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Dave McKean

Nel documento Videoarte. Storia, autori, linguaggi (pagine 168-171)

L’inglese Dave McKean (1963)23 è illustratore, disegnatore, fumettista, fo-

tografo, grafico digitale e realizzatore di video e film. Con lo scrittore e sce- neggiatore di fumetti e di film Neil Gaiman costituisce un sodalizio artistico quasi costante in tutte le sue produzioni. Lo stile grafico delle illustrazioni di McKean è una combinazione di disegni manuali, elaborazioni grafiche in 2D e 3D, fotografie, testi scritti e materiale variamente trattato: è inevitabile quindi che nel momento in cui si diffonde l’estetica combinatoria fin qui descritta, anche il famoso fumettista inglese si eserciti nello sperimentare la dinamizzazione del suo particolare stile che diventa un punto di riferimento per l’estetica del collage digitale.

L’animazione digitale o la motion graphics sono componenti tecnologiche essenziali per la videoarte monocanale degli anni Novanta: i concetti di ani- mazione e di combinazione con altri elementi non animati è connaturato al passaggio in digitale dell’immagine elettronica, e questa natura viene indagata da vari autori con approcci differenti. Nella videografia di McKean l’ambiguità fra immagini dal vero, la loro rielaborazione grafica e la presenza di forme digi- tali 2D e 3D è costante e quasi necessaria per rappresentare un mondo a metà 23 Il sito dell’artista è: http://www.davemckean.com/. I suoi video sono disponibili nel dvd Keanoshow – A collection of short films by Dave Mckean, distribuito da New Video Group inc. La sua pagina YouTube è: https://www.youtube.com/channel/UClFUAQc- mJYZevmmN2asi7Q/videos

fra quello ideale e quello degli oggetti. Se un personaggio si presenta come un oggetto in 3D, la sua testa è una superficie “mappata” con immagini video di un viso reale; se invece i personaggi sono figure reali indossano una maschera che ne spersonalizza il viso. Il tema della maschera, della possibilità di animare oggetti e della trasformazione del corpo in manichino semovente sono costanti non solo, come abbiamo visto, nell’opera di McKean.

Sonnet 138, del 2001, realizzato quasi interamente in 3D, è un breve video

ispirato direttamente al Sonetto n. 138 di William Shakespeare, una poesia narrata in prima persona in cui si accenna alle bugie consapevoli che due amanti, lui anziano e lei molto giovane, si raccontano per negare l’eviden- za della loro differenza di età. Nel video viene mostrata una strana creatura umanoide recitare il testo integrale del sonetto. Un busto piatto, di legno, è incastonato dentro un libro: sopra vi è una testa stilizzata, degli avambracci legnosi volano a un’altezza coerente rispetto al corpo; il tutto appoggia su una sfera sotto la quale c’è un cubo, entrambi di legno. Intorno, un enigmatico ambiente in cui campeggia una sorta di triangolo come sfondo. Durante il sonetto, il personaggio apre il libro dentro al quale risiede il suo busto, e da una fessura estrae un altro piccolo volume che galleggia nell’aria ruotando velocemente intorno al proprio asse; da questo si aprono delle composizioni di carta che circondano il personaggio, che raccoglie con le sue mani le pagine animate, per poi trasformarle in farfalle colorate. Nel frattempo la camera fluttua avvicinandosi e allontanandosi dal personaggio, e lo sfondo si trasfor- ma in una sorta di paesaggio roccioso dai colori caldissimi.

Incontriamo di nuovo alcune scelte che sembrano quasi obbligate per il linguaggio del digitale: la rotazione intorno al soggetto, la fluttuazione del punto di vista, e infine la leggerezza degli oggetti. Ma ciò che più interessa è la perfetta adesione stilistica fra questa opera e l’estetica bidimensionale di McKean. Il video sembra una delle sue illustrazioni proiettata in un ambiente tridimensionale, e l’autore lavora abilmente con l’ambivalenza fra realistico e antirealistico: la superficie degli oggetti richiama una materia riconoscibile, il legno, mentre la presenza della figura umanoide tronca e degli avambracci spezzati, che si muovono come se effettivamente fossero attaccati al corpo, insieme alle varie azioni che si susseguono, proiettano l’astante in un universo fantastico, dove gli oggetti non solo si animano ma contribuiscono a creare la parvenza di un personaggio parlante. Legno, pagine, libri: oggetti quotidiani riassemblati per costruire un mondo artificiale.

Reason 9/11 del 2003, prodotto da Colony, è un breve video ispirato ai

fatti dell’11 Settembre 2001: le Twin Towers diventano due busti maschili che vomitano un liquido nero, il quale si trasforma in due pezzi di stoffa che si legano l’uno con l’altro. La tecnica è mista fra 3D e riprese dal vero: l’atmo- sfera è cupa e l’ambiente desertico intorno alle due statue comunica un senso di desolazione.

Ma l’opera più riuscita e quella che più consapevolmente indaga la logica combinatoria del compositing sperimentale è Neon del 2002, prodotta da Si- mon Moorhead. Il protagonista del video è un uomo che, in una Venezia onirica e sospesa, perde la sensazione del tempo e della realtà immergendosi in ricordi personali attivati dalla visione di alcuni oggetti, particolari architettonici, visi di passanti e soprattutto un manichino femminile svestito nella vetrina di un negozio di abbigliamento. Dal punto di vista estetico in questo video si affinano alcune scelte stilistiche costanti della videografia di McKean: le immagini sono sempre disturbate da graffi artificiali di pellicola, e sono opalescenti, fragili, con zone fuori fuoco, o distorte diagonalmente. L’invecchiamento artificiale dell’immagine – attraverso una sorta di “estetica del rumore”, che qui si risolve non esaltando la grana del digitale, ma simulando i difetti di una tecnologia che non è stata realmente usata, la pellicola – innesta nello sguardo dello spettatore un processo di riconoscimento, e al contempo un’informazione temporale pa- radossale: il video che si sta guardando assomiglia a un film in bianco e nero antico e malamente conservato, quindi ritrovato in chissà quale archivio, ma la computer grafica chiaramente riconoscibile in molte immagini non appartiene all’epoca suggerita dai difetti della pellicola. Il disturbo riesce da un punto di vista formale ad amalgamare i diversi contributi tecnologici usati nel video, ma lo proietta in una bolla temporale difficilmente definibile.

Del resto Neon gioca sulla categoria dell’indefinito: le elaborazioni video delle immagini di Venezia combinate con la presenza di oggetti 3D, come le enormi teste spaccate che galleggiano sulla laguna, e di trattamenti grafici 2D, come le scritte sospese che costellano molti momenti del video, proiettano quest’opera in una dimensione visiva in cui i vari elementi che cosituiscono la natura del digitale si mescolano in una formula quasi alchemica perfettamente riuscita. Il tema del passaggio da una sostanza all’altra viene approfondito anche dall’estetica di McKean, e qui si traduce nell’apparizione di una figura reale, quasi un fantasma, che incarna il doppio spettrale del manichino della vetrina che tanto ossessiona il protagonista. Ma anche in questo caso è la dimensione

artificiale ad avere un peso, mentre quella naturale diventa una presenza fanta- smatica, trasparente.

Forte di tutta l’esperienza acquisita, Dave McKean realizza un lungome- traggio prodotto in HD e distribuito direttamente in dvd, Mirror Mask del 2005, dove la sua estetica visiva, oramai matura e consapevole, serve a visua- lizzare la sceneggiatura di una fiaba per adulti sul tema del doppio scritta da Neil Gaiman.

Nel documento Videoarte. Storia, autori, linguaggi (pagine 168-171)