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Il negro e l’Altro

2.1 GENESI

2.1.1 Il negro e l’Altro

Circa duecentottanta pagine, nove capitoli, e subito dall’introduzione un dichiarato obiettivo: liberare l’uomo di colore da se stesso e porre fine a un « circolo vizioso ». Abbattere, ovvero, quel complesso di inferiorità « conseguenza di un duplice processo: in un primo tempo economico; d’interiorizzazione o, meglio, di epidermizzazione di quest’inferiorità, in un secondo » , e tentare un nuovo dialogo, una nuova comprensione 74 volta al superamento di una artificiosa costruzione culturale: il mondo bianco e il mondo

nero. Un’accusa rivolta a chi continua ad avere pregiudizi razziali quindi? Esattamente 75 l’opposto:

« io sto facendo il processo ai mistificati, ai mistificatori, agli alienati e che, se è vero che esistono dei bianchi che si comportano nel giusto modo nei confronti di un negro, è proprio il loro caso che qui non deve essere catalogato » .76

F. Fanon, Il negro e l’Altro, cit., 36.

73

Ivi, p. 37.

74

Non è superfluo ricordare che è a partire dalla metà degli anni Quaranta e per tutti gli anni Cinquanta i diritti

75

umani furono al centro di un vastissimo dibattito. In particolar modo si sottolinea che attraverso l’Organizzazione delle Nazioni Unite si cominciò a puntare in direzione dell’“universalizzazione” - e non più dell’“internazionalizzazione” - dei suddetti diritti. Per uno sguardo di insieme che ripercorre i momenti che maggiormente hanno contribuito a segnare nel corso dell’Ottocento e del Novecento i successi e gli insuccessi di politiche e dibattiti nati intorno ai diritti umani, e per quanto qui ci interessa, in particolar modo per la vicinanza temporale, la Dichiarazione universale dei diritti umani approvata il 10 dicembre 1948, si rimanda a Marcello Flores, Storia dei diritti umani, Bologna, il Mulino, 2008.

F. Fanon, Il negro e l’Altro, cit., p. 57.

L’intento di Fanon non è stato quello di scendere attraverso un bieca retorica, in discussioni che ben pensanti sarebbero stati in grado di liquidare facilmente e felicemente - come ci ricorda nelle pagine della sua Préface all’opera Francis Jeanson - ma di insistere 77 sull’elemento che immediatamente salta all’occhio - il colore della pelle, la pelle nera naturalmente - per farne il perno attraverso il quale giungere ad una piena liberazione.

Ciò che ci ha suggerito Fanon, in altri termini, è una sorta di operazione di “dragaggio” nella coscienza; è un tentativo di guardare il problema modificando la prospettiva: da un lato, quella dell’uomo di colore che si è persuaso che la sua condizione di inferiorità dipenda direttamente dal suo colore della pelle e che l’unica via di uscita - l’unica àncora di salvezza - sia di assimilare completamente la cultura dell’uomo bianco, tendere alla

bianchezza; dall’altro lato, quello dell’uomo bianco che, forte della sua presunta superiorità e

carico del suo fardello, si stima superiore e non esita - facendo leva sulla sua cultura e la sua storia - a disumanizzare e cosificare l’Altro . 78

Una situazione dicotomica che vede opposti due mondi che si vogliono separati nel momento stesso in cui avviene il loro contatto - individuato da Fanon nella condizione 79

coloniale - momento per eccellenza di dominio e controllo, di inferiorizzazione e di cosificazione. Ma non è tutto. Fanon ci ha messi in guardia e non ha esitato a mostrarci che

l’uomo nero non è inerme, e non esclusivamente cede e mira a « rendere bianca la propria razza » . 80

Esiste un’altra strada, anch’essa oggetto di critica da parte del medico-psichiatra, che affonda le sue radici nella ricerca di un passato ormai lontano e di una cultura perduta, in direzione dell’Africa, la terra dei padri la cui storia dispersa e violentata dalla mano dell’uomo bianco - e nell’immaginario collettivo recisa definitivamente dalla « tragedia umana » della tratta degli schiavi - viene esaltata e cantata a dimostrazione che l’uomo di colore non è un 81 mero incidente della storia:

Cfr. F. Jeanson, Prefazione a F. Fanon, Il negro e l’Altro, cit., p. 9.

77

Le espressioni « cosificare » e « cosificazione » sono state utilizzate in particolare da Aimé Césaire per

78

riassumere in un solo concetto gli effetti disumanizzanti e totalizzanti prodotti della condizione coloniale. Si avrà modo di tornare sull’uso dei termini nella pagine successive.

Il tema della separazione è centrale e ribadito anche ne I dannati della terra, in particolare modo nel primo

79

capitolo, Della violenza, nel quale viene descritta la realtà coloniale dominata da pregiudizi e separazione in qualità di un « […]mondo a scomparti, questo mondo spaccato in due [e] abitato da specie diverse ». F, Fanon, I dannati della terra, cit., p. 7.

F. Fanon, Il negro e l’Altro, cit., p. 35.

80

Si rimanda a titolo d’esempio a Lisa Lindsay, Captives as Commodities: The Transatlantic Slave Trade, Upper

« Oppure, più raramente, vuole essere del suo popolo. Ed è con la rabbia sulle labbra e la vertigine nel cuore ch’egli si sprofonda nel grande abisso negro. Vedremo che questo atteggiamento, così bello in assoluto, rifiuta l’attualità e l’avvenire in nome di un mistico passato » .82

Passaggio forse obbligatorio - attraverso il quale è passato lo stesso Fanon -, questo sprofondare nel « grande abisso negro » porta erroneamente ad eludere il 83 superamento della nevrotica situazione creata dall’incontro/scontro tra l’uomo bianco e l’uomo nero e, paradossalmente, ad una cristallizzazione del problema stesso.

Riconoscendo un ruolo di non passività all’uomo nero - a partire dal presupposto che « il destino del nevrotico è nelle mani del nevrotico stesso » -, resta sempre costante 84 nell’analisi proposta da Fanon l’invito a scegliere attentamente la strada da intraprendere, diffidando dal cedere al mito della bianchezza e, al tempo stesso, da facili entusiasmi e inutili esaltazioni che conducono esclusivamente in vicoli ciechi:

« Il negro deve condurre la lotta su due piani: posto che, storicamente, questi si condizionino a vicenda, qualsiasi liberazione unilaterale è imperfetta e credere alla dipendenza meccanica dei due piani sarebbe gravissimo errore » . 85

Poste tali premesse si rende necessaria, al fine di giungere ad un reale superamento di queste statiche posizioni, quella complessa esperienza che Fanon ha definito nei termini di una « discesa agli inferi »: un’autentica e reale presa di coscienza che affondi le radici nel terreno di un’universale concezione di Uomo. Nessuna esaltazione che spinge quasi inevitabilmente a volgere lo sguardo al passato; nessun tentativo di eludere la propria presunta condizione di inferiorizzato attraverso la negazione di se stessi e la conseguente ricerca del mondo bianco; ma una radicale critica di ambedue le prospettive in direzione di un’universale comprensione dell’Uomo, libero da qualsiasi forma di mistificazione e pregiudizio.

Suddle River (New Jersey), Pearson Education, 2008; trad. it. Il commercio degli schiavi, Bologna, Il Mulino, 2011.

F. Fanon, Il negro e l’Altro, cit., p. 40. Corsivo aggiunto.

82

L’espressione utilizzata da Fanon si riferisce esplicitamente al movimento culturale, letterario e poetico della

83

Négritude che sarà maggiormente preso in considerazione nel capitolo: Fanon, Césaire e il « grande abisso nero ».

F. Fanon, Il negro e l’Altro, cit., p. 37. Corsivo aggiunto in riferimento alla nota 72, p. 49, del presente lavoro.

84

Ivi, p. 38.

Quella che ci ha proposto Fanon è, in altri termini, una sociodiagnosi costruita tenendo in debito conto sia di fattori strettamente materiali sia di fattori strettamente “epidermici”, “razziali”; un processo che presuppone una reale cognizione della situazione contemporanea e che comporta una profonda operazione di autoanalisi; in definitiva, quel complesso esperienziale che porti ad una « tabula rasa » totale attraverso la quale il medico-86 psichiatra ha voluto « veramente condurre il [suo] fratello, negro o bianco, a scuotere nel modo più energico possibile la deplorevole servitù edificata da secoli d’incomprensione » : 87

« Verso un nuovo umanesimo… La comprensione degli uomini… I nostri fratelli di colore… io credo in te, Uomo… il pregiudizio di razza… Comprendere e amare… » 88

Eccoci proiettati nelle aspirazioni e negli obiettivi che si era preposto Fanon. Va da sé che il sotto testo di Peau noire et masques blancs ha rappresentato - e tutt’oggi può rappresentare -, una prima sfida a quel mondo che ha basato su mistificazioni e distorsioni della realtà - perpetuate attraverso un’insieme di opere di ingegno e cultura sotto la bandiera della “missione civilizzatrice” - la sua stessa esistenza. Critico dell’atteggiamento dell’uomo

bianco e del presunto umanesimo del quale si è fatto portavoce, Fanon ha concentrato la sua

attenzione sulle esperienze vissute personalmente nella sua terra natale e su quelle dei suoi « fratelli » “non del tutto neri” in relazione all’inevitabile rapporto con la Francia.

Lungo tali coordinate ha preso corpo la sua critica e la sua “missione”.

2.1.2 « Je parle français, je suis Français »

È a partire dal primo capitolo, Il negro e il linguaggio, che Fanon ci rende più partecipi e consapevoli dell’architettura della costruzione - prettamente culturale - che ha 89

L’espressione sulla quale si tornerà nelle pagine successive è stata utilizzata da Fanon ne I dannati della terra.

86

F. Fanon, Il negro e l’Altro, cit., p. 39.

87

Ivi, p. 34.

88

Si avrà modo nelle pagine successive di fare maggiore chiarezza sia sull’uso del termine culturale sia del

89

termine coloniale. Si anticipa che spesso Fanon ha utilizzato come sinonimi i due aggettivi ma in riferimento alla Martinica ci ha parlato prevalentemente della sua condizione culturale, mentre per quanto concerne soprattutto l’Algeria, si è verificato lo “slittamento” verso l’uso dell’espressione condizione coloniale.

cercato di demolire. In altri termini, ci ha offerto un primo esempio di come la cultura - espressione diretta della lingua parlata -, abbia rappresentato per i Martinicani di colore, allo stesso tempo, un’imposizione di derivazione coloniale e una delle vie attraverso la quale si è resa possibile la “conquista” della bianchezza.

Assimilare un linguaggio, nella prospettiva adottata da Fanon, è assimilare la cultura dalla quale il linguaggio stesso proviene, è liberarsi di se stessi facendo scivolare in secondo piano il fatto, nel caso specifico, di non essere francese - con francese si legga negli intendimenti di Fanon, bianco, civilizzato, europeo, non nero quindi, non inferiore - ma di possedere le stesse capacità comunicative - o per lo meno tentare di esprimersi attraverso lo stesso registro comunicativo -, non senza ironiche ma, allo stesso tempo, tragiche incomprensioni e accentuazioni che non fanno altro che suscitare ilarità e spesso disprezzo e allontanamento.

In questo caso il linguaggio diventa sia mezzo di falsa astrazione sia mezzo di discriminazione. Se infatti da un lato per i martinicani può rappresentare la chiave di acceso ad un mondo e ad una cultura in parte imposta ma non originariamente loro, per gli europei, i francesi in questo caso, è volontariamente o involontariamente il modo per respingere e per rimettere al loro “naturale” posto le cose, rimarcando l’impossibilità da parte di un nero di avere accesso al loro linguaggio, alla loro cultura. Così Fanon nel ricordare che

« Parlare significa essere in grado di usare una determinata sintassi, possedere la morfologia di questa o quella lingua, ma significa soprattutto assumere una cultura, sopportare il peso di una civiltà »90,

ha criticato, da una parte, la quasi esasperata volontà - desiderio evidentemente crescente negli anni Cinquanta - di lasciare fisicamente la Martinica per raggiungere la civilizzata Francia, cercando di nascondere la propria provenienza facendo ricorso ed esprimendosi attraverso un “perfetto” francese e, dall'altra parte ma sullo stesso piano, ha criticato l’approccio superficiale del francese che trovandosi di fronte un uomo di colore, in atteggiamento spesso denigratorio ma anche del tutto “naturale”, non ha esitato a far ricorso a “scorciatoie” lessicali o ad esprimersi a gesti.

Ciò che in altri termini ha inteso sostenere Fanon è che attraverso l’adozione di un certo linguaggio, di certe espressioni e di uno specifico accento (tipico nel ricorso alla lingua

F. Fanon, Il negro e l’Altro, cit., p. 44.

francese da parte di un non francese che cerca di esprimersi “correttamente” è l’uso accentuato della R), si sia gradualmente edificato quel complesso discriminatorio che si è manifestato a partire da semplici - ma cariche di significato - espressioni del tipo « amico », « fratello » e che ciò ha generato una serie di atteggiamenti e comportamenti che si addicono maggiormente al rapporto tra un adulto (l’uomo bianco civilizzato) e un bambino (l’uomo nero incivile), che toccano il « fondo stesso di quelle teorie che hanno fatto del negro una tappa del lento cammino dalla scimmia all’uomo » . 91

Distorsioni e semplificazioni che rimandano a quella « bidimensionalità » propria sia dell’uomo di colore, sia dell’uomo bianco: quel doppio registro comunicativo ed espressivo, ma lo stesso equivale per il comportamento, da adottare a seconda di chi si ha di fronte.

Ecco che nell’attesa stessa di raggiungere la Francia per fuggire dall’isola che lo tiene “prigioniero” nel suo non-essere, il nero mostra quanto in profondità il suo percepirsi inferiore abbia colpito la sua coscienza e abbia condizionato di conseguenza il suo atteggiamento:

« Fin da prima della partenza si capisce, dall’andatura quasi aerea del suo passo, che in lui si sono messe in moto forze nuove. Quando incontra un amico o un compagno, non è più il vecchio ampio gesto del braccio ad annunciarlo: discretamente, il nostro « futuro » s’inchina. La voce, d’abitudine rauca, lascia indovinare un movimento interno fatto di sussurri. Perché il negro sa che laggiù, in Francia, c’è un’idea di lui che a Le Havre o a Marsiglia lo ghermirà: “Je suis Martiniquais, c’est la premiè fois que je viens en France” […] Sí, bisogna che sorvegli il mio modo di parlare, perché è un po' attraverso di esso che mi si giudicherà… Si dirà di me con disprezzo: “non sa neppure parlare francese ” ». 92

Nella Martinica dove è cresciuto Fanon, imposizioni culturali come il linguaggio hanno finito col permeare profondamente la società: la borghesia dell’isola, alla quale apparteneva la famiglia stessa di Fanon, parlava regolarmente il francese e disprezzava il creolo utilizzato solo ed esclusivamente per rivolgersi al personale di servizio o ai propri dipendenti.

F. Fanon, Il negro e l’Altro, cit., p. 43.

91

Ivi, pp. 46-47.

Il costante contatto con medici, professori, capiservizio e personale militare provenienti dalla Francia - un “nuovo mondo a portata di mano” - divenne - imbevuto di quella cultura che evocava costantemente Montesquieu, Rousseau, Voltaire, e per dirla con Sartre, « Partenone! Fratellanza! » -, l’ambizione principale, lo « sdoppiamento », 93 « l’alterazione della personalità ».

Perché intervennero tali modificazioni del comportamento dei neri martinicani? Perché questa quasi esasperata ricerca di assimilare il linguaggio dell’europeo, i suoi modi di vestire, di gesticolare, per fuggire - allargando la prospettiva - la propria condizione di abitante nero delle Antille? La risposta che ci ha offerto Fanon è paradossalmente semplice. Il retaggio razzista ha generato una gerarchia all’interno della quale il nero africano - paradigma della nerezza e contraltare della bianchezza -, assume una posizione di “naturale” inferiorità se messo a confronto con il bianco europeo.

Ciò ha generato nell’abitante delle Antille la convinzione che il suo essere e sentirsi nero non è propriamente corrispondente all’essere nero proprio degli abitanti dell’Africa. E la semplicità della risposta offerta da Fanon deriva dal fatto che tale condizione, « per molti negri delle Antille non è sentita come sconvolgente, ma, anzi, assolutamente normale » . 94

Questa sorta di essere-non-essere in cui l’identità del martinicano è sospesa - tra un mondo che lo respinge o che comunica con lui attraverso un linguaggio alterato da storpiature e da gesti e il rifiuto di sentirsi ed essere paragonato agli abitanti neri dell’Africa, derivato diretto dell’interiorizzazione dello stereotipo razzista occidentale che individua nel nero africano un subordinato per natura e quindi, per il nero martinicano, generatore del desiderio di eludere la propria presunta inferiorità -, è condizione permanente nelle Antille, dove la padronanza del linguaggio rappresenta una delle principali porte di accesso ad una cultura e ad una civiltà Altre e, contemporaneamente, il mezzo di distinzione e separazione che segna la distanza con gli incivili africani.

Il dato epidermico diviene indicativo del proprio status sociale e culturale. All’idea di perfezione e civilizzazione si abbinano concezioni scientifiche e biologiche ma la possibilità di esprimersi attraverso un perfetto francese diviene per l’abitante delle Antille - così come agli occhi dei francesi -, un modo per differenziarsi dal nero del Congo o del

J.-P. Sartre, Prefazione a F. Fanon, I dannati della terra, cit., p. XLI.

93

F. Fanon, Il negro e l’Altro, cit., p. 52.

Senegal: assimilata la lingua europea e la cultura europea si perde quantomeno lo status di selvaggi.