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Robert Wilson

Nel documento Videoarte. Storia, autori, linguaggi (pagine 121-123)

Come si noterà anche per gli autori citati in seguito, chi inizia a realizzare video negli anni Ottanta arriva da un percorso artistico differente dai vide- oartisti della prima ondata: molti hanno un background cinematografico o teatrale, e l’approdo al video diventa una tappa necessaria della loro estetica, a testimoniare il fatto che il linguaggio videoartistico sta proliferando non solo in televisione. Robert Wilson (1941)27 è un nome che abbiamo già conosciuto

nel paragrafo dedicato al teatro, e il suo incontro col video certifica la sua curiosità artistica e l’attenzione che ha nei confronti della tecnologia.

Prodotto dal Centre Georges Pompidou, dall’INA e dalla ZDF, Wilson realizza nel 1978, alle soglie degli anni Ottanta quindi, Video 50, una colle- zione di brevi video di 30’’, nei quali compaiono come performer, fra gli altri, Lucinda Childs e Wilson stesso. L’idea degli intervalli “artistici” in questi anni è molto sfruttata, anche se in questo caso la committenza non è televisi- va. Si tratta di veri e propri sketch dominati da uno spirito surreale e svilup- pati visivamente in due modi: da un lato, set evidentemente posticci ed este- tizzanti al limite del kitsch, dall’altro situazioni create in chroma key, dove i soggetti hanno come sfondo immagini rigorosamente fisse. Wilson ribalta l’immaginario patinato hollywoodiano e televisivo ragionando su un sistema di immagini che oramai il pubblico riconosce come meta-testuali e lavoran- do anche sui generi: la suspence di un telefono che squilla, il romanticismo dell’incontro di due amanti in un interno borghese, il thriller di una rapina, tutte situazioni costellate da immagini dominate da un radicale nonsense, come personaggi che bofonchiano fonemi senza senso, una signora che si sie- de, una sedia appesa per aria, un uomo con una valigetta nera che lentamente vuole tuffarsi in una cascata. Alcune situazioni, come le ultime descritte, sono ricorrenti e fungono da intervalli dentro agli intervalli. Il video è dominato da un’atmosfera di sospensione e si ha la sensazione di assistere alla messa in 27 Il sito dell’artista è: http://www.robertwilson.com/

scena di qualcosa di puramente surreale, artificiale e artefatto. Wilson lavora sull’esasperazione della finzione e il video si rivela uno strumento adatto per svolgere questa ricerca in immagini che sembrano una versione elettronica del “teatro fotografato” degli esordi del cinema, o delle fotografie o quadri dominati da un “falso movimento”.

Dopo aver firmato la versione video di un suo spettacolo famoso, Deafman

Glance (1981), nel 1982 realizza Stations, prodotto da un gruppo imponente di

partner: Byrd Hoffmann Foundation, ZDF, INA, New York State Council on the Arts, National Endowment for the Arts, e infine American Film Institute. Si tratta di un video musicale di un’ora in cui si esplora l’universo misterioso e a volte sinistro delle fantasie di un bambino di undici anni, e in cui il la- voro sul chroma key si fa più preciso nell’ingannare lo spettatore innestando situazioni paradossali. Qui Wilson usa il chroma key non tanto per aggiungere degli sfondi agli attori-performer, ma per riempire di immagini finestre, porte e interni di mobili, scoperchiando degli interni e degli esterni artificiali. La nettezza e la precisione formali delle immagini, una caratteristica tipica dei video di Wilson, diventano ancora più dichiarate. La fuoriuscita dell’anomalia all’interno di contesti apparentemente ordinari e legati a un certo immaginario americano ricorda da vicino alcune scelte stilistiche del cinema di David Lynch, come l’apparente sensazione di leggerezza surreale che nasconde ombre sinistre e paure inquietanti. La collisione fra un’estetica tradizionalmente cinematogra- fica, l’impianto dichiaratamente teatrale di alcune scene e le elaborazioni elet- troniche sull’immagine, soprattutto a livello di colore, creano un immaginario freddo ma inquietante al contempo, e attestano uno stile inconfondibile.

La Femme à la cafetière (1989), prodotto dal Museo d’Orsay, INA e La Sept,

omaggio all’omonimo quadro di Paul Cézanne, è uno dei tanti video dedicati alla pittura che incontreremo nel “bivio” degli anni Novanta. Wilson lavora di nuovo sull’inganno, sull’ironia, sullo svelamento dell’artificialità del linguag- gio del video. Il quadro è perfettamente ricostruito dal punto di vista cromatico e di composizione degli oggetti, con la differenza che la donna qui ritratta è giapponese. Ombre che passano sullo sfondo, cucchiaini che si muovono da soli, mani che dal fuori campo riposizionano gli oggetti, porte sullo sfondo che si aprono mostrando un enorme muso di topo sono solo alcuni degli “inciden- ti” che costellano il breve video. Dal punto di vista sonoro ogni piccola azione è sottolineata da suoni e rumori.

con il pop, e nel 1991 realizza una sorta di video musicale d’artista dal titolo

Mr. Bojangles’ Memory Og On Fire, prodotto da Arcanal e dal Centre Georges

Pompidou, in due versioni monocanali e una come videoinstallazione. Le due versioni monocanali sono identiche dal punto di vista visivo, ma presentano due colonne sonore diverse. Mr Bojangles’ è il titolo di una canzone country di Jerry Jeff Walker, dedicata a un anonimo performer di strada di New Orleans, chia- mato Mr. Bojangles in riferimento alla figura del noto attore e ballerino di tip tap di colore Bill “Bojangles” Robinson. Qui l’estetica di Robert Wilson arriva al suo apice: il chroma key viene usato per mimare goffamente l’immaginario degli effetti speciali cinematografici, i set si riducono a pattern monocromatici, il mondo della finzione deflagra mettendo sullo stesso piano uomini preistorici, aviatori della Prima guerra mondiale, fanciulle assassinate, e uno stralunato Mr. Bojangles con un cappello enorme sul quale danzano i personaggi prima citati.

Con Robert Wilson la ricerca metalinguistica “classica” della videoarte monocanale non si rivolge quindi solo al mezzo tecnologico in sé, ma all’im- maginario mediatico e iconografico che nel frattempo si sta addensando di stimoli sempre più complessi: pittura, fotografia, teatro, televisione, cinema e il video musicale vengono trattati non come materiali da riciclare ma da ripensare, da osservare al microscopio per coglierne la struttura e ribaltarla.

Nel documento Videoarte. Storia, autori, linguaggi (pagine 121-123)