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Il Centre International de Création Vidéo Pierre Schaeffer

Nel documento Videoarte. Storia, autori, linguaggi (pagine 155-160)

Il Centre International de Création Vidéo Pierre Schaeffer (inizialmente in- dicato come Centre International de Création Vidéo de Montbéliard Belfort) è un centro di produzione video ospitato nel Castello di Montbéliard, diretto da Pierre Bongiovanni, supportato da finanziamenti statali e regionali, e at- tivo dal 1990 al 2004. Il Centre ha una serie di studi e di attrezzature gestiti da personale tecnico specializzato che accoglie e sostiene, ma non finanzia direttamente, progetti selezionati dall’esterno. Agli artisti scelti si offrono tecnologia, competenza, vitto e alloggio, chiedendo loro di trasferirsi tempo- raneamente nel Centre per realizzare, da soli o aiutati dai tecnici presenti, i progetti per quali sono stati selezionati, adottando la formula della residenza d’artista. Il Centre si propone inizialmente come ponte fra la sperimentazione audiovisiva ed eventuali collaborazioni televisive, lanciando la proposta di una sinergia per la creazione di una possibile “televisione di ricerca”. In real- tà, diventa un polo attrattivo per tutta una serie di artisti, prevalentemente europei, che trovano una sorta di “casa” in grado di realizzare i loro progetti. Rapidamente diventa il punto di riferimento della produzione video mono- canale, meta di artisti già affermati, come Gianni Toti e Robert Cahen, e di altri meno noti che si formano e crescono in un luogo che è anche una sorta di comunità di artisti, da molti definita il “tempio” della videoarte.

Fra i tanti video qui realizzati, è importante segnalare Parabolic People5

(1991) della regista brasiliana Sandra Kogut, coprodotto da Laterit Productions. Il progetto sfrutta l’idea del cosiddetto video box: camion con all’interno un piccolo set attrezzato in cui le persone possono entrare e videoregistrarsi. Sparsi in varie città del mondo, questi video box forniscono alla regista brasiliana una gigantesca quantità di video-ritratti, coordinati in una serie di episodi della du- rata variabile dai 3’ ai 5’. In Parabolic People il tema è l’interconnessione della televisione (simboleggiata dall’antenna, appunto, parabolica) che riesce ad az- zerare le distanze geografiche e culturali agglomerandole nello spazio virtuale del “villaggio globale”, ma è anche il racconto, le storie, le “parabole” che i vari protagonisti dei video condividono con lo spettatore. Gli episodi sono gestiti per temi (il doppio, l’imitazione di personaggi famosi, la figura della finestra, 5 Il video è visionabile al seguente link: http://laurentine.arscenic.tv/medias/films/article/ parabolic-people-sandra-kogut?lang=fr

la musica eccetera) e dal punto di vista stilistico sono un saggio delle possibilità iperboliche del montaggio elettronico che ragiona sulla simultaneità: il quadro viene costantemente impaginato da finestre, tendine, interventi grafici, scritte, interpretando il caos anche linguistico, la babele visiva e sonora nella quale siamo immersi.

Nei primi anni di attività del Centre molti video sono realizzati combi- nando riprese dal vero con interventi grafici 2D o 3D, in linea con l’approccio combinatorio, tipico del lavoro di compositing, che diventa una delle scelte stilistiche più approfondite negli anni Novanta. Cathy Vogan6, esperta in

postproduzione e collaboratrice di Dominik Barbier che fonda la sua per- sonale casa di produzione Fearless, realizza in collaborazione con il CICV alcune opere che hanno come tema costante il tempo. Methuselah (1993), pro- dotto da Fearless e dal British Council, è il commovente ritratto del danzato- re ultraottantenne Ernest Berk: il suo corpo nudo viene visualizzato mentre danza circondato da immagini sovrapposte di tronchi secolari e viene intar- siato continuamente da elementi grafici di orologi che scandiscono il tempo. Il danzatore, accovacciato in uno spazio nero racconta della sua sessualità, della vecchiaia, di come il suo corpo sia mutato e di come sia ancora in grado di danzare: questo video può essere considerato un capolavoro nel genere della videodanza.

Prima della sua collaborazione con Fearless e il CICV Vogan realizza un altro video di danza, Electronic Kamasutra (1989), opera sul rapporto fra sessualità e oggetti inusuali, dove si libera la sua essenza stilistica fat- ta di immagini veloci e coloratissime, accostamenti di situazioni visive che tendono a trasformare il quadro in un magma caotico di forme, collegando l’estetica della videoarte combinatoria al linguaggio del video musicale. The

Synchronizer (1997), coprodotto da Fearless, prosegue e affina questa ricerca

alimentandola con il contributo di interventi di computer grafica e di una notevole padronanza della postproduzione. Il tema del video è il desiderio nell’era digitale: organizzato come uno stralunato show televisivo che vede la partecipazione come attore di David Larcher, quest’opera è un mix vorticoso di immagini video, fotografiche, 3D e rielaborate graficamente inerenti l’an- sia dell’adeguamento causato dalle nuove tecnologie; la sincronia fra uomo e 6 Il sito dell’artista è: http://vogania.com/. La sua pagina YouTube è: http://www.youtube. com/user/NOTAMARKinc. La sua pagina Vimeo è: https://vimeo.com/user8412228.

macchina. Fra orgasmi cronometrati, corpi sempre più efficienti e muscolosi, seni sempre più grossi, erezioni misurate al centimetro, Vogan mostra come il corpo, cercando miglioramenti quantitativi, stia cambiando sempre di più.

Dominik Barbier7, scenografo e videoartista parigino, realizza presso il

CICV un affascinante documentario sul famoso scrittore teatrale Heiner Müller dal titolo I Was Hamlet del 1993. Il video si avvale di interviste esclu- sive, di materiale di repertorio e di riprese originali. Restituito in un livido bianco e nero, una scelta che diventa quasi uno standard in molte produzioni del CICV, l’opera procede con tempi dilatati e riflessivi usando in maniera intensiva finestre, tendine, sovrapposizioni di immagini e una serie di scritte che invadono lo schermo e guidano lo spettatore nella visione. I temi princi- pali sono la biografia del drammaturgo tedesco e la descrizione testuale della sua pièce più famosa, Die Hamletmaschine. Quest’opera si aggiunge all’elenco dei “documentari di creazione” che si stanno realizzando in questo periodo.

David Larcher (1942)8 comincia a usare il video dopo un’esperienza ar-

tistica legata al cinema sperimentale. Con Videovoid del 1995 e Videovoid

Text9 del 1996 realizza una sorta di compimento delle ricerche sul disturbo

del segnale e sulle possibilità dell’autogenerazione di immagini, tipica della videoarte degli esordi, arricchita con le potenzialità del video digitale e del compositing. Videovoid lavora su una continua rielaborazione di immagini semplici e minimali, come il drop, che diventano tessiture astratte complesse, o come la neve che può trasformarsi in immagini che ricordano forme natu- rali o ambientali. Livello su livello, intarsio su intarsio, è un lavoro quasi ma- niacale nel tentativo di addentrarsi sempre più nelle possibilità di integrazione fra analogico e digitale per distruggere la visibilità delle forme.

Tuttavia l’opera non è semplicemente una collezione di esperienze visive astratte: grazie all’ausilio di altre fonti, come fotografie ritoccate o immagini video fortemente rielaborate, una voce fuori campo che recita un monologo quasi costante per tutto il video e testi scritti che scorrono sullo schermo, Vi-

deovoid è una lunga riflessione filosofica sul vuoto, sul nulla, sulle dimensioni

liminali e buie della tecnologia e del pensiero. Ragionamenti che partono da concetti matematici, paradossi scientifici, riflessioni esistenziali e semplici 7 Il sito dell’artista è: http://dominikbarbier.fearless.fr/+Dominik_2.html

8 Il sito dell’artista è: http://www.khm.de/~davidl/cicv/larcher.html

9 Il video è visionabile al seguente link: http://laurentine.arscenic.tv/medias/films/article/ videovoid-text-david-larcher?lang=fr

giochi di parole accompagnano lo spettatore nel labirinto visivo e radicale creato dall’artista inglese.

Nella maggior parte dei video prodotti dal CICV si intravedono le possi- bilità del compositing che diventano più evidenti in altri autori, e soprattutto la collaborazione fra analogico e digitale rappresentata dalla tridimensiona- lizzazione di forme bidimensionali, dalla possibilità di simulare prospettive inesistenti sempre grazie alla distorsione di forme piatte e di far dialogare in- terventi grafici semplici in 2D o in 3D con immagini video: percorsi stilistici abbozzati già negli anni Ottanta.

La computer grafica vera e propria non occupa uno spazio significativo all’interno delle produzioni del Centre, eccetto alcuni video realizzati da N+N Corsino, compagnia marsigliese di ricerca coreografica formata da Nor- bert e Nicole Corsino10, che da anni indaga il rapporto immagine-danza fino

a spingersi ad affrontare la questione della digitalizzazione del corpo e, oggi, a creare sistemi interattivi per la realizzazione di spettacoli ed eventi creati per il web. Captives 2nd movement11 del 2000, coprodotto da Canal Plus, Danse

34 Productions e Société Animare, è un video in cui corpi digitali realizzati con una computer grafica 3D essenziale, simile a certi videogiochi, danzano intorno a strutture architettoniche sulle quali sono riflesse immagini video di performer reali che imitano i movimenti dei cloni digitali. Il titolo è un gioco di parole: il termine “captive” in inglese significa “prigioniero”, ma si riferisce anche alla “motion capture”, la “cattura del movimento” di un corpo reale che serve ad animare un clone digitale. Nel video, quindi, vi sono dei corpi digitali che hanno catturato i movimenti di persone reali, mentre le strutture architettoniche imbrigliano immagini di danzatori in carne e ossa trasformandole in texture: il mondo “rovesciato” del digitale è rappresentato in maniera enigmatica, scura, in un bianco e nero minaccioso, ma al contem- po affascinante nella sua freddezza e rarefazione.

Molta della produzione del Centre si concentra su un’estetica di carat- tere intimista, dove gli artisti creano ritratti autobiografici lavorando su un immaginario e su scelte stilistiche che ricordano da vicino The Passing di Bill Viola, un’opera che influenza molto le nuove generazioni di videoarti-

10 Il sito della compagnia è: http://www.nncorsino.com/en/

11 Un frammento del video è visionabile al seguente link: http://www.unesco.org/archi- ves/multimedia/index.php?s=films_details&pg=33&id=118#.U_Jkp6M4KVg

sti. Los lobos12 del 1996 di Francisco Ruiz De Infante (1966)13 è un lavoro

che tenta la durata cinematografica dei 90’, in bianco e nero, sul tema delle paure dell’infanzia: i lupi a cui si fa riferimento nel titolo, animali selvag- gi che popolano la mente e che non muoiono mai. L’artista spagnolo, che cura anche l’accompagnamento sonoro, crea un’opera dominata dal nero e dal buio, dove semplici immagini (molte delle quali riprese non inten- zionalmente per il video) vengono montate e rimontate, sovrapposte con altre situazioni in loop, creando nello spettatore un vero e proprio stato d’ansia. Topi, insetti, paesaggi notturni, maschere, mani e volti di bambini sono solo alcuni dei protagonisti di questo lungo viaggio nella notte di un inconscio infantile che non riesce a svegliarsi dal suo stato in bilico fra la veglia e il sogno.

Irit Batsry14 realizza nel 1993 Traces of a Presence to Come15, coprodotto da

La Sept/Arte e dal Centre International de la Cinématographie con il supporto di Guggenheim Foundation, Jerome Foundation, The Experimental TV Cen- ter, Owego, Academy of Media Arts, DAP, Ministère de la culture, Film/Video Arts: imponente riflessione sull’incontro, sulla perdita e sull’identità. L’artista israeliana lavora sulla rarefazione dell’immagine, sulla perdita del colore e su rallentamenti estremi che ghiacciano le immagini. Le forme si trasformano in macchie nere in movimento, quadri quasi astratti, fragili, trasparenti, come se da un momento all’altro le forme potessero perdersi, allontanarsi dall’osservatore.

La produzione del CICV rappresenta la sintesi e il compimento dell’este- tica della videoarte elettronica che va dagli anni Sessanta fino agli anni Ot- tanta, con una nascente estetica digitale che ancora si interroga sulla propria natura, una sorta di ponte rispetto alle esperienze di cui parleremo più avanti. A causa di un’endemica mancanza di fondi e di un cambiamento repentino della politica culturale francese il Centre è costretto a chiudere nel 2004 e a oscurare il suo sito, lasciando dietro di sé scarsa documentazione visibile dell’immenso lavoro fatto. La maggior parte degli artisti attiva nel CICV, 12 Il video è visionabile al seguente link: http://entremon.blogspot.com.es/2012/11/els- llops-aquells-animals-ferotges-dels.html

13 Il sito dell’artista è: http://www.ruizdeinfante.org/

14 Il sito dell’artista è: http://www.iritbatsry.com/. La sua pagina Vimeo è: http://vimeo. com/user5795312

15 Un brano del video è visionabile al seguente link: http://www.exquise.org/video. php?id=3436&l=uk

complice anche la serie di processi descritti agli inizi di questo capitolo, si concentrerà sulla realizzazione di videoinstallazioni o su collaborazioni con il mondo del teatro e della danza, mentre altri più legati al lavoro sulla singola immagine trovano spazio di lavoro e di sperimentazione all’interno di stazio- ni televisive internazionali.

Nel documento Videoarte. Storia, autori, linguaggi (pagine 155-160)