Trascrizione, apparato critico e commento delle tragedie di Accio (Matr 7901 ff 50-71) e delle corrispondenti note di Faerno (Matr.
OSSERVAZIONI CONCLUSIVE
22 Nella sezione delle fonti, Agustín ha sottolineato nimbis, come fa di norma quando vuole segnalare un'espunzione; ma nella tradizione del testo non sembrano esserc
testimonianze di omissione, neppure tra i Laurenziani.
METRO Un settenario trocaico, secondo Faerno, mancante di un piede iniziale o intermedio. Dello stesso parere Ribbeck, Bothe, che in apparato propone di supplire mediante sole, facile omissione a causa dello splendet successivo. Anche Lindsay, D'Antò, 163Degl'Innocenti Pierini 1980, pp. 121-123.
Dangel scandiscono in un settenario completo, leggendo però Idem splendet, mediante l'emendazione Bacchis: idem di Mercier del tràdito bacchidem (oppure bacci-).
23 Agustín mostra di conoscere la variante nitiditatem per nitiditate, che in realtà è lezione dei codici, corrottasi forse a causa della comune abbreviazione nitiditatē; la variante marginale non è presente nel “borrador A”: sembra dunque non essere maturata nella prima fase del lavoro. Nitiditatem leggono, però, tutti e cinque i Laurenziani: nessuno di essi, dunque, sembrerebbe esser stato impiegato per la prima collazione, almeno in questo caso.
Mercier, nelle sue Notae al testo di Nonio, propone di emendare il tràdito regis, da lui accolto nel testo dell'edizione, in geris: “formae figurae) possis scribere, formae figurae nitiditate hospes regius. ut in illo versu notissimo: prw=ton me\n ei}doj a)ci/ej turanni/doj. Sed proxime accedes ad veterem scripturam quam repraesentavi, si legeris, Formae, figurae nitiditatem hospes geris. Videntur esse ex his Euripidis [Bacch. 453]:
a)ta\r to\ me\n sw=m' ou)k a1morfoj ei}, ce/ne [etc.]”.
Da un punto di vista sintattico, non è chiaro se nell'espressione formae figurae nitiditatem i primi due astratti siano da considerarsi una “coppia sinonimica asindetica allitterante”164, oppure se vi sia una dipendenza semantica dell'uno dall'altro165. La questione viene affrontata dalla Strati166, che, al termine di una puntuale analisi delle attestazioni di forma e figura nell'età arcaica e di due passi (l'uno di Lucrezio, l'altro di Cicerone167) in cui è presente l'espressione formae figuram, arriva a concludere che il concreto formae (“corpo”) dipenderebbe dall'astratto figurae (“conformazione”).
Mi limito, tuttavia, ad osservare che, se consideriamo il verso acciano traduzione di quello euripideo, l'astratto nitiditatem è da intendersi come termine che Accio sceglie per rendere la litote ou)k a1morfoj; data l'etimologia comune di forma e morfh/, mi pare opportuno supporre che l'impiego di formae possa esser stato dettato dall'aggettivo greco a1morfoj. Quindi, se di dipendenza tra genitivi vogliamo parlare, direi che non è da escludere la possibilità di considerare formae come l'astratto che insieme a nitiditatem esprime il concetto di “bellezza dell'aspetto esteriore” insito nel greco ou)k a1morfoj, ed in figurae l'astratto che dipende da formae ed esprime il senso concreto di “corpo”, in relazione con sw=ma.
Trovo ragionevole pensare che il vertere acciano abbia operato in due direzioni: rendere la 164Cfr. Traina 1973, p. 198, e prima di lui intesero così Iunius, Mercier, Müller, Ribbeck (prima edizione),
Lindsay e da ultimo la Dangel.
165Così sembrano intendere Ribbeck (seconda e terza edizione), Klotz e D'Antò, scrivendo i due termini senza frapporre la virgola.
166Strati 1974.
litote del testo greco attraverso un astratto che affermi esplicitamente il dato della bellezza (nitiditatem)168, mantenendo contemporaneamente il concetto di morfh/ insito nella litote, attraverso la scelta di formae, etimologicamente legato al testo greco. Concludendo, è semmai in formae...nitiditatem che, a mio avviso, dovrebbe essere riconosciuta la traduzione di ou)k a1morfoj; in figurae percepisco invece il senso concreto del greco sw=ma.
In ogni caso, però, permane l'incertezza di stabilire se davvero il nesso formae figurae sia costituito da due astratti, dipendenti l'uno dall'altro, oppure se esso non sia un esempio di coppia sinonimica asindetica.
METRO Faerno riconosce un senario giambico, suggerendo però di individuare come ultima parola un verbo, anziché un nome.
Il frammento non è considerato nelle Castigationes di Voss; Bothe non propone alcuna scansione; Müller, Ribbeck, Lindsay, Klotz, D'Antò, Dangel scandiscono in un senario giambico.
24 Confrontando “borrador A” e “borrador B”, si ha l'impressione che il lavoro di Agustín abbia attraversato queste fasi:
• la prima stesura del “borrador A” Agustín sembra aver copiato il testo dell'Aldina del 1513, con le lezioni Namquae e pro;
• in una seconda fase, sempre nel “borrador A”, Agustín ha scritto il punto sotto la seconda a di Namquae e corretto pro in prae; forse in questa stessa fase avrebbe sottolineato -am- di Namque e sovrascritto -e-, proponendo dunque la congettura neque, che egli, attribuendo a se stesso ai suoi collaboratori (nos), mostra di non aver attinto né all'edizione del 1480, né a quella del 1526, che pure riportano proprio questa variante;
• la trascrizione nel “borrador B” deve essere avvenuta quando Agustín aveva stabilito in tal modo il testo: nel f. 55r. vediamo infatti che egli, prima di applicare ulteriori correzioni, ha inteso scrivere:
Namque sat fingi, neque dici potest prae magnitate.
Di prima mano, quindi probabilmente nella stessa fase, Agustín deve aver scritto a
168Traina 1973, pp. 197-198: “Dove Euripide accenna, Accio calca la mano, senza tuttavia distruggere la trama euripidea. I migliore esempi sono forse nelle Bacchae. Penteo punge con scoperta ironia la femminea bellezza di Dioniso (Bacch. 453 ss.) […] Nel v. 453 l'ironia è affidata alla litote. Per il resto lo stile è discretissimo: tutte parole usuali. Accio gonfia le gote (254 Ribb.3) […] Coppia sinonimica allitterante, rilievo della qualità mediante l'astratto mediante la (probabile) neoformazione, nitiditas che enfatizza i tratti femminei della bellezza […] Ne esce un Euripide imbarocchito, ma non tradito nel gioco dei suoi contrappunti”.
margine la sua emendazione neque, avanzata, però, con cautela accompagnandola con forte.
• a una seconda fase di riflessione sul “borrador B” devono appartenere la correzione di prae in pro, e la conseguente trascrizione di prae come variante marginale, nonché la trascrizione di Nam quae, pure indicata come variante: entrambi questi interventi mirano a rivalutare, o comunque a rendere noto, il testo dell'Aldina del 1513 su cui Agustín era intervenuto.
• di seconda mano Agustín ha trascritto a margine la variante ne, tratta dunque da un materiale di collazione consultato in un secondo momento.
Da questo tipo di riflessioni, possiamo trarre alcune conclusioni in merito ai materiali di collazione utilizzati dall'arcivescovo, e forse anche in merito alle fasi di lavoro in cui essi sono stati impiegati. L'Aldina del 1513, costituisce, come sempre, il testo base per la raccolta dei frammenti. Le correzioni applicate già nel “borrador A” sembrano indicare la collazione con testi che presentassero la variante namque e prae. Infine, l'emendazione di namque in neque, avanzata da Agustín sotto forma di congettura, esclude la possibilità che egli abbia utilizzato le edizioni del 1480 e del 1526 come materiali di collazione; si tratta di una congettura apprezzabile, in quanto restituisce al testo il senso alterato dal tràdito nam quae, stabilendo una correlazione con i successivi avverbi di negazione.
La variante prae non è presente in alcuno dei testimoni da me consultati, neppure nei Pluteani. Troviamo invece la variante namque nei Laur. 48, 4 e 5. Il Laur. n. 1 riporta, invece, Namquae, che è la lezione più diffusa nei codici; il n. 2 legge Nam ed il n. 3 nanque. Dunque, è da un testo vicino ai n. 4 e 5, se non da uno di essi, che Agustín deve aver attinto la variante namque. Da escludere, invece, che uno di questi testi sia servito nella prima fase di collazione come fonte sia della variante namque sia della variante prae.
La variante ne è lezione rarissima, ma presente nel prestigioso codice L169; trova eco, inoltre, nell'altrettanto autorevole codice F: Agustín deve averla attinta o da questo codice o da uno in relazione con esso. Tale testo, poiché la variante viene appuntata a margine del “borrador B” di seconda mano e si pone quindi come frutto di una seconda o terza collazione, non deve essere stato impiegato nelle prime fasi di lavoro.
METRO Faerno articola il frammento in due senari incompleti, facendo iniziare il secondo con Prae magnitate. Analogamente Müller, Ribbeck nella prima edizione (numquam sat), Lindsay, Klotz, D'Antò, Dangel intendono il primo verso come un senario giambico mancante del primo piede, scandendo pro magnitate come inizio di un senario successivo. 169cfr. praefatio e edizione di Lindsay.
Scandiscono in due frammenti di senari giambici anche Ribbeck nella seconda e terza edizione (neque sat), Bothe (neque sat), che però avanza anche l'ipotesi di un solo ottonario giambico: Neque satis pro magnitate fingi neque dici potest.
25 La tradizione manoscritta concorda nel leggere affectio est; unanimamente attestata