Attraverso una rilettura incrociata di Peau noire et masques blancs, degli Écrits
politiques del periodo algerino e di Les damnés de la terre -, saranno mesi in risalto i punti di
contatto o “linee di continuità” che caratterizzano l’intero pensiero fanoniano; un pensiero che si (ri)mostra così nella sua peculiare continuità e attualità.
Mettendo in evidenza le strutturali linee di continuità tra le varie opere si cercherà altresì di rimarcare che l’autore di Pelle nera, maschere bianche, è lo stesso de I dannati della
terra. Lapalissiana constatazione? Tutt’altro.
La grande fortuna dell’ultima opera di Fanon ha - complice la grande ricezione che ebbe negli anni Sessanta e Settanta, sull’onda delle grandi contestazioni e manifestazioni, in Europa come negli Stati Uniti e grazie all’indipendenza raggiunta sempre in quegli stessi
W.E.B. Du Bois, Sulla linea del colore, cit., p. 106.
263
F. Fanon, Il negro e l’Altro, cit., pp 225-226.
anni dalla maggior parte dei paesi colonizzati -, messo quasi completamente in ombra il primo scritto del medico martinicano che, quando richiamato, è spesso presentato come altro rispetto alla sua « definitiva discesa » , al suo « testamento politico » . 265 266
In altri termini, da un lato I dannati della terra rappresenterebbe la piena maturazione di un pensiero che, accennato a livello teorico nella prima opera, ha preso corpo definitivamente nell’ultima, dove la necessità dell’azione di liberazione attraverso la violenza rivoluzionaria rimanda immediatamente il pensiero su di un piano prettamente concreto e non più sull’astratto lavoro psicosociale preliminarmente proposto e, dall’altra parte, per la lettura e l’interpretazione che ne è stata offerta, si rende quasi impossibile guardare agli scritti di Fanon come ad un unico blocco di pensiero ma, partendo proprio dagli scritti del periodo algerino, avrebbe preso corpo una seconda corrente di pensiero che convaliderebbe l’esistenza di due diversi “fanonismi”.
Il quadro è stato ben sintetizzato da Liliana Ellena nella sua Introduzione a I
dannati della terra:
« Si può quindi parlare di due diversi fanonismi, che hanno preso vita dalla sua morte prematura: il primo prendendo le mosse da I dannati della terra, ha visto in Fanon soprattutto il teorico della liberazione rivoluzionaria anticoloniale; il secondo, più recente, si è focalizzato sulla lettura del precedente Pelle nera, maschere bianche, e ha fatto del suo autore il precursore di una soggettività postcoloniale e postmoderna » . 267
Così Mellino inquadra l’ultima opera di Fanon, Cfr. Miguel Mellino, Presentazione, a Fanon postcoloniale. I
265
dannati della terra oggi, cit., p. 9. Rispetto all’indirizzo generale dei contribuiti offerti per una rilettura di Fanon nel presente - che come il sottotitolo della raccolta sottintende muovono principalmente da un’analisi dell’ultima opera di Fanon -, i saggi di Roberto Beneduce e Matthieu Renault costituiscono in parte un’eccezione. Lo psichiatra ed antropologo italiano prende infatti principalmente le mosse da una rilettura di Pelle nera, maschere bianche, sottolineando - in linea con quanto si sostiene nel presente lavoro -, che il quadro complessivo dell’opera di Fanon era già ben chiaro fin dalla pubblicazione del suo primo libro, necessario punto di partenza quindi per un rilettura anche de I dannati della terra. Sulla stessa falsa riga risulta quanto proposto da Matthieu Renault - successivamente oggetto di analisi del presente e del successivo Capitolo Quinto -, che ha preso le mosse da una rilettura della prima opera di Fanon come principale strumento attraverso il quale decostruire/ decolonizzare il sapere eurocentrico. Si rimanda, per il momento, direttamente a R. Beneduce, Frantz Fanon. Un corpo che interpella, o la cura della Storia; e a M. Renault, Fanon e la decolonizzazione del sapere. Teoria in viaggio nella situazione (post)coloniale, entrambi in ivi, pp. 31-48 e pp. 49-61.
Così lo definisce Liliana Ellena. Cfr. L. Ellena, Introduzione alla nuova versione italiana, a F. Fanon, I
266
dannati della terra, cit., p. IX. Ivi, p. XV.
Sulla stessa falsa riga e più recentemente, così si è espressa Viola Carofalo nelle pagine introduttive - non a caso intitolate Lo strano caso del Dr. Fanon e Mr. Frantz - del suo studio sul medico-rivoluzionario:
« Per ben due volte negli Usa, nel corso di poco più di un ventennio, Fanon muore e rinasce. La riflessione del pensatore martinicano è stata infatti sottoposta ad un processo di reinterpretazione e appropriazione talmente radicale da metterci in condizione di poter parlare di un vero e proprio sdoppiamento: nella sua prima resurrezione è il teorico della violenza e il militante delle lotte antimperialiste de I dannati della terra, nella seconda è lo psichiatra di Pelle nera, maschere bianche, padre spirituale degli studi postcoloniali » . 268
Accogliendo ma invalidando in parte queste constatazioni, si sottolinea la possibilità odierna non tanto di parlare di “fanonismo” - è un aspetto scarsamente rilevante sapere se sia possibile o meno applicare certe etichette -, ma di insistere sull’importanza del primo scritto di Fanon poiché è attraverso le sue pieghe che emerge uno dei fondamentali contributi che il suo autore ci ha lasciato: la messa in discussione del presunto umanesimo universale europeo, che si svela nella sua parzialità e nella sua inumanità perché procreatore di quell’idea stigmatizzata di Altro da sé che, se in Pelle nera, maschere bianche è al centro di un tentativo di critica a partire da un’analisi psicologica, psicanalitica e sociale, ne I dannati
della terra - come del resto negli Scritti politici -, non viene meno ma è “semplicemente”
rimarcata nella sua artificiosità e “adombrata” dalla previsione del suo superamento attraverso l’azione, aspetto quest'ultimo accennato (ma passato decisamente sottotono) anche nelle conclusioni di Pelle nera, maschere bianche e che viceversa costituisce l’incipit de I dannati
della terra e per una certa lettura il suo oggetto principale.
Tale prospettiva interpretativa non conduce ad una mera esaltazione del primo scritto di Fanon - che, come in parte già visto, svela anche i suoi punti deboli e le sue contraddizioni interne -, bensì a una presa di distanza da una lettura che individua uno « stacco netto » tra il primo scritto e gli scritti del periodo algerino fino ad arrivare alla pubblicazione de I dannati della terra.
È stato tra gli altri Pietro Clemente a mettere in evidenza il presunto « stacco netto » esistente tra Pelle nera, maschere bianche e il resto degli scritti e seppur si 269
V. Calofaro, Un pensiero dannato, cit., p. 7.
268
P. Clemente, Frantz Fanon tra esistenzialismo e rivoluzione, cit., p. 81.
sia apprestato a rimarcare che tra gli scritti le basi ideologiche del medico martinicano non risultino sostanzialmente cambiate, ha sottolineato come « il livello e la strumentazione della ricerca siano radicalmente diversi » e ha liquidato in parte il primo lavoro di Fanon perché dall’impostazione « generale ed astratta » e che « riduceva il problema coloniale al rapporto negro-altro » . 270
Se l’immedesimazione del Fanon-nero-francese con l’algerino-colonizzato ha rappresentato per Clemente « un affinamento della osservazione clinica, dello studio delle tradizioni e dei comportamenti » , non si deve dimenticare che è grazie proprio 271 all’esperienza compiuta e riuscita di astrazione dal proprio colore, che ha preso corpo una nuova “discesa agli inferi” che si è tradotta nell’immedesimazione da parte di Fanon col popolo algerino colonizzato.
La condizione di subalternità rappresenta il filo conduttore del passaggio compiuto da Fanon che, svestiti i panni dell’intellettuale-colonizzato, si è trovato in Algeria in qualità di medico-europeo che ha deciso di indossare i panni del subalterno-colonizzato.
Il fine non cambia; una nuova presa di coscienza e la liberazione nazionale - a giudizio di Fanon - portano a svestire nuovamente questi panni attraverso la rigenerazione dell’umano. Fanon, quasi vincolato ad un destino che lo vede sempre in posizione di subalternità, si mostra nuovamente impegnato nella sua avversità - morale e psicologica -, nei confronti del presunto umanesimo europeo e del colonialismo.
Insistere in questa direzione non vuol dire costruire una critica che porti ad un rigetto totale degli studi che sulla figura di Fanon sono stati prodotti almeno fino alla fine degli anni Settanta; piuttosto, riscoprirne l’attualità nel contesto di uno scenario globale mutato, dove i processi di globalizzazione non hanno definitivamente reciso il cordone ombelicale che continua a vincolare le ex-colonie agli ex-imperi anche all’indomani delle proclamazioni di indipendenza. Evidenti, in altre vesti, risultano infatti le problematiche emergenti soprattutto all’interno delle grandi metropoli proprio dei vecchi imperi, alla luce delle odierne ondate migratorie e delle politiche identitarie adottate per contrastarne, arginarne o gestirne i flussi.
Allo stesso tempo, si riprende in questo modo la centralità che nel dibattito interno ai Postcolonial Studies dei primi anni Ottanta, ha cominciato ad assumere la figura di Fanon, in qualità di promotore di un’analisi in grado di tener in debito conto della questione del
P. Clemente, Frantz Fanon tra esistenzialismo e rivoluzione, cit., p. 81.
270
Ibid.
riconoscimento, del legame tra razza e sessualità e dell’importanza del concetto di identità in un contesto dove appartenenza e nazionalità sembrano entrate in forte crisi e destinate a cedere il posto a non ancora ben definite figure ibride (in tal senso Fanon stesso può essere inquadrato come precursore) e dove flussi e spostamenti di persone, merci e denaro devono fare necessariamente i conti con i processi di « indigenizzazione », all’interno dei quali, al posto di una illusoria omologazione prendono corpo nuove specificità e si cominciano ad avanzare ipotesi di superamento dello Stato nazionale come principale agente modificatore dei rapporti sociali . 272
Il dibattito naturalmente è estremamente complesso e vasto e si spinge ad abbracciare un ventaglio di discipline e studi che si riscoprono e rinnovano continuamente. Ma anche in questo caso si avverte una sorta di mutilazione e stavolta nei confronti del “primo” Fanon. 273
La centralità che riconoscimento, razza, sessualità ed identità hanno assunto e tutt’oggi assumono all’interno dell’archivio dei Postcolonial Studies, sembra non aver lasciato spazio al Fanon teorico della violenza rivoluzionaria e del Terzo Mondo, precisando che quando ci si riferisce a Fanon in questi termini, non si guarda ad esso come al promotore di un sommovimento che si vuole esclusivamente violento e distruttore, bensì, passando anche attraverso la violenza, creatore e rigeneratore in proiezione futura - senza rivolgimenti al passato, come si è già avuto modo di sottolineare nel capitolo precedente -, di una società postcoloniale e postmoderna all’interno della quale la fine del periodo di dominazione coloniale non avverrà nel momento in cui sarà ufficializzata l’indipendenza di questo o quel paese, ma nel momento in cui verranno meno colonizzatori e colonizzati.
Ecco che la rivoluzione in Fanon, seguendo tale direzione interpretativa, mostra le sue molteplici sfumature che attraversano, spesso precipuamente, sia la sfera culturale sia la
Su tutti si rimanda a Arjun Appadurai, Modernity at Large: Cultural Dimensions of Globalization,
272
Minneapolis, University of Minnesota Press, 1996; trad. it. Modernità in polvere. Dimensioni culturali della globalizzazione, Milano, Raffaello Cortina Editore, 2012.
In linea con quanto anticipato precedentemente - secondo gli spunti offerti in particolare da Liliana Ellena e
273
Viola Calofaro -, si ribadisce che con “primo” Fanon si intende l’autore de I dannati della terra, mentre con “secondo” Fanon si intende l’autore di Pelle nera, maschere bianche. Si ritine opportuno specificare nuovamente tale distinzione seppur non accolta nel presente lavoro, in quanto generatrice di confusione perché a) in perfetta opposizione all’ordine cronologico di pubblicazione delle opere del medico martinicano; b) perché nonostante le letture fuorvianti e le interpretazione che hanno teso a scindere e parcellizzare il pensiero di Fanon, resta ferma la convinzione che sia possibile parlare di un unico “Fanon pensiero” che trova origine in Pelle nera, maschere bianche, e che prosegue senza nette divisioni ne I dannati della terra, così come negli Scritti politici.
sfera psichica, rimandando ad una certa complessità che è stata gradualmente persa per gli accenti posti su alcune delle riflessioni proposte da Fanon a discapito di altre.
Esempio lampante di tale approccio all’archivio fanoniano - come ha giustamente sottolineato anche Liliana Ellena -, ce lo ha fornito Hannah Arendt nel ricordarci attraverso le pagine del suo scritto Sulla violenza - e nonostante le divergenze di pensiero maturate nei confronti del medico martinicano sulle quali sarà successivamente posta attenzione -, che I
dannati della terra avrebbe richiesto maggiore attenzione e senso critico in particolar modo
da parte della generazione di studenti contestatori della guerra del Vietnam che, richiamando ed enfatizzando la figura del Fanon teorico-rivoluzionario, hanno finito col dimenticare che
« Fanon stesso, tuttavia, ha molti più dubbi sulla violenza dei suoi ammiratori. Sembra che soltanto il primo capitolo del libro, A proposito della violenza, sia stato molto letto. Fanon si rende conto del fatto che “una brutalità diretta e totale, se non è immediatamente combattuta, porta inevitabilmente a una sconfitta del movimento nel giro di poche settimane” » .274
Tale tipo di approccio rappresenta una limitazione alle possibilità di analisi che ci vengono offerte e « significa collocare Fanon in una prospettiva alquanto ristretta » . 275
Il fatto che Fanon riesca oggi a rientrare all’interno di questo vasto ventaglio, non solo ci rimanda alla complessità della figura che ha in effetti rappresentato ma, inevitabilmente, anche ad un suo non ancora avvenuto superamento o definitivo inquadramento. Fanon continua a parlare.
Si procede di seguito fornendo un’analisi critica che muove dalla rilettura della
Prefazione a I dannati della terra di Jean-Paul Sartre, per poi passare, successivamente, ad un
tentativo di analisi incrociata delle due opere principali di Fanon, cercando soprattutto di mettere in evidenza le loro connessioni e lasciando spazio ad una chiave interpretativa dell’ultimo scritto che non sia appannaggio esclusivo del primo capitolo; che non metta, in altri termini, esclusivamente al centro dell’attenzione la presunta esaltazione al ricorso alla violenza invocata da Fanon, la chiave interpretativa che se negli anni Sessanta-Settanta ha ottenuto maggior consensi, nella contemporaneità deve necessariamente tener di conto anche degli aspetti che meno sono stati valorizzati, al fine di cercare di ottenere un quadro
Hannah Arendt, On Violence, New York, Harcourt Brace & Company, 1970; trad. it. Sulla violenza, Parma,
274
Ugo Guanda Editore, 2013, nota 17, p. 99.
L. Ellena, Introduzione alla nuova versione italiana, a F. Fanon, I dannati della terra, cit., pp. X-XI.
complessivo che risulti al tempo stesso attuale e utile per una maggiore comprensione del presente. Obbligatorio, da questo punto di vista, sarà attingere anche dalla produzione del periodo algerino chiudendo in questo modo il cerchio intorno alle opere di Frantz Fanon.