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Gianni Tot

Nel documento Videoarte. Storia, autori, linguaggi (pagine 117-121)

Gianni Toti (1924-2007)26, ex partigiano, militante comunista, giornalista, cri-

tico cinematografico, ma soprattutto poeta legato al Futurismo russo, si avvicina al cinema negli anni Sessanta dirigendo una serie di documentari e collaborando con altri come autore dei testi, sceneggiatore o attore. Negli anni Settanta alcu- ni di questi documentari sono prodotti dalla RAI, ed egli entra a far parte del Settore Ricerca e Sperimentazione Programmi della RAI di Torino. Toti è lega- to alla sperimentazione testuale della poesia visiva e sonora ed è visceralmente connesso alla stagione delle avanguardie letterarie, artistiche e cinematografiche russe. Per questo motivo la sua produzione è esclusivamente monocanale: la vi- deoinstallazione e in generale il circuito dell’arte contemporanea sono ambiti che non interessano al videoartista romano, che considera la tecnologia video e la vi- deoarte come naturali prosecuzioni del cinema sperimentale. Le durate delle sue opere si conformano a questo approccio e anche la modalità di fruizione imposta da Toti ai suoi video è legata alla massima concentrazione dello spettatore, spesso costretto a impegnativi tour de force visuali e sonori. Toti crede nel linguaggio 26 Il sito postumo dell’artista è: http://www.lacasatotiana.it/giannitoti/, con la relativa pagina YouTube: https://www.youtube.com/user/casatotiana/

delle avanguardie e nella tecnologia video come canali possibili per trasmettere una cultura “alta” a un pubblico eterogeneo come quello televisivo.

Gigantismo e ipertrofia del linguaggio sono le sue scelte costanti mentre il tema preferito di tutti i suoi video è uno solo: la Rivoluzione – linguistica, artistica, storica, sociale. Nel suo primo video del 1980, Per una videopoesia.

Concertesto e improvvideazione per mixer, memoria di quadro e oscillo-spettro- vector-scopio, compare il termine “videopoesia” che può essere considerato, al

pari della videodanza, uno dei sottogeneri della videoarte monocanale che per il videoartista è intrinsecamente legato al concetto di poesia sonora e di “declamazione” del testo: il rapporto con la musica è essenziale e assume i contorni di una vera e propria colonna sonora, spesso realizzata con fram- menti di brani di musica classica, apparentemente in contrasto con il suo im- maginario “futuribile” ma in grado di creare universi audiovisivi affascinanti, dominati da un senso di entusiastica fiducia nell’utopia.

Dopo aver realizzato, sempre all’interno del Settore Ricerca e Sperimenta- zione Programmi della RAI, altre opere definite “Videopoemetti” (in teoria de- stinate a occupare gli interstizi del palinsesto televisivo sotto forma di intervalli creativi), il videoartista romano crea il video dove si squadernano in maniera più matura le sue linee di ricerca: SqueeZangeZaúm del 1988, prodotto da RAI 3 e Istituto Luce, definito nei titoli di testa “VideoPoemOpera”, dedicato al linguaggio “transmentale” del poeta futurista Velimir Chlébnikov, lo Zaúm ap- punto, un iper-linguaggio ricco di simbolismi sonori, in grado di trascendere il senso comune della parola per creare un insieme linguistico nuovo e moderno. Il video, lungo un’ora e quaranta minuti, si snoda attraverso varie fasi e alterna differenti linee di ricerca: da un lato il riutilizzo di materiale cinematografico, riferito prevalentemente agli anni Venti e agli esperimenti di Dziga Vertov, che viene rielaborato elettronicamente attraverso strategie stilistiche che moltipli- cano l’immagine al suo interno, creando geometrie tridimensionali sulle quali scorrono le immagini; dall’altro il ricorso massiccio alla postproduzione video che ricolora, disturba, distorce le immagini che diventano insiemi astratti in dialogo con immagini di feedback rielaborati; la creazione di immagini solide le cui superfici sono formate da magmi astratti; l’utilizzo di riprese dal vero come una danzatrice con un costume da scheletro a incarnare la “mortemorfosi” evo- cata dalle poesie di Chlébnikov. Il tutto fluisce dirompente di fronte agli occhi dello spettatore come un insieme epico di idee, di suggestioni, di “rivoluzioni” estetiche, al suono della musica di Valerij Voskobojnikov e della voce di Toti

che puntella con invenzioni linguistiche tutto il video, conducendo lo spettato- re nelle varie stanze della complessa architettura del suo immaginario.

Lo stile di Toti si avvicina molto a quello di Woody Vasulka, ma si dimo- stra più attento al rapporto fra musica, immagine e ritmo. Nonostante i suoi video abbiano durate impegnative la loro struttura ritmica non preveda quasi mai la possibilità della pausa: vorticosi e fluidi, presentano invenzioni visive che richiamano quasi sempre la figura della vertigine e del baratro, sfidano l’occhio dello spettatore affollando lo schermo di immagini e di sollecitazio- ni. Come per Gary Hill, anche per Toti la voce è un mezzo importante, una guida vera e propria del flusso visivo, ma a differenza della freddezza tipica del videoartista americano, nonostante il linguaggio parlato e scritto sullo schermo forzino costantemente il senso inventando di continuo neologismi, la sua voce invita lo spettatore a unirsi a una sorta di festa orgiastica e vitale del senso, portandolo contemporaneamente a riflettere sulla storia, sulla me- moria, sul senso del cambiamento, e soprattutto sul valore della rivoluzione come istinto vitale, imprescindibile dell’animo umano. Insomma, nonostante la complessità dei suoi video, Gianni Toti riesce a trasmettere un calore rigo- glioso che contagia lo spettatore.

La collaborazione produttiva con la RAI frutta al videoartista una serie di premi e di riconoscimenti in festival e manifestazioni italiane ed estere; alcuni dei suoi video vengono anche acquistati da canali televisivi internazionali, ma la televisione pubblica non è intenzionata a trasmettere sui propri canali alcuna sua opera, né per intero né sotto forma di intervalli. Gianni Toti comincia a rivolgersi fuori dall’ambito televisivo realizzando, sempre con il suo stile immaginifico, alcu- ni documentari scientifici: L’immaginario scientifico (1986) e Terminale intelligenza (1990). Chiusa la collaborazione con la RAI, dopo un periodo di transizione in cui riesce a trovare spazi all’estero, come l’Atelier Brouillard-Précis di Marsiglia che gli produce L’OrigInédite (1994), omaggio al celebre quadro del 1866 L’origine du

monde di Gustave Courbet, con cui si avvicina a un’altra tendenza tipica di questi

anni, il riferimento alla pittura, approda al CICV Pierre Schaeffer di Montbéliard, un centro produttivo importante negli anni Novanta.

Qui, complice l’incontro con il montatore del Centre, Patrick Zanoli, che Toti definisce “montautore”, il videoartista italiano produce una serie di opere che rappresentano il vertice della sua “poetronica”: Planetopolis (1994), e una trilogia che trae spunto dalla storia della colonizzazione dell’America Latina: Tu-

(1999) e La morte del trionfo della fine (2003), il suo ultimo video. Planetopolis, della durata di due ore, è un video frutto di elaborazioni complesse di materiale girato in America Latina, in Russia e in altri paesi, miscelato con immagini d’ar- chivio, che descrive, con un’estetica che sempre più restituisce le forme astratte, il rischio di abitare “impoeticamente” il mondo, e che diventa una sorta di sinfonia urbana elettronica dai toni cupi e preoccupati per il futuro del pianeta.

Gramsciategui ou le poesimistes è forse il video più riuscito, anche per la sua

capacità di sintesi, di tutta l’estetica totiana. Nel titolo si fa riferimento a due personaggi: Antonio Gramsci da un lato e dall’altro Josè Carlos Mariátegui, filosofo e politico peruviano vissuto negli anni Venti, uno dei primi pensatori marxisti dell’America Latina, detto anche l’Amauta e protagonista della tri- logia totiana citata in precedenza. L’inizio epico del video è completamente astratto, e sembra un omaggio elettronico alla sequenza dello Stargate di 2001:

Odissea nello spazio di Stanley Kubrick: cerchi rossi invadono lo schermo, li-

nee sottili e fuochi artificiali compongono una sorta di Big Bang primordiale di immagini in bilico fra macrocosmo e microcosmo, spirali di DNA e forme recursive. La collaborazione fra immagini elettroniche e computer grafica 3D è uno dei segni distintivi della videoarte degli anni Novanta, e infatti questa introduzione accompagna lo spettatore a osservare la ricostruzione in 3D del

Monumento alla Terza Internazionale di Vladimir Tatlin, le pareti del quale

ospitano immagini d’archivio di Gramsci e Mariátegui. Da qui in poi il video è un susseguirsi vorticoso di simboli: il monumento di Tatlin viene associato alle piramidi Maya, attraversato da un enorme serpente in computer grafica, simbolo del dio Kukulkan, il serpente che scala la piramide per diventare un uccello. Riprese dal vero di una civetta che cerca di afferrare un topo vengo- no immerse in un ambiente astratto, insieme ad alcune riprese d’archivio di Gramsci visto di schiena che cammina zoppicante.

Nonostante la complessità tecnologica del lavoro, nel quale compare molta computer grafica 3D, l’idea di fluidità e di ritmo viene efficacemente svilup- pata e compaiono scelte di montaggio scarnificate, come il loop, e un’ulteriore attenzione al rapporto con la musica. In questo video c’è un’atmosfera più drammatica, e scelte stilistiche e cromatiche più controllate che avvinghiano lo spettatore tenendo sempre alta la sua attenzione, grazie a una calibrazione di tempi e di attese perfettamente calcolata. Il video è dedicato alla moglie pittrice, Marinka Dallos, morta nel 1992, ed è forse il più emozionale della videografia di Toti, che però nel finale non rinuncia a delineare una prospet-

tiva “in avanti”, perché ricompare al centro dello schermo e immersa nel nero, la “figurina” zoppicante di Gramsci, che non smette mai di camminare, quasi un saluto a tutte le persone care che si potrebbero reincontrare nella dimen- sione della memoria.

Nel documento Videoarte. Storia, autori, linguaggi (pagine 117-121)