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Pipilotti Rist

Nel documento Videoarte. Storia, autori, linguaggi (pagine 152-155)

Elizabeth Charlotte “Pipilotti” Rist (1962)4, artista svizzera, autrice di video

monocanali e soprattutto videoinstallazioni, rifiuta ogni modernità tecnolo- gica per rifugiarsi in una sorta di “Arcadia” costituita dalla tecnologia analo- gica e in particolare dall’estetica di Nam June Paik. La noncuranza stilistica nella modalità di ripresa, l’esasperazione della bassa definizione dell’imma- gine elettronica, i disturbi creati dal trascinamento accelerato/rallentato del nastro, l’esaltazione degli errori, dei drop e delle immagini di disturbo – come 4 Il sito dell’artista è: http://www.pipilottirist.net/

gli sganciamenti di segnale o la neve – costituiscono l’armamentario stilistico che Pipilotti Rist usa in maniera consapevolmente vintage.

Il soggetto privilegiato delle sue opere, creando un ponte con un altro approccio tipico degli esordi della videoarte interessata alla performance, è il suo corpo o il suo viso. L’elemento che allontana l’estetica di Rist dalla sem- plice citazione nostalgica è che il riferimento alla videoarte oramai “classica” diventa la rappresentazione di un mondo infantile che non vuole crescere, che ama ancora i giocattoli elettronici, che lavora sulla bassa definizione, sui colori troppo sgargianti, su intarsi di immagini che sono dichiaratamente grossolani, su immagini realizzate da telecamere difettose. È un kitsch di- vertito, consapevole e innocuo, non rappresenta più la denuncia della falsità dell’immagine elettronica tipica di Paik, e non c’è l’ironia iconoclastica del videoartista coreano. In questo caso si tratta dell’immersione dentro all’im- maginario primevo di un personaggio naif, un folletto elettronico al femmi- nile. Il suo soprannome, Pipilotti, è infatti ispirato al personaggio noto in italiano come Pippi Calzelunghe.

L’artista svizzera, coniugando due mondi rappresentati ancora nel loro stato “nascente”, la videoarte degli esordi e il video musicale degli albori, realizza una serie di “anti-video musicali” esteticamente e tecnologicamente fuori tempo. Una delle opere più esplicite di questo approccio è I’m Not the

Girl Who Misses Much (1986), prodotto presso la Kunstgewerbeschule di Ba-

sel, dove l’artista, vestita di nero ma con i seni scoperti, canta e balla la can- zone di John Lennon Happiness Is a Warm Gun. La ripresa a camera fissa che suggerisce la dinamica del selfshot, dell’autoscatto, è completamente sfocata e continuamente ostacolata da disturbi, accelerazioni del nastro, sganciamenti dell’immagine; il finale è un filmato d’archivio degli anni Venti in cui si vede una giovane donna spogliarsi. Il tema della nudità è molto presente nella videografia di Pipilotti Rist, ed è l’ennesima traccia stilistica di un ritorno all’origine, a uno stato primordiale.

In Pickelporno del 1992, prodotto dagli Uffici Federali della Cultura di alcu- ni Cantoni, il riferimento erotico diventa più esplicito, ma si trasforma anch’esso in un gioco infantile: “Pickel” in tedesco infatti significa “foruncolo”. Le evolu- zioni, riprese con un chroma key volutamente grossolano, di Pipilotti Rist con un giovane dalle fattezze orientali diventano un viaggio della telecamera in con- tinuo movimento, ma senza una vera intenzione voyeuristica sui dettagli dei cor- pi che si ritrovano a galleggiare dentro fondali marini, circondati dalla natura,

da fiori sgargianti, da frutti che compaiono anche fisicamente suoi corpi stessi. Rist fa riferimenti espliciti a un certo erotismo innocuo degli anni Settanta legati alla cultura hippy, e il tema della natura si fa più presente. L’artista svizzera cura anche la realizzazione dell’accompagnamento sonoro dei suoi video, realizzando improbabili e ironiche cover con strumenti elettronici dai suoni decisamente fuori moda o registrando con la sua voce cantilene infantili.

Mutaflor del 1996, autoprodotto, è forse il video più esplicito e al contem-

po più poetico della sua produzione: Pipilotti Rist, nuda e accovacciata su un pavimento dove è sparsa della frutta, guarda vero l’alto come ad accogliere un ipotetico osservatore. Attraverso un movimento del suo corpo ripetuto all’infinito, la telecamera si avvicina alla sua bocca e, tramite una dissolven- za incrociata, si allontana dal suo ano, riprendendo una mela stretta tra le gambe. Il video ha un ritmo ipnotico e innesta un’allegoria semplice che di nuovo richiama la naturalità delle funzioni del corpo legate al suo istinto più primitivo: nutrirsi. Ma è anche una stralunata interpretazione dell’idea di loop e una metafora della soggettiva e dell’inclusione dello spettatore dentro al gioco infantile e scherzoso attivato dal corpo dell’artista svizzera, e l’enne- sima declinazione della traccia tematica costante delle sue opere: un “ritorno all’umano” che non è certamente l’umanizzazione della tecnologia di Paik, ma una decisiva riconsiderazione dell’elemento naturale e sessuale all’interno delle immagini. Un ritorno alle origini simbolizzato nella scelta di un’estetica che si raffigura come anti-moderna, riferita a una situazione primitiva, larva- le, uno “stato nascente” che non vuole o non riesce a svilupparsi oltre.

Pipilotti Rist è autrice anche di un film girato in HD, Pepperminta del 2009, dove un bizzarro personaggio femminile, Pepperminta, evidentemente l’alter ego dell’artista, tenta di convincere il mondo ad abbandonarsi alla gioia dei colori. Il discorso della “disintegrazione” elettronica dell’immagine non viene mantenuto, ma appaiono molte elaborazioni di sovrapposizione dell’immagine e di modifi- che del colore che lo rendono un’esperienza psichedelica. Gran parte del girato di quest’opera, rielaborato in vario modo, fa parte del bagaglio visivo di alcune sue videoinstallazioni più recenti.

Nel documento Videoarte. Storia, autori, linguaggi (pagine 152-155)