Gestione delle criticità e tematiche connesse all'evoluzione del settore
Tab 4.1: Percentuale fonti energetiche (2015) Produzione termoelettrica 55,5 %
4.4 Le questioni connesse all'utilizzo di fonti rinnovabil
4.4.3 Soluzioni per favorire l'integrazione delle rinnovabil
Innanzitutto, a livello puramente tecnico, si è individuata la necessità di modernizzare la rete di trasmissione. Infatti, il sistema di trasmissione italiano è basato su un modello di trasporto unidirezionale dell’energia (Bertini-Di Pietra, 2013) che si fonda sulla cosiddetta generazione centralizzata. L’energia prodotta dalle centrali, arriva ai consumatori, soggetti passivi del traffico di energia, attraverso le reti di trasmissione e distribuzione.
Con l’entrata nel mercato di nuove fonti, come l’eolica e la fotovoltaica, sono subentrati una serie di soggetti autoproduttori che danno vita ad un nuovo modello di produzione dell’energia, la cosiddetta generazione distribuita. Con tale sistema, buona parte dell’energia elettrica viene prodotta in maniera decentralizzata da unità di piccole dimensioni, direttamente connesse alla rete di distribuzione. Il modello di trasporto non è più unidirezionale ma bidirezionale, con gli autoproduttori che non sono più soggetti passivi, potendo ricevere energia dalla rete così come immetterla nella stessa, in maniera scarsamente prevedibile e senza capaicità di immagazzinare l'energia in avanzo. L’attuale struttura nazionale del trasporto di elettricità è però di tipo passivo, e non si adatta alle nuove tecnologie (Bertini-Di Pietra, 2013). Il problema principale risiede quindi nei maggiori costi di coordinamento della rete, che vanno appunto ad incrementare la componente
tariffaria e quindi ad aumentare il prezzo lordo dell’elettricità.
La soluzione a questo problema è stata individuata nelle cosiddette smart grid, un sistema che unisce tecnologie ICT alla rete elettrica, consentendo di poterla gestire in maniera “intelligente”. Il sistema garantisce di “gestire localmente eventuali surplus di energia redistribuendoli in aree contigue nelle quali si verifichino dei deficit” (Sorokin, 2013).
Un modello di questo tipo garantirebbe un maggior controllo delle fluttuazioni connesse alle forme di energia non programmabili, diminuendo il costo di dispacciamento e di conseguenza gli “oneri generali di sistema” (Bertini-Di Pietra, 2013). Le smartgrid consentiranno un maggior adeguamento della rete alle nuove modalità di produzione, nonché un miglior coordinamento e flessibilità delle strutture di trasmissione dell’energia, per un risparmio che è stato calcolato in circa 5 miliardi di euro in sette anni, nel periodo dal 2013 al 2020 (Bertini-Di Pietra, 2013).
E’ già stata avviata, con una delibera dell’Autorità del 2010, una fase di sperimentazione delle reti intelligenti. L’Italia, in questo percorso, è avvantaggiata da elementi quali le eccellenze tecnologiche e l’appoggio di tutte le parti in causa (produttori, stakeholders, mondo scientifico) al proseguimento del cammino di modernizzazione della rete (Bertini-Di Pietra, 2013).
Possiamo tuttavia intuire come quello appena descritto sia un processo non attuabile in poco tempo, seppur auspicabile dal punto di vista dell'efficienza energetica (eliminazione degli sprechi grazie alla redistribuzione tra i produttori dell'energia in eccesso) e dell'ambiente (è ovvio che una sostituzione di combustibili con fonti rinnovabili porterebbe alla riduzione delle emissioni e dell'inquinamento). Siamo dunque in una vera e propria fase transitoria, caratterizzata proprio dalla necessità di ricorrere alle fonti combustibili per motivi di bilanciamento del sistema: le tecnologie alimentate da fonti rinnovabili non sono infatti né programmabili né flessibili (Moscardini, 2015) e gli impianti tradizionali suppliscono attualmente a questo limite. Nel contempo, tuttavia, assistiamo alla difficoltà di questo tipo di impianti a sopravvivere a causa della mancanza di remunerazione agli investimenti dovuta all'ingresso delle rinnovabili e all'overcapacity.
Come gestire questa fase transitoria?
Possiamo “incanalare” le linee di intervento attualmente necessarie lungo due direttive:
1) elaborare un meccanismo che permetta la remunerazione degli impianti tradizionali, necessariamente attivi solo per motivi di sicurezza del sistema, o trovare soluzioni che aumentino la domanda di elettricità;
2) risolvere il problema dell’impatto delle rinnovabili sui costi di dispacciamento.
In realtà tra gli autori consultati abbiamo riscontrato, per il primo punto, idee differenti e spesso contrastanti. Alcuni ritengono irreversibile l’overcapacity, e tra questi le opinioni si differenziano tra chi ritiene essenziale la capacità in eccesso per motivi di sicurezza, e chi invece è convinto che la
dismissione degli impianti termoelettrici in eccesso non rappresenti un pericolo per il sistema. Altri invece credono che promuovere nuove tecnologie tese all’elettrificazione dei consumi possa far aumentare la domanda e semplicemente riassorbire l’eccesso di capacità.
Tra chi è convinto della necessità della capacità in eccesso per motivi di sicurezza, abbiamo i promotori del cosiddetto capacity market, nel quale vengono remunerati impianti solo per il fatto di mettere capacità a disposizione (capacity payment). Questo strumento viene considerato, di fatto, un incentivo a favore dei combustibili fossili, che non sono ormai più in grado di sostenere la concorrenza delle fonti rinnovabili.
“Il sistema elettrico italiano, in particolare negli ultimi anni, è stato caratterizzato da un drastico calo della domanda elettrica e dall’incremento della generazione da fonte rinnovabile. A seguito della scarsa utilizzazione degli impianti, diversi operatori titolari di unità di produzione alimentate da fonti convenzionali si stanno orientando verso piani di dismissione o sono in una situazione tale da ritenere probabili future riduzioni di capacità sul proprio parco di generazione. Il perdurare dell’attuale situazione potrebbe spingere a considerare ulteriori chiusure o messa in conservazione in relazione alla inadeguata redditività proveniente dalle attività di mercato […]. Queste risorse (gli impianti tradizionali, ndr) rappresentano un elemento chiave per la sicurezza del sistema elettrico e della continuità del servizio; eventuali decisioni che rendano indisponibile tale capacità potrebbero portare a non poter far fronte a situazioni di criticità”. Così ha dichiarato nel luglio 2015 Chicco Testa, presidente di Assoelettrica (Associazione Nazionale delle Imprese Elettriche).
Aggiungiamo che attualmente è stato proposto un progetto di capacity market dal Governo alla Commissione europea.
Tuttavia alcuni ritengono che la remunerazione della capacità sia distorsiva per il prezzo (spingendolo al ribasso) e disincentivante per gli investimenti in impianti flessibili (Artizzu, 2014), nonché tesa a mantenere lo status quo ostacolando di fatto l’evoluzione tecnologica. Secondo questa linea di pensiero, è “affrettata” l’idea per cui la chiusura di capacità termoelettrica rischi di pregiudicare la sicurezza del sistema. Bisognerebbe infatti lasciar scendere la riserva e in seguito osservare il comportamento dei prezzi, verificando così se gli stessi si assestino a “livelli compatibili con la permanenza sul mercato di capacità sufficiente a garantire la sicurezza del sistema”. Nel caso in cui i prezzi non garantissero una riserva tale da far operare il sistema in sicurezza, allora “la remunerazione preventiva di capacità di produzione sarebbe giustificata” (Artizzu, 2014). Altri considerano il mercato delle capacità alla stregua di “un’aspirina” o “un palliativo che non attacca il male alla radice”, specificando che “ciò che occorre sono segnali di prezzo di lungo termine” (Francesco Storace, amministratore delegato ENEL, 2015).
di chi vede nell'elettrificazione dei consumi il rimedio contro l’overcapacity, facendo notare come sia una tendenza “raccomandata a livello comunitario” (Pia Saraceno, Meneghello 2014). Bisognerebbe concentrare gli sforzi, in particolare, sull’elettrificazione dei mezzi di trasporto e dei sistemi di riscaldamento domestico.
Vediamo ora i problemi relativi all’impatto delle rinnovabili sui costi di dispacciamento.
In Italia, i volumi di energia transitati sul Mercato per il Servizio di Dispacciamento sono aumentati di pari passo con l’incremento della generazione da fonti rinnovabili non programmabili (Marangoni, 2015). E’ interessante il confronto tra Italia e Germania effettuato dall’economista Alessandro Marangoni, CEO della società di analisi economiche Althesys, in sede di presentazione dello studio “Il settore elettrico italiano: quale market design?”.
Fig. 4.8: Peso energie rinnovabili non programmabili sulla produzione nazionale e incidenza percentuale costi di dispacciamento sul valore del mercato dispacciamento: confronto Italia Germania (Fonte: studio Althesys, Marangoni, 2015)
In un Paese come la Germania che, come il nostro, sta attraversando una vera e propria rivoluzione portata dall’ingresso delle rinnovabili nel mercato (Marangoni, 2015), nel quale il peso delle non programmabili è molto vicino a quello italiano e anche leggermente più elevato (Fig. 4.8), notiamo come l’incidenza percentuale dei costi per il dispacciamento sia minore che in Italia. Qual è la maggiore differenza tra il modello di mercato tedesco e quello italiano?
Secondo lo studio di Althesys, il mercato elettrico italiano non sarebbe ben allineato con il tempo reale. In altri termini, bisognerebbe diminuire i tempi di chiusura del Mercato del Giorno Prima e
del Mercato di Aggiustamento, in modo che una parte più consistente dei volumi di energia possa passare da questi mercati (in Germania è presente una contrattazione continua) e si riducano necessità di dispacciamento e relativi costi (“I Paesi con gate closures stretti o con sistemi di contrattazione continua mostrano costi per la gestione degli sbilanciamenti più contenuti”. Marangoni, 2015).
Un ultimo aspetto riguarda la partecipazione degli impianti che utilizzano fonti rinnovabili al Mercato per il Servizio di Dispacciamento (cosiddetta “partecipazione ai servizi ancillari di rete”). Facendo ancora riferimento alla Germania, si nota come qui partecipino a questo mercato a tutti gli impianti collegati in alta tensione, indipendentemente dal fatto che essi siano termoelettrici o utilizzino fonti rinnovabili. In Italia, invece, tale attività è svolta solo dalle imprese termoelettriche (Marangoni, 2015. Artizzu, 2014). Sempre secondo lo studio di Althesys, notiamo che i vantaggi stimati della eventuale partecipazione delle fonti rinnovabili ai servizi di rete non sono trascurabili. Si calcola infatti che gli impianti a fonti rinnovabili non programmabili potrebbero contribuire con circa 2800 GWh di energia. Perché, dunque gli impianti che utilizzano fonti rinnovabili non partecipano al Mercato per il Servizio di Dispacciamento? Il problema è nei costi, connessi ai rischi derivanti dalla non programmabilità delle forniture. Tali impianti avrebbero infatti bisogno di un notevole adeguamento tecnologico e sviluppo di competenze (Marangoni, 2015. Artizzu, 2014), che attualmente rendono molto rischiosa e poco attrattiva la partecipazione ai “servizi ancillari di rete”. Molti ritengono (Artizzu, 2014. Marangoni, 2015. Franzò, 2015) che la revisione dei regolamenti e delle remunerazioni connesse alla fornitura di questi servizi, tale da permettere l’accesso anche a nuove tipologie di impianti, potrebbero notevolmente ridurre l’impatto delle rinnovabili sui costi di dispacciamento, e dunque i costi connessi al bilanciamento del sistema.
4.5 Conclusioni
Dopo più di 10 anni dalla prima analisi di settore condotta dall'AEEGSI (allora AEEG), ci troviamo di fronte al medesimo andamento dei prezzi per il consumo di elettricità che avevamo riscontrato nel 2005 attraverso i dati dell'Autorità stessa. In realtà abbiamo visto come il prezzo netto sia diminuito per collocarsi a valori simili a quelli medi europei, mentre è invece il prezzo lordo (comprensivo, oltre al costo dell'energia, di una componente tariffaria a copertura degli oneri di sistema e di una componente di imposte) che ancora staziona a livelli superiori alla media europea di circa il 20%.
Le problematiche individuate nel 2005 dall'autorità di settore sono state in buona parte risolte o attenuate. In particolare, abbiamo visto come sia migliorata la situazione dal punto di vista dell'offerta e della concorrenza: l'ENEL non è più operatore pivotale grazie al maggior equilibrio sia
nella distribuzione delle quote di potenza efficiente netta sia nella tipologia e distribuzione territoriale degli impianti, ma è soprattutto lo sviluppo della rete di trasmissione che ha diminuito l'isolamento dei mercati e incrementato i collegamenti con i mercati extranazionali confinanti intaccando il potere dell'ex monopolista. Inoltre, il processo di maturazione della borsa elettrica è progredito, anche attraverso l'introduzione di strumenti finanziari derivati che hanno contribuito all'aumento delle transazioni e alla sicurezza delle stesse, con la liquidità del mercato che è passata da circa il 30% a quasi il 66% del totale dell'energia scambiata. Un ulteriore aspetto fondamentale che abbiamo riscontrato nella nostra analisi è la minor dipendenza della produzione di elettricità dalle fonti combustibili e dai processi termoelettrici in generale. C'è stato infatti un notevole incremento dell'utilizzo di fonti rinnovabili, in particolare delle cosiddette rinnovabili non programmabili, eolica e fotovoltaica. Questo fenomeno è stato fatto risalire principalmente a politiche europee, come il “Piano 20-20-20”, che hanno indotto il governo a favorire lo sfruttamento di queste fonti attraverso incentivi.
Ma è a questo punto che abbiamo individuato quella che è, a nostro parere, la principale causa del maggiore prezzo lordo dell'energia elettrica. La connessione alla rete di una serie di impianti alimentati a fonti non programmabili comporta infatti un incremento dei costi per il bilanciamento del sistema, in quanto 1) la produzione attraverso tali fonti non è prevedibile a lungo termine (da qui appunto “non programmabili”) 2) l'introduzione di queste fonti ha comportato l'entrata in scena di una serie di soggetti autoproduttori che possono assorbire così come possono produrre energia, richiedendo quindi la modernizzazione della rete di trasmissione in modo da permettere all'energia di percorrere la rete stessa in entrambi i sensi (sostituzione della generazione centralizzata con la generazione distribuita).
I costi per il bilanciamento della rete, sostenuti dal soggetto che è gestore e responsabile della stessa (Terna), confluiscono nella componente “oneri generali di sistema” (per la quale, ricordiamo, nel 2015 la stessa AEEGSI ha espresso “preoccupazione”) che si somma al costo dell'energia e va a far aumentare il prezzo finale. Ma abbiamo anche visto come questo non costituisca il solo problema, in quanto il continuo dover bilanciare i flussi di energia porta con sé un esigenza di sicurezza alla quale attualmente solo gli impianti tradizionali (termoelettrici) possono ottemperare. Impianti che però sempre con maggiore difficoltà riescono a restare in attività, in quanto il prezzo netto, sceso per l'overcapacity e per i bassi costi variabili degli impianti rinnovabili, non è per loro remunerativo. Detto questo, l'analisi delle varie soluzioni sia tecniche che normative ci porta ad avere una nostra idea sul processo in divenire e sulla strada che dovrebbe essere intrapresa.
A nostro parere, sarebbe necessario prendere in considerazione tutte le soluzioni di cui si è parlato, evitando di vederle come alternative ma cercare anzi di combinarle in un progetto a lungo termine
che miri all'evoluzione e alla modernizzazione del settore.
Le smart grid, soprattutto per la flessibilità nella trasmissione che comporterebbero, sembrano essere la soluzione “definitiva” per garantire l'integrazione delle fonti rinnovabili nel mercato. Pertanto non possono non essere implementate, sia per ragioni puramente ambientali ma anche, come abbiamo visto, per l'utilizzo efficiente dell'elettricità che comporterebbero, con notevoli tagli di costi previsti (basti pensare ai 5 mld di euro dal 2013 al 2020 a cui si è fatto in precedenza riferimento). Risolverebbero infine l'annosa questione della sicurezza del sistema, riducendo ulteriormente la dipendenza da fonti combustibili. Non possiamo però ignorare il fatto che, inevitabilmente, la soluzione delle reti intelligenti richiede tempo e investimenti, e come già detto non può essere attuata rapidamente o facilmente.
L'elettrificazione dei consumi, vista come sistema per aumentare la domanda e risolvere l'eccesso di capacità, ci pare auspicabile ma allo stesso modo non attuabile nel breve termine. Non può essere vista quindi (a nostro parere) alla stregua di una mera alternativa al capacity market, ma dovrebbe essere una soluzione indipendente dalla questione, e coordinata con l'implementazione delle smart grid, con l'idea di rendere il nostro Paese maggiormente in linea con gli obiettivi di riduzione delle emissioni e al fine di sfruttare i benefici delle rinnovabili a livello di minori costi. Crediamo inoltre che una società maggiormente elettrificata, con l'elettricità proveniente da fonti rinnovabili gestite in maniera efficiente, rappresenti una soluzione per ridurre la dipendenza energetica del nostro Paese dall'estero. Ripetiamo ancora una volta però, come questo possa essere visto come un obiettivo di lungo termine.
Nel breve termine, consideriamo utili innanzitutto le modifiche ai meccanismi di mercato basate (come suggerito dallo studio Althesys) sul modello tedesco: nell'immediato ci pare infatti la soluzione che richiede il minor sforzo e che ridurrebbe da subito, secondo le nostre fonti, i costi di bilanciamento del sistema. Infine, riguardo al capacity market, potrebbe essere utile solo nel caso in cui sia visto come misura temporanea che renda meno traumatica e quanto più possibile “indolore” la conversione energetica che inevitabilmente il settore col tempo dovrà affrontare. Nel momento in cui la remunerazione della capacità diventasse elemento permanente del mercato elettrico italiano, ci troveremmo d'accordo con chi (si veda il paragrafo precedente) lo definisce un mero “palliativo” e un meccanismo distorsivo, nonché un elemento volto a mantenere lo status quo che potrebbe ostacolare l'evoluzione tecnologica attraverso la disincentivazione agli investimenti in impianti flessibili e favorirebbe il mantenimento di un sistema produttivo che il mercato stesso sta mostrando essere sempre più obsoleto.