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Le tragedie di Accio nei "Veterum scriptorum fragmenta" di Antonio Agustín e Gabriele Faerno (Matr. 7901, ff. 49-107)

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INTRODUZIONE

«Melius opus imperfectum scribere quam perfectum somniare»

Gli studiosi della tragedia latina in frammenti dispongono di importanti edizioni pubblicate nel corso del XX secolo1; a ciò si aggiunga che negli ultimi due decenni, Accio e Pacuvio, in particolare, sono stati oggetto di numerosi e rilevanti lavori2. Ciò nonostante, risultano ancora fondamentali le edizioni ottocentesche di Ribbeck3, che furono realizzate anche grazie all'esempio dei Poeti scenici Latinorum di Bothe4.

Le edizioni di Ribbeck rappresentano il livello massimo di un'attività esegetica cominciata sul finire del XVI secolo: il primo studio dedicato specificamente al genere tragico è il Syntagma Tragoediae Latinae di Martín Antonio Delrío (Antverpiae 1593)5, la prima parte del quale è dedicata ai Fragmenta veterum tragicorum, la seconda alle tragedie di Seneca.

A distanza di trent'anni, videro la luce i Petri Scriverii Collectanea veterum tragicorum, Livii Andronici, Q. Ennii, Cn. Naevii, M. Pacuvii, L. Attii, aliorumque fragmenta; et circa ipsa Notae breves. Quibus accedunt singulari libello Castigationes et Notae uberiores Gerardi Ioannis Vossii, Lugduni Batavorum:apud Iohannem Maire MDCXX, che, come osservò Bothe nella praefatio alla sua edizione dei tragici, costituiscono l'unico esempio degno di nota per i secoli XVII e XVIII, prima della rinascita del XIX secolo.

Tuttavia, la storia moderna della tradizione dei tragici latini inizia qualche decennio prima rispetto alla pubblicazione del Syntagma di Delrío, quando nel 1564 Henri Estienne diede alle stampe i Fragmenta poetarum veterum Latinorum quorum opera non extant6, una raccolta che riuniva, senza distinzione di genere, tutti i frammenti poetici latini noti fino ad allora. L'opera era stata concepita ed in parte realizzata dal padre Robert, il quale, però, morì nel 1558; fu, dunque, Henri a completare il progetto ed a conseguire il primato

1 Per Accio: Franchella 1968; D'Antò 1980; Dangel 1995. Per Pacuvio: D'Anna 1967; Schierl 2006. Per Ennio: Jocelyn 1967. Per Nevio: Mariotti 1955. Per Livio: Lenchantin 1937; Mariotti 1952.

2 Cfr. Faller-Manuwald 2002; Manuwald 2003; Artigas 1990; Dangel 1995 e in generale tutti i suoi studi citati nell'edizione di Accio; Scafoglio 2006; Baldarelli 2004; Schierl 2006; Castagna 2003.

3 Ribbeck 1852-1855, 1871-1872, 1897-1898.

4 Bothe 1834; quinto dei sei volumi dei Poetae scenici Latinorum.

5 Da me consultato nella ristampa parigina Delrío 1620, p. 93 Fragmenta veterum tragicorum Livi Andronici, Ennii, Pacuvii, Accii, et aliorum, desumpta ex Apuleio, Auct. libb. ad Henn. D. Augustino, Capro, Carisio, Censorino, Cicerone, Diomede, Donato, Fabio Quinct., Festo, Fulgentio, Gellio, D. Isidoro, Macrobio, Nonio, Prisciano, Probo, Ruffino, Seneca, Servio, Terentiano, Tertulliano, Varrone, Victorino, Veteru Commentatore Persij et Iuvenalis.

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nella pubblicazione dell'editio princeps dei poeti latini in frammenti.

Molti studiosi hanno notato che l’opera si caratterizza per l'importanza storica piuttosto che filologica: si tratta, infatti, del primo tentativo di raccogliere e ricomporre testi poetici latini, e arcaici in particolare, esclusi dalla tradizione diretta7. Così si pronuncia Barchiesi nel descrivere sinteticamente i limiti dell'opera: “Il criterio che lo stesso Enrico ha formulato altrove, della relligio in tractandis veterum scriptorum suspectis locis, riferito ai Fragmenta assume talora l'aspetto di una giustificazione della propria passività, senza contare che alcuni errori richiamano alla mente il de Stephani libris valde dubito del Breitenbach […] Gli errori di attribuzione [...] appariranno inevitabili, se è vero che in buona parte si sono perpetuati per due o tre secoli [...] Abbiamo voluto rammentare che dir male dei Fragmenta è oggi troppo facile, per non essere ingiusto”8.

I Fragmenta poetarum sono articolati in tre parti: la prima è dedicata ai poeti di età repubblicana (in particolare tragici, comici e Lucilio); la seconda è riservata ai frammenti di autore incerto; nella terza parte, infine, sono raccolti i frammenti dei poeti di età imperiale, con qualche eccezione costituita da poeti di età precedente9. Riguardo al genere letterario, è una raccolta piuttosto eterogenea: i poeti rappresentati sono indifferentemente scenici, satirici, elegiaci, epici10. All'interno di questa varietà il titolo rivela una speciale attenzione verso i primi secoli della letteratura latina: per esemplificare sinteticamente il contenuto del libro, Estienne segnala Ennio, Pacuvio, Accio, Afranio, Lucilio, Nevio, Laberio, Cecilio Stazio; egli evidenzia inoltre che i frammenti saranno illustrati con la spiegazione dei “termini arcaici” che si incontreranno nei frammenti (priscarum quae in illis sunt vocum expositione). La sezione relativa a quelli che oggi definiremmo incerta (pp. 367-389) riguarda autori di età arcaica e, sebbene il titolo non dica niente al riguardo, i frammenti che vi sono citati sono quasi esclusivamente frammenti tragici.

Negli stessi anni in cui Robert e Henri Estienne preparavano la loro raccolta, o forse ancor prima, un altro grande umanista del XVI secolo, Antonio Agustín, con il contributo 7 Barchiesi 1962, pp. 1 sgg.; pp. 171 sgg.; Barchiesi 1978, p. 70.

8 Barchiesi 1978, pp. 171-172.

9 p. 5: Fragmenta poetarum veterum. Alphabeti ordine tam in nominibus poetarum, quam ipsorum poematum, servato (Accio, Afranio, Cecilio, Ennio, Furio, Laberio, Livio Andronico, Lucilio, Nevio, Pacuvio, L. Pomponio, P. Pomponio Secundo, Publio Syro, Titinnio, Turpilio, M. Ter. Varrone, Varrone Atacino); p. 367: Alii antiquorum poetarum loci, sed non adscriptis eorum nominibus; p. 390: Fragmenta aliorum poetarum, qui (praeter paucos) sunt praecedentibus aetate posteriores (Valerio Edituo, Albino, Alfeo Avito, Petronio, Cesio Basso, Furio Bibaculo, Licinio Calvo, Catulo, Cinna, Asinio Gallo, Cornelio Gallo, Getulico, Laurea Tullio, Porcio Licinio, Macro, Marso, Mazio, Pedone Albinovano, Settimio, Aulo Sereno, Cornelio Severo, Svevio, Ticida, Trabea, Tito Valgio, Vario). Ho sottolineato ciò che è assente nella raccolta di Agustín.

10 La specializzazione, come abbiamo visto, seguirà di lì a poco, quando cioè si determinerà la percezione che all'interno della categoria generica dei frammenti poetici sono presenti diversi generi che possono essere trattati mediante uno specifico percorso esegetico: cfr. Dionisotti 1997, p. 2.

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fondamentale del filologo e metricologo Gabriele Faerno e la collaborazione di altri studiosi legati alla curia romana (Fulvio Orsini, Onofrio Panvinio, Ottavio Pantagatho, Achille Stazio), si stava cimentando in un'impresa molto simile, che, però, non divenne mai un'edizione a stampa ed è tuttora pubblicata solo in parte11: di questa impresa rimane oggi la raccolta di frammenti contenuta nei manoscritti 7901 e 7902 della Biblioteca Nacional di Madrid. Tuttavia, sebbene la raccolta fosse già menzionata tra le opere inedite di Agustín nella Laudatio funebris di Andreas Schott12, la natura manoscritta ed incompiuta l'ha resa debole di fronte alla potenza dell'editio princeps e l'ha destinata a secoli di oblio.

Eppure la raccolta di Agustín si distingue molto rispetto a quella di Estienne, quasi fosse figlia di un'epoca più matura sul piano filologico; è, infatti, un lavoro compiuto seguendo un metodo, sicuramente imperfetto, ma già ancorato a tre fondamentali pilastri: attenzione al contesto in cui i frammenti vengono citati, attraverso la ricerca e l'analisi puntuale del maggior numero possibile di fonti e testimoni; critica del testo attraverso la collazione dei manoscritti; competenza metrica. Senza dubbio alcuni di questi aspetti sono presenti anche nell'edizione di Estienne, ma non dimostrano la stessa sistematicità e lo stesso scrupolo filologico; la metrica, poi, vi è del tutto trascurata, così come nei successivi Syntagma di Delrío. Il profilo dei Matr. 7901-7902, insomma, non è quello di una semplice raccolta, piuttosto di un lavoro preparatorio ad un'edizione corredata dalle castigationes di Faerno, che avrebbero contribuito ad emendare il testo stabilito da Agustín attraverso lo studio della metrica; non sarà superfluo sottolineare che, per vedere attuato un progetto simile, bisogna attendere i Collectanea di Schrijver e Voss, pubblicati nel 1620.

Un altro elemento di diversità rispetto all'edizione di Estienne è l'idea originaria. Agustín non sembra avere in mente una raccolta di soli frammenti poetici, ma asprirare ad una monumentale collezione di Veterum scriptorum fragmenta, come recita il titolo (non originale) impresso su un tassello del dorso di entrambi i codici. Agustín non considerò soltanto i poeti, ma aggiunse storiografi ed oratori, tanto che per i Matr. 7901-7902 si è parlato di bozza non di una, ma di varie edizioni13. Se consideriamo che vi comparivano anche i Fragmenta Ciceronis e i Fragmenta Historicorum che Agustín donò gli uni a

11 Cfr. per Pomponio: Miralles 1993; per Lucilio: Miralles 1994 e 1996; per Turpilio: Miralles 2005; per Pacuvio: Artigas 1996.

12 Pubblicata ad Anversa nel 1586, ma consultabile più facilmente nel primo volume degli O.O. 1765-1774. Cfr. Miralles 2008.

13 Gallardo 1983 è stata la prima a parlare di “borrador de una o varias ediciones de fragmenta”, ipotizzando che Agustín stesse lavorando a un'edizione di frammenti storici, poi effettivamente pubblicata da Orsini nel 1595, e ad una di poeti, rimasta invece inedita. Nella raccolta erano presenti anche frammenti di Cicerone che Agustín cedette a Sigonio per la sua edizione dei Fragmenta Ciceronis del 1559: su questo aspetto si discute meglio più avanti.

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Sigonio, gli altri a Orsini, capiamo che i due manoscritti rivelano l'ambizioso progetto di raccogliere, probabilmente, tutti i frammenti di età repubblicana, poetici e in prosa, anche se lo stato attuale della raccolta rivela una quantità molto maggiore di frammenti poetici rispetto a quelli in prosa. Per avere una prima idea del contenuto, di cui poi si tratterà meglio, trascrivo l'elenco degli autori presenti nei due manoscritti (gli autori sottolineati sono assenti nell'edizione di Estienne):

Matr. 7901: L. Afranii comoediae togatae; Atilius; Dossennus; Hostius; Canius; Getulicus; Flaccus; L. Attij (Tragoediae, Comoediae, Sotadicorum-Annalium-Didascalicon-Parergorum libri, Pragmatica); (Q. Lutatij) Catulus; Porcius Licinius; Licinius Imbrex ; Valerius Aedituus; Val. Soranus; Cn. Matius; Ticidas; C. Cilinius Maecenas; C. Maecenas; Aemilius Macer; Septimius Serenus; Alphius Avitius; Cincius (Alimentus); CN. Gellius; L. Calpurnius Piso; L. Cassius Hemina; Sisenna; Licinius Macer; Sempronius Asellion; L.Coelius Antipater; Q.Claudius Quadrigarius; Clodius Licinius; Claudius Acilianor; C. Iulius Caesar Dictator; M.Terentius Varro.

Matr. 7902: Naevius (Bellum Punicum; Cypria; Ilias; Erotopegnion; Nomina fabularum); Pacuvius (Pacuvii tragoediae; Epigramma; Erotopaegnion); Pollio; Asinius Pollio; C.Asinius Gallus sive C.Cornelius Gallus; L.Pomponij Atellanae; P.Pomponij Secundi (Tragoediae, Incerta; Ad Trabeam); P.Ovidij Nasonis (Tragoediae; Phaenomena; Epigrammata; Theriaca; Halieuticon; Incerta); Q.Ennius (Euhemero; Tragoediae et Comoediae; Annales; Satyrae); Trabea comicus; Turpilij comoediae; Titiniij comoediae; Furius Antiates; Furiurs Bibaculus; Cinna; Calvus; Quinctius Atta; Memmius; Marsus; Laberius; Syrus; Varro Atacinus; M. Varronis Satyrae, Caecilius.

Anche se l'opera è da tempo citata in alcuni fondamentali repertori bibliografici14 e ne è ormai nota l'esistenza e l'importanza15, i Matr. 7901-7902 non compaiono nella bibliografia degli editori di frammenti latini16. Alcune recenti edizioni (quelle di Dangel, Artigas e Schierl) citano i manoscritti nelle rispettive prefazioni; la Dangel afferma esplicitamente di averne consultato il testo in microfilm; negli apparati e nei commenti, però, la raccolta viene raramente citata ed in linea generale è poco considerata.

Si potrebbe, dunque, pensare che il manoscritto non offra particolari contributi all'esegesi dei frammenti, ma in realtà, come per primi hanno evidenziato Lunelli e

14 Menéndez Pelayo 1950-1953 (secondo la voce degli autori latini); Kristeller 1989, p. 521.

15 Grazie soprattutto, per quanto mi è noto, ai contributi di Barchiesi, Lunelli, Gallardo, Carbonell e Miralles Maldonado.

16 Bothe 1834; Ribbeck 1852-1855, 1871-1873, 1897-1898; Lindsay 1903; Baehrens 1886; Morel 1927; Büchner 1982; Blänsdorf 1995; Courtney 1993; Vahlen 1854; Jocelyn 1967; Klotz 1953; Franchella 1968; Dangel 1995; D'Antò 1980; Pociña Pérez 1984; D'Anna 1967; Artigas 1990; Schierl 2006.

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Gallardo17 e come spero di dimostrare attraverso il mio lavoro, la realtà è ben diversa: l'opera si rivela di tale interesse storico e filologico che è auspicabile almeno la pubblicazione di quelle parti che possono rivelare un' “esegesi dimenticata”18.

Pertanto, la finalità di questa ricerca è dimostrare il valore filologico dei Matr. 7901-7902 e contribuire a (ri)portare alla luce il merito che essi hanno e che non è stato ancora riconosciuto; non potendo svolgere questa indagine su tutti i 711 fogli che costituiscono l'intero corpo dei manoscritti, ho scelto come oggetto di le tragedie di Accio, contenute nei ff. 50-71 e 88-107 del Matr. 7901.

I primi capitoli della tesi, di carattere introduttivo, tracciano un quadro della filologia del frammento nel XVI secolo e forniscono informazioni sui curatori della raccolta e sulle caratteristiche dei manoscritti. Segue poi la trascrizione dei frammenti inediti delle tragedie di Accio e delle corrispondenti note di Faerno; la trascrizione procede tragedia per tragedia: ciascuna di esse è corredata dal proprio apparato critico e da un commento che mira ad evidenziare le esegesi dimenticate e i tratti salienti del metodo filologico di Agustín. Gli ultimi due capitoli espongono le conclusioni della ricerca, relative soprattutto ai possibili esemplari impiegati da Agustín per la collazione dei lessicografi, alla competenza filologica dimostrata ed alle modalità con cui vengono trattati gli incerta; a confronto con le coeve edizioni di frammenti latini, tutti questi aspetti rivelano il valore non solo storico, ma anche filologico, della raccolta di Madrid. L'appendice è articolata in tre parti ed è dedicata ai manoscritti Vat.lat. 3441 e Caes. B-7-7 (che contengono copia delle tragedie acciane raccolte nel Matritense) ed alla trascrizione del Liber de versibus comicis imperfectus di Gabriele Faerno.

17 Lunelli 1978; Gallardo 1983.

18 Santini-Stok 2008: “Le esegesi dimenticate sono quelle dell'Umanesimo e della prima età moderna, per lo più ignorate negli studi e nelle edizioni correnti, ma spesso di interesse notevole”.

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CAPITOLO I

La filologia del frammento nel XVI secolo

1. Il ruolo dell'antiquaria

Le raccolte di Estienne e di Agustín sono la testimonianza evidente del fatto che nel Cinquecento la poesia latina di tradizione indiretta tornò alla luce e che gli studi filologici relativi a questo ambito conobbero una grande fioritura, seppur tra molte incertezze e inesattezze.

Nel Cinquecento furono pubblicate anche le prime edizioni monografiche di autori latini in frammenti e la prima raccolta di testi tragici19. Inoltre, la pubblicazione di Estienne, così bisognosa di correzioni, di note, di interventi di natura metrica, ebbe il merito di stimolare fin da subito interventi di emendazione da parte di studiosi come Iunius, Lambyn e Scaligero, specializzati nello studio di Nonio, Cicerone, Varrone e Festo, principali testimoni per la tradizione indiretta20.

Le ragioni di tale rinascita risiedono in una rinnovata attenzione verso il recupero, l'esegesi e il commento di frammenti letterari21: è un interesse che si manifesta proprio nei decenni centrali del XVI secolo, determinando il consolidarsi di un nuovo campo di studio della filologia di cui sono espressione la suddetta edizione di Estienne e, in parte, quella dei poeti greci22, e le raccolte dei frammenti di Cicerone curate pochi anni prima da Carlo Sigonio23 e Andrea Patrizio24. Ma che cosa può aver generato questa nuova sensibilità?

Per quanto breve e relegata da Estienne a chiusura dell'opera (pp.426-427), l'epistola al lettore dei Fragmenta poetarum, contiene due dati che possono gettare luce sul contesto in cui è maturato il filone filologico relativo allo studio della poesia latina in frammenti.

19 Q. Ennii Fragmenta ab Hieronymo Columna conquisita disposita et explicata ad Joannem filium, Neapoli, Ex Typographia Horatij Salviani 1590; Ausonii Popmae Fragmenta M.Terentii Varronis Satyrarus Menippearum, Franekerae 1589; C. Lucilii, Suessani Auruncani [...] Satyrarum quae supersunt reliquiae. Franciscus Iani F. Dousa collegit, disposuit, et notas addidit, Lugduni Batauorum, ex officina Plantiniana 1597; Delrío 1620.

20 M. Barchiesi 1967, pp. 174-175.

21 Cfr. Dionisotti 1997 (soprattutto pp. 24 sgg.), cui il presente capitolo deve molto. La frase citata si trova a p. 28.

22 Poetae Graeci principes heroici carminis, et alii nonnulli. Homerus, Hesiodus, Orpheus, Callim., Aratus, Nicand., Theocrit., Moschus, Bion, Dionysius [...] Fragmenta aliorum, Excudebat Henricus Stephanus, illustris viri Huldrici Fuggeri typographus 1566.

23 Fragmenta Ciceronis variis in locis dispersa Caroli Sigonii diligentia collecta et scholiis illustrata,Venetiis, ex officina Stellae, Iordani Zilleti 1559; da me consultati nel sesto volume (1737) di Sigonio 1732-1737.

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Habes Lector quae tibi libri mei titulus promisit: imo vero multo plura et maiora quam promisit. Volui enim impostura ei quae vulgo typographorum usitata est contraria uti. De qua (si quidem impostura vocanda est) recte quispiam h(siodi/zwn dixerit, -a)gaqh\ pla/nh h4de brotoi=si25. Sed tamen ne his quidem contentus, plurimos versus a)despo/toij, qui passim apud authores leguntur, additurus eram: plurimos etiam ab illis scriptos qui in poetarum album referri non solent: quinetiam quoscunque aut ipse Romae ac Neapoli ex marmoribus descripsissem, aut ab alijs descriptos nactus essem, hoc volumine includere cogitabam: sed errores quibus scatere comperi, me, mutata sententia, in aliud tempus illorum editionem differre coegerunt, cum eorum quae hic pratermissa fuerint appendice. Quid? Ea vero quae nunc a te dantur poetarum fragmenta (dixerit forsitan aliquis) mendis carere existimas? Minime profecto. Imo quanvis (ut res ipsa testatur) ex laboriosissima locorum collatione in quibus a diversis authoribus iidem versus citantur, infinitos propemodum errores emendaverim, non paucos adhuc superesse et scio et doleo. Sed non quae illos, eadem hos quoque emendandi spes mihi superest: propterea quod marmora ex quibus illi corrigi possint, adhuc extare novi: at vereor ut extent usquam vetera exemplaria Festi, Nonij, Prisciani, et aliorum, tam emendata ut ex ipsis horum emendatio peti possint. Eiusmodi tamen sunt haec quae a nobis nunc accipis, licet mendis alicubi foedata, ut posteaquam ea diligenter evolveris, te quantum profeceris non poenitere dicturus sis. Interim tamen, hisce meis annotatiunculis et paucis et au)tosxidi/oij (in quibus cum alia praestiti, tum etiam quosdam locos ex coniectura emendavi) te fraudandum esse non putavi.

Nel compiere il bilancio del proprio lavoro, Estienne afferma di aver rispettato, e addirittura superato, le promesse del titolo (Fragmenta poetarum veterum Latinorum, quorum opera non extant, etc.); ha, in tal modo, fatto uso di un inganno opposto a quello cui ricorrono solitamente i tipografi, che, come viene spiegato altrove, tendono a promettere “montagne d'oro” nei titoli o nelle prefazioni, senza preoccuparsi di rispettare i propri impegni26. Anzi, prosegue, avrebbe voluto aggiungere numerosi versi alla sezione degli a)de/spota.

Inoltre, avrebbe voluto inserire anche molti versi di quegli autori che solitamente non 25 Hes., Erga 24: a)gaqh\ d' !Erij h3de brotoi=sin.

26 Invettive contro i colleghi tipografi, accusati di ignoranza e falsità, sono presenti in varie prefazioni di Estienne, ma la questione è affrontata diffusamente in Henrici Stephani epistola, qua ad multas multorum amicorum respondet, de suae typographiae statu, nominatimque de suo “Thesauro linguae graecae”. In posteriore autem eius parte, quam misera sit hoc tempore veterum scriptorum conditio, in quorundam typographorum prela incidentium, exponit. Index librorum qui ex officina eiusdem Henrici Stephani hactenus prodierunt, Henri Estienne 1569: “Quum enim quotidie vetera eorum exemplaria e tenebris emergent, quidam cum his excusa conferebantur, qui quascunque diversas lectiones invenerant, totidem castigationes credentes, mox cuipiam typographo tradebant, a quo paucis post diebus aut mensibus nova prodibat editio, veterum exemplarium ope longe caeteris castigatior, ut quidem titulus pollicebatur, vel potius mentiebatur […] Dum non suis sed aliorum verbis, (quae tanquam psittaci non intellecta balbutiunt) in iis quas libris praefigunt epistolis modo non montes aureos pollicentur. Alioqui certe non dubito quin ex eorum numero plurimi sint qui, si ea quae ibi mentiuntur intelligerent, suam hanc artem cum quovis dispendio desinere, eaque sese velut abdicare mallent, quam cogi sub alienis verbis, et quidem minime intellectis, emptoribus dare, et sub aliena (ut dixi) fide suam interponendo, infidelissime cum illis agere”.

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vengono menzionati nella categoria dei poeti, espressione con cui non credo che Estienne voglia intendere “poeti minori”, già ampiamente rappresentati nella sua raccolta, ma piuttosto scrittori letti o studiati per le loro prose, o personaggi comunemente noti per meriti del tutto diversi da quelli letterari, che hanno, però, lasciato alcuni componenimenti poetici. Da questo punto di vista, però, si è già detto che la raccolta di Agustín offre una maggiore varietà: è il caso dei Iulii Caesaris carmina (Matr. 7901, ff.190r-204r), o di Mecenate (Matr. 7901 ff.122r.-125v.), di Asinio Pollione (Matr. 7901, ff. 441r.-446v.), ecc.

Tornando a scorrere l'epistola al lettore, possiamo notare che, dopo i primi due progetti mancati, Estienne ne rivela un terzo che mi pare decisivo, se vogliamo inquadrare l'ambito all'interno del quale si è affermato lo studio della letteratura in frammenti: egli aveva un tempo progettato di inserire nella raccolta tutti quei versi che aveva trascritto egli stesso ex marmoribus a Roma e a Napoli, o di cui era riuscito a recuperare la trascrizione altrui, ma poi, di fronte alle difficoltà dell'emendazione, aveva rinunciato all'impresa. Questo terzo progetto mancato può generare oggi qualche perplessità: perché Estienne dovrebbe giustificarsi per non aver inserito in una raccolta letteraria dei testi epigrafici? Perché, invece, trova tempo e modo di farlo in un'epistola così breve, relagata a chiusura dell'opera e priva di qualsiasi altra indicazione in merito alle fonti impiegate? La ragione, come spiega Dionisotti, risiede nel fatto che la filologia del frammento letterario è, in un certo senso, figlia della filologia del frammento epigrafico, ne rappresenta, cioè, una forma di evoluzione27.

Nei decenni centrali del XVI secolo, in Italia specialmente, gli studi di carattere epigrafico erano uno dei principali campi di indagine delle ricerche sull'antichità classica: l'insegnamento del bolognese di Alciato (maestro di Antonio Agustín) era incentrato sullo studio, anche filologico, delle fonti del diritto ed aveva senza dubbio contribuito a favorire interessi di tipo antiquario ed epigrafico in particolare. Gli studiosi del diritto romano cercavano testimonianze autentiche sulle quali basare le loro conoscenze relative alle leggi, ai decreti, alla topografia, e in generale al mondo romano; Roma diventò, com'è ovvio, il luogo privilegiato in cui ricercare tali documenti e sicuramente gli intellettuali che la vissero nei decenni Quaranta e Cinquanta del XVI secolo non rimasero immuni dal coinvolgimento nell'attività antiquaria28.

Tuttavia, gli studi di carattere epigrafico, e più in generale storico-antiquario, non venivano coltivati esclusivamente in ambito giuridico; erano fonte di interesse per gran

27 Cfr. Dionisotti 1997.

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parte di coloro che si occupavano di antichità classica e che, terminata la stagione che aveva segnato la rinascita dei grandi classici, andavano ora in cerca di testimonianze ancor più autentiche e, se possibile, più arcaiche sul mondo greco e romano. Da qui ebbe origine l'interesse verso le iscrizioni, che, affiancate alla testimonianza spesso ambigua dei testi letterari, fornivano solide documentazioni in merito alle fonti del diritto.

Se gli interessi di natura storico-antiquaria avvicinarono da un lato gli studiosi dell'epoca all'epigrafia, dall'altro li condussero all'esame e alla restituzione di quegli autori che, insieme ai resti materiali, potevano contribuire a gettar luce su aspetti ancora oscuri della vita, della cultura e della lingua romana. Iniziò così e per rispondere a questo tipo di interessi la fortuna di lessicografi, glossografi e storiografi come Festo, Prisciano, Nonio Marcello, Varrone, ecc. Pertanto, il secondo elemento di interesse all'interno dell'epistola di Estienne risiede nel dato che egli, accanto alle fonti epigrafiche, menziona proprio questi autori come principali testimoni dei frammenti da lui raccolti, disperando della possibilità di rinvenire nuovi e migliori manoscritti tali da contribuire all'emendazione dei testi: “at vereor ut extent usquam vetera exemplaria Festi, Nonij, Prisciani, et aliorum, tam emendata ut ex ipsis horum emendatio peti possint”.

Da questa precisazione emerge quanto la sorte degli autori in frammenti fosse già allora percepita come strettamente legata a quella dei grammatici che li citavano; fortunatamente, intorno ad alcuni di essi già ferveva un'intensa attività filologica. Mentre Estienne preparava e pubblicava la sua raccolta, l'esegesi di Nonio, Festo e Varrone cominciava a vantare contributi di un certo valore, attraverso i quali la comunità di studiosi poteva riconoscere in quei testi una preziosa miniera di citazioni di interesse non solo antiquario, ma anche letterario: al di là del loro valore storico, quelle opere si mostravano come indispensabile strumento per il recupero della conoscenza di autori e testi fino a quel momento del tutto sconosciuti o assai trascurati. Lo stesso Antonio Agustín curò due importanti edizioni: quella di Varrone del 155729, si affermò come vulgata fino all'edizione di Spengel del 1826, mentre quella di Festo ebbe molta fortuna e fu molto impiegata fino all'edizione di Müller del 1839.

Per quanto riguarda Nonio, è stato sottolineato come a lui sia strettamente legata la fortuna dei frammenti della poesia latina arcaica: l'editio princeps del 147030, curata da Pomponio Leto, aprì un campo quasi inesplorato agli umanisti interessati alla grammatica e alla lessicografia latina. All'inizio del XVI secolo Aldo Manuzio unì il suo destino a quello

29 Agustín 1557; Agustín 1559. Cfr. Lunelli 1978; Hernández Miguel 1997; Alcina 2008. 30 Leto 1470.

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del Cornucopiae di Niccolò Perotti31, che fu spesso ripubblicato nella prima metà del Cinquecento. In queste prime edizioni, i frammenti poetici sono riportati in forma ametrica: ciò significa che non vi è alcun interesse verso il frammento in sé, ma solo verso la parola che ha attratto l'attenzione di Nonio. A partire dalla seconda metà del secolo, però, Nonio cominciò a suscitare attenzione non solo come dizionario della lingua latina, ma anche come il più completo museo della cosiddetta letteratura sconosciuta. A quel punto i migliori umanisti italiani (Vettori, Orsini, Sigonio, ecc.), francesi (Scaligero, Muret, Turnèbe, Passerat, Guyet, ecc.), olandesi (Lipsius, Frutyer, Grutyers, ecc.) e spagnoli (Agustín, Chacon, ecc.) concentrarono i loro sforzi nella correzione dei frammenti della letteratura latina arcaica.

In sintesi, gli studi epigrafici e l'interesse verso Nonio, Festo e Varrone sono da intendersi come manifestazione del forte e diffuso interesse storico-antiquario che permea tutta l'Europa di inizio XVI secolo e che mira a scoprire una quantità sempre maggiore e sempre più autentica di informazioni riguardo all'antichità classica. I lessicografi, però, si rivelarono capaci di restituire anche altre tracce del passato, come i frammenti della perduta poesia latina. Non c'è da stupirsi, dunque, se alcuni pionieri della filologia dei frammenti letterari, come Sigonio o Agustín, sono da considerare in primo luogo storici, eruditi ed antiquari.

Tale era dunque il contesto culturale che determinò la particolare circostanza dell'elaborazione, quasi contemporanea, di due progetti così simili, ad opera di umanisti tanto diversi e distanti geograficamente come Antonio Agustín e Henri Estienne32.

2. Lo studio dei frammenti nella filologia degli Estienne e di Antonio Agustín Al contesto culturale di inizio Cinquecento che, come abbiamo sottolineato, ha avuto un ruolo determinante nel favorire operazioni di raccolta, organizzazione e studio dei frammenti letterari, è opportuno associare la particolare sensibilità e competenza che, nel corso delle rispettive attività, Robert (più che Henri) Estienne e Antonio Agustín avevano avuto maturato nel campo della tradizione letteraria indiretta.

31 Aldina 1513.

32 Cfr. Miralles 2005. Particolarmente importanti per l'attenzione verso la componente metrica sono le edizioni di Iunius (1565), la prima che cerca di identificare il ritmo dei frammenti poetici, e di Mercier (1583 e 1614), diventate poi canoniche. Questi tre lavori rivestono grande importanza perché contribuiscono a far conoscere le proposte metriche e le correzioni dei contemporanei (soprattutto nell'ambiente di Leiden e Paris), dando unità e corpo a ciò che circolava in numerose raccolte di Variae lectiones o Adversaria, oppure negli scambi epistolari dei filologi o rimasto in forma di appunti inediti o glosse marginali.

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A Robert, ad esempio, spetta il primato di aver inserito, tra gli Opera omnia di un autore, anche frammenti tràditi indirettamente: così fece con Cicerone, di cui nell'edizione del 1538-1539 si leggono i frammenti dei primi cinque libri del De republica, e con Sallustio, inserendo consapevolmente i frammenti delle Historiae nell'edizione del 154433. La novità contenuta nell'edizione di Cicerone viene annunciata con enfasi fin dal titolo: M.T. Ciceronis opera. Ex Petri Victorii codicibus maxima ex parte descripta...quem nos industria, quanta potuimus, consequuti, quasdam orationes redintegratas, tres libros DE LEGIBUS multo quam antea meliores, et reliquias de commentariis qui de REPUBLICA inscripti erant, magno labore collectas undique descriptaque libris, vobis exhibemus34. Si trattava di una ristampa dell'edizione veneziana del 1534-1537, rispetto alla quale, però, Robert aveva aggiunto nuovi contributi, tra cui i frammenti; per illustrare l'opportunità di tale inserimento, Robert esalta, nell'epistola al lettore, la grandezza del trattato35:

[…] Eos libros quum ipse honorifice saepe appellare, tum vero Atticus mirifice erat laudare solitus. Nam insequentium aetatum doctissimi homines cum de iustitia, de aequabilitate, de recto et honesto, de ullo denique reipublicae munere disputationem aliquam instituebant,non aliter se munus tueri suum putabant posse, neque his locis, quos modo commemoravi, satisfacere, quam si ea, quae sibi dicenda erant, de his libris veluti precaria sumerent, eorumque copia et ubertate quadam incredibili ad suam tenuitatem sublevandam abuterentur. Quod cum ab illis eo consilio fieret, ut locos graves ex philosophia copiose, ornate, splendide tractare possent, illud etiam de quo nullo modo suspicati esse creduntur, sunt consecuti tamen, uti his libris amissis, haberent posteri unde eorum argumenta, disputationumque, quae in hos libros inclusae erant, capita, magna ex parte possent cognoscere. Quae res cum esset a quodam M. Tullii in primis studioso homine animadversa, ad nosque delata, facile nobis persuasit, ut eius generis quamplurima loca longo intervallo ab Latinis scriptoribus, apud quos usu solum erant repetita, huic nostro, cuius ea mancipio et nexu esse pareret, vellemus reddere. Quod nos tandem fecisse videtis. Sed ante quam ea vobis descripta explicataque tradimus, Ciceronem ipsum de his libris differentem audire praestat.

Seguono, dunque, ventidue testimonia, tratti dalle opere dello stesso Cicerone e ordinati secondo la numerazione araba posta sul margine sinistro. Troviamo, poi, i frammenti citati libro per libro, sempre con la numerazione in margine, ma senza indicazione delle fonti, che sono elencate36 a parte, nelle ultime due pagine del volume: gli autori consultati sono 33 Dionisotti 1997. Si tratta di poco più di una pagina, in cui i frammenti sono detti essere genericamente raccolti da Festo, Nonio, Prisciano e Gellio e presentati in ordine di libro, ma per la prima volta vengono chiaramente distinti rispetto agli excerpta.

34 Parisiis, ex off. Roberti Stephani 1538-1539. 35 Estienne 1538, p. 292. Cfr. Dionisotti 1997.

36 Ibid. pp. 450-451. Questa sezione è scritta in caratteri più piccoli rispetto a quelli del corpo del testo ed è articolata in quattro paragrafi: “Ex quibus scriptoribus, quibusque locis sumpta sint ea quae de Rep. a Cicerone disputata, et a nobis in unum contracta sunt”; “Incerta quoto de Rep. libro”; “Pratermissa”; “Errata scriptorum vitio admissa in fragmentis de rep.”. Per quanto riguarda Nonio, il riferimento è al

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Nonio, Prisciano, Rufino, Macrobio, Agostino, Gellio, Lattanzio, Seneca, Ammiano e lo stesso Cicerone. È un elenco sufficientemente ampio per sostenere che Robert possedesse, più di altri editori, conoscenze adeguate alla raccolta dei frammenti del De republica. Del resto, non si fatica a crederlo: nella prima metà del XVI secolo Robert aveva compiuto un'impresa fino ad allora intentata, pubblicando nel 1533 il Thesaurus Latinae linguae. Nell'epistola Robertus Stephanus typographus regius lectoribus s.37, Robert definisce la sua opera come il frutto di una lettura intensiva degli autori latini, praticata quando era libero dal lavoro editoriale e accompagnata da note, correzioni, riflessioni, non solo personali, ma suggerite anche da molti eruditi dell’epoca, Budé in primo luogo.

Nel corso di questa vastissima esperienza, Robert avrà avuto modo di constatare l'esistenza di numerosissimi frammenti citati dagli autori più disparati, sebbene appartenenti al medesimo scrittore o alla medesima opera. Probabilmente per questa via nacque la consapevolezza della necessità di ricondurre a unità frammenti così numerosi, ma dispersi e lontani; a tale consapevolezza si saranno aggiunti la volontà e il coraggio di intraprendere una strada nuova, sia sul piano strettamente culturale, sia su quello tipografico, dato che fino ad allora le uniche pubblicazioni che ospitavano dei frammenti erano quelle antiquarie, in cui erano presenti copie di iscrizioni, monete o medaglie.

L'impresa fu avviata cominciando da Cicerone, l'autore latino più studiato all'epoca, e concentrandosi sui frammenti di una sola opera; proseguì, poi, con l'edizione dei frammenti sallustiani delle Historiae, e terminò con la preparazione di un progetto che restituisse quasi per intero le opere di molti autori latini, di cui all'epoca quasi si conosceva soltanto il nome.

In sintesi, con l'edizione dei Fragmenta poetarum, del tutto nuova sul piano editoriale, Robert ha semplicemente proseguito lungo una direttrice impostata già molti anni prima, apprezzata e incoraggiata all'interno del contesto culturale europeo di metà Cinquecento.

L'attenzione verso la tradizione letteraria indiretta caratterizza anche l'opera filologica di Agustín, come testimonia non solo la raccolta di cui ci stiamo occupando, ma anche l'impostazione delle edizioni cui egli lavorò nello stesso periodo in cui andava preparando l'antologia: infatti, gli anni Cinquanta sono quelli in cui Agustín è molto impegnato nell'edizione del De lingua Latina di Varrone e del De verborum significatu di Festo.

lemma o o al paragrafo; per Prisciano e Rufino il riferimento è al paragrafo; per Macrobio non c'è alcun riferimento, al di fuori dell'autore; per Agostino, Gellio, Lattanzio, Cicerone, invece abbiamo addirittura il passo preciso; per Seneca e Ammiano abbiamo il libro.

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Nel caso di Varrone, l'opera si distingue dai precedenti contributi perché, esattamente come l'edizione di Cicerone pubblicata da Estienne nel 1538-1539, non contiene solo i libri tramandati in maniera completa, ma anche i frammenti dei libri perduti, tràditi attraverso le citazioni di antiquari, grammatici e altri scrittori.

L'edizione di Festo segnò una svolta decisiva: fino a quel momento, le edizioni avevano cercato di integrare il testo originario di Festo con l'epitome di Paolo, ma non avvertivano quando al testo originario si sostituiva il riassunto: l'edizione del 1559 è, invece, la prima che offra tutto Festo e tutto Paolo, indicando quali parole siano dell'uno e quali dell'altro.

Furono gli interessi di un giurista e antiquario a indirizzare gli studi di Agustín verso determinati autori; tali interessi, saldamente uniti alla sua straordinaria vocazione filologica, lo indussero a preparare alcune edizioni “meno rovinate di quelle precedenti”38. Egli aveva maturato il proprio metodo nel corso degli anni bolognesi (1535-1543), quando, sotto lo stimolo di Alciato che univa la folologia al commento dei testi giuridici, Agustín si allineò all'interno del cosiddetto “umanesimo giuridico”. In un ambiente in cui si considerava insensato addentrarsi in discussioni relative all'interpretazione delle fonti del diritto se si avevano dubbi circa la correzione di molte lezioni vulgatae, Agustín acquisì conoscenze e metodologie che gli permisero di compiere due fondamentali opere sul diritto gli Emendationum et opinionum libri (Venezia 1543), relativi alla lettura del Digesto, e il De legibus et senatusconsultis (pubblicato nel 1583 ma composto già nel 1544).

Il progetto di rinnovare lo studio delle fonti del diritto romano e canonico, condiviso con il compagno di studi Jean Matal, è documentato passo per passo nel primo volume della raccolta di lettere, pubblicate da Flores Sellés nel 1980 (anni 1537-1558), e nella corrispondenza a tre voci tra Agustín, Matal e Torelli, pubblicata da Ferrary nel 1992 (anni 1542-1553)39. In questo ambito, la possibile rilevanza delle iscrizioni era già nell'aria a Bologna prima dell'arrivo di Agustín: messe accanto alla testimonianza spesso ambigua dei testi letterari, le iscrizioni fornivano testimonianze massicce, e spesso precisamente datate, per le istituzioni che avevano generato le fonti del diritto; inoltre, le iscrizioni offrivano anche autentici esempi della contemporanea lingua latina. L'approccio dimostrato da Agustín nel De legibus et senatusconsultis è quello di un uomo che è sia giurista che storico ed egli mostrò cosa si potesse fare con la rudimentale massa di materiale che aveva raccolto; nel XIX secolo questo approccio ispirò Borghesi e Mommsen e contribuì a creare il Corpus Inscritionum Latinarum. Ciò che ne venne fuori fu un testo critico, commento e

38 Gallardo 1983.

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spiegazione per migliaia di iscrizioni; ma anche un modo di classificare le iscrizioni romane40.

Le qualità di Agustín produssero i loro frutti migliori tra il 1545 e il 1561, cioè negli anni in cui, tra la nomina a uditore della Sacra Rota e quella a vescovo di Lérida, egli divenne uno degli esponenti più illustri di quel circolo romano a cui diede vita insieme a Fulvio Orsini, Ottavio Pantagato, Gabriele Faerno, Onofrio Panvinio, Achille Stazio, personaggi tra i quali nacquero relazioni non solo di carattere intellettuale, ma anche di fraterna amicizia. Grazie a puntuali e ricche testimonianze epistolari, vediamo fiorire in quel periodo forti legami di collaborazione tra gli intellettuali del circolo, impegnati allora nello studio delle antichità romane, riportate alla luce dall'epigrafia, dalla numismatica, dalla lettura attenta e ragionata di grammatici e glossatori, divenuti fonti imprescindibili per la ricerca delle informazioni di carattere antiquario di cui si necessitava. I nuovi scavi, il collezionismo di monete e iscrizioni, le fastose biblioteche e il mecenatismo erano tutte espressioni del potere temporale del papato in grado di alimentare ciò che è stato definito il metodo filologico italiano, in contrapposizione al metodo filologico protestante di cui furono portavoce umanisti francesi e olandesi, quali Robert e Henri Estienne, Lambyn, Scaligero, Casaubon, e tanti altri41: il primo era basato su una migliore documentazione di manoscritti e sull'appoggio delle nuove scienze che stavano nascendo in quel momento in Italia, come l'archeologia, l'epigrafia e la numismatica; il secondo era caratterizzata da una migliore conoscenza della storia, della cronologia e della lingua greca e latina42. Antonio Agustín è uno degli artefici del metodo critico nato all'interno della filologia romana nella seconda metà del XVI secolo, quando gli umanisti cattolici caratterizzarono le loro annotazioni ai testi classici con dati ricavati anche dall'epigrafia, dalla numismatica, e dal mondo antiquario in generale.

Mentre leggeva le opere di grammatici e glossatori, Agustín scoprì due realtà che destarono il suo interesse. Da un lato, si trovò davanti due autori (Varrone e Festo) i cui testi risultavano spesso incomprensibili, a causa del cattivo stato in cui versavano le rispettive tradizioni; ne rimase colpito e ciò lo spinse a tentare l'emendazione di quei testi, impresa che egli prese in mano incoraggiato dagli amici e dai collaboratori e il cui frutto sono le edizioni di Varrone e Festo. Da un altro lato, Agustín notò in tutti quegli autori, che

40 Per tutta questa parte cfr. Crawford 1993, Introduction. 41 Grafton 1983, pp. 153-164.

42 Alcina 2008: per fare un esempio concreto, lo studioso cita due edizioni di Festo, curate l'una da Agustín (1559), l'altra da Scaligero (1575): il mondo cattolico, clericale, ricco di documentazione e testimonianze materiali sostiene il lavoro di Agustín; il mondo protestante, laico, che confida nella sola capacità interpretativa, sostanzia invece l'edizione di Scaligero.

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leggeva e consultava con frequenza, abbondanti riferimenti e citazioni di scrittori latini la cui opera si è perduta: è facile pensare che quelle citazioni che leggeva qua e là costituissero una particolare attrazione per un antiquario come Agustín; e questa motivazione personale, insieme al suo talento, lo spinse ad intrecciare certe piccole reliquie della letteratura latina e a cominciare la gestazione di un'opera che arriverà alla luce solo parzialmente: i Veterum scriptorum fragmenta, contenuti nei Matr. 7901-790243.

3. Henri Estienne, Carlo Sigonio e Antonio Agustín: un esempio di collaborazione tra umanisti

Se i Fragmenta poetarum sono i primi a raccogliere esclusivamente frammenti di autori quorum opera non extant, ovvero autori noti esclusivamente per via indiretta; si è già avuto modo di notare che già qualche anno prima era stata pubblicata una raccolta di frammenti letterari noti attraverso citazione: si tratta dei Fragmenta Ciceronis variis in locis dispersa Caroli Sigonii diligentia collecta et scholiis illustrata Venetiis, ex officina Stellae, Iordani Zilleti 155944. Certamente non stupisce la scelta di Cicerone per una simile primizia: trattandosi dell'autore più studiato e commentato all'epoca, la nota polemica tra ciceroniani e anti-ciceroniani doveva aver innescato una concitata ricerca di tutto ciò che l'Arpinate potesse aver scritto o non scritto, e la quantità di opere perdute e di citazioni a lui riconducibili giustificava ampiamente la pubblicazione di un volume; non è da sottovalutare, inoltre, l'influenza che deve aver esercitato l'iniziativa di pubblicare i frammenti del De republica ad opera di Robert Estienne. Con i suoi Fragmenta Ciceronis, Sigonio aveva chiaramente dimostrato l'opportunità di coltivare una nuova corrente degli studi filologici, all'interno della quale si inserirono i Fragmenta poetarum di Robert e Henri Estienne, i quali, però, si spinsero oltre, poiché si concentrarono completamente tamente sull'opera di quegli autori privi di tradizione manoscritta. Del resto, la raccolta di Estienne è strettamente legata alla figura di Sigonio: nel 1563, Henri ne inviò in anteprima una copia al professore modenese, per ricevere il giudizio di un umanista competente e fidato al tempo stesso, in virtù dell'amicizia che da tempo legava i due intellettuali45: e 43 Gallardo 1983.

44 Da me consultati nel sesto volume (1737) di Sigonio 1732-1737. Presso il medesimo stampatore veneziano seguì ben presto l’edizione di Patrizio, Nidecky 1561; la seconda edizione del 1565 è comprensiva dei frammenti poetici.

45 Barchiesi 1978, p. 2: “Ne sottoponeva un saggio al giudizio dell'uomo, che egli già aveva celebrato come grande storico e instancabile ricercatore di verità, dedicandogli l'editio princeps di Appiano”.

A Sigonio Henri aveva dedicato la sua opera Ex Ctesia, Agatharchide, Memnone excerptae historiae, Appiani Iberia. Item, De gestis Annibalis. Omnia nunc primum edita. Cum Henrici Stephani castigationibus, Ex officina Henrici Stephani Parisiensis typographi 1557, indirizzandogli un'affettuosa epistola dedicatoria:

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l'approvazione giunse ad Estienne attraverso un'affettuosa lettera, datata 1° giugno 1563, che Sigonio inviò da Padova a Ginevra:

Accepi libellum a te perelegantem eum, in quo tu summo studio veterum fragmenta Poetarum quasi aliquas ex foeda tempestate tabulas collegisti46. In quo eodem nescio judiciine, an amoris erga me tui magnitudinem sim potius admiratus, judicii, quod ex ea re litterarum ad me mittendarum occasionem quaesivieris, cujus me magnopere studium delectaret. Amoris, quod me ejusmodi munere ad simile erga te obeundum literarum officium, quod tibi gratissimum fore significas, provocaris. Ego vero cum librum ipsum valde probavi, causa, quae te ad eum mittendum impulit, multo magis, neque enim illustri, mihicrede, tua erga me benevolentia ad voluptatem quidquam svavius, neque iis quae a diligentia ingenioque tuo proficiscuntur ad ususm accommodatius aliquid mihi potest contingere […] Patavio, Kal. Quintil. M.D.LXIII.47

Sappiamo che Sigonio non è il dedicatario dei Fragmenta poetarum, perché essi non presentano alcuna dedica; dalla lettera si evince, però, che, per questo tipo di studi, Estienne nutriva una stima particolare nei confronti di Sigonio, ragione per cui decise di inviare proprio a lui l'anteprima della sua opera; e in effetti, dalle parole dello stesso Sigonio, pare che egli incontrasse particolare diletto nello studio della letteratura frammentaria (cujus [sc. libellus] me magnopere studium delectaret).

Esiste, dunque, una relazione evidente tra Sigonio, autore della prima raccolta dedicata esclusivamente a dei frammenti letterari, e Estienne, autore della prima raccolta dei frammenti di poeti di tradizione esclusivamente indiretta. Ma esiste anche un legame fortissimo, ed in questo caso di natura più squisitamente intellettuale ed erudita, tra lo stesso Sigonio e l'autore dell'altra raccolta (inedita) dei frammenti di tradizione indiretta, ovvero Antonio Agustín. Quei Fragmenta Ciceronis pubblicati nel 1559 avevano conosciuto il contributo fondamentale dell'umanista spagnolo che, per quanto non esplicitamente riconosciuto, è ben testimoniato da alcuni scambi epistolari dell'epoca; tale apporto fu una generosa contropartita, offerta in cambio della collaborazione che a suo tempo Sigonio aveva offerto ad Agustín per la pubblicazione del Festo del 1559,

“Meministine Carole, vir charissime, quum anno superiore tecum Venetiis bibliothecam Bessarionis una cum duobus Venetis patriciis ingrederer, quis a nobis habitus fuerit sermo? -Henrice (aiebas) si quidem tantum laboris atque temporis, tantum etiam pecuniarum in congerendos ex omnibus nostrae Italiae bibliothecis libros impendis, eo animo ut aliquando ex longa ista peregratione domum reversus, eos typis tuis excusos edas: tuis conatibus faveo, et tuam istam laudo atque amplector diligentiam...Videsne enim ut istos historiarum libellos...inde in publicum literatorum, ac praesertim historiae amantium, usum deprompserim. Quam tu quum non ames solum, sed ab ea redameris etiam (quippe quae, quod eius veritatis diligentissimus indagator fueris, et a multis eam mendaciis vendicaveris, multum tibi debeat ac debitura sit) cui potius quam tibi dicandos illos esse putavissem?”.

46 Sull'immagine del naufragio, usuale in ambito umanistico per indicare le perdite relative alle letteratura antica, cfr. Dionisotti 1997.

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autore di cui lo stesso Sigonio aveva curato un'edizione: dalla corrispondenza tra Sigonio e Orsini, avvenuta nell'estate del 1559, sappiamo che Sigonio attendeva da Orsini l'originale dei Fragmenta, scritto proprio da Agustín e che a fine anno aveva visto la raccolta, la quale era, a suo avviso,degna della miglior considerazione. Sigonio, però, non specifica di aver utilizzato questi frammenti nella sua opera, né vi è alcun riferimento nei Fragmenta Ciceronis. Agustín, invece, è più esplicito: nel novembre del 1559, scrive a Orsini, affermando che Sigonio utilizzerà i suoi frammenti, in cambio del contributo offerto all'edizione di Festo48. In sostanza Agustín ha rivestito un ruolo importante nei Fragmenta Ciceronis, e Sigonio nell'edizione di Festo: questo è uno dei numerosi esempi di collaborazione tra l'umanista spagnolo ed i filologi italiani, collaborazione che agiva su tre livelli: prestito di esemplari; confronto in merito all'attività di collazione e emendazione; comunicazione di varianti e correzioni tratte da manoscritti che gli altri nono potevano consultare; aiuto e sostegno nell'edizione delle opere di coloro che risiedevano lontano dal luogo di pubblicazione49.

4. Forme della filologia del frammento

Sigonio e Agustín erano tanto letterati quanto storici e antiquari; ma i modelli utili per l'edizione di frammenti erano più antiquari che letterari. È, infatti, in ambito epigrafico che si costituirono gli strumenti e metodi di indagine che hanno poi favorito lo studio e l'esegesi di frammenti non solo epigrafici, ma anche letterari:in questo senso, le raccolte di iscrizioni hanno rivestito un ruolo fondamentale nella graduale formazione della filologia del frammento, contribuendo anche alla definizione di una adeguata impostazione tipografica, giungendo gradualmente alla distinzione tra testo del frammento, testo della fonte e testo dell'editore.

Per le ragioni appena esposte, molti studiosi, tra cui Dionisotti, ritengono del tutto inopportuno parlare di storia dei frammenti senza fare cenno alla storia dell'epigrafia50. Analizzando brevemente le caratteristiche di una selezione di opere, sia di carattere epigrafico-antiquario, sia letterario, è possibile apprezzare l'evoluzione del metodo filologico e dell'impostazione tipografica, dall'inizio del XVI secolo fino alle raccolte di Agustín e Estienne.

48 Le epistole di Sigonio sono contenute nel tomo VI (1737) di Sigonio 1732-1737, mentre quelle di Agustín nel volume VIII (1774) di O.O. 1765-1774; altre testimonianze epistolari sono citate in Gallardo 1987. 49 Cfr. Gallardo 1987.

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a) Le raccolte epigrafiche di Peutinger e Schoeffer

Uno dei primi importanti esempi è l’Epistula ad Cornelium di Francesco Filelfo, del 1439, una raccolta di notizie relative a circa cinquanta leggi romane e tratte da varie fonti, rappresentate in molti casi da citazioni da Asconio Pediano: è la più antica raccolta di leggi romane compilata da un umanista51. La breve lettera introduttiva consente di comprendere bene il carattere di quest'opera:

Quod multarum legum mentionem factam invenias et apud M. Tullium Ciceronem et apud T. Livium aliosque veteres scriptores, neque quid legibus illis contineretur aut quam ob causa, latae fuerint satis intelligas, ob eamque rem quid ipsa habeam certi scire cupias, non teneo diutius te suspensum. Itaque leges eas quas celebriores sunt magisque necessarie quo facilius et clarius veterum oratorum atque historicorum et ipsorum quoque iureconsultorum scripta locis suis comprehendantur, hisce litteris subieci52.

Attraverso queste poche parole è possibile intuire quali potessero essere gli effetti benefici di un simile studio per il recupero della letteratura latina in frammenti.

Da allora, opere di questo tipo continuarono ad essere confezionate in varie parti d'Europa.

La Dionisotti cita in tal senso un prodotto dei primi studiosi tedeschi del mondo classico, i Romanae vetustatis fragmenta in Augusta Vindelicorum et eius diocesi, che compilò Conrad Peutinger ad Augusta nel 1505. I frammenti sono tutte iscrizioni; la loro collocazione è riportata in caratteri rossi minuscoli, chiaramente distinti dal nero maiuscolo del testo epigrafico, reso con punti di divisione delle parole, lettere sovrascritte e chiare lacune dove le parole erano mancanti o illeggibili.

Nel 1520 ne uscì una seconda edizione ampliata, per la quale Peutinger si rivolse ad un nuovo e ambizioso tipografo, Schoeffer di Mainz. Nello stesso anno Schoeffer, ispirato dall’impresa, pubblicò ad Augusta, sempre nel 1520, un’edizione simile, realizzata tre anni prima da Johann Huttich, intitolata Collectanea antiquitatum in urbe, atque agro Moguntino repertarum. La veste tipografica presenta uno stile simile a quello della raccolta precedente, ma in materia di ricostruzione quest'opera si dimostra più evoluta per due aspetti. In primo luogo, include una tavola a tutta pagina, raffigurante un monumento sulla cui superficie non erano sopravvissute delle iscrizioni, di cui, tuttavia, si intuivano le tracce: il verso della pagina riporta una nota che descrive precisamente il fenomeno, insieme alle misure del monumento e a varie ipotesi. La seconda novità consiste nel 51 Sull'epistola, datata 1439, ma pubblicata postuma nel 1483, cfr. Ferrary 1995.

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trovarvi piccole note esegetiche, come “obliterati sunt versus duo” o “ut ex symmetria colligimus, hic sex versus desiderantur”53.

b) I frammenti del “De republica” di Cicerone negli “Opera omnia” di Robert e Charles Estienne

Rispetto al frammento epigrafico, quello letterario subìfino alla metà del secolo, un trattamento meno evoluto. Nell'edizione ciceroniana di Robert Estienne, ad esempio, il riconoscimento dei testi frammentari è talvolta difficoltoso, poiché quando i frammenti sono citati insieme al passo della fonte (concepita come un testimonium) non vi è distinzione tipografica; in altri casi abbiamo solo lunghi testimonia che, come afferma lo stesso Estienne, riferiscono “ea quae de Rep.a Cicerone disputata”, senza offrire, però, alcuna citazione dell'opera54. Il fatto che i frammenti siano talvolta inseriti all'interno di un'ampia citazione della fonte non è da attribuire ad una precisa scelta di metodo: quando Estienne integra la citazione con il brano all'interno del quale è inserita è perché egli ritiene che quel brano sia un testimonium importante, non perché intuisce che la ricostruzione del contesto è essenziale per la filologia dei frammenti.

I frammenti sono distribuiti in maniera ordinata nei primi cinque libri, per poi passare al lungo estratto del libro VI, che si apre semplicemente con l'indicazione Lib. VI, senza il titolo Somnium Scipionis; vi troviamo anche una sezione di incerta55. Non esiste alcuna differenza di carattere tra i testi di tradizione diretta, i testimonia e i frammenti: queste ultime due componenti si distinguono solo per la numerazione araba posta a margine di ciascun frammento o testimone; inoltre, per quanto riguarda i frammenti, non vi è alcuna distinzione tipografica tra le parole della passo della fonte e quelle della citazione, immediatamente seguenti senza soluzione di continuità. I riferimenti bibliografici ai passi delle fonti sono posti a parte, nelle ultime due pagine del volume (pp. 450-451), ed articolati in quattro paragrafi56: questa sezione è stampata in caratteri più piccoli.

Nell'edizione di Charles (1554-1555) cominciamo a trovare una prima forma di distinzione, dichiarata dallo stesso editore nell'epistola al lettore contenuta nel primo

53 Per tutta questa parte cfr. Dionisotti 1997.

54 Il testimone da cui Estienne attinge gli estratti più ampi e da cui ricava il maggior numero di informazioni è il De civitate Dei di Sant'Agostino, soprattutto dai libri II e V; mentre le citazioni vere e proprie provengono in larga parte da Nonio.

55 Estienne 1538, p. 308: “Ex libris De Republica. Quae sequuntur, incertum est quem in librum quaeque eorum referri oporteat: iccirco hunc locum iis extra ordinem assignavimus”.

56 Ex quibus scriptoribus, quibusque locis sumpta sint ea quae de Rep. a Cicerone disputata, et a nobis in unum contracta sunt; Incerta de quoto libro; Pratermissa; errata scriptorum vitio admissa in fragmentis de Rep.

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volume57:

In Philosophicis, noluimus Scipionis Somnium alio loco quam post quinti De republica libri fragmenta collocare: quos utinam non ita laceros ac mutilos haberemus! Nihil etiam in iis est, extra Somnium Scipiionis, quod non mutuatum a variis authoribus, ac confuso ordine et stylo ex iis ipsis decerptum esse appareat. Quamobrem haec omnia fragmenta alio charactere excudere melius esse putavimus. Quae singula, qua potuit a nobis fieri diligentia, in tuam utilitatem emissa, quaeso te, humanissime Lector, ita accipiac, ut nostra hactenus consuevisti: nosque tuis ac bonorum omnium commodis addictos, eoanimo complectaris, quo nos literarum literarorumque causa tot labores dies noctesque suscipimus.Vale.

Nel quarto volume, dedicato ai Philosophica, sotto il titolo Fragmenta sex librorum Ciceronis de Repub., dopo una epistola lectoribus troviamo gli stessi testimonia, gli stessi frammenti e le stesse fonti già presenti nell'edizione di Robert, ma con una veste tipografica diversa che rende immediatamente riconoscibile tutto ciò che riguarda la tradizione indiretta: testimonia, frammenti dei primi cinque libri e fonti sono scritti in caratteri più piccoli; il VI libro, invece, torna ad essere scritto in caratteri più grandi ed è accompagnato dal titolo M.Tullii Ciceronis, Scipionis Somnium ex libro sexto de republica. I testimonia, inoltre, che nell'edizione di Robert vengono riportati senza alcun titolo, sono adesso così titolati: TESTIMONIA QUAEDAM, ex superioribus Ciceronis scriptis, in quibus suorum de Repub.librorum meminit. Quae quo ex loco desumpta fuerint, proximus index tibi ostendet58.

c) I Fasti di Onofrio Panvinio e il De lingua Latina pubblicato da Antonio Agustín. Nello stesso decennio, furono pubblicate altre opere di carattere antiquario che, come gli esempi tedeschi di inizio secolo, sono rilevanti per la storia dell'edizione dei testi frammentari; la raccolta di Sigonio fu anticipata da tre pubblicazioni del 1557 che rivelano quanto gli studi antiquari siano stati determinanti nello sviluppo della filologia dei frammenti: i Fasti et triumphi Rom. a Romulo usque ad Carolum V di Onofrio Panvinio, pubblicati a Venezia; il De lingua Latina di Varrone, pubblicato a Roma da Antonio Agustín e l’Index legum omnium quae in pandectis continentur pubblicato a Parigi da Iacobus Labittus59. Mi soffermerò sulle prime due.

Nei Fasti et triumphi le parti epigraficamente attestate sono stampate in rosso e quelle derivate dalla tradizione indiretta in nero. La tradizione indiretta include testi di ogni sorta,

57 Estienne 1554-1555.

58 Tomo IV (1554) di Estienne 1554-1555, p. 444. 59 Dionisotti 1997.

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greci e latini, così ciò che è stampato in nero è di fatto all’incirca una ricostruzione congetturale di un testo frammentario.

L'edizione del De lingua Latina curata da Antonio Agustín60, già riconosciuta degna di nota per molti aspetti, testimonia un utilizzo critico dei caratteri tipografici ancor più evoluto rispetto a Panvinio e ad altri editori di frammenti, quali gli Estienne in relazione alla tradizione indiretta del De republica.

Le parole di Varrone sono scritte in corsivo, mentre i marginalia ed il testo delle fonti in tondo. Tra i marginalia, poi, vi è distinzione tra varianti, introdotte da †, e congetture, introdotte da † e seguite da ). Il testo del De lingua Latina è anticipato dai Dubia et varia, assimilabili ad un apparato critico, nel quale vengono discussi e corretti i passaggi problematici. Dopo i Dubia et varia troviamo un elenco di studiosi di Varrone sulla cui opera Agustín dichiara di essersi basato.

Inoltre, l'edizione tenta di ricostruire l'opera in maniera sistematica e ordinata, indipendentemente dal fatto che il contenuto dei vari libri sia di tradizione diretta o indiretta: per i libri I-IV troviamo frammenti sparsi; si prosegue poi con i libri V-X, trasmessi dalla tradizione manoscritta; successivamente, si incontrano nuovamente frammenti tratti dai libri XI-XXIV, ed infine quelli incerti libri. È da evidenziare la correttezza con cui all'occorrenza Agustín non teme di inserire un titolo per avvertire delle lacune (“Desunt paginae tres”, “desunt quaedam”, ecc.), nonché il tentativo di combinare tradizione diretta e indiretta in maniera rigorosa: tale precisione era davvero rara nelle opere coeve dello stesso tipo e solitamente i testi di tradizione diretta precedevano i frammenti, che venivano collocati a chiusura dell'opera come una sorta di appendice61.

Nei Dubia et varia Agustín informa riguardo alla fonte che ha ispirato un'eventuale emendazione, utilizzando espressioni di questo tipo: “ex verisimili conjectura”, “non nemo opinatur scribendum”, “ex docti viri opinione”, “Nonius Marcellus refert Varronem scripsisse lib. IIII sive V de lingua Latina”, “locus mendosus”, “ex conjecturis”, “sed mihi locus hic mendosus adhuc videtur”, “locus mendosus, ita fortasse emendandus”, “sed non est locus integer”. In queste brevi note, Agustín non omette di ricordare i nomi degli umanisti a fianco dei quali ha lavorato e dai quali ha tratto contributi illuminanti. Per citare un esempio vicino alla materia di cui stiamo occupando, si veda il caso di un passo del VI libro (p. 92): Naevius62: Expirante vapore vides unde ignes cluet mortalibus diveis.

60 Cfr. Gallardo 1983, pp. 41-99; Hernández Miguel 1997.

61 Per le analisi delle edizioni di Panvinio e Agustín, ancora Dionisotti 1997.

62 Si tratta in realtà di una corruzione di nemus ed il frammento è da attribuire al Philocteta di Accio, come si evince dal contesto: Loca quaedam agrestia, quod alicuius dei sunt, dicuntur tesca. Nam apud Accium in Philocteta Lemnio: qui tu es mortalis, qui in deserta et tesca te adportes loca?. Enim loca quae sint,

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Tra i marginalia leggiamo la variante divus (accompagnata dal segno †) per diveis. Nei Dubia et varia leggiamo questo commento:

Naevius: Expirante vapore vides unde ignes cluet mortalibus diveis) expirante vapore videmus. Unde ignis lucet mortalibus clam divisus: ex Cic.lib.II Tusc.Gabriel Faernus, qui pleraque alia, emendabat.

Una soluzione, questa, offerta anche nel Matr. 7902 (ff. 412v.-413r.) dallo stesso Faerno, nelle sue note agli incerta di Nevio:

Expirante vapore vides) principium heroici, quae vero sequuntur, omnia corrupta sunt, et legendum

unde ignis lucet mortalibus clam divisus

qui est heroicus citatus a Cicerone lib.II Tusc.quaest. Ubi nos pulchre emendavimus alium heroicum, et verba Ciceronis hoc modo,

unde ignis lucet mortalibus clam divisus eum Prometheus dictus

clepse dolo, poenasque Iovi expendisse supremo.

In questo caso, Faerno ha dimostrato di sapere intrecciare con competenza e disinvoltura tradizione diretta e indiretta, anzi di utilizzare opportunamente quest'ultima per correggere le lezioni corrotte della tradizione manoscritta di Varrone.

Quando Agustín trascrisse il passo in Matr. 7902 f. 398r., inserendolo erroneamente tra i frammenti di Nevio, non sembrava conoscere l'emendazione di Faerno, presente invece nell'edizione varroniana, come del resto testimonia il fatto che il cremonese abbia dovuto avanzarla e motivarla nelle sue note.

Il frammento recita:

Expirante vapore vides, unde ignis cluet mortalib. divis.

L'emendazione di Faerno non ha lasciato tracce neppure tra i marginalia del “borrador B”63, dove Agustín ha riportato le seguenti varianti: “ignes” per “ignis”; per “divis”, “divus v.c.” (“vetus codex”), accanto alla quale troviamo la sigla “.p.” rubricata. Alcune sigle in rosso caratterizzano tutta la sezione dei frammenti di Nevio e corrispondono ad interventi testuali operati da Faerno nelle sue annotazioni, come egli dichiara in f. 410r. a proposito di una sua interpretazione metrica, resa con delle stanghette rosse applicate sulla trascrizione di Agustín: “senarij tres quemadmodum nos minio distinximus”, ed in effetti il secondo frammento della Cunicularia presenta delle linee rosse verticali a scandire tre senari (f. 388r.). Le sigle in rosso “.p.” e “.n.” corrispondono a varianti o congetture che, nella sua appendice, Faerno ha (“.p.”) o non ha (“.n.”) approvato64: si potrebbe allora ipotizzare che

designat cum dicit […] dein […] et: nemus expirante...divisus.

63 Sull'articolazione dei Matr. 7901-7902 in “borrador A” e “borrador B” si veda il capitolo III.

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la sigla “.p.” significhi “probo” e “.n.” “non probo”? Ad ogni modo, quasi sicuramente, dunque, è Faerno ad aver approvato la variante “divus” che Agustín ha ricavato da un “vetus codex”.

Per concludere, l'edizione del De lingua Latina, oltre a costituire un esempio significativo di come Agustín abbia contribuito a raffinare la filologia del frammento, può contenere molti spunti per un confronto ravvicinato tra opera edita e opera inedita di Agustín.; da tale confronto si possono ricavare informazioni sulla datazione dei manoscritti: il passo appena discusso, ad esempio, dimostra che, almeno la parte di Nevio, deve essere stata composta prima dell'edizione di Varrone, altrimenti, il Matr. 7902 avrebbe adottato, o citato tra i marginalia, l'emendazione di Faerno che leggiamo invece nell'edizione varroniana. Si può aggiungere, inoltre, che, poiché per altri autori, nella sezione da lui compilata, Agustín ha trascritto in un secondo momento gli interventi testuali di Faerno, traendoli dalle appendici metrico-testuali del cremonese, l'assenza di tale elemento per i frammenti di Nevio implicherà che, per qualche ragione (compilazione tardiva di Faerno?), Agustín non ha potuto appuntare sui suoi frammenti i contributi offerti dalla revisione di Faerno.

d) La raccolta di frammenti di Antonio Agustín nei Matr. 7901-7902

L'approccio filologico ai frammenti che Agustín mostra nell'edizione del De lingua Latina, del tutto nuovo fino ad allora, è molto simile a quello riscontrabile nel Matr. 7901, dove troviamo raccolti in maniera ordinata frammenti appartenenti ad altre opere di Varrone: nel Matr. 7901, ff. 209r. sgg. leggiamo i testimonia e i frammenti, ordinati libro per libro, delle opere varroniane di tradizione indiretta (Antiquitatum libri, De vita populi Romani ad Atticum, Plautinarum Quaestionum libri, De philosophia, Logistorici, Satyrae Menippeae); spesso l'ndicazione del libro è accompagnata da un titolo: p.e. Rerum divinarum lib. III De Augurib., Rerum Divinarum lib. XII De sacris privatis, ecc. Anche qui, come nel De lingua Latina, ad alcuni dei titoli non corrisponde alcun frammento, ma

(f. 398v.); per exuvijs Agustín propone a margine tre emendazioni: eximiae e ex imis, che sembrano essere varianti, e exuberant (nos), emendazione che dobbiamo attribuire allo stesso Agustín, vista la precisazione tra parentesi; questa correzione, che varrà per l'espressione exuvijs rabies e non solo per exuvijs, ha accanto un “.n.” rubricato. Nella corrispondente analisi di Faerno (f. 413r.) leggiamo: “Exuvijs rabies) versus heroicus q<uod> n<on> procederet, si legeretur, exuberant”.

Utile anche il verso Ergo dedita opera te pater solum, foras (f. 394v.), inserito nel Praecone posteriore di Novio; per ergo Agustín riporta a margine la proposta “Ego forte” che è seguita da un “.p.” rubricato. Nella corrispondente analisi di Faerno (f. 412r.) leggiamo: “Ergo dedita) ego, legendu<m>. versus senarij tres”. I frammenti di Nevio e Novio sono riportati nella stessa sezione, come nella raccolta di Estienne, ma, diversamente da quanto farà il francese, Agustín ha cercato di distinguere gli uni dagli altri, accompagnando il titolo delle varie opere con l'indicazione “Novius” oppure “Naevius”.

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