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La tradizione manoscritta concorda nel leggere affectio est; unanimamente attestata anche dai Laurenziani, con l'eccezione del Laur 48, 2 che reca affẹctio, con li sovrascritte

Trascrizione, apparato critico e commento delle tragedie di Accio (Matr 7901 ff 50-71) e delle corrispondenti note di Faerno (Matr.

OSSERVAZIONI CONCLUSIVE

25 La tradizione manoscritta concorda nel leggere affectio est; unanimamente attestata anche dai Laurenziani, con l'eccezione del Laur 48, 2 che reca affẹctio, con li sovrascritte

alla ẹ. Il fatto che la variante affectio sia già presente nel “borrador A” lascia intendere che Agustín avesse avuto a disposizione la fonte della variante fin dalla prima fase di lavoro. a disposizione un manoscritto da cui ha attinto questa lezione fin dalla prima fase del lavoro, dal momento che affectus est, lezione dell'Aldina del 1513, viene integrata con affectio non solo sul margine destro del “borrador B”, ma anche nel “borrador A”.

Nelle Castigationes Voss commenta l'emendazione affecti avanzata da Mercier e accolta da Scriverius: “Ita mutarunt metri ergo, cum prius legeretur, affectus est, uti est in Med.Ald.aliis. Sed scripserat Attius, affectu'st laetitudine”.

METRO Faerno scandisce in un senario, come tutti gli editori successivi.

26 La variante mors è molto autorevole poiché presente in tutta la tradizione manoscritta; si afferma al posto del vulgato mores grazie all'edizione di Iunius. Agustín la appunta di seconda o terza mano sul margine sinistro del “borrador B”, nel corso di una seconda fase di collazione rispetto a quella cui è stato sottoposto il “borrador A”.

METRO Faerno individua nel frammento la parte finale di un settenario trocaico. Gli editori successivi scandiscono invece in un senario completo; altrettanto fanno Müller e Lindsay, ma attraverso lo scambio dei termini vetustas e mors.

27-28 Il tratto con cui è stato scritto il frammento è fortemente diverso da quello che presentano tutti i frammenti precedenti, omogenei tra loro e attribuibili alla prima mano di Agustín; questo, invece, per quanto sia stato indubbiamente trascritto dall'arcivescovo, sembra tracciato da un calamo più fine di quello utilizzato dalla prima mano.

Il frammento è assente dalle note del Faerno, ma tale lacuna non è segnalata dalla croce a margine: ciò significa probabilmente che quando Faerno ha avuto in mano la raccolta dell'arcivescovo, questo frammento non vi era ancora stato scritto, altrimenti avrebbe segnalato la sua omissione con una croce a margine del frammento stesso, secondo la prassi già riscontrata all'interno del manoscritto.

A riprova del fatto che i due versi sono stati copiati in una fase molto avanzata del lavoro, l'assenza di essi anche all'interno del “borrador A”.

Non sembra, tuttavia, che vi siano motivi particolari in grado di giustificare questa dimenticanza dell'arcivescovo, se non un banale errore di distrazione: il frammento, infatti,

è ben riconoscibile nell'Aldina 1513, alla colonna 1416.35, come riporta a margine lo stesso Agustín.

Voss sostiene l'emendazione di ludo in ludere, che Scriverius accoglie dallo Scaligero, con la seguente argomentazione: “Haec vera est lectio: etsi in Mss. et vett. editt. pro ludere sit ludo. Quod sententia non fert; uti nec metrum, nisi vocibus trajectis”.

METRO Il frammento manca nelle note di Faerno.

Gli editori concordano nello scandire il primo verso come settenario trocaico. Il secondo verso è parte iniziale di un ottonario giambico secondo Klotz, parte finale dello stesso per Müller. Invece Ribbeck, nella seconda e terza edizione, propone di leggere ancora un settenario trocaico con una lacuna intermedia: Ludere . . . atque taedis fulgere. Ludo atque taedis fulgere è inteso come dimetro giambico da Lindsay e D'Antò (seguiti dalla Dangel), che commenta: “L'ardito zeugma ludo atque taedis fulgere dà vivezza all'immagine piena di luce […] Costituisce inoltre un dimetro giambico, che ha la funzione di clausola rispetto al sett. trocaico che la precede, stando a quanto afferma Varrone (fr. 38 Fun.)”.

OSSERVAZIONI CONCLUSIVE

Dal punto di vista del numero di frammenti restituiti alle Bacchae la raccolta di Agustín si rivela superiore rispetto a quella di Estienne e non inferiore a quella di Delrío. L'arcivescovo riconosce alle Bacchae quindici frammenti. Nella raccolta di Estienne i frammenti sono quattordici, ma in realtà viene riportato due volte lo stesso frammento, che viene citato in due distinti lemmi noniani (cfr. commento al rigo 19); rispetto alla raccolta dell'arcivescovo mancano dunque due frammenti, precisamente: Acri crepitantes melos e Namque sat fingi... Nei Syntagma di Delrío è presente anche il frammento Nam Floti crines video, ut propexi iacent, che viene citato Ex emendat.Schol.in Apul. Ma la ricostruzione delle Bacchae non contempla Quanta in venando... e Acri crepitantes melos, quest'ultimo inserito, come nel caso dei Fragmenta di Estienne, tra gli incerta di Accio. I Collectanea di Scriverius aggiungono altri tre frammenti ai quindici individuati da Agustín: Lanugo flora nunc genai demum irrigat (Servius Danielis in 12 Aeneid); Nam flori crines video, ut propexi jacent (stessa fonte); Deinde ab jugulo pectui glauco pampino obnoxae obtexunt (Cledonius in Arte Donati). In questa integrazione possiamo riconoscere il frutto della pubblicazione del Servius Danielinus del 1600, su cui l'arcivescovo non poteva contare.

da Scriverius, si è aggiunto un frammento fortemente corrotto citato in Festo, 314a8 (414,35L): Ec *********egum aut al****.

Per quanto nella colonna centrale del “borrador B” leggiamo i frammenti secondo un testo che ricalca sostanzialmente le vulgatae di Macrobio, Festo e Nonio (le tre fonti per i frammenti delle Bacchae), il “borrador A” e i margini del “borrador B” recano buoni contributi testuali, maturati sia attraverso il lavoro di collazione sia attraverso riflessione autonoma. Nel primo caso, alcune delle varianti appuntate a margine rivelano un contatto con una buona tradizione manoscritta del testo di Nonio: è il caso delle lezioni nitiditatem, ne dici, mors, affectio. Di tale contatto non vi è alcuna traccia nell'edizione di Estienne e solo qualche elemento nei Syntagma di Delrío; riguardo a quest'ultimo, però, bisogna dire che alcune buone lezioni sembrano conseguenza dell'edizione noniana di Iunius, più che il risultato di un personale lavoro di collazione.

Vero è, tuttavia, che Agustín sistema queste buone varianti in margine, senza accoglierle nel corpo del testo: ma è altrettanto vero che questa era un prassi seguita anche da altri editori, che trascrivevano il testo secondo la vulgata, appuntando a margine varianti e congetture e riservandosi di argomentare l'emendazione nel commento, sede in cui veniva ufficialmente stabilito un nuovo testo (si vedano, ad esempio, le edizioni di Delrío e di Mercier). Inoltre, e questo non va mai dimenticato, la raccolta di Agustín non ha la natura di opera finita e pronta per la pubblicazione: tante delle varianti appuntate nel “borrador A” o sui margini del “borrador B” sono assolutamente prive di senso ed è ragionevole pensare che siano state trascritte per dovere di cronaca; in una redazione definitiva Agustín le avrebbe probabilmente tralasciate.

Ad alcuni buoni contributi testuali, come accennavo sopra, Agustín è approdato anche ope ingenii attraverso l'analisi attenta del testo del frammento e del contesto in cui esso viene citato: il caso più importante è la restituzione alle Bacchae del frammento Acri crepitantes melos, sfuggita ad Estienne e a Delrío e applicata solo nei Collectanea di Scriverius, che però poteva contare sull'esegesi corretta formulata da Mercier. Buona anche l'emendazione del tràdito acri in acres, che muove nella stessa direzione in cui procederà acris proposto da Iunius: si veda il commento al rigo 21. Da evidenziare anche l'emendazione neque per namquae e accommondant per accommodans: cfr. commento ai righi 19 e 24.

Questi contributi acquisiscono un valore ancor più grande se pensiamo che Delrío, Scriverius e Voss potevano contare su due buone edizioni di Nonio (Iunius e Mercier) e su una serie di opere di carattere filologico, tra cui i Coniectanea dello Scaligero, che

fornirono un apporto determinante all'esegesi dei frammenti.

Per quanto riguarda i materiali e le fasi del lavoro in cui essi sono stati impiegati, possiamo affermare con certezza che il testo base per le citazioni di Nonio è l'Aldina del 1513, mentre l'edizione parmense del 1480 e quella del 1526 con note di Bentin non risultano essere tra i materiali di collazione: in caso contrario, l'emendazione neque per namquae sarebbe stata indicata come variante e preceduta quindi dall'abbreviazione at., mentre Agustín la presenta come propria congettura, accompagnandola con (nos) nel “borrador A” e con forte nel “borrador B”. Si veda in proposito il commento al rigo 24.

Il testo dell'Aldina viene con ogni probabilità sottoposto ad almeno due collazioni: una di cui resta traccia già nel “borrador A” e che sembra corrispondere alle varianti trascritte di prima mano nel “borrador B”; una seconda (anche una terza?) effettuata quando già i frammenti erano stati tutti copiati nel “borrador B”, coincidente con le varianti trascritte di seconda o terza mano a margine del solo “borrador B”.

Il materiale utilizzato per la prima collazione sembra essere un testo assai vicino al Laur. 48, 4: a questo codice conducono le seguenti coincidenze:

nel “borrador A” viene già segnalata la variante affectio che si trova in tutti e cinque i Laurenziani;

nel “borrador A” viene già segnalata la variante namque, presente solo nei Laurenziani n.4 e n.5;

• il n.5, però, sembra da escludersi come materiale di prima collazione, in quanto non legge la variante dysteron, attestata dai Laurenziani nn. 1, 3, 4 e, in parte, 2 (id isteron) e già presente nel “borrador A”;

il n. 4 è l'unico dei Laurenziani a leggere iacet et nisus; la variante uisus, che Agustín trascrive di seconda mano sul margine del “borrador B” e che è assente nel “borrador A”, è presente in tutti gli altri Laurenziani. Il n. 4, insomma, sembra essere l'unico che conferma il testo dell'Aldina: pertanto una collazione con esso non avrebbe lasciato tracce di varianti, se effettuata quando ancora i frammenti si trovavano copiati nel solo “borrador A”. Se invece Agustín avesse utilizzato durante la prima collazione un testo con la variante visus è ragionevole ipotizzare che egli l'avrebbe trascritta subito.

Per individuare la tipologia di materiale impiegata per una seconda o terza collazione, possiamo contare sui seguenti dati e ipotizzare la collazione con un testo vicino ad F:

nn. 1, 2, 3, 5;

la variante ne dici (margine del “borrador B”, probabilmente di seconda mano, in ogni caso assente nel “borrador A”) conduce al n. 1;

In linea generale, l'assenza della variante crepantes, sia nel “borrador A” che nel “borrador B”, sembra escludere un contatto con il n. 3 che legge acri crepantes. Fa difficoltà anche l'ipotesi di un contatto con il n. 1, poiché, se sopra sono stati elencati dati che collimano con quelli offerti da questo codice, va notato che in esso il crepitantes della prima mano è stato corretto in crepantes dalla terza, sebbene attraverso due semplici punti sotto -it-.

Se diamo credito al quadro delineato sopra, risulta poco chiaro per quale motivo la variante nitiditatem, presente in tutti i Laurenziani, e quindi anche nel n. 4, abbia lasciato traccia solo nel “borrador B”. Infine, rimane il mistero della fonte da cui Agustín abbia tratto la variante prae, già appuntata nel “borrador A” ma assente in tutti i Laurenziani.

Per quanto riguarda le note di Faerno, sono da segnalare due osservazioni testuali interessanti: l'aver individuato la grave corruzione del frammento Praesens praesto irridetis..., a proposito del quale invita ad emendare in qualche maniera stipe; aver capito che nel frammento formae figurae l'ultima parola avrebbe dovuto essere un verbo e non un nome.

Dal punto di vista metrico, possiamo affermare che talvolta le analisi di Faerno sono imprecise a causa dello stato precario della tradizione del testo che gli viene sottoposta. Sono tuttavia presenti alcuni contributi corretti, che coincidono con quanto è stato stabilito dagli editori moderni:

la proposta di scandire Tunc pecudum...come settenario trocaico da emendare,il riconoscimento di Splendet saepe... come settenario mancante di un piede nella

parte iniziale o intermedia;

la scansione di Formae figurae... in senario;

la scansione di Namque sat...in due senari incompeti;la scansione di Quanta in venando... come senario.

Sono da evidenziare, tuttavia, tre casi in cui Faerno, per accondiscere alla ricostruzione di un settenario trocaico, ha imboccato strade sbagliate:

In Quia neque vetustas... egli preferisce riconoscere un settenario trocaico incompleto, piuttosto che un senario giambico completo;

maniera da recuperare la sillaba utile alla formazione di due settenari;

In O Dionyse, pater optime...Faerno ritiene opportuno espungere optime per ottenere un settenario trocaico.

#55v.#

1 Brutus

2 Qui recte consulat, Consul fiat.

3 Cic. pro Sextio Tullius, qui libertatem ciuibus stabiliuerat.

4 (Superbus ait.)

Cum iam quieti coprpus nocturno impetu

5 Dedi, sopore placans artus languidos,

6 Visus est in somnis pastor ad me appellere,

7 Duos consanguineos arietes inde eligi,

8 Pecus lanigerum eximia pulchritudine,

9 Praeclarioremq. alterum immolare me.

10 Deinde eius germanum cornibus connitier,

11 In me arietare, eoq. ictu me ad casum dari.

12 Exin prostratum terra grauiter saucium

13 Resupinum, in caelo contueri maximum, ac

14 Ac mirificum facinus. dextrorsum orbem flammeum

15 Radiatum solis liquier cursu nouo.

16 Rex, quae in uita usurpant homines, cogitant, curant, uident,

17 Quaeq. agunt uigilantes, agitantq. ea si cui in somno accidunt

18 Minus mirum est. Sed in re tanta haud temere improuiso

offerunt

19 Proin uide, ne quem tu esse hebetem deputes aeque ac pecus,

20 Is sapientia munitum pectus egregium gerat,

21 Teq. regno expellat. Nam id, quod de sole ostensum est tibi,

22 Populo commutationem rerum portendit fore.

23 Per propinqua haec, bene ueruncent populo. Nam quod ad

dexteram

24 Coepit cursum ab laeua signum praepotens; pulcherrime

25 Auguratum est, rem Romanam publicam summam fore.

#93v.#

5 Brutus

6 =qui recte consulat

7 consul fiat=) fragmenta trochaicorum

8 Tullius) trochaicus

9 Cum iam) uox iam omnino uersui necessaria

10 est qui senarius est ut sequentes

11 undecim.

12 Rex quae) hi decem uersus trochaici sunt.

13 in quorum sexto legendum puto ostentum.

14 ut sit participium ab ostendor.

2 Varro, L.L. V 80. fiat] ed.princ., Ald.1513, Steph.,Collart fuat Ag.1557 (Dubia et varia 31.5), Delr., Scriv.

(“Viri d. cluat”), Bothe, Müller ciat codd. boni, Götz-Schöll, Klotz cluat amicus quidam Scaligeri, Palmer (Spicileg. ap. Grut. IV 712), Spengel, Ribb., Pedroli, Kent, D'Antò, Dangel.|| 3 Cic., Pro Sext. 123. Deest in Steph.|| 4-15 Cic., De div. I 44. cum iam] cum ịạṃ Ag.font. cum iam Ald.1523, R.Steph.1538, C.Steph.1554, Steph., Delr., Scriv., Bothe, Ribb.1 (quom iam) quoniam Ribb.2-3, Müller, Pease, Ax, Klotz, Pedroli, D'Antò,

Dangel// uisus est H, Ald.1523, R Steph. 1538, Lambin, Voss (visu'st), Bothe (visust), Müller (visust), Pease (visust), Ax (visust), Klotz (visust), D'Antò (visust), Dangel (visust) visum est ABV, C.Steph.1554, Steph., Delr., Scriv., Orelli, Ribb.,Pedroli // pastor] Ald.1523, Steph.1538, Voss, Bothe, Pease, Ax, Klotz, D'Antò, Dangel pastorem C.Steph.1554, Steph., Delr., Scriv. (“al. pastor”), Orelli, Ribb., Pedroli // duos … eligi, pecus pulchritudine] Ald.1523, R.Steph.1538, C.Steph.1554, Steph. pecus...pulchritudine, duos...eligi Frut., Muret, Lambin, Delr., Scriv., Bothe, Müller, Ribb., Pease, Ax, Klotz, Pedroli, D'Antò, Dangel // immolare me] Ald.1523, R.Steph.1538, Ribb., Müller, Pease, Ax, Klotz, Pedroli, D'Antò, Dangel involare me C.Steph.1554,

Steph., Delr., Scriv. (immolare me marg.), Bothe // maximum ac /Ac corr.Fae., Bothe, Müller, Pease, Ax, Klotz, D'Antò, Dangel maximum/ac Ald.1523, R.Steph.1538, C.Steph.1554, Steph., Delr., Scriv. ac om. Ribb., Pedroli.|| 16-25 Cic., De div. I 45. minus mirum] Ald.1523 et edd. plerique minus mirandum codd., RSteph.1538, Müller, Pease, Ax, Klotz, Dangel // haud temere improuiso] codd. alii, Ald.1523, RSteph.1538, C.Steph.1554, Ribb., Müller, Pease, Ax, Klotz, Pedroli, D'Antò, Dangel haud temere improvisa Bothe haud temere visa Eliens. (teste Ribb.), Steph., Delr., Scriv. (“Al. improviso” marg.), Voss (temere haut in re se visa ) // ostensum] Erl., alii codd. apud Alanum (teste Ribb.), Ald.1523 ostentum prop.Fae., R Steph.1538, C.Steph.1554, Steph, Delr., Scriv., Bothe, Ribb., Klotz, D'Antò, Dangel ostentumst Müller, Pease.

COMMENTO

2 Agustín legge consul fiat, mantenendo inalterata la lezione dell'Aldina. Eppure proprio l'arcivescovo è autore dell'emendazione fuat, avanzata nei Dubia et varia della sua edizione di Varrone del 1557; un'emendazione fortunata e ritenuta valida fino a quando Götz e Schöll non ripristineranno la lezione ciat, tràdita dai codici più autorevoli, e intorno alla quale è maturata l'emendazione cluat.

Il dato è di grande interesse perché fornisce un'ulteriore conferma di quanto già appurato da Lunelli riguardo agli anni in cui Agustín ha compilato la sua raccolta: la sezione di Accio, ma probabilmente tutto il manoscritto, è stato compilato senza tenere in conto l'edizione varroniana dell'arcivescovo, altrimenti l'emendazione fuat vi avrebbe trovato spazio. Inoltre, nel “borrador A” i passi del De lingua Latina continuano ad essere citati secondo l'Aldina del 1513 (in questo caso, 1064.45 al f. 80r. col.I), come nota Lunelli, anziché secondo l'edizione del 1557 (p. 31.5).

Poiché una prima edizione, rarissima, difficile da reperire e probabilmente non autentica (cfr. capitolo III), fu pubblicata nel 1554, il terminus ante quem potrebbe essere anticipato dal 1557 al 1554.

METRO Faerno scandisce il frammento in parte finale e parte iniziale di un settenario trocaico. L'analisi metrica manca nelle Castigationes di Voss; neanche Bothe propone alcuna scansione. Ribbeck, Klotz, D'Antò restituiscono il frammento in un unico senario incompleto; anche la Dangel pensa ad un unico verso incompleto, senza scegliere, però, tra metro giambico o trocaico.

3 METRO La scelta di Faerno di scandire il verso in un settenario trocaico completo è