guardano, e il nostro sguardo ci rientra negli occhi: torce nere a loro volta rischiarano il mondo, e le nostre teste bianche non sono più che piccoli lampioni ondeggianti nel vento. Un poeta negro, senza neanche occuparsi di noi […] » 238

G. Benelli, Aimé Césaire, cit., p. 4. Le parole di Césaire sono il frutto dell’intervista rilasciata a Paolo Caruso

237

pubblicata in « La Fiera letteraria », il 4 ottobre del 1964. Graziano Benelli ha posto l’intervista insieme al Discorso al II Congresso degli Scrittori e degli Artisti Negri, svoltasi a Roma il 27 marzo 1959, in apertura del saggio da lui dedicato ad Aimé Césaire.

J.-P. Sartre, Orfeo Negro, cit., p. 241.

[e dopo qualche passo e citazione poetica] « Se però queste poesie ci infliggono un senso di vergogna di noi stessi lo fanno senza volerlo. Non sono state scritte per noi » . 239

La poesia nera, ha sostenuto Sartre, in qualità di presa di coscienza del mondo

nero e di ricongiunzione con un passato lacerato di violenza e sradicamento è esclusivamente

a quel mondo e ai suoi figli che si rivolge:

« Questi negri si rivolgono ai negri per parlar loro dei negri; la loro poesia non è né satirica né imprecatoria, è una presa di coscienza » . 240

Nella stessa misura, la rivoluzione nazionale invocata da Fanon ne I dannati della

terra, passaggio direttamente conseguente all’avvenuta presa di coscienza da parte del

soggetto colonizzato che apre così alla rottura con il momento presente di subordinazione e ad un nuovo corso della storia che in tale combinazione trova il suo abbrivio, è a quel mondo di

dannati e solo ad esso che si rivolge.

Differenti risultano però le intenzioni che hanno mosso Sartre. Se attraverso la lettura della poesia nera si è posto l’obiettivo di individuare una possibile porta d’accesso attraverso la quale elevare quel « canto di tutti e per tutti » evitando così di relegarlo a “poesia razziale” , intenzioni diametralmente opposte risultano quelle che ha maturato in seguito 241 alla lettura dell’opera di Fanon; la pungente Prefazione che ha dedicato all’ultimo scritto del medico-rivoluzionario, infatti (e come si avrà modo di specificare meglio nel capitolo successivo), esprime solo un chiaro avvertimento, ovvero, la netta chiusura, l’impermeabilità e l’impossibilità di qualsiasi forma di apertura nei confronti del mondo bianco.

Al tempo stesso, quasi invertendo l’operazione compiuta da Césaire in Discorso

sul colonialismo - nelle cui battute finali è giunto ad inquadrare il proletariato come principale

forza motrice dell’azione cui sono chiamati gli oppressi -, Sartre ha individuato nella mancanza di « estrinsecazione poetica » da parte del proletariato, l’elemento che non ha

J.-P. Sartre, Orfeo Negro, cit., p. 243.

239

Ibid.

240

« Vorrei riuscire a mostrare […] che questa poesia, che a prima vista appare razziale, è in definitiva un canto

241

di tutti e per tutti. Insomma io mi rivolgo qui ai bianchi e vorrei spiegare loro che ciò che i negri già sanno: perché è necessariamente attraverso un’esperienza poetica che il negro, nella sua attuale situazione, deve anzitutto prendere coscienza di sé, e inversamente perché la poesia negra in lingua francese è, ai nostri giorni, la sola grande poesia rivoluzionaria ». Ibid.

consentito di cogliere a fondo la profonda e necessaria presa di coscienza che, in seconda battuta, condurrà all’azione rivoluzionaria:

« E non è neanche vero che la durezza del lavoro tolga ai lavoratori la forza di cantare. Gli schiavi sgobbavano ancora più duramente, eppure conosciamo dei canti di schiavitù. Bisogna dunque ammetterlo: ci sono circostanze attuali della lotta di classe che distolgono l’operaio dall’estrinsecazione poetica. Oppresso all tecnica, egli vuole essere un tecnico perché sa che la tecnica sarà lo strumento della sua liberazione. Se un giorno dovrà essere in grado di controllare la gestione dell’impresa, sa che ci potrà arrivare attraverso una competenza professionale economica e scientifica. Di ciò che i poeti hanno chiamato Natura egli ha una conoscenza profonda e pratica, che gli viene però dalle mani più che dagli occhi: la Natura per lui è Materia, questa resistenza passiva, questa avversità sorniona e inerte che egli forza con i suoi utensili; e la Materia non canta » . 242

Differentemente, la poetica dei cantori neri, si è posta agli occhi di Sartre come passaggio necessario in grado di condurre alla presa di coscienza cui si stava gradualmente sottraendo il proletariato e che, richiamando il Fanon di Pelle nera, maschere bianche, rappresenta il viatico di un atteggiamento non reazionario ma profondamente rivoluzionario in grado di condurre

« […] l’uomo a essere uomo d’azione mantenendo intorno a sé il rispetto dei valori fondamentali che fanno un mondo umano: questo è il primo scopo di colui che, dopo aver riflettuto si prepara ad agire » .243

Si è già accennato precedentemente a come Fanon nel capitolo di Pelle nera,

maschere bianche, L’esperienza vissuta del negro, abbia accolto il messaggio trasmesso da

Sartre. La poetica - e il risveglio della coscienza da essa incentivato -, sono state inquadrate dal filosofo francese - ma solo nelle battute conclusive della sua analisi -, come un semplice elemento della progressione dialettica all’interno della quale la tesi della superiorità dell’uomo bianco è controbilanciata dall’antitesi costituita dalla negritudine.

Attraverso questa chiave interpretativa, Sartre è giunto a definire la negritudine come « momento debole » della progressione dialettica, in quanto inevitabilmente destinata a

J.-P. Sartre, Orfeo Negro, cit., p. 244.

242

F. Fanon, Il negro e l’Altro, cit., p. 231. Corsivo di Fanon.

cedere il passo ad una sintesi finale che attraverso la negazione di entrambi i termini spalancherà le porte dell’universale . 244

Occorre specificare però che buona parte dell’analisi che Sartre ha proposto in

Orfeo Negro non sembra spingere inevitabilmente in tale direzione; anzi, contrariamente a

quanto suggerito nelle sue conclusioni, la negritudine è stata tratteggiata da Sartre lungi dal rivelarsi in qualità di « debole momento ». In questi termini è infatti inquadrata solo quando è giunto ad inscriverla come fase della negatività all’interno del processo dialettico che, di per sé, risultata scarsamente funzionale ed assume autentico valore solo in relazione alla sintesi finale che contribuisce a realizzare e in qualità, quindi, di autentico contraltare della cultura occidentale.

Nelle battute iniziali l’elogio che il filosofo francese ha dedicato alla poetica dei cantori neri lo ha portato da un lato, a muovere una critica nei confronti del proletariato europeo che, come già accennato, non è più nella condizione di produrre la propria poesia rivoluzionaria in quanto ha quasi definitivamente soppiantato la Natura con la Materia e 245 dall’altro lato, ad invitare ad un reciproco confronto ispirato dal risveglio invocato dai cantori della negritudine, in quanto, la poesia nera in lingua francese rappresenta il linguaggio di una sofferenza che il proletariato condivide con i discriminati di colore che però - nel momento 246 dell’affermazione della propria sofferenza e della conseguente negazione della stessa - trovano « identità degli interessi profondi sotto la manifesta diversità delle condizioni » . 247

Si richiama nuovamente uno dei passaggi principali di Orfeo Negro: « In realtà la « negritudine » appare

244

come il momento debole di una progressione dialettica; l’affermazione teorica e pratica del primato bianco è la tesi, la posizione della « negritudine » come valore antitetico è il momento della negatività. Ma questo momento negativo non basta da solo e i negri che lo usano lo sanno benissimo, sanno che esso mira a preparare la sintesi, cioè la realizzazione dell’umano in una società senza razze ». J.-P. Sartre, Orfeo Negro, cit., pp. 271-272.

« Razionalismo, materialismo, positivismo, questi grandi temi della sua battaglia quotidiana sono i meno

245

propizi alla creazione spontanea di miti poetici. L’ultimo di questi miti, la famosa « ultima sera », ha indietreggiato davanti alla necessità della lotta: bisogna correre con la massima velocità, conquistare questa posizione, fare aumentare il salario, decidere questo sciopero di solidarietà, questa protesta contro la guerra in Indocina. Solo l’efficienza conta ». Ivi, p. 244.

« Il negro, come il lavoratore bianco, è vittima della struttura capitalistica della nostra società; questa

246

situazione gli rivela la sua stretta solidarietà, al di là delle sfumature della pelle, con certe casi di europei oppressi non meno di lui; questa solidarietà lo incita a progettare una società senza privilegi, nella quale la pigmentazione della pelle sarà giudicata un semplice accidente ». Ivi, p. 245.

Ivi, p. 246. « Ma questa presa di coscienza è di natura diversa da quella che il marxismo cerca di destare

247

nell’operaio bianco. La coscienza di classe del lavoratore europeo ha il suo fulcro nella natura del profitto e del plus-valore, nelle condizioni attuali della proprietà degli strumenti di lavoro, in breve nei caratteri oggettivi della loro situazione: al contrario poiché il disprezzo che i bianchi affettano per i negri - e che non trova l’equivalente nell’atteggiamento dei borghesi verso gli operai - mira a ferire i negri nel profondo del cuore, bisogna che questi gli oppongano una visione più giusta della soggettività negra; inoltre la coscienza di razza trova anzitutto il suo

Non è questo il messaggio che però Fanon ha “salvato” dalla lettura offerta da Sartre; ciò che il medico martinicano ci ha restituito rappresenta la sua personale e parziale critica ad un’analisi prettamente di ispirazione marxista che, ripresa anche ne I dannati della

terra, deve, per poter risultare funzionale, necessariamente portare ad un ampliamento del

paradigma stesso, soprattutto se applicato a contesti come quelli basati sulla discriminazione razziale e sul dominio coloniale.

Allo stesso tempo, pur sottintendendo la possibilità di paragonare la condizione di subordinazione del proletariato con quella dei discriminati e dei colonizzati, Fanon non ha lasciato che la nozione di razza scivolasse in secondo piano a vantaggio esclusivo di quella di

classe, in quanto, di fronte alla discriminazione razziale e alla subordinazione che ne

consegue, l’infrastruttura economica è al tempo stesso sovrastruttura e il dato epidermico anticipa qualsiasi altra possibile analisi:

« L’originalità del contesto coloniale è che le realtà economiche, le disuguaglianze, l’enorme differenza del tenore di vita, non giungono mai a occultare le realtà umane. Quando si scorge nella sua immediatezza il contesto coloniale, è evidente che ciò che divide il mondo è anzitutto il fatto di appartenere o meno a una determinata specie, a una data razza. In colonia, l’infrastruttura economica è pure una sovrastruttura » .248

Contemporaneamente, offrendoci la sua personale e turbolenta esperienza di coscientizzazione, Fanon ha espresso la sua delusione per aver riposto le proprie speranze in colui che, come già visto, gli si è presentato sì come « amico dei popoli di colore » ma che attraverso la sua analisi ha affossato gli slanci d’orgoglio nero riducendoli a semplice stadio.

fulcro nell’anima negra o, piuttosto, dal momento che il termine ritorna frequente in questa antologia, in una sua particolare qualità comune ai pensieri e ai comportamenti negri, che viene chiamata « negritudine ». Ora, per stabilire dei concetti razziali ci sono due soli modi di agire: o far diventare oggettivi certi concetti soggettivi o tentare di interiorizzare dei comportamenti oggettivamente rivelabili; così il negro che rivendica la sua « negritudine » con un movimento rivoluzionario si pone immediatamente sul piano della Riflessione, sia che voglia ritrovare in se stesso certi tratti oggettivamente constatati nelle civiltà africane sia che speri di scoprire l’Essenza negra nelle oscurità profonde del suo cuore. Così riappare la soggettività, rapporto di sé con se stesso, sorgente di ogni poesia, della quale invece il lavoratore ha dovuto mutilarsi. Il negro che chiama i suoi fratelli di colore a prendere coscienza di sé cercherà di presentare loro l’immagine-modello della loro « negritudine » e scruterà nella sua stessa anima per cogliervela. Egli vuole essere faro e specchio a un tempo: il primo rivoluzionario sarà l’annunciatore dell’anima negra, l’araldo che si strapperà dal di dentro la « negritudine » per tenderla al mondo, metà profeta e metà partigiano, e un poeta, insomma, nel senso preciso del vates ». Ivi, pp. 246-247. Nel passo finale le posizioni di Sartre e di Fanon sembrano convergere nell’indicare in Césaire questo “profeta-partigiano”.

F. Fanon, I dannati della terra, cit., p. 7.

L’esperienza vissuta dal nero - la descrizione della personale discesa agli inferi di

Fanon -, si conclude con un tentativo di ricostruzione di quanto Sartre ha metaforicamente distrutto. Fanon, non ancora pronto ad abbandonare definitivamente il suo orgoglio nero, lo ha raccolto con le sue stesse mani - « liane intuitive » - come se fosse stato ridotto in pezzi, e 249 nel tentativo di ricostituire il « meccanismo » della negritudine, si è predisposto a lanciare il 250 suo ultimo grido: « Il mio clamore risuona più violento: sono un negro, sono un negro, sono un negro… » . 251

La presa di coscienza è stata profondamente vissuta da Fanon e pur respingendo e criticando il tentativo di Sartre di ridurre a termine dialettico la negritudine, è giunto - ma non prescindendo da quest’ultimo aspetto -, alle medesime conclusioni attingendo, come si è già avuto modo di vedere, anche dalle tesi sostenute sempre da Sartre in Réflexions sur la

question juive.

Nelle battuti finali di Pelle nera, maschere bianche infatti, il negro finisce col cedere il posto all’Uomo, che dal punto di vista sartriano, come già visto, è il risultato che si produce al termine della progressione dialettica: « […] la realizzazione dell’umano in una società senza razze » . 252

Rileggere interamente il saggio di Sartre alla luce anche dell’uso che ne ha fatto Fanon, ci spinge in parte a sfumare la netta presa di posizione che assume nelle battute finali ma - ed è forse questo il passo che ha compiuto Fanon -, occorre prendere atto che lì Sartre va a parare.

La delusione di Fanon vela un’analisi sostanzialmente volta a criticare direttamente la visione dialettica proposta dal filosofo francese e mostra al tempo stesso la profonda crisi identitaria che ha vissuto e che comunque ci ha voluto trasmettere. Ed è proprio sulla sofferenza che ha fatto leva Fanon per criticare Sartre:

« Jean-Paul Sartre ha dimenticato che c. Fra il bianco e me c’è irrimediabilmente un rapporto di trascendenza » ,253

F. Fanon, Il negro e l’Altro, cit., p. 157.

249

Ibid.

250

Ibid.

251

J.-P. Sartre, Orfeo Negro, cit., p. 272.

252

F. Fanon, Il negro e l’Altro, cit., p. 157.

l’uomo nero è tale perché così lo ha tratteggiato l’uomo bianco, in assenza dell’uomo bianco, l’uomo nero, non si percepirebbe come tale.

La critica, ma più in generale l’attenzione che Fanon ha rivolto a Sartre è, al tempo stesso, la manifestazione più esplicita della profonda influenza che sia l’esistenzialismo francese sia la ripresa degli studi della fenomenologia hegeliana nella Francia degli anni Cinquanta hanno esercitato sul medico-rivoluzionario. Al di là delle coincidenze terminologiche riscontrabili, infatti, è impossibile non rilevare dalla lettura di Pelle nera,

maschere bianche come in particolar modo gli studi di Sartre - oltre al già richiamato Orfeo Negro -, abbiano contribuito in maniera determinante a costituire l’ossatura stessa del primo

testo fanoniano. Risulta difficile da questo punto di vista non rilevare come su tutti - affiancando le Réflexions sur la question juive -, fondamentale sia risultata la lettura di L’Être

e le Néant.

Effettivamente, pur mancando esplicite citazioni se non un brevissimo rimando in nota , costante risulta il confronto e il contributo offerto da L’essere e il nulla, il saggio di 254

ontologia fenomenologica pubblicato nel 1943, attraverso il quale Sartre - attingendo

principalmente dalle lezioni di Edmund Husserl, Martin Heidegger e Friedrich Hegel -, è giunto tra le altre, ad un’analisi che concentrata principalmente nella Parte Terza della sua opera, Il per-Altri , è stata ripresa da Fanon sfruttandola per mettere sotto la sua lente di 255 ingrandimento la situazione del negro di fronte all’Altro.

Se da un lato è opportuno sottolineare tali aspetti, dall’altro lato - in linea con quanto sostenuto da Pietro Clemente - è opportuno far attenzione a non “ridurre” Fanon a Sartre:

« Almeno due osservazioni possono essere fatte per motivare questa affermazione: 1) Fanon è interessato soprattutto all’aspetto morale e non a quello ontologico della ricerca sartriana; 2) Fanon si muove nella chiara prospettiva della liberazione dell’uomo attraverso la negazione delle razze, ed affronta una tematica del tutto specifica rispetto a quella del filosofo francese » .256

F. Fanon, Il negro e l’Altro, cit., nota 23, p. 161.

254

Si rimanda nello specifico a J.-P. Sartre, L’essere e il nulla. Saggio di ontologia fenomenologica, cit., pp.

255

283-522.

P. Clemente, Frantz Fanon tra esistenzialismo e rivoluzione, cit., p. 50.

I due punti giustamente evidenziati da Clemente non mirano a sminuire il lavoro che soprattutto in L’essere e il nulla si è prefissato di portare a termine Sartre, ma riportano l’attenzione sugli specifici intenti di Fanon, riassumibili in termini generali, nel tentativo di affiancare ad un approccio profondamente influenzato dalla lettura della Fenomenologia dello

spirito di Hegel - cui non a caso Fanon ha fatto diretto riferimento nella parte finale di Pelle nera, maschere bianche - e dall’esistenzialismo principalmente di matrice sartriana -, un 257 258 approccio di tipo psicoanalitico, concentrando la propria attenzione soprattutto sulla particolare condizione di alienazione vissuta dall’uomo di colore che a differenza dell’uomo

bianco non instaura un rapporto con l’Altro di tipo intersoggettivo, bensì, un rapporto di tipo

razzista, aggravato dal fatto che a tale stato di cose fa seguito l’interiorizzazione dell’essere

bianco nel proprio sé.

Il preliminare elogio della negritudine - da Sarte inserito in Orfeo Negro come tentativo di approfondire e definire al tempo stesso « cosa essa sia » -, lo ha spinto ad una serie di ipotesi riconducibili alla serie di interrogazioni contro le quali ha finito per imbattersi ; per giungere infine - disperdendo le lodi tessute fino a quel punto -, a ridurre la 259

negritudine ad uno « svariare d’essere e di dover-essere » aggravato dal tentativo compiuto da

parte dell’uomo di colore di crearsi un « razzismo antirazzista » , passaggio essenziale nella 260 sua transitorietà, ovvero, nella sua stessa negazione creatrice:

« Mito doloroso e pieno di speranza, la « negritudine », nata dal Male e gravida di un