Descrizione dei Matr 7901-7902
7. Datazione dei codic
tempo piuttosto ampio e rappresentano una copia di studio, con molti fogli bianchi che probabilmente furono lasciati tali per aggiungere all'occorrenza altre annotazioni. Non dobbiamo neppure dimenticare che di norma i fascicoli che compongono gli attuali codici dispongono di una numerazione autonoma: ciò lascia supporre che ogni fascicolo potrebbe corrispondere ad una fase di lavoro cronologicamente distinta dalle altre. Ciò non toglie che Agustín abbia compilato i suoi fascicoli (soprattutto quelli del “borrador B”) con precisione, forse perché sapeva che quei testi sarebbero circolati tra le mani di almeno un altro studioso (Faerno), che vi avrebbe a sua volta lavorato. Ma rimane un mistero sapere se Faerno abbia compilato le sue note leggendo i fascicoli tutti insieme, già assemblati, o se piuttosto Agustín passasse all'amico i fascicoli un po' per volta e che altrettanto gradualmente il cremonese abbia compilato le sue note.
Riguardo all'attività filologica di Faerno sui poeti antichi, Vettori testimonia che già nel 1553 il cremonese si era cimentato nell'emendazione del Ennio tragico110. Tuttavia, non possiamo essere certi che già a questa altezza cronologica Faerno disponesse del Matritense e componesse le sue annotazioni, anche se credo che, al momento, nulla vieti di supporlo. Ciò di cui siamo realmente sicuri, grazie alle testimonianze epistolari, è che Faerno ebbe in mano i frammenti degli autori antichi nel periodo compreso tra l'ottobre 1558 e il marzo 1559111, per cui gli interventi attribuibili alla mano del cremonese potrebbero essere stati compilati proprio in questo arco di tempo.
Per quanto riguarda Agustín, il progetto di raccogliere tutti i frammenti latini di tradizione indiretta deve aver preso corpo durante lo studio dei lessicografi. Del resto, il lavoro di collazione e emendazione, che nel secondo paragrafo del presente capitolo si è detto essere già presente nel “borrador A”, sembra concentrarsi sui frammenti citati da Nonio, Festo e Varrone, e dal primo in particolare; in misura molto minore, tracce di questo tipo si riscontrano nei frammenti citati da Cicerone e Prisciano. Nel passaggio al “borrador B”, i marginalia di Nonio, Festo e Varrone si infittiscono, si aggiungono interventi anche in relazione a Prisciano e Cicerone, mentre per Macrobio cominciamo a trovare annotazioni assenti nel “borrador A”. Ne deduciamo, dunque, che la prima fase di critica del testo era incentrata sull'emendazione dei frammenti provenienti dai lessicografi, Nonio in testa, poiché proprio in merito alla tradizione di questi autori Agustín aveva acquisito una particolare competenza.
Dell'interesse e delle competenze dimostrate da Agustín verso Varrone e Festo sono 110Vettori 1553, p. 141.
111Sappiamo che Agustín li lasciò in mano a Faerno nel periodo in cui si recò ad Alife per insediarsi nella nuova sede vescovile: cfr. cap. II, par. 1.
chiara dimostrazione le edizioni del 1557 e del 1559, ma disponiamo anche di eloquenti scambi epistolari col fiorentino Lelio Torelli, che consentono di datare al 1551 l'inizio del lavoro critico sui tre lessicografi e di conoscere il metodo seguito da Agustín per emendarne i testi. Da una lettera del novembre 1551 capiamo che Agustín aveva avviato la critica del testo di Nonio, Festo e Varrone, ma che all'epoca non disponeva di buoni esemplari per la collazione della vulgata, costituita probabilmente dall'Aldina del 1513112. Possiamo, inoltre, esprimere una considerazione specifica riguardo a Festo: poiché, come si dimostrerà più avanti nel capitolo V, il “borrador A” testimonia l'impiego di un testo base diverso e migliore dell'Aldina, esso deve esser stato compilato dopo il novembre 1551, in ogni caso dopo che Agustín era entrato in possesso di un testo alternativo all'edizione veneziana, cui ancora sembra essere legato secondo quanto leggiamo nella lettera a Torelli.
Torelli, però, non esaudì le richieste avanzate da Agustín, come dimostra la lettera che egli scrisse al fiorentino il 21 gennaio 1552 e nella quale pare siano stati abbandonati, o temporaneamente accantonati, i progetti di ricerca su Festo e Nonio, ed Agustín sembra essersi concentrato sull'emendazione del solo Varrone. Egli afferma di poter contare sull'aiuto di un uomo particolarmente dotto e sulle lezioni di un codice molto antico, ma torna a sollecitare l'aiuto dell'amico, affinché sia possibile collazionare le edizioni a stampa con i manoscritti Laurenziani. Nonostante ciò, richiede espressamente altri libri per il suo lavoro di collazione, ma alle richieste delle due lettere di Agustín, Torelli sembra non poter assolvere113.
Quale può essere il rapporto tra le tracce di collazione già presenti nel “borrador A” e queste testimonianze epistolari? Probabilmente l'interesse per i frammenti e il progetto di raccoglierli maturarono proprio nel corso dello studio di Festo, Nonio e Varrone. Perciò è opportuno ritenere che Agustín abbia intrapreso la compilazione del “borrador A” dopo aver condotto a un buon livello gli studi sui lessicografi. In questa prospettiva, le varianti e le congetture già presenti nel “borrador A” potrebbero essere il frutto di un precedente lavoro di emendazione, quello inteso nelle lettere a Torelli, lavoro già concluso quando Agustín realizzò la prima fase del lavoro di raccolta: l'umanista potrebbe aver trascritto i frammenti attingendoli da un esemplare sul quale già si trovavano appuntate le varianti ricavate da un precedente lavoro di collazione tra la vulgata ed altri esemplari; insieme ai frammenti furono copiate anche le varianti. Per questo motivo è difficile ipotizzare per il “borrador A” una compilazione anteriore al 1551.
112Per evitare ripetizioni, rinvio al primo paragrafo del secondo capitolo, dove viene citata la lettera e i riferimenti bibliografici.
Nel 1559 l'interesse verso la ricerca di esemplari di Nonio, Festo e Varrone non sembra essersi esaurito, dal momento che Agustín, in una lettera scritta a Orsini da Napoli, il 3 marzo, racconta con grande eccitazione: “Ho trovato una brava libraria qui in Napoli in San Gioanni di Carbonara monastero di frati di Santagostino tutta delli libri del Pierio ed del Seripando, infiniti libri di humanita greci et latini […] cosa degnissima da venir a star qua doi mesi, et non far altro.Varroni, Festi et Nonii molti [...]”114.
Ancora più tardi, Agustín “scontrò” un esemplare di Nonio durante il Concilio di Trento, come egli racconta in una lettera a Orsini, scritta l'11 aprile 1567: “Del Nonio fù vero che in Trento scontrai uno antiquo mandatomi da M. Pietro Vittorio115; non era troppo antiquo, ne troppo buono, pure ci fù guadagno per non haver visto di meglio”116.
A quale scopo, negli anni 1561-1563, Agustín ha collazionato il testo di Nonio, dopo aver già raccolto e studiato manoscritti noniani? Come avrà messo a frutto il “guadagno” che dice di aver ricavato da quel testo, che tuttavia non era particolarmente antico, né autorevole? Possiamo pensare che a questa esperienza di lavoro siano riconducibili alcuni marginalia del nostro manoscritto? È difficile rispondere con certezza, ma senza dubbio siamo di fronte a una testimonianza che indica una traccia da seguire per chi voglia indagare le fasi di lavoro dei Matr. 7901-7902 e i materiali utilizzati da Agustín.
Per il momento, possiamo stabilire che la compilazione del “borrador A” difficilmente può essere avvenuta in un periodo anteriore al novembre 1551, quando Agustín appare impegnato nella critica di Nonio, Festo e Varrone, ma sembra ancora sprovvisto di quegli esemplari (talvolta validi) di cui reca traccia il “borrador A”117.
Altri indizi utili per determinare la cronologia della composizione dei codici emergono dal confronto con le opere edite da Agustín, come il De lingua Latina di Varrone118.
Da quando Lunelli ha pubblicato nel 1978 il suo articolo sui Fragmenta Latinorum poetarum, la data di pubblicazione del De lingua Latina è considerata il terminus ante per la compilazione dei Matr. 7901-7902, poiché le citazioni di Varrone avvengono ancora secondo l'Aldina del 1513 e non in base all'edizione del 1557. A ciò si può aggiungere che alcune emendazioni, avanzate nella suddetta edizione, non sono contemplate nella raccolta di frammenti, perché probabilmente non erano ancora maturate119.
114O.O. 1765-1774 (vol. VII p. 247).
115Agustín fu a Trento dal 5 ottobre 1561 fino al termine del Concilio. 116O.O. 1765-1774 (vol. VII p. 248).
117A questo aspetto ho riservato buona parte del capitolo V, cui rinvio per una discussione più precisa e dettagliata.
118Agustín 1557.
119Si veda il caso, ad esempio, dell'emendazione fuat, proposta in luogo della lezione fiat dell'Aldina 1513: il passo in questione si trova in 31.5 dell'edizione del De lingua Latina del 1557 e l'emendazione viene
Un altro dato interessante è offerto da quei frammenti che nei Matr. 7901-7902 testimoniano l'avvio di un processo di critica testuale che sembra trovare forma definitiva nell'edizione del 1557. Ad esempio, nel Matr. 7902 ( f. 398r.) Agustín riporta tra gli incerta di Nevio il frammento Expirante vapore vides, unde ignis cluet mortalib. divis, aggiungendo tra i marginalia la variante ignes per ignis e divus per divis. Ai ff. 412v.-413r. Nelle sue annotazioni, Faerno commenta (ff. 412v.-413r.): “Expirante vapore vides) principium heroici, quae vero sequuntur, omnia corrupta sunt, et legendum unde ignis lucet mortalibus clam divisus qui est heroicus citatus a Cicerone lib.II Tusc.quaest. Ubi nos pulchre emendavimus alium heroicum, et verba Ciceronis hoc modo, unde ignis lucet mortalibus clam divisus eum Prometheus dictus clepse dolo, poenasque Iovi expendisse supremo”.
Ecco, invece, la constitutio textus proposta nell'edizione del 1557: Naevius120: Expirante vapore vides unde ignes cluet mortalibus diveis.
Nei Dubia et varia il passo viene così commentato: “Naevius: Expirante vapore vides unde ignes cluet mortalibus diveis) expirante vapore videmus. Unde ignis lucet mortalibus clam divisus: ex Cic.lib.IITusc.Gabriel Faernus, qui pleraque alia, emendabat”. Si noterà che l''emendazione di Faerno è esattamente la stessa avanzata nelle sue note metrico- testuali agli incerta di Nevio121.
Come abbiamo visto, quando Agustín ha trascritto il passo nel Matr. 7902 (f. 398r.), inserendolo erroneamente tra i frammenti di Nevio a causa della corruzione di nemus in Naevius, non ha tenuto conto dell'emendazione di Faerno presente nell'edizione varroniana, come del resto testimonia il fatto che il cremonese abbia dovuto avanzarla nelle sue note, dove essa viene discussa in maniera piuttosto diffusa.
Se, in base a testimonanze epistolari, sappiamo che nel 1558-1559 (ovvero dopo il avanzata tra i Dubia et varia della stessa. L'emendazione è assente nel Matr. 7901, sia nel “borrador B” (f. 55r.), più recente, sia nel “borrador A” (f. 80r.), sia nelle note del Faerno (f. 93v.). Lo stesso possiamo affermare per l'emendazione scrupeam, nel Menalippa.
120Il frammento è citato e commentato nel paragrafo 4. c) del primo capitolo, cui rinvio.
121Lo stesso ragionamento fu adottato da Adrien Turnèbe (1512-1565); non sembra possibile, tuttavia, datare con precisione l'anno in cui la sua emendazione fu avanzata, poiché l'opera che contiene tale contributo, ovvero Adriani Turnebi commentarii et emendationes in libros M. Varronis De lingua Latina (Henri Estienne 1566, ma da me consultati in Turnèbe 1573), fu pubblicata postuma grazie all'interessamento dei figli. Nel commento leggiamo: “UNDE IGNIS] Tusculana ita scribitur, […], unde ignis lucet mortalibus clam divisus? Ex eo Ciceronis loco Varronem emendandum censeo, in eoque legendum, Lucet mortalibus clam divisus non: (ut vulgo) Mortalibus divis”.
Entrambe le emendazioni,quella di Turnèbe e quella di Faerno, sembrano essere nate in maniera indipendente l'una dall'altra: del resto, quando Agustín pubblicò la sua edizione di Varrone (1557), i Commentarii di Turnèbe non erano ancora stati pubblicati, né disponiamo di riferimenti che possano testimoniare un contatto informale tra Agustín e Faerno da un lato, Turnèbe dall'altro; viceversa, l'assenza di cenni nel commento dell'umanista francese lascia intendere che egli non avesse contezza delle emendazioni di Faerno.
1557, anno dell'edizione di Varrone) Faerno aveva in mano i frammenti di autori antichi, perché, mentre rammenta la sua emendazione alle Tusculanae (“ubi nos pulchre emendavimus alium heroicum, et verba Ciceronis”), non fa riferimento anche all'edizione del De lingua Latina, dove era già presente la sua emendazione a Varrone? Non sarebbe da escludere, allora, che Faerno avesse compilato le sue note in momenti diversi, anche precedenti al 1559, e non tutte insieme. Al momento, l'unico dato certo sul periodo in cui Faerno ha avuto in mano i codici è la testimonianza offerta dalla lettera del 3 marzo 1559.
Per concludere il confronto con Varrone, possiamo affermare che il “borrador A” e la prima mano del “borrador B” sembrano esser stati compilati prima della definizione del testo varroniano pubblicato nel 1557. Per quanto riguarda le note del Faerno, quelle relative alla parte discussa sono state sicuramente scritte dopo l'emendazione del passo delle Tusculane, ma poiché anche la sezione compilata da Faerno non è esente da variazioni di tratto e d'inchiostro e la parte relativa ad ogni autore (o gruppi di autori) sembra costituire fascicolo a sé , non possiamo escludere la possibilità che anch'essa sia stata compilata in periodi diversi: se l'annotazione relativa agli incerta di Nevio sembra indicare una compilazione antecedente al 1557, la testimonianza epistolare del 3 marzo 1559 attesta senz'ombra di dubbio che a quell'epoca i frammenti erano in mano del Faerno, e forse fin dall'ottobre dell'anno precedente.
Riguardo all'edizione di Varrone, poi, sussiste un problema di datazione non indifferente: esistono, infatti, testimonianze riguardo a un'edizione, di tiratura limitatissima, pubblicata, a quanto pare122, “apud Vincentium Luchinum” nel 1554; tuttavia, l'epistolario di Agustín da un lato, le informazioni riguardanti l'attività tipografica di Visconti dall'altro, hanno indotto alcuni studiosi, tra i quali Hernández Miguel, a ritenere che solo l'edizione del 1557 sia autentica123. Da ultimo, però, Alcina Rovira ha rimarcato l'esistenza in Italia di almeno cinque esemplari dell'edizione del 1554, suggerendo di riconsiderarne l'autenticità e la diversità rispetto a quella del 1557, che presenta un'ampia introduzione e indici124.
Pertanto, per quanto riguarda il rapporto con l'edizione di Varrone sembra essere più prudente, come si è fatto in questa sede, adottare il 1557 come terminus ante quem per la 122Lunelli 1978.
123Hernández Miguel 1997.
124Alcina 2008, p. 37 n. 18. L'edizione del 1554 (Romae: V. Luchino 1554) è in sedicesimo, mentre quella del 1557 in ottavo. Riguardo poi al fatto che Luchino non disponesse di una propria tipografia, e che l'edizione del 1557 rechi nel colofone il nome del tipografo Antonio Blado, Alcina afferma che Luchino era un editore legato a circoli spagnoli di Roma e che pubblicò anche alcune opere di devozione in castigliano tra le quali Perla preciosissima (1559); forse per questo motivo Agustín entrò in contatto con lui.
compilazione del “borrador A”, considerando con la dovuta cautela il dato dell'edizione del 1554.
Anche l'Alveolus può offrire qualche riferimento utile. Secondo Miralles Maldonado, il 1554 potrebbe comunque essere un plausibile terminus ante quem per la compilazione del matritense, poiché l'Alveolus, che in base alla ricostruzione di Flores è stato composto in gran parte intorno al 1554125, contiene chiare allusioni ai poeti raccolti nei Matr. 7901- 7902. Miralles reca la testimonianza del passo citato a p. 15 dell'Alveolus, nel quale Agustín dichiara: “Sic emendarem locum Nonii Marcelli (1248.9) Laberius paupertate. Visus ac nocte bidentis propter viam facere: Laberius in paupere. Visus hac nocte bidentis proterviam facere””; questa stessa congettura è attestata in Matr. 7902 f. 601r.126. Tuttavia, bisogna riconoscere che emendarem è un'espressione connotata dalla possibilità, e non dalla certezza, che l'emendazione sia avvenuta: non è da escludersi, dunque, che sia l'emendazione del Matr. 7902 a presupporre quella dell'Alveolus.
Inoltre, Flores sottolinea che la maggior parte del trattato è stata scritta intorno al 1554, ma che all'interno dello stesso vi sono dati che presuppongono la missione diplomatica di Agustín a Londra (1555), che alludono alla preparazione dell'edizione di Festo, intrapresa al ritorno dall'Inghilterra, ad eventi legati alla figura di Panvinio che si sono realizzati dopo il 1558. Altre note ancora risalirebbero ad un periodo posteriore al rientro in Spagna (1564)127.
Del resto, come evidenzia lo stesso Miralles Maldonado128, non possiamo ricondurre la compilazione dei manoscritti ad una sola datazione: i codici sono composti da piccoli quaderni sottoposti a continue revisioni e ampliati nel corso del tempo. Questo carattere aperto e incompiuto ci impedisce di stabilire un'unica data precisa per la sua composizione; anzi, ce lo vieta del tutto.
Infine, alcune informazioni possono essere ricavate dal confronto tra il Matritense e l'edizione del De verborum significatione di Festo, pubblicato nel 1559129. Nella praefatio Agustín dichiara le fonti da lui utilizzate: oltre all'Aldina del 1513 e a un libro di Maffei, più ricco dell'Aldina e contenente sia l'epitome di Paolo Diacono, sia il testo di Festo, egli
125Le argomentazioni di Flores 1982 sono le seguenti: l'Alveolus allude a lettere scritte da Juan de Arce tra il 1551 e il 1554; in esso risultano già deceduti Erasmo, Aldo Manuzio, Paolo III, Paolo Giovio, Alciato, etc.; Sirleto non è ancora stato nominato cardinale; Francisco Torres si trova già a Roma; si parla di Giulio III (1550-1555) come ancora vivo; figurano contemporaneamente vivi Carlo V e Enrico II di Francia, che sale al trono nel 1554-1555.
126Miralles 1994, p. 119. 127Flores 1982, pp. 10-11. 128Miralles 1994, pp. 118 sgg. 129Agustín 1559.
afferma di aver utilizzato anche “hoc monumentum antiquitatis, ex locupletissima bibliotheca amplissimi viri Rainutij Farnesij Cardinalis, cui [...] a Michaele Silvio Cardinali ex testamento relictum est”. Il codice in questione è il cosiddetto codex Farnesianus, F per gli editori di Festo di cui costituisce l'unico testimone diretto; il codice (XI secolo) fu riscoperto alla fine del XV secolo da Manilius Rhalles ed è tutt'oggi conservato nella Biblioteca Nazionale di Napoli (IV.A.3)130. Il cardinale di origine portoghese Miguel da Silva, che evidentemente era entrato in possesso del codice, morì il 5 giugno 1556 e la presenza del codice nella biblioteca di Ranuccio Farnese, di cui Fulvio Orsini fu segretario e bibliotecario131, potrebbe averne reso più semplice la consultazione da parte di Agustín. Nell'edizione del 1559, alcune lezioni che dai moderni editori apprendo essere del Farnesianum si trovano adottate direttamente nel testo, in sostituzione della vulgata aldina; spesso, tra i marginalia incontriamo varianti accompagnate dal siglum “v.c.” (“vetus codex”), che, sulla base degli strumenti dichiarati dallo stesso Agustín nella prefazione e della coincidenza con le lezioni di F, testimoniate dai moderni editori, è ragionevole associare al fragmentum Farnesianum. Così come abbiamo messo a confronto il testo delle citazioni varroniane dei Matr. 7901-7902 con quello dell'edizione del 1557, è opportuno fare altrettanto per quanto riguarda le citazioni di Festo. Limitatamente ai frammenti acciani di cui mi sto occupando, bisogna rilevare che Agustín non ha annotato la lezione setius, al posto del vulgato secius (Fest. 462, 10 [Acc. Amphitruo 93 Ribbeck]), attestata, secondo l'edizione del 1559, dal vetus codex ( “v.c.” ), né peti gnata (Fest. 174, 1 [Acc. Oenomaus 504 Ribbeck]), indicata da Lindsay come lezione di F. Queste lezioni non sono presenti neppure in una seconda fase della collazione dei Fragmenta, ma compaiono solo nell'edizione di Festo.
Sulla base di questi primi dati, potremmo pensare che Agustín abbia disposto del Farnesiano per l'edizione di Festo, ma non per il Matr. 7901. Le prime testimonianze circa l'impiego del codice sono costituite da una lettera di Faerno a Panvinio del 4 giugno 1558132, ma, dal momento che il cardinale Michele Silvio morì nel giugno 1556, è possibile che Agustín ne conoscesse il contenuto già in precedenza, essendo Ranuccio Farnese, l'erede del codice, un personaggio con cui egli ebbe stretti rapporti.
130Moscadi 2001.
131Fu alla morte di Ranuccio (1565) che Orsini diventò segretario e bibliotecario del fratello, Alessandro. 132Ceretti 1953, p. 325: “Quanto al Sexto Pompeio mio, scritto a penna già lo ha avuto il Fiordebello, senza
havermi detto chel volesse il libro per mandarlo fuor di Roma, del che però mi contento poi che è per servitio del Sigone; di quell'altro antico del Cardinal S.Angelo [Ranuccio Farnese], a me non par poterne honestamente far opera, sapendo che già Mons. Antonio Augustino vi ha incominciato sopra una gran fatica, et se el non l'havesse finita, come non creddo, el la potria finire hora che è ritornato dalla sua legatione [in Germania], massime questa estate che sarà vacante”.
In uno dei casi sopra citati, Faerno corregge il vulgato secius in serius, ma sembra anch'egli ignorare la lezione setius del Farnesianum. Riguardo alla natura di questa correzione, vediamo le parole con cui il cremonese accompagna l'emendazione nelle sue note (Matr. 7901 f. 79r.): “Si forte paulo) senarius in quo forte legendum est veniam serius”. L'emendazione sembrerebbe, dunque, avanzata per congettura; tuttavia il fatto che