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Descrizione dei Matr 7901-7902

8. Mani e fasi del lavoro

Si è già detto che il “borrador A” dovrebbe essere testimone della fase più antica del lavoro e che è anche la più omogenea dal punto di vista della mano del copista, ovvero di Agustín. Inoltre, le varianti marginali e interlineari di Nonio, per quanto sia molto rischioso avanzare affermazioni precise, sembrano riconducibili quasi esclusivamente alla stessa mano che ha trascritto il frammento in relazione al quale esse sono appuntate: ciò sembra implicare che Agustín trascriveva i frammenti da un esemplare sul quale si trovavano già appuntate le varianti e le sue emendazioni. Nel caso di Varrone, invece, le varianti sembrano esser state scritte da una seconda mano, il che induce a supporre che, nel momento in cui egli ha compilato il borrador A, non disponesse di ulteriori testi, o almeno di testi a suo giudizio migliori, rispetto all'Aldina impiegata come testo base. Riguardo a Festo, non abbiamo alcun intervento testuale aggiunto da una mano successiva alla prima.

Omogenea è anche la sezione compilata dal Faerno, al di là delle differenze relative al tipo di calamo ed al colore dell'inchiostro.

Il “borrador B”, invece, ha un aspetto più vario e vi si nota molto facilmente la presenza di tre mani di Agustín. Una prima mano, di modulo medio-grande, ductus tendenzialmente posato, rispettosa della direzione delle linee e con calamo medio-grosso, ha trascritto la totalità dei frammenti e delle annotazioni già presenti nel “borrador A”. Con una seconda mano, caratterizzata da un calamo più fine, da un inchiostro più chiaro e da un modulo piccolo, ha vergato i riferimenti bibliografici ai passi di Nonio e alcuni marginalia, assenti, sembrerebbe, nel “borrador A”; questa stessa mano, però, sembra anche aver aggiunto cose dimenticate dalla prima: ad esempio frammenti presenti nel “borrador A”, come il Quapropter edulcare conuenit uitam, plurasq. acerbas senibus gubernasse tra gli Incerta Attij (f. 76r.)135. Alla medesima mano (o ad una terza?) sembrano da attribuire alcune congetture accompagnate dal siglum “forte”, le quali presentano una particolare coincidenza con congetture avanzate da Iunius nella sua edizione di Nonio. È il caso, per fare uno dei vari esempi che si possono riscontrare nell'apparato critico delle tragedie, della congettura forte Troiae che leggiamo negli Antenoridae. Potremmo, dunque, ipotizzare che Agustín abbia attinto la variante proprio dall'edizione di Iunius e che pertanto la seconda mano debba aver lavorato dopo il 1565. Può essere individuata anche una terza mano, che ha aggiunto ulteriori marginalia, caratterizzata sempre da un modulo piccolo, come la seconda, ma rispetto alla quale si distingue per l'inchiostro sbiadito e per la tendenza a 135Si tratta in realtà di un frammento di Mazio: cfr. appendice I.

scrivere in spazi del foglio che sembrano esser stati lasciati liberi dalle mani precedenti. Sia la seconda che la terza mano hanno aggiunto frammenti alle liste già compilate per le singole tragedie: si tratta di frammenti che non si trovano nel “borrador A”.

Nel “borrador B”, possiamo riconoscere anche tracce evidenti della mano del Faerno, piuttosto frequenti in entrambi i codici: ciò significa che i Matr. 7901-7902 sono l'esemplare che il cremonese ha avuto a disposizione per le sue analisi; ciò significa anche che il nucleo di base del “borrador B” è stato compilato prima che Faerno avesse in mano la raccolta, che le testimonianze epistolari sembrano suggerire essergli stata affidata da Agustín prima della partenza per la sede episcopale di Alife nell'ottobre 1558. La mano del Faerno, però, sembra precedere gli interventi riconducibili alla seconda mano di Agustín: ad esempio, nei casi in cui Faerno ha annotato un suo intervento riempiendo la parte centrale del margine, Agustín ha scritto nell'interlinea i riferimenti bibliografici all'Aldina di Nonio, mentre vengono solitamente appuntati negli spazi liberi a margine dei versi. Osservando il manoscritto, si ha l'impressione che, quando tali riferimenti sono scritti nell'interlinea o in coda al verso cui sono riferiti, è perché i margini corrispondenti erano già occupati da qualche cosa: in questo caso, dalle annotazioni di Faerno. Un altro dato interessante risiede in Matr. 7901 f. 62r.: l'emendazione

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horreret è stata scritta a margine da Faerno; il segno

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che l'accompagna è incompatibile col tratto di Faerno che ha scritto horreret e sembra piuttosto riconducibile ad una mano di Agustín successiva alla prima. Può, dunque, trattarsi di un dato importante in grado di testimoniare un lavoro di revisione praticato da Agustín sul “borrador B” dopo la stesura delle note di Faerno. Coerente con questo dato potrebbe essere la situazione offerta dal Vat.lat. 3441, che sembra riflettere la prima mano del “borrador B”, senza gli interventi di Faerno136.

Se per il “borrador A” è ragionevole pensare al 1557 come terminus ante quem, per il “borrador B” è opportuno immaginare che esso sia stato realizzato nel suo impianto originario prima della partenza di Agustín per Alife, tenendo conto delle considerazioni espresse sopra in merito alla datazione dell'edizione di Varrone e alla disponibilità del fragmentum Farnesianum.

Proviamo, a questo punto, a capire in quali momenti della sua attività filologica Agustín si sia dedicato alla raccolta dei frammenti.

Gli scambi epistolari tra Agustín, Faerno, Orsini e Sigonio, avvenuti tra il 1559 e il 1560 quando Agustín si trovava dapprima ad Alife, poi in Sicilia, testimoniano che la

raccolta aveva già preso forma e che in quel periodo passò nelle mani del Faerno (ottobre 1558-marzo 1559), di Orsini (marzo/aprile 1559), di Sigonio e forse anche di Achille Stazio.

A questa altezza cronologica, la raccolta doveva contenere ciò che Agustín aveva scritto di prima mano, poiché alcuni frammenti, aggiunti nel “borrador B” dalla seconda mano, non sono stati analizzati dal Faerno; che tale omissione non sia voluta è testimoniato dal fatto che a margine di questi frammenti manca la croce attraverso la quale il cremonese è solito segnalare l'assenza, nelle sue note, di un determinato frammento.

Nell'estate del 1561 abbiamo una testimonianza epistolare, già menzionata, che attesta la ripresa del lavoro, realizzato mediante l'aiuto di Giulio Poggiani e don Lorenzo Gambara: non sappiamo però in cosa consistesse questo tipo di lavoro, ma è tuttavia ragionevole supporre che esso possa aver prodotto tracce manoscritte sui codici, e che a questo periodo risalgano alcuni interventi di una mano successiva alla prima.

Una mano molto veloce, corsiva, quella che ho ipotizzato come terza, che impiega un calamo molto fine, ma sempre appartenente ad Agustín, ha aggiunto qua e là dei frammenti, utilizzando gli spazi bianchi avanzati in coda alle sezioni già compilate; gli interventi da essa vergati si distinguono chiaramente rispetto a quelli delle altre mani poiché variano sensibilmente la direzione delle linee. Sono, inoltre, poco numerosi e appaiono ben lontani dal costituire un insieme cospicuo che possa essere ricondotto ad una determinata fase di interrotto lavoro sul testo. In definitiva, essi hanno l'aspetto di aggiunte estemporanee rispetto ad un corpus che si era costituito in almeno due fasi di lavoro nettamente riconoscibili. Ragguagli intorno a questa tipologia di integrazioni possono giungere mediante il raffronto tra uno di questi interventi e una testimonianza epistolare.

In una lettera del 18 marzo 1567, scritta da Orsini a Agustín, che in quel momento si trovava a Lérida da tre anni, leggiamo: “Due cose desidero sapere da V.S.R.: le qualità di quel Nonio à penna ch'ella mi scrisse già hauer ueduto in Venezia ò padoua, et appresso à chi era: et che autore è quel che lei hà sopra Virgilio, di scrittura molto antica, ma piccolo libro, secondo ch'el Statio mi dice. Io hò un Porphyrione di più di 700 anni di scrittura, dal quale hò cauato infinite correttioni; et V.S.R. auuerta che in quel uerso, Tarentinorum hortorum qui geris odores, che ne li stampati è sotto nome di Titurio, in questo mio à penna, dice Titinnio”137. Nel Matr. 7902 f. 552v., quella mano di Agustín, dal tratto obliquo, fine e corsivo, che abbiamo or ora descritto, aggiunge dopo l'ultimo frammento degli Incerta di Titinio: “Incerta carmina. (Tarentinorum) hortorum qui geris odores”; e sul 137Wickersham 1913.

margine sinistro scrive: “at. Titurius. Porphyr. 2.6. carmin. v.c. Titin.”. Non possiamo non pensare che questa aggiunta sia stata realizzata dopo aver appreso l'informazione comunicata per lettera da Orsini, e quindi che il lavoro sui frammenti antichi era in corso ancora nel 1567, anche se ormai si ha l'impressione che si limiti adesso a qualche aggiunta e non sia più sistematico come doveva esser stato negli anni Cinquanta.

Per concludere, se la raccolta raggiunse probabilmente una forma ordinata prima dell'ottobre 1558, è innegabile la presenza al suo interno di elementi che inquadrano l'opera come un lavoro mai terminato, protrattosi anche dopo il rientro di Agustin in Spagna, per quanto in questa fase della sua vita e della sua attività intellettuale egli non sembra aver condotto un lavoro sistematico e continuativo, diversamente da quanto rivela la natura degli interventi che caratterizzano la tappa italiana dell'arcivescovo. Infine, la coincidenza tra alcune congetture scritte dalla seconda mano e medesime emendazioni proposte da Iunius nella sua edizione di Nonio lascerebbe pensare che la seconda mano di Agustín risalga ad un periodo successivo al 1565, anno della pubblicazione dell'edizione di Iunius.