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I “Discorsi” di Aimé Césaire e il Cahier: un accenno

3.1 AIMÉ CÉSAIRE E FRANTZ FANON

3.1.1 I “Discorsi” di Aimé Césaire e il Cahier: un accenno

Secondo l’opinione espressa da Miguel Mellino in La furia di Caliban:

riuscito in un momento storico particolarmente caldo a dare alla luce « uno dei testi politici più significativi del Novecento » . 169

Pubblicato in una prima edizione a Parigi nel 1950, il pamphlet del poeta, drammaturgo e leader politico martinicano sarà, cinque anni più tardi, ripubblicato nella sua versione definitiva sulla rivista di orientamento pan-africanista Présence Africaine, collocandosi, nel clima dell’immediato Secondo dopoguerra e in prossimità della conferenza di Bandung, come il testo che - seguendo ancora la riflessione proposta da Mellino -, ha saputo rappresentare e raccogliere attorno a sé:

« il movimento di soggettivazione […] di quella grande tempesta nera che avvolse il mondo occidentale » [assestando, al contempo] « un notevole colpo a quell’autorappresentazione umanistica ed eurocentrica della storia della civiltà occidentale dominante nel pensiero europeo » .170

Inoltre, prendendo le mosse dalla decisa denuncia del sistema coloniale - aprendo così le porte a quel filone di studi, di pratica critica e analisi testuale che non a caso sarà definito come “teoria del discorso coloniale” -, Discorso sul colonialismo è divenuto, insieme a buona parte del resto degli scritti e delle opere di Aimé Césaire, « uno dei passaggi chiave della genealogia degli attuali studi postcoloniali » . 171

Nel 1987 - trentadue anni dopo la seconda pubblicazione di Discorso sul

colonialismo -, in occasione della Prima conferenza globale dei popoli neri della diaspora Negritudine, “ethnicity” e culture afro nelle Americhe, in omaggio proprio ad Aimé Césaire e

svoltasi presso la Florida International University di Miami, il poeta martinicano si pronunciò nei confronti del neologismo da lui coniato nella Francia degli anni Trenta e apparso per la prima volta in un articolo della rivista degli studenti martinicani di Parigi L’Etudiant noir che, a pieno titolo, lo aveva reso noto a livello mondiale rappresentando, in maniera inequivocabile, il nocciolo duro della sua poetica e contribuendo in maniera determinante a condizionare il fervente movimento pan-africano. Si trattava, non a caso, della prima parola del titolo della conferenza: Negritudine.

M. Mellino, La furia di Caliban: nell’occhio della grande tempesta, Introduzione a A. Césaire, Discorso sul

169

colonialismo seguito da Discorso sulla negritudine, cit., p. 8. Ivi, p. 9. Corsivo di Mellino.

170

Ivi, p.10.

Nella traduzione italiana sia il testo politico di Césaire degli anni Cinquanta sia il successivo Discorso sulla negritudine sono proposti insieme, quasi a spezzare il piuttosto lungo lasso di tempo che effettivamente li separa e a rimarcare l’importanza di una loro simultanea lettura.

Si rende esplicito e necessario ai fini di una piena comprensione del messaggio di Aimé Césaire, ricercare le radici della sua denuncia politica nei confronti del sistema di dominio coloniale, intrecciando ad essa la filosofia di quel pensiero di vita che sta alla base di quell’esperienza di scoperta e riscoperta della propria identità. Un’identità che si pone sin dalla sue lacerate fondamenta in opposizione e in contrasto con il pensiero dominante nell’Europa delle imprese coloniali.

Se Césaire, a distanza di cinquantadue anni dalla gestazione del neologismo ha sentito stringente il bisogno di gettare maggiore luce e chiarire davanti ai suoi ascoltatori, qualsiasi possibile dubbio o incomprensione sulla corrente letteraria, culturale e politica che nella poetica della negritudine si era rispecchiata e continuava a rispecchiarsi, fu perché lui stesso e per sua ammissione, avvertì il rischio che il neologismo stava correndo, ovvero, quello di essere ingabbiato in semplicistiche formule esplicative, in icone o slogan che non avrebbero fatto altro che svuotare dei significati più profondi e poetici il cuore pulsante della

negritudine:

« Spero di non ferire nessuno confessando di non amare, almeno non sempre, il termine “Negritudine”, anche se sono stato io, con la complicità di qualche altra persona, ad aver contribuito principalmente alla sua invenzione e al suo lancio. Ma per quanto mi sia sforzato, e continui a sforzarmi, di non farne un’icona, vedervi tutti qui riuniti, provenienti da paesi così diversi, mi dimostra con evidenza che questa parola corrisponde a una realtà evidente e, in ogni caso, a un bisogno che dobbiamo considerare profondo » . 172

La « realtà » e il « bisogno » cui ha fatto riferimento Césaire rispondono chiaramente ai dubbi e alle perplessità che soprattutto - ma non esclusivamente - nell’America degli anni Ottanta, gli afroamericani continuavano a nutrire nei confronti della loro identità e della loro posizione all’interno della società.

Il nocciolo della questione negli anni Trenta era sostanzialmente lo stesso: respinti dalla società occidentale che gettava il suo sguardo disumanizzante verso chi riteneva privo di

A. Césaire, Discorso sulla negritudine, cit., pp. 105-106.

cultura, di storia e di civiltà, gli africani costretti o volontariamente giunti in Europa e negli Stati Uniti erano vittime di quel sistema di imposizione culturale che non gli consentiva di vivere e percepirsi come “esseri umani alla pari”, lo stesso sistema che Fanon aveva ben descritto e criticato in Pelle nera, maschere bianche gettando il suo sguardo proprio sulla « terra natale » che con Césaire condivideva.

Tornando all’importanza di leggere e legare Discorso sul colonialismo con

Discorso sulla negritudine emerge la funzionalità di un’operazione che riesce così a gettare

uno sguardo d’insieme sui punti nodali che costituiscono l’ossatura di entrambi i testi - molto più legati di quanto una rapida analisi possa far apparire -, mettendo in primo piano le tesi di fondo soggiacenti e, al tempo stesso, l’evoluzione che il concetto di negritudine vi assume se per esempio confrontata con il modo col quale è stato espresso attraverso le opere teatrali e poetiche dello stesso Césaire.

Non si intende qui privilegiare in maniera esclusiva una lettura dei testi di Césaire che potrebbero essere definiti più strettamente politici; resta imprescindibile, infatti, l’importanza da lui attribuita all’intreccio tra politica, letteratura, teatro e poesia e il Diario di

un ritorno al paese natale, da questo punto di vista, rappresenta l’esempio più lampante.

Il rimando preminente alla lettura di ambedue i Discorsi e successivamente a quella del Diario risulta però maggiormente funzionale nella prospettiva di comparazione 173 inizialmente proposta con le opere e il pensiero di Frantz Fanon, anch’esso comunque profondamente influenzato dalla complessiva composizione culturale del suo professore di liceo.

Che si guardi al loro inserimento all’interno degli attuali studi postcoloniali facendo emergere i già richiamati e paradossali ritardi registrati dalla loro ricezione; che si analizzi il contesto in cui sono emersi ed hanno maggiormente avuto successo (dalla metà degli anni Cinquanta fino a primi anni Settanta); che si effettui una cernita più o meno ponderata scegliendo ad esempio i testi politici e scartando la poetica e le opere teatrali di Césaire , o optando per una analisi del “secondo” Fanon escludendo gli Scritti del periodo 174

Si avrà modo nelle pagine successive di inquadrare meglio la duplice natura - poetico-politica - del Cahier.

173

Per il momento si rimanda alla lettura offerta nella metà degli anni Settanta da parte di Graziano Benelli - uno dei primi studiosi italiani ad interessarsi di letterature francofone -, che è giunto ad inquadrare il Diario come un’opera rispondente maggiormente a soddisfare « esigenze sociali piuttosto che poetiche ». Cfr. Benelli Graziano, Aimé Césaire, in “Il Castoro”, n°106 (1975), p. 19. Lo stesso Fanon nel citare un passo del Cahier, così si era espresso: « La descrizione di Césaire non è per nulla poetica », F. Fanon, Il negro e l’Altro cit., p. 48.

Si è già accennato al fatto che un’operazione del genere risulta profondamente limitativa se non del tutto

174

priva di criterio nella prospettiva qui adottata. Va da sé che le opere poetiche e teatrali di Aimé Césaire sono state al centro di analisi e critiche che difficilmente hanno potuto tener separati gli aspetti poetici e artistici da quelli

algerino e I dannati della terra ; resta incontestabile il fatto che il Césaire di entrambi i 175

Discorsi e del Cahier è quello che maggiormente stabilisce un punto di contatto sia con il

Fanon di Pelle nera, maschere bianche, sia con il Fanon de I dannati della terra (i presunti “secondo” e “primo” Fanon).

Trait d’union tra i due pensatori, per le tematiche che preponderanti emergono

dalla loro lettura, è l’aver posto al centro delle loro riflessioni e fatto così emergere, la questione della soggettività, della soggettivazione e dell’identità all’interno di un sistema di dominio e di sfruttamento - rappresentato dal colonialismo - la cui denuncia incondizionata è partita da una preliminare critica rivolta alla civiltà occidentale e al presunto umanesimo di matrice europea - Césaire non esiterà a definirlo « pseudoumanesimo » - ponendo tra gli 176 obiettivi precipui quello di privare la “missione europea” dei connotati di evangelizzazione e civilizzazione falsamente e ingannevolmente attribuitele.

Per dirla con Césaire:

« Questo significa che il punto essenziale consiste nel vederci chiaro, nel pensare in modo limpido, nel non farsi scrupolo alcuno e nel rispondere in modo altrettanto chiaro all’innocente domanda iniziale: in che cosa consiste, nei suoi principi, la colonizzazione? Diciamo subito ciò che essa non è: non è evangelizzazione, non è un’impresa filantropica, non esprime alcuna volontà di sconfiggere l’ignoranza, le malattie, la tirannide, di diffondere Dio o di estendere il Diritto. Ammettiamo, una volta per tutte, senza paura delle conseguenze, che qui stiamo parlando dell’azione decisiva dell’avventuriero, del pirata, del grande mercante di spezie, dell’armatore, del cercatore d’oro, del commerciante, della bramosia e della forza, su cui si proietta l’ombra, certamente malefica, di una forma di civiltà che, a un dato momento della sua storia, si è trovata costretta, a causa di esigenze interne, a estendere su scala mondiale, il regime della concorrenza, delle proprie economie antagoniste » . 177

In questo passo posto in apertura di Discorso sul colonialismo, Césaire ha sintetizzato le tematiche che successivamente ha avuto modo di affrontare, anticipandoci che alla denuncia rivolta alla barbarie delle falsa “missione civilizzatrice”, si lega,

strettamente politici. Risulta infatti quasi impossibile separare l’uomo politico dall’uomo poeta e drammaturgo che Césaire è stato e su questa lunghezza d’onda si sono posizionate le numerose opere comparse nel 2013 l’anno del centenario della nascita del poeta martinicano. Su tutte si rimanda a tal proposito a Daniel Maximin, Aimé Césaire un frère volcan, Paris, Éditions du Seuil, 2013.

Si cercherà nelle pagine seguenti di dimostrare la scarsa funzionalità anche di tale operazione.

175

A. Césaire, Discorso sul colonialismo, cit., p. 55.

176

Ivi, p. 52.

indissolubilmente, la critica al sistema politico ed economico occidentale reo di aver generato le due problematiche - all’interno del Discorso strettamente messe a confronto -, che non è in grado di risolvere: quella attinente il proletariato e quella attinente i colonizzati . 178

La posizione « moralmente, spiritualmente indifendibile » raggiunta 179 dall’Europa, evidente dal punto di vista di Césaire per il coro di accusa lanciato anche dal di fuori del continente europeo - cui si aggiunge l’appello espresso nelle parole sopra citate di non esitare per « paura delle conseguenze » -, richiama alla mente il Fanon che nelle pagine di

Pelle nera, maschere bianche, a più riprese, invitava a squarciare il velo di mistificazione

imposto dal colonialismo, e si ricongiunge alle “verità nude” della colonia contrapposte alle “verità vestite” delle metropoli richiamate da Jean-Paul Sartre nella sua Prefazione a I dannati

della terra . 180